L’amaro destino della corazzata Roma.
Per la tecnologia e gli armamenti era temuta da tutti. Ma non
riuscì mai a influire sulle sorti della guerra e fu colata facilmente a picco
dai tedeschi dopo l’armistizio.
La nave da battaglia Roma, con la livrea mimetica modello 1942 e l'ancora "a pennello", probabilmente nel porto della Spezia
La nave da battaglia Roma, con la livrea mimetica modello 1942 e l'ancora "a pennello", probabilmente nel porto della Spezia
Solo
un’arma del futuro poteva far finire in fondo al mare la Roma, orgoglio della
Regia Marina italiana, una corazzata dotata di equipaggiamenti tecnologicamente
fra i più avanzati per l’epoca. E così avvenne, visto che la possente nave da
battaglia fu affondata da una delle prime bombe “intelligenti” della storia. La
Roma infatti venne colata a picco il 9 settembre del 1943 nel tratto di mare
che divide la Sardegna dalla Corsica (solo nel 2012 un robot subacqueo ha
rivelato dove si trovasse effettivamente lo scafo che in molti avevano a lungo
cercato, filmandolo in un’impervia area delle Bocce di Bonifacio, a 1200 metri
di profondità e a 16 miglia dalle coste della Sardegna, presso il Golfo dell’Asinara).
L’8 settembre 1943, il giorno dell’Armistizio con le forze anglo-americane, le
squadre navali italiane ricevettero l’ordine di lasciare i porti in cui si trovavano
e dirigersi verso località controllate dagli anglo-americani, dove avrebbero
dovuto consegnarsi agli Alleati. Dopo che in un primo momento era stato anche
ipotizzato l’autoaffondamento delle unità più importanti, il gruppo capitanato
dalla Roma, di cui facevano parte anche la Vittorio Veneto e la Littorio (da
poco rinominata Italia) nonché numerose imbarcazioni minori, decise di salpare
immediatamente dalla Liguria. Per motivi mai del tutto chiariti le navi non
ottemperarono a tutte le richieste avanzate dalle clausole dell’Armistizio,
come quella di innalzare in segno di resa i pennelli neri del lutto sui pennoni
e disegnare dischi neri sulla tolda: la Roma – a bordo della quale si trovava
il Comandante di squadra, l’Ammiraglio Carlo Bergamini – preferì anzi
inalberare il Gran Pavese (un festone formato da bandierine che si stende da
poppa a prua). In un primo tempo la destinazione avrebbe dovuto essere la
Maddalena, ma la rotta fu cambiata nel corso del tragitto perché la base era
stata occupata dai tedeschi. la minaccia però non venne dagli anglo-americani,
che avrebbero potuto avere dubbi sulle scelte dei marinai italiani, fino ad
allora loro validi nemici, ma dagli ex alleati che presero di mira la flotta
italiana.
Il pannello di controllo del radar italiano EC3/ter "Gufo"
Caratteristiche
tecniche della Roma.
TIPO:
nave da battaglia.
CLASSE:
Littorio.
VARO:
9 giugno 1940.
ENTRATA
IN SERVIZIO: 14 giugno 1942
DISLOCAMENTO:
44050 t.
LUNGHEZZA:
240,7 m.
LARGHEZZA:
32,9 m.
PROPULSIONE:
8 caldaie vapore, 4 gruppi turbo riduttori, 4 eliche.
VELOCITA’:
31 nodi (57,4 km h).
EQUIPAGGIO:
120 ufficiali e 1800 marinai
SENSORI
DI BORDO: radar EC/ter “Gufo”
ARMAMENTO:
9 cannoni da 381/50 Mod. 1934 (tre torri trinate), 12 da 152/55 mm mod. 1936
(quatto torri trinate), 4 da 120 mm per il tiro illuminante, 12 per l’Antiaerea
da 90/50 mm mod. 1939 (12 torri singole); 16 mitragliere AntiAerea da 37/54
mm mod. 1932 (8 installazioni binate),
4 mitragliere AntiAerea da 37/54 mm mod. 1939 (4 installazioni singole), 28
AA da 20/65 mm mod. 1935 (14 installazioni binate)
CORAZZATURA:
350 mm (verticale), 150 mm (orizzontale sopra i depositi munizioni), 350 mm
(massimo per le artiglierie principali), 280 mm (massimo per le artiglierie
secondarie), 260 mm (torrione di comando).
MEZZI
AEREI: 3 tra IMAM Ro.43 e Reggiane Re.
2000.
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la bomba Ruhrstahl SD 1400
LA CACCIA E’ APERTA. Dall’aeroporto di
Istres, presso Marsiglia decollarono 28 bombardieri bimotori tedeschi Dornier
Do 271 K. Con l’obiettivo di trovare e colpire specificamente le corazzate
italiane. Nel primo pomeriggio, gli aerei individuarono le unità navali nel
tratto di mare tra la Corsica e la Sardegna. A loro volta le navi si accorsero
dei tedeschi, ma non aprirono il fuoco perché essi volavano a un’altitudine
superiore alla normale quota utilizzata per le operazioni di bombardamento. Nessuno
immaginava che quei bombardieri fossero dotati di un’arma tanto nuova quanto
segreta: la bomba a razzo teleguidata Ruhrstahl SD 1400, a cui poi gli Alleati,
che impararono a temerla, diedero il nomignolo di Fritz X. Questa bomba poteva
essere lanciata da una quota più alta – circa seimila metri – e da un’angolazione
diversa da quella utilizzata dalle normali bombe a caduta libera, dato che
disponeva appunto di una propulsione a razzo. La bomba da 1400 chilogrammi in
questione aveva una superiore capacità di perforazione delle corazze ed era
teleguidata sul bersaglio da impulsi che agivano sui timoni, inviati dal pilota
del bombardiere. Essa era in grado di colpire un bersaglio dopo aver percorso
autonomamente persino alcune decine di chilometri. Il primo colpo tedesco in
realtà mancò il bersaglio, cadendo a una cinquantina di metri dall’incrociatore
Eugenio di Savoia, senza provocare danni. Un secondo missile bloccò solo
temporaneamente il timone della Littorio. E a vuoto andarono anche le prime
bombe lanciate contro la Roma. Ma le Fritz X che seguirono infersero ferite
mortali. Alle 15,47 una prima bomba perforante le trapassò lo scafo e mise
fuori uso due delle quattro eliche. La corazzata si trovò così a dover
procedere a velocità limitata, ma era ancora in grado di proseguire. Sette minuti
dopo, però, una seconda bomba centrò la zona di del torrione di comando investendo
con una terribile fiammata: è probabile che il comandante Adone Del Cima, l’ammiraglio
Bergamini e tutto il loro stato maggiore siano morti sul colpo. La nave si
spezzò in due, poi si inclinò su un fianco, e in appena 28 minuti colò a picco.
Dei 1849 uomini dell’equipaggio, 1253 persero la vita, mentre gli altri furono
soccorsi dalle navi della squadra e condotti in salvo alle Isole Baleari.
L'ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, comandante delle forze navali da battagliadella Regia Marina.
Le altre
corazzate.
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CLASSE CAIO
DUILIO.
NAVI CAIO
DUILIO E ANDREA DORIA.
la Caio Duilio
Varate
nel 1913 e poco impiegate durante la Prima guerra mondiale, le corazzate
della Classe Duilio furono le gemelle Caio Duilio e Andrea Doria. Dovevano essere
radiate, ma visto i limiti imposti alle Marine militari dal trattato navale
di Washington si preferì riutilizzare e così furono radicalmente rimodernate
tra il 1937 e il 1940, tanto nello scafo quanto nelle sovrastrutture, in modo
da ottenere un potenziamento del 250 per cento del motore e un rafforzamento
radicale dell’armamento (trasformazione dei cannoni da 305 mm in 320 mm,
incremento dei cannoni dell’armamento secondario e aggiunta dei cannoni
anti-aerei). Nel dopoguerra furono le uniche due corazzate lasciate in forza
alla Marina italiana. Tra il 1957 e il 1951 furono entrambe demolite.
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CLASSE CONTE
DI CAVOUR.
NAVI CONTE DI
CAVOUR E GIULIO CESARE.
conte di Cavour
La
Conte di Cavour non partecipò a nessuna missione della Grande Guerra, ma con
la gemella Giulio Cesare e la Duilo nel 1923 attaccò l’isola di Corfù. Negli
anni 20 subì lavori di ammodernamento, ma nel 1928 fu posta in disarmo
assieme alla gemella Giulio Cesare. Nel 1933 le due unità vennero riattivate
e subirono lavori radicali, per rientrare in servizio con cannoni e motore
più potenti nel 1937. Nel 1939 parteciparono all’invasione dell’Albania. Allo
scoppio della guerra la Cavour prese parte alla battaglia di Punta Stilo. Fu poi
danneggiata nel porto di Taranto e nel 1945 a Trieste la nave fu bombardata dagli Alleat. La Giulio
Cesare fu, invece, ceduta ai sovietici come parziale rimborso per i danni di
guerra.
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LITTORIO.
La
Littorio fu la corazzata che diede il nome alla classe di cui facevano parte
anche la Roma e la Vittorio Veneto. Nella Notte di Taranto, l’11 novembre
1940, fu colpita da siluri britannici e danneggiata, ma fu riparata in sei
mesi. Partecipò nel 1942 alla seconda battaglia della Sirte mietendo i
maggiori successi grazie ai suoi potenti cannoni e poco dopo fu coinvolta
nella battaglia di Mezzo Giugno durante la quale fu nuovamente danneggiata.
Nell’aprile
1943 venne raggiunta a La Spezia da un bombardamento Alleato. Nonostante questo
rimase l’unica corazzata disponibile per la Marina italiana, e venne ribattezzata
Italia.
Dopo
l’Armistizio riparò prima a Malta e poi in Egitto. Rientrata nel 1947,
nonostante i tentativi del nostro Paese di salvarla, fu demolita in base alle
clausole di pace.
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VITTORIO
VENETO.
Durante
la Seconda guerra mondiale fu la corazzata più attiva in missioni di guerra e
di caccia al nemico. Nella Battaglia di Capo Teulada mise in fuga sette
incrociatori britannici nel 1941 partecipò allo scontro di Gaudo, dove fu
colpita e immobilizzata da attacchi aerei nemici. Il tentativo di soccorrerla
generò la battaglia di Capo Matapan e la relativa sconfitta italiana. Dopo pochi
mesi rientrò in servizio ma a dicembre fu raggiunta da un siluro che la
costrinse a nuovi lavori. Nel 1943 fu seriamente danneggiata da un bombardamento
anglo-americano su La Spezia, e dopo l’8 settembre si trasferì a Malta e poi
in Egitto. Tornata in Italia fu demolita a partire dal 1948.
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LA FINE DI UN VANTO. Si concludeva così la
vita della nave orgoglio della Regia marina. La Roma era stata varata nelle ore
precedenti alla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, ma entrò in
servizio solo nel 1942. Ideata dall’ingegnere Umberto Pugliese, padre della
Classe Littorio, esprimeva il punto più alto della tecnologia navale italiana,
e univa una possente stazza a una valida velocità: nei suoi viaggi di
trasferimento registrò il record mondiale per una corazzata, superando i 32
nodi. Per realizzarla era stato messo in campo il meglio dei progressi nella
metallurgia, nell’elettronica, nella meccanica, nella balistica e in ogni altro
settore necessario alla costruzione di una grande nave da guerra e al suo
funzionamento. Persino gli interni della corazzata erano stati curati in ogni
dettagli, con alloggi comodi, un ospedale molto attrezzato, una mensa moderna e
anche una lavanderia e stireria. Fu una delle poche unità navali equipaggiate
con il radar Gufo. Era poi stato progettato un sofisticato e originale sistema
di protezione subacquea che mirava a distribuire lungo tutto lo scafo l’effetto
di eventuali esplosioni tramite l’inserimento di grossi cilindri riempiti d’acqua
in intercapedini tra lo scafo interno e la murata esterna (Cilindri Pugliese),
un sistema che però non fu mai messo alla prova. Altro elemento di grande
valore era l’armamento, composto da cannoni realizzati in Italia, alcuni dei
quali dotati di un meccanismo che annullava il rollio mantenendo sempre
orizzontale la superficie d’appoggio del pezzo. I nove cannoni da 381/50,
montati in tre torri trinate corazzate, avevano una gittata massima di 42,8
chilometri, superiore ai cannoni equivalenti delle altre marine e persino a
quelli di calibro maggiore. E sparavano proiettili da 885 chili, più grandi di
quelli inglesi o di quelli tedeschi della Bismarck. Una potenza che non ebbe
mai modo di essere messa alla prova in battaglia. la Roma non affrontò mai uno
scontro navale con unità avversarie. Il destino di questo maestoso gioiello fu
quello di essere colato a picco con un’arma inedita, fino ad allora
sconosciuta, che in pochi minuti rese obsoleto tutto l’orgoglio tecnologico
italiano.
Articolo in gran parte
di Osvaldo Baldacci pubblicato su Storie di guerre e guerrieri n. 21 – altri testi
e immagini da Wikipedia.
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