mercoledì 8 agosto 2018

Galeazzo Ciano, traditore o vittima sacrificale?

Galeazzo Ciano, traditore o vittima sacrificale?
Nel 75° anniversario del fatale Ordine del giorno Grandi, riesaminiamo il personaggio di Galeazzo Ciano, che voltò le spalle al Duce, suo suocero e protettore. Ma come andò veramente?

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Galeazzo Ciano



fucilazione di Galeazzo Ciano

Galeazzo Ciano è forse il personaggio più ambiguo e controverso tra i massimi esponenti del regime mussoliniano, che doveva la sua inarrestabile carriera, oltre a indubbie doti personali, al matrimonio con Edda Mussolini, che lo rese intimo del Dice, tanto da acquisire un potere tale da farlo ritenere suo delfino. Bello, dotato di grande fascino, brillante e spavaldo (lo dimostrò alla cloche del suo aereo o davanti al plotone di esecuzione), era anche considerato opportunista, fatuo, spregiudicato, al limite del cinismo, inaffidabile. La sua firma sull’ordine del giorno Grandi, che di fatto destituì Mussolini, fu paragonata al bacio di Giuda. Galeazzo Ciano va prima di tutto inquadrato nel suo contesto familiare. Era il rampollo non solo di una delle famiglie più cospicue della Toscana costiera, ma soprattutto un personaggio mitico e influentissimo, Costanzo Ciano, che godeva della stima incondizionata di Mussolini. Galeazzo venerava il padre, ma ne era totalmente soggiogato e, crescendo, ha sofferto il confronto con la personalità dominatrice del genitore, uomo di fegato ma anche intelligente politico. Questo gli determinò quella insicurezza di carattere, ma nello stesso tempo la convinzione di esser fortunato e benedetto dalla sorte, una di quelle persone predilette dal cielo a cui le cose possono solo andare bene. Questo lo rese superficiale e frivolo, il classico enfant gaté di ottima famiglia. Coccolato dal bel mondo romano, che conservava i sui privilegi sotto il fascismo, Ciano era in realtà estraneo alla cultura fascista, anche se il padre era diventato un uomo di spicco del Regime. Galeazzo aveva passato la gioventù in ambienti non fascisti  e, successivamente, diplomatici, questi ultimi scarsamente imbevuti di quello spirito, essendo piuttosto legati a una certa aristocrazia romana che solleticava la sua vanità e il suo gusto per le cose (e le donne) belle. Di qui il suo apparire un po’ vanesio e un po’ guascone, sicuro di essere inattaccabile grazie al suo legame con il Duce. Il prendersi gioco di tutto e il criticare tutti, l’usare il pettegolezzo anche come mezzo politico, il vivere superficialmente e senza approfondire la conoscenza di eventi e persone erano gli elementi caratteristici del personaggio, che pur amando e ammirando senza riserve Mussolini, non esitava a farne l’imitazione nei salotti romani. Frequentando la bella e un po’ frivola società della Capitale, conobbe Edda Mussolini, figlia primogenita del Duce, che sposò in grande pompa nel 1930. Da quel momento, e per dodici anni, la sua carriera politica fu inarrestabile: sottosegretario alla Stampa nel 1933, ministro della Cultura popolare nel 1935, ministro degli Esteri l’anno successivo, a soli 33 anni. Rimase a Palazzo Chigi fino al febbraio 1943, quando fu esonerato dal Duce, per subentrata incompatibilità di idee politiche. Non potevano saperlo, ma la rottura era vicina.


 Galeazzo Ciano e Benito Mussolinipassano in rassegna un reparto militare al rientro in Italia di Ciano dall'Africa Orientale Italiana - Brindisi, 17 maggio 1936

Che valore hanno i suoi diari da un punto di vista storico?
Non c’è dubbio che i diari di Ciano  abbiano un valore storico importantissimo per la comprensione del regime mussoliniano. Anche se alcune parti sono state sicuramente rimaneggiate quando Ciano smise i panni di ministro per assumere quelli di ambasciatore in Vaticano, essendo ormai fuori dai giochi: in particolare, a giudizio degli storici, proprio la parte che riguarda la guerra con la Grecia appare ritoccata da Ciano, con l’evidente scopo di apparire meno responsabile di quei disastri. Il testo dei diari è comunque attendibile e fuori di ogni logica sono le tesi espresse da Ribbentrop, secondo il quale erano esistiti ben due diari di Ciano, uno dei due falsificato da lui stesso, allo scopo di servirsene dopo il conflitto. Ribbentrop che odiava Ciano, sostenne questo al processo di Norimberga, sede in cui il diario era stato inserito fra le prove di accusa contro lo stesso Ribbentrop. D’altra parte, i rimaneggiamenti possono riguardare particolari stati d’animo di Ciano, non già la realtà e la successione degli avvenimenti annotati giorno per giorno, senza particolare animosità. Infatti, una delle caratteristiche dei diari è la schematicità delle informazioni, come se Ciano volesse appuntare gli avvenimenti della giornata, un po’ di corsa, senza badare allo stile e agli effetti letterari. È quindi probabile che Ciano pensasse al diario come un brogliaccio da risistemare in vista della futura redazione delle sue future memorie, allorché tutta la massa degli avvenimenti sarebbe stata corredata di impressioni e di collegamenti logici e politici. nell’introduzione, scritta in carcere a Verona poco prima di essere fucilato, Ciano spiega il pregio dei suoi diari: “(…) forse in questa stessa scheletricità, nella assoluta mancanza di superfluo è il pregio di questi miei diari. Gli avvenimenti sono in essi fotografati senza ritocco, e le impressioni sono le prime e le più genuine, prima che la critica o il senno di poi abbiano potuto esercitare la loro influenza. Ero solito annotare i fatti giorno per giorno, ora per ora, e forse si potranno trovare talvolta ripetizioni o contraddizioni. Così appunto come la vita si ripete e si contraddice”.



Quanto era sincero e genuino il diario? Mussolini sapeva della sua esistenza?

Il diario era certamente sincero e certificò la spontaneità della sua redazione: la fretta e l’essenzialità con cui è scritto dimostrano che Ciano appuntava alcuni fatti per poi poterci tornare nel futuro. Proprio le contraddizioni presenti avvalorano la sincerità del diario. Il Duce sapeva sicuramente che il genero stava scrivendo un diario, tanto che un giorno gli chiese se lo teneva ordinato; alla risposta affermativa di Ciano, Mussolini aggiunse che il suo diario sarebbe servito a dimostrare che i tedeschi in campo politico e militare avevano sempre agito a sua insaputa. Ciano trovò molto stana e anche un po’ inquietante questa affermazione. Ma, oggi, sapendo grosso modo come la pensava Mussolini circa i tedeschi, si può trovare quella frase tutt’altro che sorprendente.

In che misura i diari fotografano la situazione in quegli anni?

Il diario si apre nell’agosto del 1937 con le note trionfali sui successi italiani nella Guerra di Spagna, una guerra da lui fortemente voluta, in nome della crociata cattolica e anticomunista. Ma già nel febbraio 1938 si giunge a una sopravvalutazione degli accordi con la Germania: il 5 di quel mese Ciano si dichiarava molto soddisfatto della presenza di Ribbentrop al ministero degli Esteri del Reich, mentre un anno più tardi comincerà ad odiarlo, e soprattutto vedeva con grande speranza gli avvicinamenti tra Italia e Germania, contro le tentazioni britanniche e francesi. Si trattava di rafforza l’Asse e i presupposti del futuro Patto d’Acciaio. In realtà, Ciano non comprese la strategia complessiva di Mussolini, la quale peraltro era tutt’altro che facile da decifrare, poco incline come era lui a confidarsi. L’unico uomo di cui Benito si fidava totalmente era il fratello Arnaldo, dopo la morte del quale, nel 1931, il Duce rimase totalmente solo al comando.

Come visse quegli anni Ciano, giovane e inesperta new entry della politica?

ordine del giorno Grandi
l Gran Consiglio del Fascismo
riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco a fianco con la gente di Sicilia in cui più risplende l'univoca fede del popolo italiano, rinnovando le nobili tradizioni di strenuo valore e d'indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate, esaminata la situazione interna e internazionale e la condotta politica e militare della guerra
proclama
il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l'unità, l'indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l'avvenire del popolo italiano;
afferma
la necessità dell'unione morale e materiale di tutti gli italiani in questa ora grave e decisiva per i destini della Nazione;
dichiara
che a tale scopo è necessario l'immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali;
invita
il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché Egli voglia per l'onore e la salvezza della Patria assumere con l'effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dell'aria, secondo l'articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia.[11]

                 


I sette anni da ministro degli Esteri furono sicuramente i più rilevanti della sua vita: nell’estate  1936, l’Italia partecipava alla Guerra Civile Spagnola, nell’ottobre successivo lo stesso ministro firmò ‘i protocolli di Berlino’, che sono passati alla Storia con il nome di “asse Roma-Berlino”; partecipò alla conferenza di Monaco del 1938, organizzata nel vano tentativo di fermare la spinta espansionistica tedesca; nel maggio 1939 firmò il Patto d’Acciaio che legava l’Italia alla Germania di Hitler; poco più di un mese prima, nell’aprile 1939, l’Italia aveva occupato l’Albania, e anche questa operazione era stata promossa direttamente da Ciano, le cui ambizioni erano pari, se non superiori a quelle del Regime. Ma nel corso degli eventi, per il ministro degli Esteri la pressione tedesca, che in qualche modo Mussolini tentava di gestire, i voltafaccia di Hitler e la sua sostanziale arroganza (decideva ogni cosa senza informare l’alleato italiano e ne snobbava le opinioni quando non collimano con le proprio), determinarono un lento allontanamento di Galeazzo dalle posizioni del suocero, che gli risultavano incomprensibili, estemporanee e prive di una vera strategia. Il Duce governava con i suoi umori variabili, prendeva decisioni che apparivano bizzarre e non ammetteva contradditorio. Il che fece passare progressivamente Ciano da uno stato di ammirazione incondizionata per il suocero, a un atteggiamento critico se non proprio di avversione. I rapporti tra i due, quindi, si deteriorarono fino all’estromissione di Ciano dal ministero degli Esteri e alla nomina di ambasciatore presso la Santa Sede nel febbraio 1943, posizione di assoluto prestigio e utilità in quel delicato momento. Mussolini potrebbe avercelo messo per  avere un canale aperto con la diplomazia vaticana e lo stesso pontefice Pio XII, in vista di una possibile trattativa di pace con gli Alleati, considerato che la sconfitta si profilava probabile, e di un possibile sganciamento dell’Italia dal sempre più scomodo alleato tedesco. Il momento culminate nel deterioramento dei rapporti tra Ciano e Mussolini fu la seduta deò Gran Consiglio del fascismo del 24-25 luglio 1943, che segnò la fine del regime.

Una settimana prima della riunione del Gran Consiglio, e due giorni prima dell'incontro detto di Feltre (ma tenutosi in realtà a San Fermo, frazione di Belluno) fra Mussolini e HitlerHeinrich Himmler riceveva un'informativa che anticipava le manovre in corso per deporre il Duce e sostituirlo con Pietro Badoglio[6]. Il documento fa ripetuto riferimento al re Vittorio Emanuele III ed alla massoneria.

Costanzo, eroe nazionale (ma non senza macchia).
Il conte Costanzo Ciano era uno dei personaggi più rilevanti della Prima guerra mondiale, e poi del fascismo: nel novembre 1917 aveva messo in fuga, con i mezzi d’assalto subacquei (i famosi “maiali”) due corazzate austriache, davanti alla cittadina di Cortellazzo, nel Veneto costiero, mentre nel febbraio del 1918 aveva partecipato, con il suo amico Gabriele d’Annunzio, alla beffa di Buccari. Per questi meriti straordinari, era stato insignito della quarta medaglia d’argento e della prima d’oro, ed era stato nominato conte di Cortellazzo e Buccari. Per dieci anni Costanzo Ciano fu ministro delle Comunicazioni dal 1924 al 1934, mentre dal 1934 al 1939, fu presidente della Camera dei deputati, poi trasformata in camera dei fasci e delle corporazioni.
Durante la sua carriere all’ombra del fascismo, Costanzo Ciano non fu immune da critiche per i suoi supposti traffici a cui fu attribuita la fonte del suo enorme arricchimento. Ma non fu mai sfiorato dall’ombra dello scandalo e la sua morte, il 26 giugno 1939, fu accolta dal cordoglio nazionale, oltre che dal sincero dolore del figlio Galeazzo e di tutta la famiglia. Per ospitare le sue spoglie mortali fu costruito un mausoleo degno di un faraone,  

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Costanzo Ciano, conte di Cortellazzo e di Buccari (Livorno30 agosto 1876 – Ponte a Moriano, Lucca26 giugno1939), è stato un militare e politico italiano, padre di Galeazzo Ciano.


Come ne esce la figura di Mussolini nei diari di Ciano?

Sulla base di recenti ricerche presso gli archivi britanni, francesi e tedeschi, appare evidente la volontà di Mussolini di mantenere una posizione ambigua e il più possibile equidistante tra la Germania, di cui temeva la forza, e Francia e Gran Bretagna, potenze che mostravano di non apprezzare particolarmente la volontà italiana di diventare una grande potenza. Inoltre, francesi e britannici, erano concorrente dell’Italia sia nell’ambito coloniale, sia in quello mediterraneo. Gibuti (Somalia francese), la Corsica, la Tunisia e magari anche Nizza e la Savoia erano le possibili rivendicazioni italiane verso la ‘cugina d’Oltralpe’ che si concretizzarono in esplicite richieste nel 1939, dopo che per un periodo sembrò a portata di mano un accordo con Parigi. Per quanto riguarda Londra, con la quale i rapporti nei primi anni trenta erano stati buoni, le difficoltà insorsero quando l’Italia attaccò l’Etiopia. In quell’occasione si vide come gli inglesi fossero decisamente contrari a un’espansione coloniale italiana: soprattutto divenne centrale il controllo del Mediterraneo, che la presenza a Gibilterra e a Malta assicurava alla Gran Bretagna. Da qui la strategia mussoliniana: avvicinarsi sempre più, fino al punto di non ritorno, alla Germania, assecondando le sue mire espansionistiche (vedi il caso austriaco: con l’Italia che nel 1934 mandò le truppe al Brennero per evitare l’occupazione tedesca e dopo tre anni accettò l’Anshluss), aderendo alle sue impostazioni ideologiche, mostrando al mondo, attraverso l’Asse e il Patto d’Acciaio, che i due regimi totalitari marciavano compatti e con comuni interessi. In altri termini, Mussolini aveva compreso che l’unico ruolo internazionalmente rilevante che l’Italia avrebbe potuto ricoprire era quello del ‘nemico-amico’ e cioè di uno Stato che, pur nell’orbita tedesca, si mostrava disponibile a eventuali trattative con le demoplutocrazie. In pratica un moderatore delle mire di Adolf Hitler. Pertanto, mentre Francia e Gran Bretagna non riuscivano a interloquire con Berlino, Roma esercitava una certa influenza, come aveva dimostrato la Conferenza di Monaco, nella quale Mussolini ebbe un ruolo chiave come interlocutore per entrambe le parti. In questo modo Mussolini riteneva di potere condizionare entrambi i contendenti e così ottenere qualche apprezzabile risultato a livello territoriale. Gli attacchi alla borghesia, ‘pacifista e improduttiva’, le polemiche contro lo spirito rinunciatario, l’introduzione del passo romano o passo dell’oca, la stessa campagna di stampa contro gli ebrei, culminata nelle leggi razziali del novembre 1938, costituirono tanti elementi di ufficiale avvicinamento a Hitler, ma non si trasformarono mai in rotture esplicite e definitive con Parigi e Londra. La non belligeranza (formula che Mussolini usò per distinguerla dalla neutralità, non metteva in discussione l’alleanza, ma semplicemente sospendeva l’impegno italiano in guerra, fermo restando la fedeltà verso l’alleato) fu, da questo punto di vista un capolavoro di ambiguità. Mussolini cambiava idea frequentemente, almeno così pareva, e Ciano non mancò di rilevarlo. Oggi filotedesco, domani timoroso della potenza teutonica, Mussolini sembrava oscillare tra la risolutezza dell’intervento in guerra e la prudenza di una decisione rimandata tempi migliori. In realtà Mussolini comprendeva benissimo che l’Italia non era pronta per la guerra e questo emerge anche dal diario; il Duce voleva un’altra Monaco nella quale continuare a fare il mediatore, con il duplice scopo di salvare la pace in Europa e contemporaneamente acquisire vantaggi – di prestigio, e possibilmente anche territoriali – per l’Italia. Sperava, inoltre, in un logoramento delle due parti, affinché fosse più semplice gestire il proprio ruolo. Invece, la caduta della Francia al primo urto tedesco fece precipitare le cose e Mussolini si trovò di fronte a un bivio drammatico. Se la guerra fosse finita con la sconfitta francese, per l’Italia le cose si sarebbero messe male; non solo non avrebbe avuto il merito di aver contribuito alla vittoria, ma sarebbe rimasta ferma, non belligerante, in attesa di eventi, mentre l’alleato sopportava l’intero peso del conflitto. Che cosa avrebbe detto dopo, a vittoria acquisita, Hitler? L’Italia avrebbe rischiato la figura del 1915, quando alleata con Austria e Germania, passò, con un accordo segreto, nel campo dell’Intesa. E Hitler non era il tipo di perdonare debolezze o ambiguità.


matrimonio Ciano ed Edda


Galeazzo, un uomo baciato dalla fortuna (o così credeva)
Gian Galeazzo Ciano, è nato a Livorno il 18 marzo 1903. Durante la Prima guerra mondiale la sua famiglia si trasferì prima a Venezia e poi a Genova. Nella città lagunare frequentò il liceo Marco Polo, mentre sotto la Lanterna conseguì brillantemente la maturità. La sua prima vocazione, durante gli studi universitari, fu il giornalismo e il teatro. Collaborò a testate come La Tribuna e L’Impero, m a senza uno specifico impegno politico. Dopo la laurea in giurisprudenza, entrò in diplomazia e svolse il suo primo incarico a Rio de Janerio. Il 24 aprile 1930 sposò Edda Mussolini, dopodiché fu promosso console a Shanghai, distinguendosi per la sua condotta intelligente e brillante. Tornò a Roma il 1° agosto  1933 con il prestigioso incarico di capo dell’ufficio Stampa di Mussolini. La sua carriera fu inarrestabile, non senza meriti personali: nel 1935 divenne ministro della Cultura popolare e nel 1936 Ministro degli Affari esteri, subentrando, allo stesso Mussolini; a Palazzo Chigi conobbe l’apice del suo percorso all’ombra del potente suocero. Parallelamente alla sua attività politica, partecipò alla Guerra d’Etiopia, come pilota di bombardieri e in seguito compì missioni anche in Albania e Grecia. Ciano fu manifestamente il meno fascista tra i grandi gerarchi del regime, non nel senso che fosse antifascista, ma nel senso che egli partecipò poco e tiepidamente alle manifestazioni populistiche, ai suoi riti, alle sue campagne anticapitalistiche. In altri termini, mentre alcuni gerarchi avevano una propria posizione anche ideologica nel fascismo, rappresentando di volta in volta l’ala estremista e di destra (Farinacci), l’ala rivoluzionaria e di sinistra (Rossoni) o, infine, la posizione più seriamente corporativa (Bottai), Ciano non rappresentò che il bel mondo romano, tra diplomazia e salotti, senza una particolare inclinazione ideologica. Per questi motivi, Ciano non aveva amici nell’ambiente dei gerarchi fascisti: non certo Grandi, Bottai e Balbo, che lui temeva come concorrenti nella successione al Duce; non certo un Farinacci, che era l’esempio del fascista estremo che Ciano aborriva; ma neppure Federzoni o Giurati, che rappresentavano l’ala monarchica e di destra del Regime. La solitudine di Ciano si vide chiaramente dopo il 25 luglio, quando nessuno spese una parola per lui; anzi, tutti considerarono una giusta vendetta l’esito del processo di Verona. 

Perché nei suoi diaria Ciano parla così poco della moglie?

Il matrimonio tra Edda e Galeazzo seguì un andamento altalenante: a momenti di felicità coniugale, seguivano, sempre più spesso, tensioni e incomprensioni. I motivi per cui Ciano parla pochissimo di Edda nei diari possono essere principalmente due. In primo luogo, perché non si trattava di un diario privato, ma politico e allora le donne, nemmeno Edda, non erano grandi soggetti di politica. In secondo luogo perche, mano a mano che il rapporto con Mussolini si deteriorava, Ciano evidentemente tendeva a non coinvolgere la moglie nelle sue prese di posizione, sapendo che Edda non le condivideva. Aggiungiamo poi che Edda aveva il carattere di Benito, al femminile: era cioè una donno molto volitiva e decisa, che non amava un ruolo di comprimaria nella coppia. E lo dimostrano le crisi tra i due nelle quali non era quasi mai Edda a soccombere. Durante il Regime, girava una battuta sui rapporti tra i due che la dice lunga sul difficile ruolo che aveva Ciano: “Quale è la differenza tra la Sardegna e Ciano? Che la Sardegna ha Grazia Deledda e Ciano ha la disgrazia dell’Edda”

Come fu che Galeazzo, invece di salvarsi con la famiglia come avrebbe potuto, finì davanti al plotone di esecuzione?


Dopo i drammatici eventi succeduti al 25 aprile, incautamente, pur sapendo di essere odiato dai tedeschi, Ciano volle andare in Germania per incontrare il suocero, forse sopravvalutando la sua protezione. Hitler non si fece sfuggire l’occasione e lo fece arrestare e trasferire a Verona al carcere degli Scalzi, in attesa del processo che le autorità del nuovo Stato mussoliniano – che aveva la sua capitale a Salò, sul Garda – stavano organizzando contro i traditori del 25 luglio. Fra i cinque imputati presenti nel carcere scaligero, ciano venne subito considerato dai tedeschi, e soprattutto dai fascisti di Salò, il supertraditore, proprio a causa del suo voltafaccia, nonostante i legami di parentela che lo legavano al Duce e i benefici che ne aveva ricevuto. Peraltro proprio il suo modo di vivere il fascismo e la politica, il suo carattere, la sua superficialità erano sempre stati invisi ai fascisti ortodossi, mentre i moderati sospettavano delle sue ambiguità politiche. Se per gli altri condannati (Pareschi, Gottardi, Marinelli, e De Bono) soltanto con la seconda votazione si raggiunse il verdetto di morte, nel caso di Ciano invece bastò la prima. Mussolini, pressato dai tedeschi e dal segretario del Partito Fascista Repubblicano, Pavolini, (un tempo legatissimo a Ciano, ma poi diventato il suo più accanito accusatore), non poté o non volle intervenire per salvargli la vita, cosa che Edda, la sua figlia prediletta, non gli perdonò mai. La domanda di grazia, che i condannati firmarono il giorno prima dell’esecuzione non pervenne mai a Mussolini, essendo stata bloccato dallo stesso Pavolini.

Qual’è il giudizio storico che si può dare oggi dell’uomo: fu davvero uno spregevole ingrato, un traditore del Duce che lo aveva creato, oppure vale anche per lui la teoria per cui Giuda tradì Gesù ispirato proprio dal Cristo che se ne servì per completare il suo destino sulla croce?

Il paragone con Gesù è suggestivo ma con notevoli differenze. È però certo che la firma di Ciano sul documento Grandi non fu decisiva, anche se ebbe il significato di separare i due destini: quello del Duce in declino e quello del suo ex delfino, che poteva ancora aspirare a un ruolo importante nella politica futura, dopo l’ormai più che probabile resa dell’Italia. E n qualche modo anticipava la netta separazione tra Italia e Germania, che sarebbero passate da alleate a nemiche. I rapporti personali tra i due rimasero buoni, tanto che Ciano volle raggiungere il suocero in Germania con prevedibile rischio, e la decisione gli fu fatale. Hitler non poteva perdonare il voltafaccia dell’ex delfino del Duce: la sua condanna a morte era inevitabile anche perché il suo tradimento simboleggiava il tradimento dell’Italia  (ben distinta dall’Italia rappresentata dalla Repubblica di Salò) all’amica Germania. Ma tornando alla drammatica seduta del Gran consiglio del 24-25 luglio 1943, non possiamo conoscere lo stato d’animo e i pensieri di Ciano quando sottoscrisse l’Ordine del Giorno Grandi. Però è verosimile pensare che Mussolini avesse in qualche modo condotto la stessa seduta del Gran Consiglio per fare emergere l’opposizione della maggioranza dei gerarchi, al fine di presentarsi a Hitler con valide motivazione per uscire dal conflitto o, almeno, per concludere una pace separata con l’Unione Sovietica. Non si spiegherebbe diversamente la volontà di Mussolini, anche contro quella del segretario del Partito, di mettere ai voti per primo quell’Ordine del giorno Grandi, che Mussolini aveva lette e corretto un paio di giorni prima della seduta del Gran Consiglio. L’azione del re, con l’arresto di Mussolini il 25 luglio e la conseguente nomina di Pietro Badoglio a capo del Governo, cambiò tutto. Per cui, i firmatari dell’ordine del giorno Grandi – Ciano compreso – furono accusati di tradimento durante la Repubblica Sociale. Che Ciano fosse o meno consapevole dei veri obiettivi di Mussolini in quel 25 luglio, è cosa scarsamente rilevante. Nessuno, all’infuori parzialmente di Grandi furono sconvolti dall’arresto di Mussolini e dalla nomina di Badoglio: una carta che il re aveva già preparato da tempo e che giocò alla prima occasione favorevole. Il paragone con Giuda può essere fatto sulla fine dei traditori: Gida non resse alla vergogna del ruolo recitato e si impiccò, Ciano andò consapevolmente incontro alla sua fine, e lo fece  con grande dignità.


Intervista della Redazione di BBC History al prof. Giuseppe Parlato storico studioso e ricercatore in particolare del periodo tra le due guerre mondiali e pubblicato sul numero di BBC History del mese di agosto 2018. Altri testi e foto da Wikipedia.     

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