La battaglia di Amiens
1918.
La battaglia che decise le sorti del
conflitto.
Quando, cent’anni fa,
gli Alleati lanciarono la loro offensiva ad Amiens, lo fecero con tale potenza
e tale efficienza che in breve i soldati nemici si arresero a migliaia. Come
mai la battaglia che disintegrò il morale tedesco oggi è quasi dimenticata?
Battaglia di Amiens parte del Fronte occidentale della prima guerra mondiale | |
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Linee dell'avanzata alleata durante la Battaglia di Amiens | |
Data | 8 - 12 agosto 1918 |
Luogo | Amiens |
Esito | Vittoria decisiva alleata |
Modifiche territoriali | Avanzata alleata e conquista del saliente di Amiens |
Schieramenti | |
Comandanti | |
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La battaglia di Amiens o terza battaglia di Piccardia ebbe inizio l'8 agosto 1918 e fu la fase di apertura dell'azione alleata nota come offensiva dei cento giorni, che pose fine alla prima guerra mondiale. Le forze alleate, tra cui la 4ª Armata inglese al comando di Henry Rawlinson, spostarono in avanti la linea del fronte di oltre sette miglia il primo giorno, realizzando una delle avanzate più cospicue del conflitto.
La battaglia è altresì degna di nota per i suoi effetti sul morale di ambo le parti, e per l'alto numero di soldati tedeschi fatti prigionieri. Per questo motivo, Erich Ludendorff definì il primo giorno di battaglia "giorno più nero per l'esercito tedesco". Amiens è stata infine una delle prime grandi battaglie tra mezzi corazzati, e segnò la fine della guerra di trincea sul fronte occidentale. A partire da essa, anche se per poco tempo, il conflitto ritornò ad essere una guerra di manovra che obbligò i tedeschi a ritirarsi lentamente da vari punti della linea Hindenburg fino all'armistizio con la Germania, firmato l'11 novembre 1918.
La
sera del 7 agosto 1918 era tutto pronto. Migliaia e migliaia di soldati Alleati
controllarono per l’ultima volta il proprio posizionamento e gli ordini
ricevuti, e sul campo di battaglia scese un silenzio minaccioso, strano per
orecchie ormai tanto abituate al suono delle artiglierie. Alle 4,20 del
mattino, quando era ancora buio e una nebbia densa saturava l’aria, le batterie
aprirono il fuoco. “Avrei potuto mettermi
a leggere un giornale girato in qualunque direzione” tanto era intesa la
luce degli spari, scrisse il soldato William Curtis del Decimo Battaglione
Canadese. Era uno spettacolo terrificante a vedersi: più di duemila bocche da
fuoco incendiavano l’aria con i loro lami mentre rovesciavano un vero e proprio
inferno contro le linee tedesche. La battaglia di Amiens – un assalto così
devastante che da quel momento in poi l’esercito tedesco scivolò senza scampo
verso la sconfitta – era appena cominciata. Quando il soldato Curtis e i suoi
compagni di lanciarono all’attacco quella mattina d’estate, la Prima Guerra
infuriava ormai da quattro interminabili anni sui campi di battaglia d’Europa,
Africa e Medio Oriente, con un conteggio di almeno nove milioni di morti e
altri venti milioni tra feriti e dispersi.
IL DURO TRATTATO DI PACE CON I SOVIETICI. Le
potenze centrali (Germania, Impero Austro-Ungarico, Impero Ottomano e Bulgaria)
avevano siglato con i bolscevichi a Brest-Litovsk un durissimo trattato di pace
che aveva privato della Russia di quasi il 30% della sua popolazione prebellica
e rafforzato la posizione dominante tedesca nell’Europa centrale e orientale.
Nel frattempo sul Fronte occidentale i combattimenti non si erano mai fermati.
Il 21 marzo 1918 i tedeschi avevano lanciato una serie di pesanti offensiva che
era riuscita a spezzare lo stallo mantenuto fino ad allora dalle trincee e a
gettare gli Alleati nella crisi peggiore che avessero conosciuto all’inizio del
conflitto.
Ma, a dispetto degli
iniziali successi, l’Offensiva di primavera non raggiunse lo scopo di porre
fine alla guerra: l’esercito tedesco guadagnò terreno e parve sul punto di
spaccare in due il fronte Alleato, ma verso l’inizio dell’estate sembrò perdere
il suo slancio. Gravi perdite nelle divisioni impegnate negli attacchi,
problemi con il morale delle truppe e la necessità di mantenere intatte linee
di rifornimento lunghe e vulnerabili finirono per rallentare l’avanzata dei
tedeschi e per impedire loro di sfruttare al meglio le precedenti conquiste. Le
settimane cominciarono a susseguirsi senza vittorie decisive, e intanto sempre
più truppe americane si riversavano in Francia accompagnate da nuove armi e
nuove munizioni prodotte a ritmo crescente nelle industrie Alleate. Il 18
luglio divisioni francesi e americane
lanciarono il loro contrattacco con la Seconda battaglia della Marna,
riguadagnando l’iniziativa e dando inizio a un crollo sistematico del morale
tedesco. Ormai sul Fronte occidentale lo scenario era pronto per la fase
conclusiva della guerra: la campagna dei Cento giorni, di cui la battaglia di
Amiens fu l’inizio.
Per il comandante
supremo degli Alleati, il generale Ferdinand Foch, era imprescindibile cogliere
l’occasione offerta dalla vittoria alla Marna: in una riunione tenutasi il 24
luglio insistette con gli altri comandanti – sir Douglas Haig (comandante della
Forza di Spedizione Britannica), il generale Philippe Pétain (comandante
dell’esercito francese) e il generale John Pershing (comandante della forza di
Spedizione Americana) – sull’importanza di continuare a colpire duramente i
tedeschi, giacché il vittorioso contrattacco rappresentava un punto di svolta
“che si deve sfruttare al massimo sul campo di battaglia”.
Foch progettava ora di
passare all’offensiva per sgomberare le linee di comunicazione Alleate e
riprendere il controllo di alcuni fondamentali snodi ferroviari, il più
importanti dei quali era Amiens, settore cruciale del Fronte occidentale e
punto di incontro degli eserciti francese e britannico. L’obiettivo era dunque
cacciare da lì i tedeschi e infliggere loro un colpo decisivo con un attacco
combinato anglo-francese: anche il terreno – campagna ampia e pianeggiante, dal
suolo solido e compatto – era perfetto per un attacco di massa con i carri
armati. Haig accettò di organizzare l’operazione e incaricò il generale sir
Henry Rawlinson della Quarta Armata di guidare l’attacco. Le truppe francesi,
guidate dal generale Eugène Debeney della Prima Armata avrebbero esteso
l’attacco a sud aggirando la città di Montdidier.
ARRIVANO LE FORSE D’ASSALTO. La pianificazione
procedette spedita e in pochi giorni le linee generali di quella che sarebbe
diventata la battaglia di Amiens furono messe a punto. Rawlinson decise di
posizionare in prima linea i Corpi Canadesi e Australiani, comandanti
rispettivamente da sir Arthur Currie e John Monash: unità formate da soldati di
grande esperienza e capacità, universalmente considerate “le devastanti forze
d’assalto dell’Impero britannico”. L’attenzione ai dettegli che mettevano nel
progettare le loro operazioni era ben riassunto dal motto di Arthur Currie:
“non si trascura nulla”. Per suo conto Monahs, che vedeva le cose in maniera
assai simile, aveva una filosofia molto semplice; “Avanzare con la massima protezione possibile da parte delle migliori
risorse meccaniche a disposizione, nella forma di armi automatiche e non, carri
armati, mortai e aerei”. L’impressionante arsenale che Currie e Monash potevano
mettere in campo era il risultato di un lungo processo di sviluppo tecnologico
per tentativi ed errori. Nell’estate del 1918 gli eserciti Alleati sul Fronte
occidentale avevano ormai assimilato le lezioni di quattro anni di conflitto e
sviluppato sistemi di combattimento di altissima efficienza. Oltre a poter
dispiegare centinaia di aerei (per sorvegliare il campo di battaglia dall’alto,
fermare le unità nemiche e paracadutare rifornimenti), avevano a loro
disposizione anche una formidabile gamma di artiglierie diverse, munizioni
virtualmente infinite e centinaia di carri armati (dai carri pesanti Mark V a
modelli più leggeri e veloci come il Medium Mark A e l’eccezionale Renault FT).
Anche le truppe di fanteria erano molto
più efficaci di prima: ora ogni sezione era autosufficiente e dotata di una
specializzazione – dal cecchinaggio ai mortai, dalle mitragliatrici alle bombe
– in modo da poter sopprimere autonomamente il fuoco nemico e proseguire nella
propria avanzata. Insomma, dal disastro del 1916 alla Somme, in cui la fanteria
britannica era stata massacrata mentre tentava di attraversare una terra di
nessuno, si era fatta parecchia strada.
I preparativi per
l’attacco furono davvero notevoli. La Gran Bretagna era ben consapevole che
l’Alto Comando tedesco, vedendo arrivare al fronte gli uomini di Currie o di
Monash, avrebbe subito sospettato un attacco imminente: serviva dunque un
ottimo piano di occultamento. A tale scopo il quartier generale dei Corpi
Canadesi venne trasferito a nord, presso il monte Kemmel, e da lì procedette a
generare un ingente quantitativo di comunicazioni radio, sapendo che i tedeschi
le avrebbero intercettate. Nello stesso tempo i canadesi iniziarono una lunga e
spesso tortuosa marcia per raggiungere il settore di Amiens, spostando uomini e
mezzi solo di notte e facendo manovrare gli aerei su e giù lungo la linea del
fronte per coprire il rumore dei carri armati in movimento (430 dei quali
sarebbero stati usati per l’attacco principale). Sempre per ridurre i suoni, le
strade vennero lastricate di paglia, le ruote dei pezzi di artiglieria avvolte
di corde e sul libretto paga di ogni soldato venne incollata un’etichetta che
diceva: “Tenete la bocca chiusa. Il successo delle operazioni e la
sopravvivenza dei vostri compagni dipendono dal vostro silenzio”.
L’ossessione per la
segretezza investì anche i duemila pezzi di artiglieria messi in campo dagli
Alleati, che vennero piazzati e registrati lungo il fronte nei giorni
precedenti l’attacco. Nel 1918 le tattiche di artiglieria britanniche e
francesi erano ormai all’avanguardia e coinvolgevano misurazioni costanti di
pressione e temperatura dell’aria e della velocità del vento, nonché
calibrazione di ogni pezzo per raggiungere la massima accuratezza possibile. In
questo modo non serviva più sparare una grande quantità di colpi a lunga
gittata per misurare la distanza dall’obiettivo, con il risultato di allertare
il nemico: l’attacco poteva conservare l’elemento sorpresa.
E così, quando
quell’artiglieria aprì il fuoco alle 4,20 del mattino segnando l’inizio della
battaglia di Amiens, l’effetto sui tedeschi fu devastante. Di fronte al settore
occupato dai britannici c’era la Seconda Armata del generale von der Marwitz,
con pochi uomini a disposizione e alloggiata in trincee e rifugi troppo poco
profondi. Per di più, per quanto i preparativi dall’altra parte del fronte non
fossero passati inosservati, nessuno aveva fatto nulla a riguardo: le truppe
tedesche sembravano immerse in un senso di letargia dilagante.
Allo scoccare dell’attacco
l’8 agosto lo choc fu assoluto. Il maggiore Mende, comandante di un battaglione
tedesco trincerato a nord della strada tra Amiens e Roye, così ricordava: “Quando il fuoco nemico ebbe inizio corsi al
telefono per informare il reggimento, ma la linea si era già interrotta. Corsi
di nuovo fuori per vedere cosa stava succedendo: c’era così tanta nebbia che
non riuscivo a vedere a più di due passi di distanza”. Il maggiore tornò al
suo quartier generale e aspettò notizie, ma non ne giunse nessuna: non si udiva
altro che il rumore degli spari sempre più vicino. Poco dopo piovve dentro una
granata, il maggiore fuggì all’esterno e fu fatto prigioniero.
Nascoste dalla nebbia,
truppe di fanteria francesi, britanniche, canadesi e australiane uscirono dalle
trincee, precedute dai carri armati e sovrastate dal fuoco dell’artiglieria.
All’inizio la resistenza fu fiacca: gli Alleati incontrarono solo folle di
soldati tedeschi storditi che si urlavano l’un l’altro “Kamerad” e si
arrendevano facilmente. Uno degli
attaccanti ricorda: “La cosa che mi parve
più divertente era il modo in cui i prigionieri si avviavano da soli alle celle
che stavano circa un chilometro e mezzo di distanza, senza neanche bisogno di
venir scortati … Ci ripulirono di quasi tutte le nostre sigarette e le nostre
bottiglie d’acqua”.
Non tutti i tedeschi,
però, erano così demoralizzati: alcune postazioni di artiglieri e mitragliatori
opposero resistenza vera e in alcuni punti riuscirono ad arrestare l’avanzata
Alleata per ore, ma alla fine dovettero capitolare anch’esse. Ecco cosa
riferisce un rapporto steso dopo l’attacco: “L’estate precedente le nostre truppe si erano addestrate con cura ad
attaccare in particolare modo i punti fortificati e le postazioni delle
mitragliatrici, e gli effetti di tale addestramento si videro bene in azione”.
Al sorgere del sole, attorno alle otto del mattino, le difese tedesche erano
ormai sbaragliate e sul campo di battaglia si presentava alla vista uno
spettacolo bizzarro: lunghe file di fanteria che marciavano in avanti con
squadroni di cavalleria che trottavano loro a fianco tra nubi di polvere,
sempre più in profondità nelle file nemiche.
8 agosto 1918 di Will Longstaff, in cui sono rappresentati prigionieri di guerra tedeschi portati verso Amiens
Perché non diamo ad Amiens la giusta
importanza?
Secondo Nick Lloyd, autore di questo
articolo, la battaglia di Amiens oggi è in larga parte dimenticata perché non
aderisce allo stereotipo dei fallimenti militari tipici della Grande guerra. La
memoria collettiva della Prima Guerra mondiale è dominata dai cupi e feroci
scontri che caratterizzarono il biennio del 1916-1917, come la Somme e
Passchemdaele presi a emblema dei terribili e in ultima analisi inutili massacri della
guerra.
Per contro Amiens è in larga parte
dimenticata. Fu una battaglia molto più breve e molto meno cruenta di quelle
della Somme o di Passchendaele, e fece parte di una serie di offensive nota
come i Cento Giorni che portò a conclusione il conflitto sul Fronte
occidentale. Queste sono verosimilmente due delle ragioni per le quali gli storici
le hanno sempre tributato meno attenzione rispetto ad altre battaglie.
Il dato più importante, però, è che
Amiens non si conforma all’immagine negativa della guerra che molti critici
dell’Alto Comando britannico – da David Lloyd George al teorico militare
Basil Liddell Hart – hanno voluto sottolineare. Per questi critici la Prima
guerra mondiale fu un disastro senza possibilità di redenzione, con un
aspetto fondamentale costituita dall’incapacità dei comandanti Alleati di
imparare dai propri errori. In questa ottica, non c’era alcun motivo per
analizzare in dettaglio Amiens. Quella battaglia fu, sotto molti aspetti, un
vero e proprio modello di guerra di posizione, che mostrò non solo quanto
fosse ormai superata la fase di stallo delle trincee, ma anche come la
combinazione di fanteria, artiglieria, mezzi corazzati e aerei avesse dato
una forma completamente nuova al conflitto e riportato sul campo di battaglia
la manovrabilità delle truppe. Dopo la sconfitta il morale tedesco ne uscì
devastato, e l’Alto Comando nemico si rese conto di non possedere una
risposta né a quelle nuove tattiche né alle pure dimensioni della potenza
militare che ora gli Alleati potevano mettere in campo sul Fronte
occidentale. Fu altresì la prova definitiva che la guerra stava per finire. Insomma,
per una certa visione della storia Amiens, non è soltanto una battaglia
dimenticata: è un avvenimento scomodo.
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“CHE DIO CI AIUTI”. Quello dell’8 agosto fu
un colpo tremendo. Solo quel giorno gli Alleati avanzarono di dieci-dodici
chilometri, impadronendosi di oltre quattrocento pezzi d’artiglieria e
infliggendo al nemico perdite devastanti. Con 36000 perdite, tra cui 27000
prigionieri, la Seconda Armata tedesca andò completamente distrutta, tanto che
il generale von der Marwitz scrisse sul suo diario: “Che Dio ci aiuti”. Secondo
lui la colpa fu dei carri armati emersi di sorpresa dalla nebbia, e nel diario
li definì “armi diaboliche” che non avrebbero dovuto avere posto nell’arte
della guerra. Dispiegò anche le sue tre divisioni di riserva e fece muovere
verso la battaglia ogni singola unità disponibile, ma nulla poté impedire il
collasso delle sue postazioni: non restò altro da fare che ammettere che l’esercito
tedesco non aveva risposte adeguate contro un attacco del genere.
L’avanzata proseguì il
giorno successivo, mentre i tedeschi si ritiravano più in fretta che potevano. Come
ricordato dal colonnello D. Mason del Terzo Battaglio Canadese: “Faceva pensare alla guerra in capo aperto
dei vecchi tempi, quella di cui avevamo letto sui libri. Gli ufficiali dei vari
battaglioni raggiungevano al galoppo i loro uomini con l’ordine di conquistare
quella o quell’altra area. Il campo di battaglia sembrava quasi un lago nordico
punteggiato di isole”. Pian piano gli Alleati incontrarono resistenze
sempre più feroci: essendo avanzati così tanto, spostare in avanti armi e
rifornimenti era diventata una faccenda lenta, e nel frattempo erano cominciati
ad arrivare anche i rinforzi tedeschi. andarono perduti i primi carri armati e,
quando il tempo atmosferico migliorò, l’artiglieria tedesca ebbe visibilità
libera per infliggere danni ingenti ai lenti Mark V. Il 15 agosto Haig ordinò
di fermare l’offensiva.
La battaglia di Amiens
era finita, ma le sue implicazioni erano ovvie. Il 13 agosto l’Alto Comando
tedesco tenne una riunione top secret per cercare di capire che cosa era andato
storto. Come riportato dal capo dello stato maggiore, il feldmaresciallo Paul
von Hindenburg: “La pura mole di bottino
che il nemico può mostrare al mondo parla chiaro: allo stato attuale del nostro
esercito, se il nemico dovesse attaccare di nuovo con la medesima furia c’è la
possibilità concreta che la nostra capacità di resistere venga gradualmente
paralizzata”. E gli avvenimenti di Amiens si ripeterono per davvero: il 20
agosto gli Alleati lanciarono nuove offensiva a nord e a sud di Amiens, presso
Noyon e Bapaume. Ai primi di settembre l’esercito tedesco era in piena ritirata
dal Fronte occidentale: qualche unità resisteva ancora con fierezza, ma il
resto dell’esercito si era ormai dato per vinto e le diserzioni dilagavano sena
controllo. Entro l’11 novembre tutto sarebbe finito.
Articolo in gran parte
di Nick Lloyd Docente di storia imperiale e militare presso il King’s College
di Londra pubblicato su BBC History del mese di Ottobre 2018. Altri testi e
foto da Wikipedia.
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