Ipazia martire pagana.
Filosofa, matematica,
astronoma, con un’unica colpa: quella di essere donna in una società in cui il
cristianesimo aveva confermato la preponderanza del ruolo maschile.
Ipàzia (in greco antico: Ὑπατία, Hypatía, in latino: Hypatia; Alessandria d'Egitto, 350/370 – Alessandria d'Egitto, marzo 415[1]) è stata una matematica, astronoma e filosofa greca antica. Rappresentante della filosofia neo-platonica,[2] la sua uccisione da parte di una folla di cristiani in tumulto,[3] per alcuni autori composta di monaci detti parabolani,[4] l'ha resa secondo il teosofo Augusto Agabiti una «martire della libertà di pensiero».[5]
Moderna
icona del pensiero razionale, femminista, illuminista ante litteram. Ipazia, la
filosofa alessandrina vissuta a cavallo tra il IV e il V secolo d.C., è stata
esaltata, soprattutto negli ultimi anni, come la campionessa di una femminilità
libera e moderna, repressa in maniera violenta dalla retrograda cultura
maschile, veicolata dal cristianesimo. La sua figura è diventata un simbolo,
fino a tramutarsi (in un film di successo come Agora, diretto nel 2009 da
Alejandro Amenabar), in un’anticipatrice di Keplero e Galileo, un’eroina della
libera scienza invisa al potere.
UNA VITA IGNOTA. Ma, come spesso accade
con le trasposizioni cinematografiche, si tratta di una ricostruzione
fantasiosa. La verità è che della vita di Ipazia, nata ad Alessandria d’Egitto
tra il 360 e il 370 d.C. e morta nel 415, poco si sa con certezza. Nella sua
“Vita di Isidoro”, dedicata al filosofo neoplatonico Isidoro di Alessandria, il
filosofo bizantino Damascio (vissuto a cavallo fra V e VI secolo) ne parla
così: “Fu giusta e casta e rimase sempre
vergine. Lei era così bella e ben fatta che uno dei suoi studenti s’innamorò di
lei, non fu capace di controllarsi e le mostrò apertamente la sua infatuazione.
Alcuni narrano che Ipazia lo guarì dalla sua afflizione con l’aiuto della musica
è inventata: in realtà, ella raggruppò stracci che erano stati macchiati
durante il suo periodo mestruale e glieli mostrò dicendo: ‘Questo è ciò che tu
ami, giovanotto, e non è bello’. Alla brutta vista, il discepolo fu così
colpito dalla vergogna e dallo stupore che sperimentò un cambiamento del cuore
e diventò un uomo migliore”.
Donna austera, dunque,
e poco incline a farsi travolgere dai sentimenti. Nella “Suda”, enciclopedia
bizantina del X secolo, si dice che fu moglie del filosofo Isidoro: impossibile
per ragioni cronologiche (il filosofo nacque più di trent’anni dopo l’uccisione
della donna), ma indicativo del prestigio di cui Ipazia ancora godeva molti
secoli dopo la sua scomparsa. Suo padre, Teone (335-405 ca.), era matematico,
astronomo, filosofo e custode del Mouseion, identificato a volte con il Serapeo
(tempio dedicato al culto di Serapide, divinità dell’Egitto ellenistico che
mescolava elementi greci ed egizi) e altre con il celeberrimo Museo di
Alessandria, a cui era annessa la celebre biblioteca distrutta dal fuoco. Teone
aveva curato le edizioni di varie opere matematiche, fra cui l’Almagesto di
Tolomeo e gli Elementi di Euclide, in questo aiutato anche da Ipazia. Scrisse,
inoltre, un saggio sull’astrolabio, lo strumento ottico che permette di
calcolare la posizione geografica basandosi sull’osservazione dei copri
celesti. Non si sa chi fosse la madre di Ipazia, mai citata in alcuna fonte,
mentre è certo che ella ebbe un fratello, Epifanio, a cui il padre dedicò un
paio di opere. Altrettanto ignota la sua educazione e la gran parte della sua
vita: ma è certo che, seguente le orme del genitore, divenne essa stessa una
valentissima matematica.
Astrolabio d'argento dell'XI secolo
LA GRANDE ERUDITA. Filostorgio (368-439),
autore di una Historia Ecclesiastica, arriva al punto di affermare: “Divenne migliore del maestro,
particolarmente nell’astronomia, e fu ella stessa maestra di molti nelle
scienze matematiche”. Del resto, lo stesso Damascio ricorda che “poiché aveva più intelligenza del padre,
non fu soddisfatta dalla sua conoscenza delle scienza matematiche e volle
dedicarsi anche allo studio della filosofia”. Sono frasi che ci
restituiscono l’ampiezza di un ingegno di cui, tuttavia, non possiamo valutare
completamente la portata, dato che di Ipazia non ci è rimasta alcuna opera. È
giunta notizia di alcuni suoi lavori (Un commentario a Diofanto, il Canonone
astronomico e un commentario alle Coniche di Apollonio, come si trova scritto
nella “Suda”), ma non siamo in grado di valutarne la portata, qualità e
originalità rispetto a opere anteriori. I cosiddetti “commentari”, infatti,
pensati per divulgare opere di autori precedenti con lo scopo di renderle più
accessibili ai lettori, erano lavori eruditi, ma a volte anche poco originali.
La carenza di fonti, insomma, impedisce di farsi un’idea di circa la reale
importanza della figura di Ipazia nel dibattito scientifico della sua epoca.
Qualche informazione la recuperiamo, però. Da testimonianze di seconda o terza
mano.
Sinesio di Cirene,
filosofo, scrittore e vescovo di Tolemaide di Libia (fu eletto per volontà
popolare quando non era ancora battezzato), fu suo discepolo e le scrisse
diverse lettere. In una di esse la chiama “madre, sorella e maestra” e, parlando
del lavoro di astronomi celeberrimi come Tolomeo dichiara: “Lavorarono su mere ipotesi, perché le più importanti questioni non
erano state risolte e la geometria era ancora ai suoi primi vagiti”,
lasciando intendere che gli studi di Ipazia e della sua scuola avevano portato
al perfezionamento del sistema, così come avevano sostanzialmente migliorato
l’astrolabio. Sempre da Sinesio sappiamo che Ipazia costruì un “idoscopio”,
strumento per misurare il peso dei liquidi. La scienziata, dunque, doveva unire
allo studio teorico anche quello pratico. Come i filosofi dell’antica Grecia,
Ipazia teneva lezioni pubbliche che, a quanto pare, attiravano una moltitudine
di persone attente e desiderose di ascoltarla. Ricorda il teologo Socrate
Scolastico (380-440 circa) che “aveva una
tale cultura da superare tutti i filosofi del suo tempo nella scuola platonica
riportata in vita da Plotino e spiegava a chi lo desiderava tutte le scienze
filosofiche. Per questo motivo accorrevano da lei da ogni parte tutti coloro
che desideravano pensare in modo filosofico”. E stando alle parola di
Damascio, ella “era solita indossare il
mantello del filosofo e andare al centro della città. Commentava pubblicamente
Platone, Aristotele o i lavori di qualche altro filosofo per tutti coloro che
desiderassero ascoltarla. Oltre alla sua esperienza nell’insegnare riuscì a
elevarsi al vertice della virtù civica.”. Ipazia si era costruita, dunque,
anche un ruolo “politico”, e probabilmente fu proprio questo uno dei motivi
della sua drammatica fine.
Rovine di Alessandria
VITTIMA DELLA POLITICA? La vicenda di Ipazia
cade in un momento particolare per la storia di Alessandria e dell’Impero
Romano. Il potere politico dell’Urbe era ormai in decadenza: l’autorità dei
prefetti si era ormai in decadenza: l’autorità dei prefetti si era fortemente
ridotta di fronte a quella acquisita dai rappresentanti del potere religioso,
cioè i vescovi della Chiesa cristiana, che tendevano gradualmente a sostituirsi
ai magistrati imperiali. Ciò accadeva anche ad Alessandria, dove il patriarca
(prima Teofilo, poi Cirillo) aveva assunto un potere sostanzialmente
incontrastato, a discapito delle autorità civili.
La cosa si rifletteva
anche nei rapporti fra le comunità che abitavano la metropoli. Alessandria, che
nei primi secoli dell’Impero era stata simbolo di convivenza pacifica e
integrazione fra pagani, ebrei e cristiani, aveva
subito un profondo mutamento. In particolar modo, quando il cristianesimo era
divenuto religione di Stato, e ancora di più dopo l’emissione, da parte
dell’imperatore Teodosio I, nel 391, dei decreti che di fatto proibivano ogni
tipo di culto pagano, vietando anche l’ingresso ai santuari.
In un mondo ancora
largamente non cristiano, la cosa non poteva che provocare conflitti, come
accadde proprio ad Alessandria. Teofilo ottenne da Teodosio il permesso di
trasformare il tempio di Dionisio in chiesa cristiana. I pagani si ribellarono
e si scontrarono violentemente con i cristiani dopo che questi ultimi avevano
ucciso i sacerdoti del tempio. Gli scontri proseguirono e costrinsero i pagani
a rifugiarsi nel Serapeo, dove furono comunque raggiunte e massacrati dalla
guardia imperiale e dai cristiani. Oltre che di una lotta religiosa, si
trattava di un contrasto per il controllo politico della città. lo scontro
proseguì anche dopo la morte di Teofilo, sostituito dal suo successore Cirillo.
Il nuovo vescovo, come scrive Socrate Scolastico, “si accinse a rendere l’episcopato più simile a un principato di quanto
non fosse stato prima; la carica episcopale prese a dominare la cosa pubblica
oltre il limito consentito all’ordine”. Ciò pose Cirillo in aperto
contrasto con il prefetto Oreste, anch’egli cristiano, ma tollerante nei
confronti dei pagani. Quando il vescovo entrò in conflitto anche con la
comunità ebraica della città, provocando una persecuzione che portò alla
distruzione delle sinagoghe, alla requisizione da parte cristiana dei beni dei
cittadini ebrei e alal fuga di costoro dalla città, Oreste prese una posizione
contro Cirillo. Per volontà di quest’ultimo, o forse di propria iniziativa,
alcuni fanatici cristiani (i cosiddetti “paraboloni”, provenienti dai monti
della Nitria) assalirono il prefetto, ferendolo alla testa. Il dissidio divenne
insanabile e in mezzo al contrasto si ritrovò anche Ipazia. La filosofa era
molto apprezzata da Oreste. A quanto pare, era anche sua consigliera, sebbene
avesse rifiutato il battesimo e restasse fedele al paganesimo. Tale rapporto
generò sospetti nel patriarca Cirillo, il qual cominciò a temere un
avvicinamento fra la parte pagana della città e quella cristiana moderata,
fedele al prefetto. La donna, scrive Socrate Scolastico, “fu vittima della gelosia politica che a quel tempo prevaleva. Ipazia
aveva avuto frequenti incontri con Oreste. Questo fu interpretato
calunniosamente dal popolino cristiano, che pensò fosse lei a impedire a Oreste
di riconciliarsi con il vescovo”. Damascio aggiunge che “la città intera l’amò e l’adorò in modo
straordinario, ma i potenti del luogo la invidiarono”. Se fossero le sue
lezioni pubbliche, la sua sapienza, il suo presunto influsso politico o il suo
essere donna e sapiente a provocarne la fine, questo è impossibile da dire. Forse
la colpa fu di tutti questi motivi messi insieme, uniti alla calunnia, che in
una storia d’intrighi come questa non poteva mancare.
Scrive Giovanni di Nikiu, nel X secolo: “Apparve in Alessandria un filosofo femmina,
una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia, agli
astrolabi e agli strumenti di musica che ingannò molte persone con stratagemmi
satanici. Il governatore della città l’onorò esageratamente, perché lei l’aveva
sedotto con le sue arti magiche, e cessò di frequentare la chiesa. E non solo
fece queLsto, ma attrasse molti credenti a lei, ed egli stesso ricevette gli
increduli a casa sua”.
«Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale»
(Socrate Scolastico, cit., VII, 15)
Quasi un secolo dopo, anche il filosofo Damascio riprende le sue considerazioni:
«era pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica nelle azioni, il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente, e i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei, come continuava ad avvenire anche ad Atene. Infatti, se lo stato reale della filosofia era in completa rovina, invece il suo nome sembrava ancora essere magnifico e degno di ammirazione per coloro che amministravano gli affari più importanti del governo»
|
(Damascio, cit., 102) |
LA MORTE ATROCE. Seppure indipendenti
dalla magia, l’autorità, il prestigio e l’influenza di Ipazia dovevano essere
notevoli. Scrive Damascio: “Un giorno
Cirillo passò presso la casa di Ipazia e vide una grande folla di persone
davanti alla porta. Quando chiese il motivo di tutto quel clamore, gli fu detto
dai seguaci della donna che era la casa di Ipazia e vide una grande fola di
persone davanti alla porta. Quando Cirillo seppe questo, fu così morso da
invidia che cominciò a progettare il suo assassinio e la forma più atroce di
omicidio che potesse immaginare”. Forse no fu il vescovo il diretto
mandante dell’assassinio, probabilmente progettato da suoi sottoposti. Ma racconta
Socrate Scolastico che un gruppo di fanatici cristiani “spinti da uno zelo fiero e bigotto, sotto la guida di un lettore
(grado precedente a quello che dicono) chiamato Pietro, le tesero un’imboscata
mentre tornava a casa. La trassero fuori dalla sua carrozza e la portarono
nella chiesa chiamata Caesareum, dove la spogliarono completamente e l’assassinarono
usando dei cocci. Dopo aver fatto a pezzi il suo corpo, portarono i lembi
strappati in un luogo chiamato Cinaron, e li bruciarono”. Giovanni di
Nikiu, pur disprezzando Ipazia, conferma: “Una
moltitudine di credenti in Dio si radunò sotto la guida di Pietro il magistrato
e si mise alla ricerca della donna pagana che aveva ingannato le persone e il
prefetto con i suoi incantesimi. La trovarono seduta su un’alta sedia. Avendola
fatta scender, la trascinarono e la portarono nella chiesa chiamata Caesareum. Le
lacerarono i vestiti, la trascinarono attraverso le strade della città finché
non morì, poi ne bruciarono il corpo. E tutte le persone circondarono il
patriarca Cirillo e lo chiamarono ‘il nuovo Teofilo’, perché aveva distrutto
gli ultimi resti dell’idolatria nella città”. Era il mese di marzo del 415,
Ipazia aveva circa 50 anni. L’inchiesta fu presto archiviata, pare su pressioni
politiche.
Come scrisse il grande
Edwardd Gibbon nella ‘Storia della decadenza e caduta dell’Impero Romano’ “l’assassinio di Ipazia ha impresso una
macchia indelebile sul carattere e sulla religione di Cirillo Alessandrino”.
Cosa che non ha impoedito alla Chiesa di onorarlo come santo.
La matematica e filosofa pagana Ipazia mentre subisce il linciaggio per opera di fanatici cristiani ad Alessandria d'Egitto nel 415
Articolo in gran parte
di Enrica Berardi pubblicato su Civiltà Romana n. 3 altri testi e immagini da
Wikipedia.