Galeazzo Ciano, traditore
o vittima sacrificale?
Nel 75° anniversario del fatale Ordine del giorno
Grandi, riesaminiamo il personaggio di Galeazzo Ciano, che voltò le spalle al
Duce, suo suocero e protettore. Ma come andò veramente?
Galeazzo Ciano
fucilazione di Galeazzo Ciano
Galeazzo Ciano è forse il personaggio più
ambiguo e controverso tra i massimi esponenti del regime mussoliniano, che
doveva la sua inarrestabile carriera, oltre a indubbie doti personali, al
matrimonio con Edda Mussolini, che lo rese intimo del Dice, tanto da acquisire
un potere tale da farlo ritenere suo delfino. Bello, dotato di grande fascino,
brillante e spavaldo (lo dimostrò alla cloche del suo aereo o davanti al
plotone di esecuzione), era anche considerato opportunista, fatuo,
spregiudicato, al limite del cinismo, inaffidabile. La sua firma sull’ordine
del giorno Grandi, che di fatto destituì Mussolini, fu paragonata al bacio di
Giuda. Galeazzo Ciano va prima di tutto inquadrato nel suo contesto familiare.
Era il rampollo non solo di una delle famiglie più cospicue della Toscana
costiera, ma soprattutto un personaggio mitico e influentissimo, Costanzo
Ciano, che godeva della stima incondizionata di Mussolini. Galeazzo venerava il
padre, ma ne era totalmente soggiogato e, crescendo, ha sofferto il confronto
con la personalità dominatrice del genitore, uomo di fegato ma anche
intelligente politico. Questo gli determinò quella insicurezza di carattere, ma
nello stesso tempo la convinzione di esser fortunato e benedetto dalla sorte,
una di quelle persone predilette dal cielo a cui le cose possono solo andare
bene. Questo lo rese superficiale e frivolo, il classico enfant gaté di ottima
famiglia. Coccolato dal bel mondo romano, che conservava i sui privilegi sotto
il fascismo, Ciano era in realtà estraneo alla cultura fascista, anche se il
padre era diventato un uomo di spicco del Regime. Galeazzo aveva passato la
gioventù in ambienti non fascisti e,
successivamente, diplomatici, questi ultimi scarsamente imbevuti di quello
spirito, essendo piuttosto legati a una certa aristocrazia romana che
solleticava la sua vanità e il suo gusto per le cose (e le donne) belle. Di qui
il suo apparire un po’ vanesio e un po’ guascone, sicuro di essere
inattaccabile grazie al suo legame con il Duce. Il prendersi gioco di tutto e
il criticare tutti, l’usare il pettegolezzo anche come mezzo politico, il
vivere superficialmente e senza approfondire la conoscenza di eventi e persone
erano gli elementi caratteristici del personaggio, che pur amando e ammirando
senza riserve Mussolini, non esitava a farne l’imitazione nei salotti romani.
Frequentando la bella e un po’ frivola società della Capitale, conobbe Edda
Mussolini, figlia primogenita del Duce, che sposò in grande pompa nel 1930. Da
quel momento, e per dodici anni, la sua carriera politica fu inarrestabile:
sottosegretario alla Stampa nel 1933, ministro della Cultura popolare nel 1935,
ministro degli Esteri l’anno successivo, a soli 33 anni. Rimase a Palazzo Chigi
fino al febbraio 1943, quando fu esonerato dal Duce, per subentrata
incompatibilità di idee politiche. Non potevano saperlo, ma la rottura era
vicina.
Che valore hanno i suoi
diari da un punto di vista storico?
Non c’è dubbio che i diari di Ciano abbiano un valore storico importantissimo per
la comprensione del regime mussoliniano. Anche se alcune parti sono state
sicuramente rimaneggiate quando Ciano smise i panni di ministro per assumere
quelli di ambasciatore in Vaticano, essendo ormai fuori dai giochi: in
particolare, a giudizio degli storici, proprio la parte che riguarda la guerra
con la Grecia
appare ritoccata da Ciano, con l’evidente scopo di apparire meno responsabile
di quei disastri. Il testo dei diari è comunque attendibile e fuori di ogni
logica sono le tesi espresse da Ribbentrop, secondo il quale erano esistiti ben
due diari di Ciano, uno dei due falsificato da lui stesso, allo scopo di
servirsene dopo il conflitto. Ribbentrop che odiava Ciano, sostenne questo al
processo di Norimberga, sede in cui il diario era stato inserito fra le prove
di accusa contro lo stesso Ribbentrop. D’altra parte, i rimaneggiamenti possono
riguardare particolari stati d’animo di Ciano, non già la realtà e la
successione degli avvenimenti annotati giorno per giorno, senza particolare
animosità. Infatti, una delle caratteristiche dei diari è la schematicità delle
informazioni, come se Ciano volesse appuntare gli avvenimenti della giornata,
un po’ di corsa, senza badare allo stile e agli effetti letterari. È quindi
probabile che Ciano pensasse al diario come un brogliaccio da risistemare in
vista della futura redazione delle sue future memorie, allorché tutta la massa
degli avvenimenti sarebbe stata corredata di impressioni e di collegamenti
logici e politici. nell’introduzione, scritta in carcere a Verona poco prima di
essere fucilato, Ciano spiega il pregio dei suoi diari: “(…) forse in questa stessa scheletricità, nella assoluta mancanza di
superfluo è il pregio di questi miei diari. Gli avvenimenti sono in essi
fotografati senza ritocco, e le impressioni sono le prime e le più genuine,
prima che la critica o il senno di poi abbiano potuto esercitare la loro
influenza. Ero solito annotare i fatti giorno per giorno, ora per ora, e forse
si potranno trovare talvolta ripetizioni o contraddizioni. Così appunto come la
vita si ripete e si contraddice”.
Quanto era sincero e genuino
il diario? Mussolini sapeva della sua esistenza?
Il diario era certamente sincero e certificò la spontaneità
della sua redazione: la fretta e l’essenzialità con cui è scritto dimostrano
che Ciano appuntava alcuni fatti per poi poterci tornare nel futuro. Proprio le
contraddizioni presenti avvalorano la sincerità del diario. Il Duce sapeva
sicuramente che il genero stava scrivendo un diario, tanto che un giorno gli
chiese se lo teneva ordinato; alla risposta affermativa di Ciano, Mussolini
aggiunse che il suo diario sarebbe servito a dimostrare che i tedeschi in campo
politico e militare avevano sempre agito a sua insaputa. Ciano trovò molto
stana e anche un po’ inquietante questa affermazione. Ma, oggi, sapendo grosso
modo come la pensava Mussolini circa i tedeschi, si può trovare quella frase
tutt’altro che sorprendente.
In che misura i diari
fotografano la situazione in quegli anni?
Il diario si apre nell’agosto del 1937 con le note trionfali sui successi
italiani nella Guerra di Spagna, una guerra da lui fortemente voluta, in nome
della crociata cattolica e anticomunista. Ma già nel febbraio 1938 si giunge a
una sopravvalutazione degli accordi con la Germania : il 5 di quel mese Ciano si dichiarava
molto soddisfatto della presenza di Ribbentrop al ministero degli Esteri del
Reich, mentre un anno più tardi comincerà ad odiarlo, e soprattutto vedeva con
grande speranza gli avvicinamenti tra Italia e Germania, contro le tentazioni
britanniche e francesi. Si trattava di rafforza l’Asse e i presupposti del
futuro Patto d’Acciaio. In realtà, Ciano non comprese la strategia complessiva
di Mussolini, la quale peraltro era tutt’altro che facile da decifrare, poco
incline come era lui a confidarsi. L’unico uomo di cui Benito si fidava totalmente
era il fratello Arnaldo, dopo la morte del quale, nel 1931, il Duce rimase
totalmente solo al comando.
Come visse quegli anni
Ciano, giovane e inesperta new entry della politica?
ordine del giorno Grandi
l Gran Consiglio del Fascismo
riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco a fianco con la gente di Sicilia in cui più risplende l'univoca fede del popolo italiano, rinnovando le nobili tradizioni di strenuo valore e d'indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate, esaminata la situazione interna e internazionale e la condotta politica e militare della guerra
proclama
il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l'unità, l'indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l'avvenire del popolo italiano;
afferma
la necessità dell'unione morale e materiale di tutti gli italiani in questa ora grave e decisiva per i destini della Nazione;
dichiara
che a tale scopo è necessario l'immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali;
invita
il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché Egli voglia per l'onore e la salvezza della Patria assumere con l'effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dell'aria, secondo l'articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia.[11]
I sette anni da ministro degli Esteri furono sicuramente i
più rilevanti della sua vita: nell’estate
1936, l’Italia partecipava alla Guerra Civile Spagnola, nell’ottobre
successivo lo stesso ministro firmò ‘i protocolli di Berlino’, che sono passati
alla Storia con il nome di “asse Roma-Berlino”; partecipò alla conferenza di
Monaco del 1938, organizzata nel vano tentativo di fermare la spinta
espansionistica tedesca; nel maggio 1939 firmò il Patto d’Acciaio che legava
l’Italia alla Germania di Hitler; poco più di un mese prima, nell’aprile 1939, l’Italia
aveva occupato l’Albania, e anche questa operazione era stata promossa
direttamente da Ciano, le cui ambizioni erano pari, se non superiori a quelle
del Regime. Ma nel corso degli eventi, per il ministro degli Esteri la
pressione tedesca, che in qualche modo Mussolini tentava di gestire, i
voltafaccia di Hitler e la sua sostanziale arroganza (decideva ogni cosa senza
informare l’alleato italiano e ne snobbava le opinioni quando non collimano con
le proprio), determinarono un lento allontanamento di Galeazzo dalle posizioni
del suocero, che gli risultavano incomprensibili, estemporanee e prive di una
vera strategia. Il Duce governava con i suoi umori variabili, prendeva
decisioni che apparivano bizzarre e non ammetteva contradditorio. Il che fece
passare progressivamente Ciano da uno stato di ammirazione incondizionata per
il suocero, a un atteggiamento critico se non proprio di avversione. I rapporti
tra i due, quindi, si deteriorarono fino all’estromissione di Ciano dal
ministero degli Esteri e alla nomina di ambasciatore presso la
Santa Sede nel febbraio 1943, posizione di
assoluto prestigio e utilità in quel delicato momento. Mussolini potrebbe
avercelo messo per avere un canale
aperto con la diplomazia vaticana e lo stesso pontefice Pio XII, in vista di
una possibile trattativa di pace con gli Alleati, considerato che la sconfitta
si profilava probabile, e di un possibile sganciamento dell’Italia dal sempre
più scomodo alleato tedesco. Il momento culminate nel deterioramento dei
rapporti tra Ciano e Mussolini fu la seduta deò Gran Consiglio del fascismo del
24-25 luglio 1943, che segnò la fine del regime.
Una settimana prima della riunione del Gran Consiglio, e due giorni prima dell'incontro detto di Feltre (ma tenutosi in realtà a San Fermo, frazione di Belluno) fra Mussolini e Hitler, Heinrich Himmler riceveva un'informativa che anticipava le manovre in corso per deporre il Duce e sostituirlo con Pietro Badoglio[6]. Il documento fa ripetuto riferimento al re Vittorio Emanuele III ed alla massoneria.
Costanzo, eroe nazionale (ma non senza macchia).
Il conte Costanzo Ciano era uno dei
personaggi più rilevanti della Prima guerra mondiale, e poi del fascismo: nel
novembre 1917 aveva messo in fuga, con i mezzi d’assalto subacquei (i famosi
“maiali”) due corazzate austriache, davanti alla cittadina di Cortellazzo,
nel Veneto costiero, mentre nel febbraio del 1918 aveva partecipato, con il
suo amico Gabriele d’Annunzio, alla beffa di Buccari. Per questi meriti
straordinari, era stato insignito della quarta medaglia d’argento e della
prima d’oro, ed era stato nominato conte di Cortellazzo e Buccari. Per dieci
anni Costanzo Ciano fu ministro delle Comunicazioni dal 1924 al 1934, mentre
dal 1934 al 1939, fu presidente della Camera dei deputati, poi trasformata in
camera dei fasci e delle corporazioni.
Durante la sua
carriere all’ombra del fascismo, Costanzo Ciano non fu immune da critiche per
i suoi supposti traffici a cui fu attribuita la fonte del suo enorme
arricchimento. Ma non fu mai sfiorato dall’ombra dello scandalo e la sua
morte, il 26 giugno 1939, fu accolta dal cordoglio nazionale, oltre che dal
sincero dolore del figlio Galeazzo e di tutta la famiglia. Per ospitare le
sue spoglie mortali fu costruito un mausoleo degno di un faraone,
Costanzo Ciano, conte di Cortellazzo e di Buccari (Livorno, 30 agosto 1876 – Ponte a Moriano, Lucca, 26 giugno1939), è stato un militare e politico italiano, padre di Galeazzo Ciano.
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Come ne esce la figura di
Mussolini nei diari di Ciano?
Sulla base di recenti ricerche presso gli archivi britanni,
francesi e tedeschi, appare evidente la volontà di Mussolini di mantenere una
posizione ambigua e il più possibile equidistante tra la Germania , di cui temeva
la forza, e Francia e Gran Bretagna, potenze che mostravano di non apprezzare
particolarmente la volontà italiana di diventare una grande potenza. Inoltre,
francesi e britannici, erano concorrente dell’Italia sia nell’ambito coloniale,
sia in quello mediterraneo. Gibuti (Somalia francese), la Corsica , la Tunisia e magari anche
Nizza e la Savoia
erano le possibili rivendicazioni italiane verso la ‘cugina d’Oltralpe’ che si
concretizzarono in esplicite richieste nel 1939, dopo che per un periodo sembrò
a portata di mano un accordo con Parigi. Per quanto riguarda Londra, con la
quale i rapporti nei primi anni trenta erano stati buoni, le difficoltà
insorsero quando l’Italia attaccò l’Etiopia. In quell’occasione si vide come
gli inglesi fossero decisamente contrari a un’espansione coloniale italiana:
soprattutto divenne centrale il controllo del Mediterraneo, che la presenza a
Gibilterra e a Malta assicurava alla Gran Bretagna. Da qui la strategia
mussoliniana: avvicinarsi sempre più, fino al punto di non ritorno, alla
Germania, assecondando le sue mire espansionistiche (vedi il caso austriaco:
con l’Italia che nel 1934 mandò le truppe al Brennero per evitare l’occupazione
tedesca e dopo tre anni accettò l’Anshluss), aderendo alle sue impostazioni ideologiche,
mostrando al mondo, attraverso l’Asse e il Patto d’Acciaio, che i due regimi
totalitari marciavano compatti e con comuni interessi. In altri termini,
Mussolini aveva compreso che l’unico ruolo internazionalmente rilevante che
l’Italia avrebbe potuto ricoprire era quello del ‘nemico-amico’ e cioè di uno
Stato che, pur nell’orbita tedesca, si mostrava disponibile a eventuali
trattative con le demoplutocrazie. In pratica un moderatore delle mire di Adolf
Hitler. Pertanto, mentre Francia e Gran Bretagna non riuscivano a interloquire
con Berlino, Roma esercitava una certa influenza, come aveva dimostrato la Conferenza di Monaco,
nella quale Mussolini ebbe un ruolo chiave come interlocutore per entrambe le
parti. In questo modo Mussolini riteneva di potere condizionare entrambi i
contendenti e così ottenere qualche apprezzabile risultato a livello
territoriale. Gli attacchi alla borghesia, ‘pacifista e improduttiva’, le polemiche
contro lo spirito rinunciatario, l’introduzione del passo romano o passo
dell’oca, la stessa campagna di stampa contro gli ebrei, culminata nelle leggi
razziali del novembre 1938, costituirono tanti elementi di ufficiale
avvicinamento a Hitler, ma non si trasformarono mai in rotture esplicite e
definitive con Parigi e Londra. La non belligeranza (formula che Mussolini usò
per distinguerla dalla neutralità, non metteva in discussione l’alleanza, ma
semplicemente sospendeva l’impegno italiano in guerra, fermo restando la
fedeltà verso l’alleato) fu, da questo punto di vista un capolavoro di
ambiguità. Mussolini cambiava idea frequentemente, almeno così pareva, e Ciano
non mancò di rilevarlo. Oggi filotedesco, domani timoroso della potenza
teutonica, Mussolini sembrava oscillare tra la risolutezza dell’intervento in
guerra e la prudenza di una decisione rimandata tempi migliori. In realtà
Mussolini comprendeva benissimo che l’Italia non era pronta per la guerra e
questo emerge anche dal diario; il Duce voleva un’altra Monaco nella quale
continuare a fare il mediatore, con il duplice scopo di salvare la pace in
Europa e contemporaneamente acquisire vantaggi – di prestigio, e possibilmente
anche territoriali – per l’Italia. Sperava, inoltre, in un logoramento delle
due parti, affinché fosse più semplice gestire il proprio ruolo. Invece, la
caduta della Francia al primo urto tedesco fece precipitare le cose e Mussolini
si trovò di fronte a un bivio drammatico. Se la guerra fosse finita con la
sconfitta francese, per l’Italia le cose si sarebbero messe male; non solo non
avrebbe avuto il merito di aver contribuito alla vittoria, ma sarebbe rimasta
ferma, non belligerante, in attesa di eventi, mentre l’alleato sopportava
l’intero peso del conflitto. Che cosa avrebbe detto dopo, a vittoria acquisita,
Hitler? L’Italia avrebbe rischiato la figura del 1915, quando alleata con
Austria e Germania, passò, con un accordo segreto, nel campo dell’Intesa. E
Hitler non era il tipo di perdonare debolezze o ambiguità.
matrimonio Ciano ed Edda
Galeazzo, un uomo baciato dalla fortuna (o così credeva)
Gian Galeazzo Ciano, è nato a
Livorno il 18 marzo 1903. Durante
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Perché nei suoi diaria Ciano
parla così poco della moglie?
Il matrimonio tra Edda e Galeazzo seguì un andamento
altalenante: a momenti di felicità coniugale, seguivano, sempre più spesso,
tensioni e incomprensioni. I motivi per cui Ciano parla pochissimo di Edda nei
diari possono essere principalmente due. In primo luogo, perché non si trattava
di un diario privato, ma politico e allora le donne, nemmeno Edda, non erano
grandi soggetti di politica. In secondo luogo perche, mano a mano che il
rapporto con Mussolini si deteriorava, Ciano evidentemente tendeva a non
coinvolgere la moglie nelle sue prese di posizione, sapendo che Edda non le
condivideva. Aggiungiamo poi che Edda aveva il carattere di Benito, al
femminile: era cioè una donno molto volitiva e decisa, che non amava un ruolo
di comprimaria nella coppia. E lo dimostrano le crisi tra i due nelle quali non
era quasi mai Edda
a soccombere. Durante il Regime, girava una battuta sui rapporti tra i due che
la dice lunga sul difficile ruolo che aveva Ciano: “Quale è la differenza tra la Sardegna e Ciano? Che la Sardegna ha Grazia
Deledda e Ciano ha la disgrazia dell’Edda”
Come fu che Galeazzo, invece
di salvarsi con la famiglia come avrebbe potuto, finì davanti al plotone di
esecuzione?
Dopo
i drammatici eventi succeduti al 25 aprile, incautamente, pur sapendo di essere
odiato dai tedeschi, Ciano volle andare in Germania per incontrare il suocero,
forse sopravvalutando la sua protezione. Hitler non si fece sfuggire
l’occasione e lo fece arrestare e trasferire a Verona al carcere degli Scalzi,
in attesa del processo che le autorità del nuovo Stato mussoliniano – che aveva
la sua capitale a Salò, sul Garda – stavano organizzando contro i traditori del
25 luglio. Fra i cinque imputati presenti nel carcere scaligero, ciano venne
subito considerato dai tedeschi, e soprattutto dai fascisti di Salò, il
supertraditore, proprio a causa del suo voltafaccia, nonostante i legami di
parentela che lo legavano al Duce e i benefici che ne aveva ricevuto. Peraltro
proprio il suo modo di vivere il fascismo e la politica, il suo carattere, la
sua superficialità erano sempre stati invisi ai fascisti ortodossi, mentre i
moderati sospettavano delle sue ambiguità politiche. Se per gli altri
condannati (Pareschi, Gottardi, Marinelli, e De Bono) soltanto con la seconda
votazione si raggiunse il verdetto di morte, nel caso di Ciano invece bastò la
prima. Mussolini, pressato dai tedeschi e dal segretario del Partito Fascista
Repubblicano, Pavolini, (un tempo legatissimo a Ciano, ma poi diventato il suo
più accanito accusatore), non poté o non volle intervenire per salvargli la
vita, cosa che Edda, la sua figlia prediletta, non gli perdonò mai. La domanda
di grazia, che i condannati firmarono il giorno prima dell’esecuzione non
pervenne mai a Mussolini, essendo stata bloccato dallo stesso Pavolini.
Qual’è il giudizio storico
che si può dare oggi dell’uomo: fu davvero uno spregevole ingrato, un traditore
del Duce che lo aveva creato, oppure vale anche per lui la teoria per cui Giuda
tradì Gesù ispirato proprio dal Cristo che se ne servì per completare il suo
destino sulla croce?
Il paragone con Gesù è suggestivo ma con notevoli
differenze. È però certo che la firma di Ciano sul documento Grandi non fu
decisiva, anche se ebbe il significato di separare i due destini: quello del
Duce in declino e quello del suo ex delfino, che poteva ancora aspirare a un
ruolo importante nella politica futura, dopo l’ormai più che probabile resa
dell’Italia. E n qualche modo anticipava la netta separazione tra Italia e
Germania, che sarebbero passate da alleate a nemiche. I rapporti personali tra
i due rimasero buoni, tanto che Ciano volle raggiungere il suocero in Germania
con prevedibile rischio, e la decisione gli fu fatale. Hitler non poteva
perdonare il voltafaccia dell’ex delfino del Duce: la sua condanna a morte era
inevitabile anche perché il suo tradimento simboleggiava il tradimento
dell’Italia (ben distinta dall’Italia
rappresentata dalla Repubblica di Salò) all’amica Germania. Ma tornando alla
drammatica seduta del Gran consiglio del 24-25 luglio 1943, non possiamo conoscere
lo stato d’animo e i pensieri di Ciano quando sottoscrisse l’Ordine del Giorno
Grandi. Però è verosimile pensare che Mussolini avesse in qualche modo condotto
la stessa seduta del Gran Consiglio per fare emergere l’opposizione della
maggioranza dei gerarchi, al fine di presentarsi a Hitler con valide
motivazione per uscire dal conflitto o, almeno, per concludere una pace
separata con l’Unione Sovietica. Non si spiegherebbe diversamente la volontà di
Mussolini, anche contro quella del segretario del Partito, di mettere ai voti
per primo quell’Ordine del giorno Grandi, che Mussolini aveva lette e corretto
un paio di giorni prima della seduta del Gran Consiglio. L’azione del re, con
l’arresto di Mussolini il 25 luglio e la conseguente nomina di Pietro Badoglio
a capo del Governo, cambiò tutto. Per cui, i firmatari dell’ordine del giorno
Grandi – Ciano compreso – furono accusati di tradimento durante la Repubblica Sociale.
Che Ciano fosse o meno consapevole dei veri obiettivi di Mussolini in quel 25 luglio, è cosa scarsamente rilevante.
Nessuno, all’infuori parzialmente di Grandi furono sconvolti dall’arresto di
Mussolini e dalla nomina di Badoglio: una carta che il re aveva già preparato
da tempo e che giocò alla prima occasione favorevole. Il paragone con Giuda può
essere fatto sulla fine dei traditori: Gida non resse alla vergogna del ruolo
recitato e si impiccò, Ciano andò consapevolmente incontro alla sua fine, e lo
fece con grande dignità.
Intervista della Redazione di BBC History al prof. Giuseppe
Parlato storico studioso e ricercatore in particolare del periodo tra le due
guerre mondiali e pubblicato sul numero di BBC History del mese di agosto 2018.
Altri testi e foto da Wikipedia.
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