venerdì 31 agosto 2018

La vita urbana e le corporazioni nel medioevo.

La vita urbana e le corporazioni nel medioevo.
Anche se l’emancipazione della nobiltà feudale fu un processo lento, la comparsa di borghi intorno alle mura e lo sviluppo dell’artigianato e dei mercati diedero luogo alla nascita della vita urbana.

Nel nord Europa la città iniziò a muovere i primi passi quando si collocarono le mura nel wik, la colonia dei mercanti, gli stabilimenti e le botteghe dei commercianti di terre lontane. Il passaggio dal mercante nomade alla vita sedentaria  svolse un ruolo importante nel consolidamento della città medievale. Dalla costruzione delle mura attorno a un Vik nacquero Colonia, Ratisbona, Verdun o Namur. In altri luoghi si recuperarono le vecchie mura come a Cambrai, Magonza, Reims, Beauvis, Neyon e Tournai. In alcune occasioni, le città sorsero all’ombra delle civitates episcopali, come nel caso di Madgeburgo, Liegi o Wurzburg. Tuttavia fu in Italia che lo sviluppo urbano assunse un carattere policromo e vitale.

Dalla moneta merce alla moneta fiduciaria.
Genova denaro1.jpg
denaro genovese (1139-1339)
Nel Medioevo, gli scambi mercantili erano pochi. L’economia chiusa e la moneta un riferimento, il cui valore dipendeva dal metallo coniato. Nel XIII secolo ci fu una rinascita monetaria relativa, perché il numero di monete aumentò di poco. Ma alla fine del secolo ci furono i primi surplus nell’agricoltura e nell’allevamento ed emerse una minoranza di contadini ricchi che, insieme ai commercianti urbani – la nascente borghesia mercantile che gestì questi surplus – cominciarono ad accumulare denaro. La nobiltà avrebbe recuperato il potere perduto con l’invenzione della moneta a corso legale o fiduciaria. Ruggero II di Sicilia (1152-1154) ne fu il precursore poiché stabilì il primo monopolio monetario.  Nel suo regno normanno autorizzò  solamente la circolazione delle monete coniate dalla sua zecca. Le altre monarchie lo imitarono presto: Enrico II d’Inghilterra nel 1154, Federico Barbarossa di Germania intorno al 1160, i regni cristiani iberici a partire dal 1170, Filippo II di Francia tra il 1180 e il 1223. Il monopolio dell’emissione – stabilito nel XIV secolo – comportò la limitazione delle monete signorili o locali e la proibizione o il controllo della circolazione di quelle straniere.

DAL CONSOLATO AL MUNICIPIO.

 Verso la metà dell’XI secolo cominciò a svilupparsi in Italia, il consolato, un organo di governo molto efficace che influì in modo definitivo sul consolidamento dei centri urbani: Lucca, Pisa, Milano e Genova furono i primi centri che istituirono il consolato e già nei primi decenni del XII secolo Bergamo, Bologna, Brescia, Modena, Verona e Firenze da parte loro si dotarono di questa istituzione a partire dal 1138. I consoli erano confermati dall’imperatore del Sacro Romano Impero germanico, anche se presto cercarono l’appoggio interno, nei gruppi confederati con il giuramento.
In tutti i casi la fioritura delle città si basava sul controllo di tre ambiti dell’economia.  In primo luogo l’artigianato fiorente e riccamente differenziato, che diede luogo alle manifatture della lana, del panno, del cuoio, del ferro e del legno che, dal XII secolo, producevano capitali considerevoli. In secondo luogo, il commercio a lungo raggio che obbligava un controllo delle reti di navigazione nel Mediterraneo e nel Baltico, dove transitavano merci di grande valore, un commercio che in poco tempo generò anch’esso importanti capitali. E, infine, un’economia monetaria e finanziaria, che consistette nell’investire i capitali dell’artigianato e del commercio in capitale liquido, in denaro, origine della banca e della politica in Europa. Questo procedimento richiese una moneta stabile e a partire dal XIII secolo il ritorno al sistema aureo promosso dalle principali città: Genova, Venezia e Firenze che nel 1252 lanciò il fiorino, antenato della lira d’oro.
Il municipio nacque per articolare le istituzioni di governo nella città, ispezionare le opere pubbliche e organizzarla fornitura di beni e servizi. L’aumento della popolazione fu il risultato di un movimento migratorio dalla campagna alla città, con la prospettiva di un miglioramento delle condizioni di vita. La libertà e l’accesso alla proprietà erano due stimoli che facilitarono l’arrivo costante dei contadini. Lo fu anche il pellegrinaggio, perché molti pellegrini decisero di rimanere in qualche città che incrociarono nel loro cammino. Questo spostamento di persone animò le strade e le piazze, che si riempirono di attori d istrada, venditori ambulanti e artigiani in cerca di lavoro. Tutti si regolavano sul rintocco delle campane delle chiese finché, verso la fine del XIII secolo, si cominciò a inserire nelle torri l’orologio meccanico per scandire le ore del lavoro e del riposo.

LA VITA ASSOCIATIVA.  
Statuto della Società dei Mercanti, 1329

La rinascita urbana creò anche le condizioni propizie per la ricostituzione della vita associativa. I vecchi collegia professionali di origine romana – che erano riusciti a resistere a fatica da quando si era smembrato l’impero – furono la culla delle corporazioni del Medioevo. Esistono dei riferimenti ad alcuni di questi collegia a Ravenna, nel VI secolo:quello dei panettieri, quello dei notai, quello dei mercanti. Si ha anche notizia di un’associazione di artigiani a  Venezia nel IX secolo, oppure di una di giardinieri a Roma in quegli stessi anni. Sono informazioni isolate, che indicano la lenta scomparsa dell’attività associativa contemporaneamente alla scomparsa della vita urbana. Ma la rivoluzione commerciale e lo sviluppo agricolo – con l’esigenza dei mercati come luoghi di scambio delle merci – provocò il risveglio delle associazioni.
Verso la metà dell’XI secolo, in Francia e nelle Fiandre, le corporazioni appaiono sotto forma di charités, fraires (confraternite) e compagnies. In Germania le corporazioni (Hansen) nacquero dalle vecchie Markgenossenschaftern, associazioni locali per il mutuo aiuto, di rigorosa osservanza religiosa. Agli inizi del XII secolo erano trasformate in unioni di professioni o mestieri e il loro potere aumentò a tal punto che si scontrarono con i consigli municipali per il controllo del potere nelle città. La Lega Anseatica fu in origine una di queste corporazioni, anche se più tardi, ormai nel XIV secolo, si trasformò in una rete di scambio che creò uno spazio economico esteso da Bruges a Novgorod, e che fu capace, nel suo momento di massimo splendore (la pace di Stralsund nel 1370) di imporre la sua legge alla stessa Danimarca.
In Inghilterra le corporazioni, i guilds, furono origine delle associazioni di individui che creavano un fondo comune, che chiamarono gield, da cui deriva la parola che in seguito li identificò. Il riferimento più antico ai guilds, o corporazioni, è dell’anno 1093. Ben presto si diffusero in tutto il Paese,legati soprattutto alla lana, e solitamente portavano il nome del loro presidente, del loro alderamn. La loro crescita e importanza andò di pari passo con quella dello sviluppo del commercio della lana inglese nelle Fiandre, nel Bramante, nell’Haomait, nell’Artois e nelle città della Mosa. Questa situazione obbligò a mantenere degli stretti rapporti con i patrizi (poorters) delle grandi città delle Fiandre, che avevano il monopolio delle transazioni commerciali e finanziarie, oltre al controllo delle corporazioni che operavano nell’industria tessile.

La città medievale in tempo di pace.
A partire dall’anno 1000, l’Europa ebbe una crescita sostenuta, anche nella produzione agricola e nell’allevamento, che trassero beneficio da innovazioni tecniche come l’aratro e gli utensili di ferro (XI-XIII secolo). Le urbs nate nei pressi di questi antichi nuclei romani accentrarono il commercio agricolo e artigiano fino a trasformarsi in centri mercantili e industriali. Il traffico fluviale e quello marittimo favorirono la nuova economia monetaria.
Sotto: gli effetti del buongoverno in città, affresco di Ambrogio Lorenzetti (Palazzo pubblico, Siena.


CORPORAZIONI DI MERCANTI.

 Le prime corporazioni medievali erano corporazioni di mercanti: comprendevano solo i mercanti autonomi e maestri artigiani e non lasciavano entrare nessuna persona dipendente o di estrazione servile. Il loro scopo era proteggere la propria attività e limitare il commercio estero, poiché sottoponevano a elevate tariffe protettive le merci che avrebbero potuto competere con i loro prodotti. Qualunque genere proveniente da fuori, se entrava in città, era venduto a prezzi stabiliti dalla corporazione colpita. In molti casi, le corporazioni ottenevano dal municipio o direttamente dal re stesso un monopolio dei prodotti del loro settore. Così, per esempio,la Compagnia di Parigi esercitò un ferreo controllo sui prodotti che transitavano sulla Senna. Le cosiddette arti maggiori divennero quindi delle potenti corporazioni: commerciavano una gran quantità di articoli, compravano materie prime all’ingrosso, assicuravano contro le perdite, organizzavano il rifornimento delle città e la raccolta dei rifiuti, lastricavano le strade, costruivano vie e scali commerciali, dragavano porti, mantenevano le strade reali, ispezionavano i mercati e regolavano i salari, i tempi e le condizioni di lavoro e di apprendistato, i metodi di produzione e di vendita, i prezzi di materiali e articoli. Al tempo stesso, pesavano e contavano tutti i prodotti che erano stati comprati e venduti da loro e nel loro settore e facevano tutto il possibile per escludere dal mercato i prodotti falsificati o di qualità inferiore.
Come regola generale, ogni corporazione aveva la sua sede, che nel corso del XIII secolo fu abbellita dal punto di vista architettonico. La corporazione aveva un personale complesso fatto di reggenti, funzionari dei registri, tesorieri, giudici…Disponeva di tribunali propri per giudicare i suoi membri e chiedeva a questi ultimi di sottoporre le loro dispute al tribunale della corporazione prima di ricorre alla legge dello Stato. Obbligava i suoi membri ad aiutare i compagni malati o nel dolore e a soccorrerli o riscattarli se venivano attaccati o imprigionati. Vigilava sui costumi, sui modi e sull’abbigliamento dei suoi membri e stabiliva, per esempio, una pena per coloro che si presentavano alle riunioni senza calze. Ogni corporazione festeggiava ogni anno la festa del suo santo patrono, con un breve preludio di preghiere che sanciva una giornata di grandi bagordi. La corporazione partecipava al mantenimento e all’abbellimento delle chiese della città e alla preparazione e alla rappresentazione di quello che l’auto sacramental e in seguito il dramma moderno. Costruiva ospedali, ostelli, orfanotrofi e scuole e pagava la sepoltura dei suoi morti e le messe che avrebbero riscattato le sue anime dal purgatorio.

CORPORAZIONI DI ARTIGIANI.

le case delle corporazioni a Bruxelles 

 Seguendo l’esempio dei mercanti, si crearono le corporazioni di artigiani. Nel 1099 troviamo citate corporazioni di tessitori nelle città inglesi di Londra, Lincoln e Oxford e pochi anni dopo le corporazioni di follonieri, conciatori, macellai e orefici. Con il nome di arti in Italia, di Zunfte in Germania o métiers in Francia si diffusero molto rapidamente nel XIII secolo; Venezia ne aveva 58, Genova 33, Firenze 21, Colonia 27 e Parigi più di 100. nel 1254, Etienne Boileau, prevosto dei mercanti sotto il re francese Luigi IX, pubblicò ufficialmente un livre de Métieres, ovvero un libro dei Mestieri, che raccoglieva le norme e la regolazione delle 101 corporazioni parigine. La divisione del lavoro che rivela questo elenco  è impressionante. Nell’industria del cuoio, per esempio, c’erano corporazioni diverse per scorticatori, conciatori, rammendatori, sellai e lavoratori del cuoio fine; nella falegnameria, c’erano corporazioni distinte per i costruttori di casse, barche, carri e botti e per gli ebanisti e i tornitori. Ogni corporazione custodiva gelosamente i segreti del mestiere, cercava la sua area di lavoro difendendola contro l’ingresso di gente esterna e avviava dispute giurisdizionali nel caso di intromissioni. La corporazione degli artigiani, che assunse anche una forma religiosa adottando un santo patrono, aspirava al monopolio. Di solito nessuno poteva praticare il mestiere se non apparteneva alla corporazione. I suoi vertici erano eletti annualmente attraverso un’assemblea, anche se generalmente venivano scelti sulla base di anzianità o ricchezza.

La cristianizzazione dell’eredità pagana: le feste popolari.
Le feste pubbliche nelle grandi città europee del Medioevo furono nella maggior parte dei casi derivate da antiche tradizioni cristianizzate. Papa Gregorio Magno (590-604) ordinò ai missionari di Roma che inviò in Inghilterra di appropriarsi delle feste e dei templi pagani e di trasformarli in feste e templi cristiani. Le stesse direttive furono applicate nell’Europa continentale e nel resto del mondo: per questo motivo ci sono feste, cerimonie e riti animisti pagani che sono stati cristianizzati con un mera introduzione nel calendario romano. I Celti sacrificavano buoi sacri vicino al mare dopo una processione mistica guidata da sacerdoti cattolici. E si trasformò la festa celtica della carnalità, nella quale la gente si travestiva da animali diversi, nel carnevale (carnis vale “eliminare la carne”). In Aragona invece si unirono alla settimana santa i colpi battuti collettivamente, già usati nell’antica Grecia per spaventare i morti che in primavera potevano tornare dall’inferno. Anche nel nord della Francia si festeggiava la festa dei pazzi o dei folli, il giorno della circoncisione di Gesù (8 gennaio), durante la quale si organizzava una grande sfilata di maschere e si sceglieva un pontefice o un vescovo dei folli. Era la riconversione delle feste Lenee di Roma, che offrivano le baccanti ai loro dèi il giorno 12 gennaio. Per questo nella sfilate di maschere di Parigi tolsero un carro con il trionfo di Bacco.

REGOLE, SERVIZI E CLASSI.
stemmi delle corporazioni tedesche
Le regole della corporazione determinavano le condizioni a cui gli stessi membri lavoravano, i salari che ricevevano i prezzi che stabilivano. Le regole delle corporazioni limitavano il numero dei maestri che potevano esserci in un determinato settore e di quello degli apprendisti che poteva avere un certo maestro; proibivano l’utilizzo industriale delle donne, eccetto per la moglie del maestro, e degli uomini, dopo le sei del pomeriggio e punivano i membri nel caso in cui richiedessero dei prezzi eccessivi, facessero trattative fraudolente oppure offrissero articoli di scarsa qualità. In molti casi, la corporazione stampava il suo marchio sui suoi prodotti come certificato di qualità; la corporazione dei negozianti di stoffe di Bruges cacciò dalla città un suo membro che aveva falsificato il marchio della corporazione per utilizzarlo su generi di qualità inferiore.
La comunità corporativa si opponeva alla concorrenza tra maestri in rifermento alla quantità della produzione e al prezzo del prodotto; tuttavia, incoraggiava la concorrenza rispetto alla qualità del prodotto, tanto tra i maestri quanto tra le città. Le corporazioni di artigiani, come quelle mercantili, costruirono ospedali e scuole; offrivano diverse garanzie, soccorrevano i membri poveri, fornivano di dote le loro figlie, si prendevano cura delle vedevo, seppellivano i morti, offrivano lavoro, così come denaro, per la costruzione di chiese e rappresentavano la loro opera e le loro insegne sulle vetrate delle cattedrali. Ma lo spirito fraterno presente tra i maestri non escludeva una gerarchia ben definita tra i membri e i poteri delle corporazioni di artigiani. Sul gradino più basso c’erano gli apprendisti, che avevano tra i dieci e i dodici anni di età ed erano obbligati dai genitori a vivere con l’insegnamento del mestiere; negli ultimi anni del loro servizio, ricevevano un salario e degli strumenti e alla fine del periodo una quantità di denaro per poter iniziare a lavorare per conto loro. Se fuggivano, dovevano essere riportati al maestro ed essere castigati; se continuavano a nascondersi, venivano esclusi per sempre dal mestiere. Una volta completato l’apprendistato diventavano compagni dell’uno e dell’altro maestro, lavorando a giornata. Dopo due o tre anni, l’artigiano, se aveva denaro a sufficienza per aprire una sua bottega, veniva esaminato da una giunta della sua corporazione per valutare la sua abilità tecnica: se otteneva l’approvazione, diventava maestro. A volte il candidato doveva presentare ai responsabili della corporazione un capolavoro, una dimostrazione soddisfacente della sua arte.
Nel corso di tutto il XIII secolo, le corporazioni di artigiani aumentarono in numero e potenza e fecero da contrappeso alle corporazioni mercantili. Si trasformarono in un’aristocrazia del lavoro. Limitavano lo status di maestro ai figli del maestro, pagavano male i lavoratori a giornata, alzavano barriere sempre più alte per accedere alla corporazione o alla città. Erano organizzazioni eccellenti per un’epoca preindustriale in cui le difficoltà del trasporto limitavano spesso il mercato dei compratori locali e gli accumuli di capitale non erano ancora abbastanza ricchi e fluidi per sostenere grandi imprese. Quando nacquero questi fondi, le corporazioni, sia di mercanti, sia di artigiani, persero il dominio del mercato e, pertanto, anche quello delle condizioni di lavoro.

Articolo in gran parte pubblicato su Storica National Geographic, numero speciale i regni cristiani e le crociate. Altri testi e immagini da Wikipedia.      



giovedì 30 agosto 2018

La Francia dopo l'armistizio.

Francia contro Francia.
È una questione di cui i Francesi non amano sentir parlare, avendo il mito della gloriosa Resistence,  ma metà Francia era nazista, e lottava con convinzione contro l’altra metà, che si opponeva all’invasore tedesco. Fu vera guerra civile, e lasciò profonde ferite anche se oggi opportunamente dimenticate.
la mappa della Francia dopo l'armistizio

Adolf Hitler si era già tolto la vita nel suo bunker, ma fuori dal palazzo della Cancelleria a Berlino, nei primissimi giorni del maggio 1945, la battaglia ancora infuriava. A opporre un’ultima estrema resistenza, per non arrendersi ai soldati dell’Armata Rossa, furono soprattutto gli uomini della 33° Divisione delle Waffen SS, la Charlemagne: indossavano le divise tedesche, ma erano 300 francesi, volontari arruolati per combattere nei ranghi delle forze armate naziste. Il 24 aprile questo pugno di uomini venne richiamato dalla periferia di Berlino per contribuire alla difesa della capitale dall’assalto delle immense forze sovietiche. Cominciò così la loro breve epopea, che invece di portarli verso la salvezza, fece sì che si stringessero sempre più intorno al cuore della capitale di Hitler, fino a diventarne gli estremi difensori.
La maggior parte di loro cadde in battaglia ma alcuni sopravvissero. Tuttavia, le loro traversie non erano certo finite con la caduta del Terzo Reich. Sfuggiti ai russi attraverso i tunnel della metropolitana, una dozzina di uomini si arrese agli americani. Tutto sommato una buona sorte, ma solo finché non sopraggiunse la 2a Divisione corazzata francese, comandata dal generale Leclerc. Consci dei rischi che questo comportava per loro, le SS francesi tentarono la fuga, ma l’8 maggio furono ripresi a Karlstein. A quel punto il generale Leclerc chiese perché indossassero la divisa delle Waffen SS, ma essi replicarono sprezzanti: “E voi perché indossate quelle americane?”. Inutile dire che furono fucilati sul posto dai loro connazionali.

                                                                              Hitler a Parigi


La nostra battaglia per la Nuova Francia Socialista - Come ci amano!(manifesto francese del governo di Vichy).

Con governo di Vichyregime di VichyRepubblica di Vichy e ufficialmente Stato Francese (État Français) si indica comunemente lo Stato che governò la parte meridionale della Francia dopo l'invasione tedesca nella seconda guerra mondiale (1940-1944), con l'eccezione della zona di Mentone (occupata dall'Italia) e della costa atlantica, governata dalle autorità tedesche.
Nel corso della seconda guerra mondiale mantenne la sua neutralità militare, ma non politica, vista la dipendenza dai nazisti. Il nome di Stato francese era contrapposto a quello di Repubblica Francese, ovvero la Terza Repubblicaestintasi con l'armistizio del 1940. Ufficialmente indipendente, in realtà era uno Stato satellite del Terzo Reich. Il nome ufficiale dello Stato è ormai decaduto dall'uso comune e nel dopoguerra si è diffusa la definizione regime di Vichy o Francia di Vichy. Seguì la Terza Repubblica (Troisième République) e precedette il Governo provvisorio della Repubblica francese (GPRF - Gouvernement provisoire de la République française).

UNA MILIZIA NAZIFASCITA DI 30MILA UOMINI.

un volontario francese
La 33. Waffen-Grenadier-Division der SS Charlemagne (französische Nr. 1) e Charlemagne Regiment sono nomi collettivi usati per le unità francesi di volontari nella Wehrmacht e successivamente nelle Waffen-SS durante laSeconda guerra mondiale.

Gli uomini della Charlemagne (che arrivò a contare più di 7000 soldati) non furono certo gli unici francesi a schierarsi con i tedeschi. A parte gli oltre 300 mila francesi arruolati a forza (soprattutto in Alsazia e Lorena), furono decine di migliaia a indossare volontariamente la divisa della Wehrmacht o delle SS, andando a costituire la maggior forza di volontari d’Europa. Alcuni si limitarono a generici compiti di tutela della Francia, come i 7000 artiglieri che si arruolarono nelle batterie antiaeree delle celebri FlaK o i 3200 marinai che entrarono nella flotta tedesca con compiti di gestione e difesa dei porti francesi. Altri invece sposarono l’ideologia nazifascista e servirono con grande zelo la causa di Hitler: 2500 militarono nella temibile organizzazione nazista Todt, 180 entrarono fra i commando scelti (i Brandenburg), più di 6000 (ma a candidarsi furono 13500) partirono per la campagna di Russia con la Légione des Volontaires Français (Lvf), 2500 costituirono la Brigade Frankreich delle SS. A questi uomini che vestirono la divisa tedesca, vanno aggiunti soprattutto i 30mila che fecero parte della Milice, la milizia nazifascista che si occupava di garantire l’ordine in Francia, dando la caccia ai partigiani e agli ebrei. Il tutto senza contare le centinaia di migliaia di uomini che rimasero in servizio nelle forze militari di polizia nominalmente francesi nei territori occupati, a Vichy o nelle colonie. Numeri che dimostrano come la storia della Francia nemica ad oltranza dei nazisti e infine vincitrice della Seconda guerra mondiale racconti solo una parte della verità. Ed è la versione che più fece comodo trasmettere nel dopoguerra, tanto da garantire a Parigi un posto fra i membri permanenti delle nascenti Nazioni Unite, come se fosse uscita dal conflitto come indomita vincitrice, anziché sconfitta in modo umiliante.
È pur vero che la Francia aveva iniziato le ostilità dichiarando guerra alla Germania ed é altrettanto vero che l’ostinata resistenza di personaggi come Charles de Gaulle e altri come lui, unitamente al ruolo svolto dai partigiani francesi, offrì l’occasione per rivendicare la “coerenza” dei transalpini (rientrato a Parigi nel 1944, Charles de Gaulle negò che si fosse mai interrotta la legittimità del governo preesistente all’invasione del 1940, tanto da sedersi sul tavolo dei vincitori). Ma non è affatto vero che quella fu l’unica Francia. Moltissimi francesi infatti accettarono senza troppi problemi la dominazione tedesca: scrittori come Louis-Ferdinand Céline, Drieu La Rochelle e Robert Brasillach (che poi venne fucilato) si affiancarono agli invasori, mentre altri intellettuali – compresi Jean Paul Sarte e Simone de Beauvoir – si lodarono in quanto resistenti, ma del loro contributo negli anni bui non c’è traccia. Molti altri francesi, legati a fazioni di estrema destra, andarono oltre, schierandosi entusiasticamente dalla parte dei vincitori e collaborando attivamente a tutte le loro attività – anche le più spietate – tanto in Francia, quanto nelle operazioni militari. Si può affermare senza timore di essere smentiti che in oltralpe ci fu una vera e propria guerra civile, non meno feroce e sanguinaria di quella che travagliò l’Italia dopo l’8 settembre del ’43.  
Spiga il professor Gustavo Corni dell’Università di Trento: “Dopo il 1945 De Gaulle ha imposto una narrazione dominata dall’idea di una Francia liberata e vincitrice, un’immagine che è riuscita a cancellare tutto quanto era davvero avvenuto in Francia, dove è rimasta una forte ritrosia a prendere atto della guerra civile. La sindrome di Vichy è stata rimossa. La verità è che la Francia era divisa. Ci furono lotte e sconti in patria e nelle colonie, ma anche collaborazione politica e culturale molto forte con i tedeschi. Fu l’esito di una spaccatura in due in un Paese tradizionalista e monarchico, e di un altro rivoluzionario e repubblicano cominciata nel 1789, proseguita attraverso l’Ottocento, sospesa col nazionalismo condiviso della Prima guerra mondiale e ripresa con virulenza negli anni Trenta e poi con l’invasione tedesca della Seconda guerra mondiale. In molti, in fondo, ritenevano che la collaborazione fosse il male minore rispetto alla prospettiva di una Francia repubblicana e rivoluzionaria”.

I bambini maledetti.

Quattro anni di occupazione tedesca della Francia lasciarono il segno. Anche sotto la forma di 200mila bambini nati da relazioni fra soldati tedeschi e ragazze francesi. Il loro non è stato un destino facile, e meno che mai quello delle loro madri. Venivano chiamati enfants de la honte (bambini della vergogna), e per decenni sono vissuti nascondendo la loro origine. Esempio die queste storie è quella di Simone Touseau, 23enne interprete negli uffici tedeschi.
L’immagine la mostra poco dopo la liberazione rasata a zero, umiliata e derisa da una folla feroce, insieme a un’altra donna a cui toccò lo stesso destino. Il figlio che ebbe da un occupante  tedesco da grande ha dovuto andarsene a vivere lontano dalla sua città, celando le sue origini e il suo passato. Come molti altri che hanno preferito nascondere la loro ascendenza per cercare, non sempre con successo, di evitare discriminazioni. Molte delle loro madri erano state, in tutto il Paese, vittime dei carnavals moches (brutti carnevali), come venivano chiamati i cortei improvvisati per esporle al pubblico ludibrio e rasate a zero. Alcune erano state sostenitrici del nazi-fascismo, altre si erano solo innamorate di un giovane straniero. Ma non furono perdonate.  
   
FRANCESI CONTRO FRANCESI ANCHE NELLE COLONIE. In effetti, mentre le possenti armate tedesche marciavano su Parigi, molti francesi da un capo all’altro della Francia metropolitana e delle colonie, si trovarono di fronte nella difficile scelta di che cosa fare col nemico in casa, se continuare un’estrema opposizione (che a quel punto pareva difficile) o se limitare i danni collaborando con il vincitore nell’attesa di un futuro migliore. Fu questa la scelta di uomini come il generale Philippe Pétain, eroe della Grande Guerra, disposto ad assumersi il ruolo di diventare il presidente di un governo vassallo della Germania. Una scelta molto criticata, ma che va inquadrata nel contesto di quello sconvolgente momento storico e nella necessità di preservare la Francia dagli orrori degli altri Paesi invasi dalla Wermacht, tanto che già negli anni successivi circolava il detto secondo il quale: De Gaulle era la spada, Pétain lo scudo. Con l’armistizio egli ottenne infatti delle condizioni dure, ma mitigate: il regime di Vichy (ufficialmente Etat Français), che fu il governo instaurato nel Sud del Paese, mentre il Nord restava sotto occupazione tedesca, rimaneva un governo indipendente e che, per quanto riguarda il conflitto in corso, riuscì a farsi considerare neutrale senza affiancarsi apertamente con il Reich. E infatti, a livello internazionale, fu questo livello a essere riconosciuto, tranne che da Londra, e non quello autoproclamato in esilio dalla Francia libera di De Gaulle, il quale ebbe gran difficoltà a far valere il suo pensiero in patria: nel luglio 1940 solo 7000 francesi si erano arruolati con le forze della Francia Libera. Inoltre, Vichy conservava il controllo delle colonie e della flotta, evitando così che essa fosse consegnata ai nazisti che l’avrebbero volentieri utilizzata contro la Gran Bretagna. Per Pétain una Francia sottomessa, ma con una certa autonomia era meglio di una Francia schiacciata dal tallone brutale dei vincitori.
Colonie e flotta erano due temi molto caldi che videro alcuni dei più eclatanti episodi della guerra civile che contrappose in quegli anni i francesi. Le colonie, ad esempio, scelsero ciascuna con chi schierarsi, a seconda del contesto geopolitico in cui si trovavano, e soprattutto delle tendenze della propria classe dirigente. Inizialmente fu solo una minoranza dei possedimenti che scelse la Francia antinazista: l’Africa equatoriale e il Camerun già nell’autunno del 1940, la Nuova Caledonia, e solo in seguito Polinesia e Guayana. Molte invece preferirono rimanere con Vichy, a patto di non doversi consegnare ai tedeschi. Tra queste l’Indocina, che in seguito venne affidata ai giapponesi, il Madagascar, che fu poi occupato dagli inglesi, e il Nord Africa, che sarebbe diventato in seguito protagonista. E inoltre la Siria e il Libano,dove la contrapposizione fra le due anime della Francia assunse i connotati di una vera e propria guerra: quando il governo filo Vichy nel 1941 si dimostrò disponibile a concedere le proprie basi in Medio Oriente ai nazisti, gli inglesi decisero di attaccare la Siria. De Gaulle doveva scegliere: stare o meno al fianco di una aggressione inglese a territori francesi? Optò per affiancarsi agli Alleati e così 6000 dei suoi soldati combatterono insieme ai britannici contro i 40mila francesi del Levante. Le ostilità furono intense e durarono dall’8 giugno al 24 luglio: gli scontri fratricidi costarono 2000 morti francesi fra le due parti, e alla fine i lealisti di Siria pretesero di arrendersi solo agli inglesi e non ai gollisti. Oltre 30000 di loro, inoltre, chiesero e ottennero di tornare al fianco della Francia di Vichy, piuttosto che unirsi a De Gaulle.
E non fu l’unico episodio di confronto militare. Già nel 1940, in Africa, gli inglesi decisero di attaccare la flotta francese – che era sotto il controllo di Vichy e quindi neutrale – nel timore che venisse consegnata ai nazisti. Fu così che la flotta inglese lanciò l’attacco ad alcune basi navali francesi. Il centro della flotta si trovava nella baia di Mers el-Kebir, nei sobborghi di Orano, in Algeria, dove si svolse l’attacco più massiccio. Un’altra spedizione prese di mira Dakar, in Senegal, e in questo caso un ruolo rilevante fu svolto dai militanti della Francia Libera guidati da De Gaulle. Non fu una decisione facile, ma anche a Dakar ci fu uno scontro fratricida, terminato con una delle poche vittorie militari del regime di Vichy, che oltretutto uscì molto rafforzato da questi scontri. In Francia i cittadini si indignarono per l’attacco inglese e per quello che considerarono un tradimento di De Gaulle (e questo contribuì molto a far accettare il governo di Pétain) costituendo il punto più basso della sua popolarità e della sua causa: molti militari per questo motivo non risposero al suo appello del 18 giugno 1940, in cui il generale esortava i Francesi a opporsi alla Germania di Hitler. Questo appello costituì la prova indiretta che non tutti i francesi stavano dalla parte della resistenza antitedesca.
La Strasbourg sotto il fuoco a Mers el-Kebir
Dopo che il primo ministro, Maresciallo Pétain, lo ebbe nominato Ministro della Marina, il 24 giugno l'ammiraglio Darlan inviò ai suoi comandanti un nuovo messaggio cifrato: "Approfitto delle ultime comunicazioni che posso trasmettere in cifra, per farvi conoscere il mio pensiero a questo proposito:
  • Le navi da guerra smobilitate debbono restare francesi, con bandiera francese, equipaggio ridotto francese, soggiorno in porto francese metropolitano o coloniale.
  • Segrete precauzioni debbono essere prese perché il nemico o lo straniero impadronendosi di una nave con la forza non se ne possa servire.
  • Se la commissione di armistizio, incaricata di interpretare i testi, decidesse altrimenti che nel primo paragrafo, al momento dell'esecuzione della nuova decisione, le navi da guerra, secondo un nuovo ordine, saranno condotte negli Stati Uniti oppure sabotate, se non si potesse fare altrimenti per sottrarle al nemico. Le navi rifugiatesi all'estero non dovranno essere impiegate in operazioni di guerra contro la Germania e l'Italia senza un ordine del comandante in capo delle forze marittime francesi. Xavier-377" (Xavier-377 era il nome in codice dell'Ammiraglio Darlan).https://it.wikipedia.org/wiki/Distruzione_della_flotta_francese_a_Mers-el-Kébir

I collaborazionisti.
Questi sono i nomi dei maggiori collaborazionisti che hanno prestato servizio nelle forze di occupazione germaniche:

Henri-Philippe-Omar Pétain (1856-1951)
Generale della Prima guerra mondiale considerato un eroe, responsabile fra l’altro del fronte francese nella battaglia di Verdun, fu in seguito ministro della Guerra. Richiamato come vicepresidente del consiglio quando nel 1940 i tedeschi sfondarono il fronte francese, sostenne la necessità di un armistizio e assunse – nominato dal Parlamento – i pieni poteri per trattare con i tedeschi e redigere una nuova costituzione. Divenne primo ministro e poi presidente dello Stato francese a Vichy, fino allo sbarco Alleato del 1944. Dopo la liberazione  Alleata si costituì: fu processato e in aula sostenne di essersi sacrificato per la Francia. “La mia unica preoccupazione, la mia unica cura è stata di rimanere sul suolo di Francia secondo la mia promessa, per tentare di proteggere la Patria e attenuare le sue sofferenze”: queste erano le sue parole al processo. Fu comunque condannato a morte, finché De Gaulle commutò la sua pena in ergastolo.
Philippe Pétain (en civil, autour de 1930).jpg


François Darlan (1881-1942)
Dal 1941 capo del governo di Vichy, nel 1942 era governatore del Nord Africa e diede ordine di cessare i combattimenti contro gli Alleati. Passato con gli angloamericani, mantenne il suo posto ma fu assassinato il 24 dicembre da un militante della Francia Libera di idee monarchiche.
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Pierre Laval (1883-1945)
Fu per quattro volte primo ministro di Francia. Dal  18 aprile 1942 al 20 agosto 1944 – quando i nazisti avevano bisogno di un uomo più affidabile – fu il capo del governo di Vichy. Era il maggior sostenitore della politica collaborazionista con la Germania, ed era l’uomo forte che più scalpitava dietro la prudenza conservatrice di Pétain. Per questo dopo la guerra fu condannato a morte.
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la fucilazione di Pierre Laval


Jospeh Darnand (1897-1945)
Valoroso combattente della Grande Guerra, militò nei movimenti fascisti francesi, e partecipò a un complotto contro la Repubblica. Nel giugno 1940 ì, dopo l’invasione tedesca, costituì le prime formazioni paramilitari dei fascisti francesi, i cui militati compirono azioni brutali contro partigiani e avversari politici. Da queste squadre volontarie, nel 1943 nacque la Milice française di cui fu il comandante, mentre parallelamente era nominato ufficiale della Waffen SS e prestò giuramento a Hitler. Dopo l’arrivo degli Alleati si ritirò a combattere in Valtellina, dove infine fu arrestato, processato e condannato a morte.
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Fernand de Brinon (1888-1947)
La prova che alcuni francesi non si limitarono a subire l’occupazione tedesca sta nella vita politica di Fernad de Brinon. Nazista fin dal 1933, allo scoppio della guerra fu inglobato dal governo francese guidato da Paul Reynaud, ma con l’armistizio divenne un leader politico collaboratore dei nazisti. Quando la Francia fu quasi completamente liberata dagli Alleati, De Brinon costituì un governo francese nazista in esilio a Sigmaringen, in Germania, rivendicando la continuità con il governo di Vichy, da lui considerato legittimo, e contestando come occupante il governo di De Gaulle. Condannato dall’Alta corte di giustizia, fu fucilato il 15 aprile 1947.
Le Forze francesi dell’Interno.
All’inizio del 1944 De Gaulle riuscì in un miracolo: fino ad allora i movimenti di resistenza francesi erano divisi, sparpagliati, in competizione fra loro, scollegati. Ma poi i maggiori otto raggruppamenti furono fusi nelle Forces Françaises de l’Intérieur (Ffi ovvero Forze francesi dell’interno), il cui comando fu assunto dal generale Joseph Marie Pierre Koenig, un alsaziano che si era già distinto guidando le forze della Francia Libera nelle battaglie di Bir Hakeim. Nonostante questo, i comandanti Alleati non diedero molto credito ai maquisards, come venivano chiamati i partigiani francesi. Essi però risultarono fondamentali nelle opere di sabotaggio, e ancor più in quelle di intelligence: nel solo maggio 1944 – che precedette lo sbarco in Normandia – giunsero dalla Francia in Inghilterra ben 700 rapporti radiotelegrafici e 3000 rapporti scritti. Fra il giugno e l’agosto 1944 alcune centinaia di migliaia di francesi militavano, seppur ormai perifericamente, nelle difese tedesche rispetto all’invasione Alleata, e altre centinaia di migliaia erano invece attive con la Francia Libera sui fronti francesi e italiani (i partigiani impegnati nella lotta in Normandia, Bretagna e Provenza furono circa 200mila). Molti di loro nelle settimane successive furono inquadrati per ricostituire l’esercito francese. 

L’AUTOAFFONDAMENTO DELLA FLOTTA FRANCESE A TOLONE.
                                                             la fine della flotta francese a Tolone

Negli anni seguenti però le forze della Francia Libera crebbero a fianco degli Alleati e  presero possesso di sempre maggiori territori (ad esempio il Nord Africa, dove nel 1942 l’operazione Torch erano sbarcati gli angloamericani e le forze locali erano passate dalla loro parte sotto la guida di François Dralan: un voltafaccia clamoroso, visto che erano uno dei massimi esponenti di Vichy).
Persa l’Africa, Germania e Italia decisero di occupare la Francia meridionale tradendo il governo collaborazionista, e fu in questo modo, che per reazione, molti francesi passarono definitivamente dalla parte della causa gollista. Fu in quelle circostanze che avvenne il celebre episodio di Tolone: benché in precedenza i britannici non si fossero fidati, gli ammiragli di Vichy furono di parola, e quando il 12 novembre 1942 nella base navale si presentarono i tedeschi per requisire la flotta, essi preferirono autoaffondarla. Così aprirono le valvole di allagamento e piazzarono le cariche esplosive: colarono a picco decine di navi, tra cui tre corazzate, sette incrociatori e dodici sommergibili. Una perdita immane per la Germania di Hitler. Ma non tutti i francesi erano di questa pasta: l’inasprirsi della situazione bellica fece sì che anche sul territorio francese le cose precipitassero. Nella primavera 1943 la resistenza si strutturò e i dirigenti di Vichy iniziarono a diventare bersagli odiati quanto i tedeschi. Si moltiplicarono le manifestazioni e gli attentati. A fronte di un’azione sempre più insistente dei partigiani francesi (che con i loro sabotaggi svolsero un ruolo importante di appoggio allo sbarco in Normandia), anche le forze repressive del fascismo francese diventarono sempre più attive e spietate. Esse furono incarnate principalmente dai volontari della Milice a cui era delegata la sicurezza interna.
Essi risposero alle azioni della Resistenza con spietate repressioni e camere di tortura, una dozzina solo a Parigi. Come racconta Corn: “Il governo collaborazionista vara la sua Milice Française, francesi incaricati dell’opera di repressione antipartigiana e della caccia agli ebrei. Uno strumento usato soprattutto in chiave poliziesca, perché i tedeschi erano molto prudenti a usare in battaglia truppe regolari francesi, anche se collaborazioniste”. Dopo la fine del conflitto, il sostituto procuratore gnerale Carrive disse, nella requisitoria contro il suo capo Joseph Darnand: “I crimini della Milizia furono queste torture sadiche di cui si stenta a credere che possano essere state compiute da francesi nei confronti di altri francesi”. Non meno fero fu, alla fine della guerra, la giustizia sommaria amministrata dai francesi risultati vincitori. Una giustizia che, in un modo o nell’altro, mostra ancora una volta l’entità della frattura che si era verificata nel Paese sotto il dominio nazista: i collaborazionisti dopo il maggio 1945 furono considerati traditori del Paese e, contro i sopravvissuti, furono istruiti 3112633 processi: i condannati furono 124613 anche se i tre quarti delle condanne a morte furono commutate in pene detentive. Ma oltre a questo, durante il periodo più sfrenato delle epurazioni,, ci sarebbe state tra le 20 e le 40 mila esecuzioni sommaria.
D’ altro canto, fu lo stesso Charles de Gaulle (che sarebbe diventato Presidente della Repubblica) a creare il mito della Francia vincitrice; in un commosso passo delle sue memorie ammise quella sanguinosa lacerazione che aveva attraversato la sua amata Francia: “Ancora una volta, nel mezzo di questo dramma nazionale, sangue francese fu versato da entrambe le parti. La Madrepatria ha dato testimonianza al meglio dei suoi figli caduti difendendola. Con onore, con amore, li abbraccia nel suo dolore. Alcuni dei suoi figli però sono caduti sul fronte opposto. La Madrepatria approva le loro punizioni, ma piange su quei figli morti”.

La strage di Oradur.
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Movimenti della 2ª divisione corazzata SS Das Reich da Tolosa adOradour-sur-Glane nel periodo tra maggio e giugno del 1944
Otto Weidinger, comandante del 4º reggimento SS panzergrenadier Der Führer, autore nel dopoguerra di testi considerati revisionisti sui reggimenti Der Führer eDer Reich.
https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Oradour-sur-Glane

In Francia uno dei più efferati massacri nazisti fu compiuto a Oradour-sur-Glaine, nel Sud del Paese, il 10 giugno 1944. reparti della 2a divisione corazzata SS Das Reich operarono una rappresaglia sulla popolazione civile perché alcuni partigiani avevano ucciso un ufficiale tedesco. Il paese fu bruciato e vennero sterminate 642 persone, compresi anziani, donne e bambini. Quando nel 1953  fu possibile istruire un processo sulla strage, davanti al Consiglio di guerra di Bordeaux, vennero accusati 21 uomini, poiché gli altri erano morti in guerra. Ma lo sconcerto in Francia fu grande quando si scoprì che sotto accusa c’erano 14 francesi (tra cui un sergente) alsaziani arruolati nelle SS. Di questi, il sergente francese e un altro imputato furono condannati a morte e gli altri a pene detentive. Ma un’amnistia salvò tutti, con grande sollievo in Alsazia (dove gli arruolati, anche a forza, dai tedeschi erano sati moltissimi) e grande sdegno della regione teatro della strage. Il paese di Oradour restituì per protesta tutte le onorificenze ricevute in seguito alla strage nazista.
    

Articolo in gran parte di Osvaldo Baldacci Ricercatore e scrittore di storia pubblicato su BBB Historia edizioni Sprea altri testi e foto da Wikipedia .

mercoledì 29 agosto 2018

Sulla pista dei fossili

Sulla pista dei fossili.
I PRECURSORI DELLA PALEONTOLOGIA.
Prima di sapere che i fossili sono tracce di stadi remoti nell’evoluzione degli esseri viventi, gli uomini li consideravano scherzi della natura, resti di giganti mitologici o prove del Diluvio universale.
Un rettile sulle alpi. Nel 1983 sul monte San Giorgio nelle Alpi Svizzere, venne scoperto il fossile di un piccolo rettile. Imparentato con il moderno coccodrillo, visse durante il periodo Trassico, più di duecento milioni di anni fa.  Ricostruzione dell'animale i cui resti sono stati ritrovati in Svizzera (Foto: Facebook Università di Zurigo)

A lungo i fossili hanno suscitato molta curiosità quanto stupore. Cosa pensare, infatti, di conchiglie marine ritrovate sulla cima di una montagna? O di enormi ossa rinvenute sotto terra? Oggi sappiamo che i fossili sono i resti o i calchi naturali di organismi che vissero milioni di anni fa e che, dopo un processo di interramento o di infiltrazione, si sono conservati nei sedimenti geologici. Tuttavia, in mancanza delle conoscenze della paleontologia moderna, in passato si elaborarono le teorie più disparate per spiegare la natura e l’origine di questi esseri pietrificati.
I riferimenti più antichi si trovano negli scritti di autori greci e romani. Generalmente si tratta di accenni alla presenza di conchiglie e di altri organismi marini sulla terraferma – in alcuni casi di loro impronte o di calchi, in altri della loro presenza pietrificati o conservati all’interno della roccia -, però non mancano riferimenti alle ossa fossili, il più delle volte di grandi dimensioni. Aristotele propose una spiegazione che ebbe grande successo. Secondo la sua teoria i fossili si sarebbero formati grazie all’azione di un fluido terrestre che pietrificava tutto quello con cui entrava in contatto, oppure di qualche vis plastica, una forza plasmatrice sconosciuta.
La tesi aristotelica si mantenne per tutto il Medioevo. Si credeva che certi tipi di fossili avessero avuto origine dai resti di animali acquatici trasformati in pietra a causa delle esalazioni vaporose di una forza mineralizzante. Altri autori medievali sostenevano invece che i vegetali fossili potessero essere il prodotto dell’influenza degli astri. Contemporaneamente si diffuse anche un’interpretazione basata sulla Bibbia secondo la quale le conchiglie marine, trovate sulle cime delle montagne, si erano depositate lì dopo il ritiro delle acque del Diluvio universale. Nel rinascimento cominciò a crescere l’interesse per gli oggetti singolari e curiosi, tra i quali i fossili. Negli edifici religiosi e civili come chiese, monasteri e comuni, venivano esposte ossa fossili di grandi dimensioni, a volte attribuite a giganti oppure a draghi. Gli eruditi, inoltre, gli raccoglievano per le camere delle meraviglie, precorritrici dei moderni musei. Nelle camere e nei musei esistevano addirittura istruzioni su come raccogliere e collocare in ordine le collezioni di elementi pietrificati, minerali, animali impagliati, mostruosità. In un libro pubblicato nel 1551 il naturalista tedesco Johann Conrad Gessner realizzò una serie di illustrazioni di fossili, tra i quali rientravano solo i resti di piante e animali, ma anche quelli di asce di selce, minerali, cristalli e addirittura oggetti archeologici come braccialetti e anelli.

1282
Secondo Ristoro d’Arezzo la formazione delle montagne è dovuto al Diluvio.
1551
Johann Conrad Gessner pubblica un libro illustrato sui fossili.
1670
Agostino Scilla pubblica un trattato a favore dell’origine organica dei fossili.

1726
Johann J. Scheuhzer fa conoscere un fossile chiamato Homo diluvii testis.
1796
Giorgio Cuvier determina che il megaterio è una specie estinta.
DALLA BIBBIA ALLA SCIENZA.  Gli studiosi continuavano a spiegare l’origine dei fossili a partire dalla tradizione greco-romana e a credere che fossero il risultato di movimenti tumultuosi dovuti a esalazioni terresti, come i terremoti. Si speculò anche su una loro possibile origine dai germi o dai semi che, provenienti dai vapori umidi esalati dal mare, venivano poi sparsi attraverso le piogge e si depositavano a terra formando i fossili. Altri consideravano i fossili come scherzi della natura, che riproducevano casualmente forme somiglianti a conchiglie o ad altri esseri viventi.
Tuttavia dalla fine del XVII secolo e per tutto il XVIII secolo a prevalere fu senza dubbio l’interpretazione derivata dalla Bibbia. Numerosi eruditi cercarono di dimostrare che le irregolarità della crosta terrestre e la presenza di fossili marini lontani dal mare e sulla cima delle montagne – tanto di molluschi quanto di mammiferi giganti – fossero conseguenza del Diluvio universale descritto nella Genesi. All’inizio del XVIII secolo il medico svizzero J.J. Scheuchzer presentò un insieme di fossili come i resti di una vittima umana del Diluvio, ance se in realtà appartenevano a un anfibio fossile.
La teoria del Diluvio si basava sul presupposto che Dio avesse creato tutte le specie animali in un periodo di sei giorni e che queste fossero rimaste immutate nel corso del tempo (sebbene si potesse supporre che si fossero salvate grazie all’arca di Noé). Tuttavia questa teoria presentava il problema che numerosi fossili, tanto di molluschi quanto di mammiferi giganti, non potevano essere messe in relazione con esseri viventi. Pertanto durante l’illuminismo alcuni scienziati iniziarono a pensare che i fossili corrispondessero a specie estinte. A confermare questa ipotesi contribuì in modo decisivo la scoperta dello scheletro di un animale preistorico rinvenuto vicino a Buenos Aires e inviato a Madrid nel 1788. una volta ricostruito, si scoprì che si trattava di una specie di bradipo gigante completamente sconosciuta, che venne chiamata Megatherium americanum. Curvier, un erudito francese, condusse uno studio anatomico del megaterio e di altri fossili simili comparandoli con specie viventi di elefanti e nel 1796 pubblicò le Mémoires sur les espèces d’éléphants vivants et fossiles. Curvier sosteneva che nel tempo si erano succeduti grandi cataclismi cataclismi geologici che avevano sterminato la fauna vivente e che i fossili erano tutto ciò che ne rimaneva. La sua filosofia catastrofista era ancora distante dalla teoria dell’evoluzione che sarebbe poi stata sviluppata da Darwin (vedi l’articolo su questo blog Darwin e il viaggio sul Beagle), ma certamente lo studioso francese pose le basi della paleontologia, lo studio scientifico dei fossili.

Leonardo da Vinci il solito scettico.
Mentre Leonardo da Vinci nel 1489 era impegnato a lavorare a una grande scultura di bronzo a Milano, alcuni contadini gli portarono un sacco pieno di una grande quantità di conchiglie e coralli rinvenuti in montagna. A partire da quel momento Leonardo non smise di riflettere sulla questione, come risulta dal Codice Leichester (1508). Contrario alla teoria che quel ritrovamento fossero dovuti al Diluvio, Leonardo decise di provare come le conchiglie “In mille braccia d’altura non fossero portate dal diluvio”. Se infatti il Diluvio era stato causato da piogge torrenziali o da inondazioni marine, lui avrebbe dimostrato che “Né per pioggia che ingrossi i fiumi, né per rigonfiamento d’esso mare li nichi, come cosa grave, non sono sospinti dal mare alli monti, né tirati a sé dalli fiumi contro al corso delle loro acque. 

I FOSSILI SECONDO LA SCIENZA MODERNA – CHIMICA E GEOLOGIA.
Sezione di conchiglia di ammonite fossilizzata mostrante diversi tipi di processi di fossilizzazione avvenuti sullo stesso resto fossile: • quasi tutto il materiale componente il guscio, nella spirale esterna, è stato sostituito dapirite, oggi alterata in limonite, riconoscibile nelle linee color ruggine che delineano il profilo del fossile; • le cinque camere più esterne sono state riempite da sedimento fine, frammisto a frammenti di piccolo gusci di altri organismi, penetrato dall'apertura naturale della conchiglia, lo stesso riempimento è avvenuto negli ultimi giri interni della spirale, ove il sedimento si è infiltrato presumibilmente tramite piccole fratture nel guscio più debole; • nella zona mediana della spirale, i setti del guscio hanno funzionato come paratie stagne impedendo l'ingresso di materiale detritico; queste cavità rimaste libere hanno permesso la crescita di cristalli di calcite da parte di acque di strato ricche in carbonato, a partire dalle loro pareti; il resto del guscio è stato completamente mineralizzato da calcite.

La formazione dei fossili è un fenomeno naturale, e perché avvenga devono essere soddisfatte determinate condizioni. Prima di tutto alla morte di un organismo la sua decomposizione deve essere ritardata, per esempio depositandosi su un fondale fangoso e venendo seppellito rapidamente da un altro sedimento. Questo permette lo sviluppo del processo di mineralizzazione, una serie di interscambio chimici tra le ossa dell’animale e i sedimenti che lo ricoprono; ciò provoca la sostituzione delle ossa con materiale minerale, anche se viene mantenuta la forma originale. Con il passare del tempo le trasformazioni della superficie terrestre possono erodere la zona dove si era depositato l’animale e l’erosione fa sì che il fossile venga riportato alla luce. Sebbene gli scienziati oggi abbiano localizzato microfossili risalenti a più di tremila milioni di anni fa, questi furono visibili in abbondanza solo durate le Ere paleozoica (541-252 milioni di anni fa), grazie all’apparizione di specie dotate di corazza e scheletri adatti alla fossilizzazione, mesozoica (252.66 milioni di anni fa), cui appartengono di fossili di dinosauro.
femore di mammut proveniente dalla Siberia datato intorno ai 40mila anni fa



ORNAMENTI E AMULETI CIRCONDATI DA LEGGENDE. – PREISTORIA  

L’interesse per i fossili risale alle origini stesse dell’umanità. Nelle caverne e nei giacimenti preistorici sono state rinvenute alcune conchiglie fossili perforate che venivano sicuramente utilizzate come orecchini. In altre occasioni i fossili erano incrostati su dei crani o incisi su strumenti come asce. I fossili erano considerati non solo oggetti singolari e attraenti, ma anche elementi dotati di poteri magici. Con il passare del tempo si susseguirono curiose teorie. Per esempio i fossili di ammonite – un mollusco a forma di spirale – preso il nome di corno di Ammone per la rassomiglianza con la divinità egizia rappresentata da un ariete; nel Medioevo, invece, questi fossi erano noti come pietre di serpente. Successivamente le pietre con forme particolari, specialmente quelle che somigliavano a piante oppure ad animali, presero il nome di pietre figurate e attrassero l’interesse di eruditi ma anche di collezionisti.

RIVIVE IL MITO DEI GIGANTI. – XVI SECOLO

Dente di megalodonte (nero) comparato a due denti (bianchi) digrande squalo bianco su una scala centimetrica: il dente di megalodonte è lungo 13,5 cm, mentre quelli di squalo bianco tra i 2 e i 3 cm.

 Il ritrovamento di enormi ossa in stato fossile – in genere resti di proboscidati (imparentati di odierni elefanti) e cetacei (mammiferi marini) – è stato fonte di continue polemiche. Durante l’antichità e il Medioevo era diffusa la credenza che appartenessero ai giganti descritti nella mitologia classica (per esempio i ciclopi) o nella Bibbia. Nel XVI secolo iniziò un dibattito, che si prolungò fino alla fine del XVIII, nel quale si ipotizzò che le ossa potessero appartenere a uomini di elevata statura. Così si evince dai racconti dei navigatori e dei viaggiatori che attraversavano lo Stretto di Magellano e che assicuravano di aver visto autentici giganti,  i patagoni. Ad esempio, il cronista della spedizione cinquecentesca di Cavendish li descrisse come uomini di grande statura e capaci di corre molto velocemente. I racconti venivano alimentati dai ritrovamenti di enormi ossa pietrificate che le leggende indigene dell’America centra e del sud attribuivano a un’antica razza di giganti.

LE MISTERIOSE LINGUE DI PIETRA. - 1666

 Fin dall’antichità troviamo riferimenti a un tipo di fossile relativamente comune nelle zone mediterranee. Plinio credeva che si trattasse di glossopetrae, lingue pietrificate cadute dal cielo durante un’eclisse. In seguito si pensò fossero denti di serpente o di drago. Nel XVII secolo il danese Niels Stensen, medico personale del Granduca di Toscana Ferdinando II dé Medici, elaborò una teoria diversa sulle glossopetrae.
Nel 1666 Stensen realizzò la dissezione anatomica della testa di un grande squalo bianco catturato da poco e si rese conto che i denti dell’esemplare coincidevano nella loro morfologia con le pietrificazioni chiamate appunto glossopetrae. Questa scoperta gli permise di proporre un’ipotesi più ampia riguardo la natura organica dei fossili. Niels Stensen sostenne anche che l’età dei fossili era da mettere in relazione con lo strato di terra nel quale venivano rinvenuti, e per questa ragione viene considerato da molti come il padre della moderna stratigrafia.

UN FOSSILE UMANO DELL’EPOCA DEL DILUVIO. 1725
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Fossile di Andrias scheuchzeri

Un fossile che sembrava rappresentare una pietrificazione umana suscitò un acceso dibattito sull’origine dell’umanità prima del Diluvio. L’esemplare, scoperto nel 1725, consisteva in un blocco di pietra contenente quello che sembrava essere una parte di un cranio e sette vertebre. Il medico svizzero Johann Jacob Scheuschzer sosteneva che appartenessero a un uomo annegato durante il Diluvio universale e per questo lo battezzò Homo diluvi testis, ovvero uomo testimone di Diluvio. secondo Scheuchzer si trattava di ossa umane, simili per proporzioni a quelle di un individuo della sua stessa altezza. Dopo la morte di Scheuchzer, intorno all’esemplare nacque una curiosa controversia: si trattava di un essere umano oppure di un pesce siluro?  Qualche anno più tardi, nel 1811, l’esemplare fu identificato correttamente da Georges Cuvier come quello di una salamandra gigante vissuta nel Miocene superiore (circa 11-5 milioni di anni fa.)

BOLCA, IL GIACIMENTO PIU’ FAMOSO – PATRIMONIO ITALIANO.

Secondo molti studiosi, l’Italia possiede alcuni tra i più importanti giacimenti fossiliferi al mondo. Tra questi i reperti di Bolca (Vr). Si tratta di fossili, per lo più pesci – ma anche molluschi e crostacei, insetti, un coccodrillo, resti di meduse o piante – risalenti all’Eocene medio (circa 50 milioni di anni fa). La bellezza dei reperti e la loro ottima conservazione attirarono l’attenzione degli studiosi fin dal XVI secolo. Il primo a parlarne fu probabilmente il medico senese Andrea Mattioli  in una pubblicazione del 1550, mentre il farmacista veronese Francesco Calzolari possedeva, già intorno al 1571, alcuni fossili nella sua collezione. Tra gli altri studiosi legati al sito, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, il veronese Giovanni Battista Gazzola vantava, nel suo palazzo, una collezione di 1200 esemplari, poi prelevati da Napoleone e portati a Parigi. Il mantovani Giovanni Serafino Volta, invece, realizzò nel 1789 un catalogo di peschi fossili. Importante anche il contributo del marchese Maffei, della famiglia Rigoni, e soprattutto della famiglia Cerato, che studia i fossili da oltre due secoli.

I FOSSILI E LA SPERIMENTAZIONE - 1755

Nella seconda metà del XVIII secolo gli studiosi elaborarono spiegazioni scientifiche sulla formazione dei fossili. Tra il 1755 e il 1788 G.W. Knorr, mercante d’arte e incisore, ed E.I.Walch, filologo e naturalista, pubblicarono un’opera in diversi volumi, molto popolare all’epoca per le magnifiche illustrazioni dei fossili che conteneva. Knorr e Walch credevano che, nel corso dei secoli, la terra fosse passata attraverso diverse catastrofi geologiche e che i resti degli organismi morti nei cataclismi avessero dato origine ai fossili.
I due autori analizzarono anche il processo di pietrificazione attraverso la sperimentazione chimica. In questo modo poterono osservare che i resti fossili gli stessi effetti delle ossa naturali quando erano esposti all’azione del fuoco, che li riduceva in cenere e li convertiva in carbone. Se i fossili venivano sottoposti a distillazione emettevano uno spirito volatile di ammoniaca dal quale si estraevano Sali alcalini che ricordavano l’urina: ciò dimostrava la loro natura organica.

CUVIER E LA FAUNA ESTINTA – 1796.
Megatherium americanum Skeleton NHM.JPG
Scheletro di Megatherium americanum
Natural History Museum di Londra

Nel 1788 venne rinvenuto vicino a Buenos Aires lo scheletro quasi integro di un animale di grandi dimensioni completamente sconosciuto. I resti ossei vennero imballati in casse e spediti al Gabinetto di Storia naturale di Madrid (all’epoca il territorio argentino apparteneva ancora alla corona spagnola), lì l’esemplare venne montato e furono realizzate cinque incisioni con i disegni e le descrizioni delle ossa. Una copia di queste incisioni arrivò a Parigi, all’Istituto di Francia, dove poterono essere analizzate da Georges Cuvier, in quel momento il principale specialista in anatomia comparata e paleontologia dei vertebrati. Cuvier realizzò un esame anatomico basandosi sulle incisioni e comparò l’esemplare americano  con i resti fossili di proboscidati e con denti e ossa di specie viventi di elefanti. In questo modo nel 1796 determinò che le ossa conservate a Madrid appartenevano a un mammifero del superordine Xenarthra (come l’armadillo, il bradipo o il formichiere), però di un genere estinto, che chiamò Megatherium americanum. Così, grazie ai fossili, venne ricostruito per la prima volta un animale estinto.


Articolo in gran parte di Francisco Pelayo Lopex istituto di storia e consiglio superiore per la ricerca scientifica di Madrid pubblicato su Storica National Geographic del mese di luglio 2018, altri testi e immagini da wikipedia. 

I vichinghi, gli eroi delle sagre.

  I   vichinghi gli eroi delle saghe. I popoli nordici vantano un tripudio di saghe che narrano le avventure di eroi reali o di fantasia. ...