L’affare Dreyfus.
Menzogne, antisemitismo e
ragion di Stato: ecco come la
Francia di fine Ottocento condannò un innocente.
Alfred Dreyfus in abiti civili
Rennes, 7 agosto 1899: nella cittadina bretone
sta per riunirsi il Consiglio di Guerra convocato per il secondo processo al
capitano Alfred Dreyfus. L’accusato ha l’aria provata, e solo quarant’anni. Gli
ultimi cinque li ha passati all’Isola del Diavolo, la terribile colonia penale
della Guayana Francese. era l’ottobre 1894 quando venne causalmente scopertala
prova che gli rovinò la vita: un foglietto indirizzato all’addetto militare
dell’ambasciata tedesca vergato con una grafia che assomigliava alla sua.
Quella somiglianza bastò ad accusare il giovane capitano di voler vendere
segreti militari alla nemica Germania e a mandarlo a processo. Nel dicembre
1894 arrivarono la condanna per alto tradimento, la degradazione con infamia e
i lavori forzati a vita.
isola del Diavolo, sede della colonia penale
SENTENZA MITE. Per molti però la sentenza era stata
troppo mite, e pochi erano disposti a schierarsi con il condannato. Come ci
racconta Agnese Silvestri, autrice del volume Il Caso Dreyfus e la nascita
dell’intellettuale moderno (Franco Angeli edizioni): “Dopo la sconfitta di Sedan del 1870 e la conseguente
perdita dell’Alsazia e della Lorena a favore della Germania, la Francia era attraversata
da un vento patriottico e il fatto che Dreyfus, che era di origine alsaziana e
per giunta ebreo, fosse accusato d’intesa con il nemico aumentò il nazionalismo
e infiammò l’opinione pubblica”. Lo Stato Maggiore dell’esercito, inoltre, con in prima
fila il ministro della Guerra, il generale Auguste Mercier, aveva tutto
l’interesse a mettere a tacere rapidamente uno scandalo che rischiava di
coinvolgere le alte sfere militari. E Dreyfus era il capro espiatorio
ideale perché perché, prosegue Silvestri,
“era ebreo, e negli ambienti
dell’esercito, ma anche in buona parte della Francia monarchica, cattolica e
conservatrice, pesava moltissimo il pregiudizio antisemita. Solo da poco tempo
gli ebrei erano riconosciuti come cittadini a tutti gli effetti, ma il loro
ingresso, in molte professioni, e a maggior ragione nell’esercito, era vissuto
come un attacco all’integrità della nazione francese”.
SPIONAGGIO MILITARE. La fretta della condanna, tuttavia,
aveva suscitato non pochi dubbi soprattutto tra i familiari del capitano, tra
gli intellettuali progressisti e tra gli esponenti della Francia repubblicana. Ma
ogni tentativo di riesaminare il caso si scontrò con la ragion di Stato. “Riaprire il procedimento avrebbe
significato sconfessare l’operato dell’esercito. Ogni dubbio emesso sul
Consiglio di Guerra che aveva frettolosamente – e illegalmente, come si rivelò
poi – condannato Dreyfus, veniva additato come un attacco alla patria”,
spiega Silvestri. Il capo dello spionaggio militare, George Picquart, nel 1896
presentò una relazione in cui dimostrava l’innocenza di Dreyfus e la
colpevolezza di un altro ufficiale, il maggiore Walsin Esterhazy (era
effettivamente lui la spia). Risultato: Picquart venne immediatamente
trasferito in zona di guerra in Tunisia, ed Estehazy fu assolto da ogni accusa.
Intanto però l’opinione pubblica era sempre più divisa tra innocentisti e
colpevolisti. Il fronte dreyfusardo crebbe enormemente dopo che nel novembre
1897 Emile Zola fece
pubblicare il suo famoso j’accuse in cui attaccava apertamente l’antisemitismo
dell’esercito e la condanna senza prove di Dreyfus. Lo scrittore per questo
finì sotto processo, ma ottenne comunque un gran risultato. Spiega Silvestri: “Dreyfus era stato processato e giudicato in
un procedimento militare a porte chiuse. Zola portò il caso in un procedimento
civile, dove tutti potevano ascoltare le udienze, leggere sui giornali il
resoconto stenografico dei testimoni militari interrogati dalla difesa, capire
come si erano svolti i fatti. Dal processo a Zola emerso così le illegalità
commesse contro Dreyfus nel 1894” .
A qualcuno saltarono i nervi: nell’agosto del 1898 il maggiore Hubert-Joseph
Henry, uno dei grandi accusatori del capitano, confessò di aver costruito prove
contro il condannato. Pochi giorni dopo si suicidò con un rasoio lasciatogli
molto opportunamente in cella. Ma la
Corte di Cassazione aveva ormai abbastanza elementi per
aprire un nuovo processo.
La pagina dell’Aurore con il famoso J'Accuse...! di Zola.
MEZZA VITTORIA. Eccoci quindi a Rennes. In un clima, tra
i drefusardi, di grande ottimismo.
In realtà, anche questo secondo processo fu disseminato di
trappole, come spiega l’esperta: “Fu
ancora un procedimento militare e quindi, almeno in parte, a porte chiuse, e
comunque svolto in un’atmosfera pesantemente inficiata dal peso dell’autorità
delle gerarchie militari. Inoltre, si creò una situazione per cui assolvere il
capitano avrebbe significato automaticamente accusare i militari e soprattutto
il generale Mercier. Il timore di uscire dalla crisi con un esercito
delegittimato e un ministro incriminato era una grave ostacolo alla serenità e
imparzialità dei dibattimenti”. Nuovamente la verità dovette cedere il
passo alla realpolitik e Dreyus rivisse l’esperienza di quasi cinque anni prima.
Racconta ancora Silvestri: “Trovò a
giudicarlo militari che obbedivano ai suoi principali accusatori, che erano
anche i loro superiori. Venne di nuovo schiacciato da un proluvio di allusioni
e illazioni orchestrate dalle gerarchie militari e dal generale Mercier in
persona. Nessuno chiese ai militari di provare quello che dicevano”.
TRAGICA BEFFA. La rivincita del capitano si trasformò
così in una beffa. Se nel primo processo lo avevano condannato per alto
tradimento e la pena era stata il carcere a vita, ora la condanna era a dieci
anni: era colpevole di tradimento ma gli venivano concesse alcune non ben
definite circostanze attenuanti. Era chiaramente un assurdo giuridico perché o
si è traditori o non lo si è e la sentenza, naturalmente, venne accolta da un
coro d’indignazione in patri e anche all’estero. Per salvare capra e cavoli
venne proposto a Dreyfus di presentare domanda di grazia, cioè di dichiararsi
colpevole anche se non lo era. Spinto dai familiari, sostenuto da alcuni
dreyfusard e prostrato dalla prigionia, il capitano capitolò. La vera
riabilitazione però si ebbe solo nel 1906, quando Dreyfus ottenne la riammissione nell’esercito con il grado di
maggiore. L’odio nei suoi confronti non era però scemato, tanto che nel 1908
venne ferito, anche se leggermente, in un attentato. Qualcosa di positivo, la
sua vicenda l’aveva comunque portato, come conclude Agnese Silvestri: “L’Affaire Dreyfus fece sì che una parte
dell’opinione pubblica, guidata dall’azione di molti intellettuali, si ergesse
a difesa dei valori di verità e giustizia, di uguaglianza di tutti i cittadini.
La Francia
provò a fare i conti con l’irrazionalità della xenofobia e dell’antisemitismo,
a difesa
Articolo in gran parte di Roberto Roveda pubblicato su Focus
Storia n. 140. altri testi e articoli da Wikipedia.
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