sabato 2 marzo 2019

L’amaro destino della corazzata Roma.


L’amaro destino della corazzata Roma.
Per la tecnologia e gli armamenti era temuta da tutti. Ma non riuscì mai a influire sulle sorti della guerra e fu colata facilmente a picco dai tedeschi dopo l’armistizio.


La nave da battaglia Roma, con la livrea mimetica modello 1942 e l'ancora "a pennello", probabilmente nel porto della Spezia
La nave da battaglia Roma, con la livrea mimetica modello 1942 e l'ancora "a pennello", probabilmente nel porto della Spezia

Solo un’arma del futuro poteva far finire in fondo al mare la Roma, orgoglio della Regia Marina italiana, una corazzata dotata di equipaggiamenti tecnologicamente fra i più avanzati per l’epoca. E così avvenne, visto che la possente nave da battaglia fu affondata da una delle prime bombe “intelligenti” della storia. La Roma infatti venne colata a picco il 9 settembre del 1943 nel tratto di mare che divide la Sardegna dalla Corsica (solo nel 2012 un robot subacqueo ha rivelato dove si trovasse effettivamente lo scafo che in molti avevano a lungo cercato, filmandolo in un’impervia area delle Bocce di Bonifacio, a 1200 metri di profondità e a 16 miglia dalle coste della Sardegna, presso il Golfo dell’Asinara). L’8 settembre 1943, il giorno dell’Armistizio con le forze anglo-americane, le squadre navali italiane ricevettero l’ordine di lasciare i porti in cui si trovavano e dirigersi verso località controllate dagli anglo-americani, dove avrebbero dovuto consegnarsi agli Alleati. Dopo che in un primo momento era stato anche ipotizzato l’autoaffondamento delle unità più importanti, il gruppo capitanato dalla Roma, di cui facevano parte anche la Vittorio Veneto e la Littorio (da poco rinominata Italia) nonché numerose imbarcazioni minori, decise di salpare immediatamente dalla Liguria. Per motivi mai del tutto chiariti le navi non ottemperarono a tutte le richieste avanzate dalle clausole dell’Armistizio, come quella di innalzare in segno di resa i pennelli neri del lutto sui pennoni e disegnare dischi neri sulla tolda: la Roma – a bordo della quale si trovava il Comandante di squadra, l’Ammiraglio Carlo Bergamini – preferì anzi inalberare il Gran Pavese (un festone formato da bandierine che si stende da poppa a prua). In un primo tempo la destinazione avrebbe dovuto essere la Maddalena, ma la rotta fu cambiata nel corso del tragitto perché la base era stata occupata dai tedeschi. la minaccia però non venne dagli anglo-americani, che avrebbero potuto avere dubbi sulle scelte dei marinai italiani, fino ad allora loro validi nemici, ma dagli ex alleati che presero di mira la flotta italiana.

Il pannello di controllo del radar italiano EC3/ter "Gufo"


Caratteristiche tecniche della Roma.
TIPO: nave da battaglia.
CLASSE: Littorio.
VARO: 9 giugno 1940.
ENTRATA IN SERVIZIO: 14 giugno 1942
DISLOCAMENTO: 44050 t.
LUNGHEZZA: 240,7 m.
LARGHEZZA: 32,9 m.
PROPULSIONE: 8 caldaie vapore, 4 gruppi turbo riduttori, 4 eliche.
VELOCITA’: 31 nodi (57,4 km h).
EQUIPAGGIO: 120 ufficiali e 1800 marinai
SENSORI DI BORDO: radar EC/ter “Gufo”
ARMAMENTO: 9 cannoni da 381/50 Mod. 1934 (tre torri trinate), 12 da 152/55 mm mod. 1936 (quatto torri trinate), 4 da 120 mm per il tiro illuminante, 12 per l’Antiaerea da 90/50 mm mod. 1939 (12 torri singole); 16 mitragliere AntiAerea da 37/54 mm  mod. 1932 (8 installazioni binate), 4 mitragliere AntiAerea da 37/54 mm mod. 1939 (4 installazioni singole), 28 AA da 20/65 mm mod. 1935 (14 installazioni binate)
CORAZZATURA: 350 mm (verticale), 150 mm (orizzontale sopra i depositi munizioni), 350 mm (massimo per le artiglierie principali), 280 mm (massimo per le artiglierie secondarie), 260 mm (torrione di comando).
MEZZI AEREI: 3 tra IMAM Ro.43  e Reggiane Re. 2000.


la bomba Ruhrstahl SD 1400

LA CACCIA E’ APERTA. Dall’aeroporto di Istres, presso Marsiglia decollarono 28 bombardieri bimotori tedeschi Dornier Do 271 K. Con l’obiettivo di trovare e colpire specificamente le corazzate italiane. Nel primo pomeriggio, gli aerei individuarono le unità navali nel tratto di mare tra la Corsica e la Sardegna. A loro volta le navi si accorsero dei tedeschi, ma non aprirono il fuoco perché essi volavano a un’altitudine superiore alla normale quota utilizzata per le operazioni di bombardamento. Nessuno immaginava che quei bombardieri fossero dotati di un’arma tanto nuova quanto segreta: la bomba a razzo teleguidata Ruhrstahl SD 1400, a cui poi gli Alleati, che impararono a temerla, diedero il nomignolo di Fritz X. Questa bomba poteva essere lanciata da una quota più alta – circa seimila metri – e da un’angolazione diversa da quella utilizzata dalle normali bombe a caduta libera, dato che disponeva appunto di una propulsione a razzo. La bomba da 1400 chilogrammi in questione aveva una superiore capacità di perforazione delle corazze ed era teleguidata sul bersaglio da impulsi che agivano sui timoni, inviati dal pilota del bombardiere. Essa era in grado di colpire un bersaglio dopo aver percorso autonomamente persino alcune decine di chilometri. Il primo colpo tedesco in realtà mancò il bersaglio, cadendo a una cinquantina di metri dall’incrociatore Eugenio di Savoia, senza provocare danni. Un secondo missile bloccò solo temporaneamente il timone della Littorio. E a vuoto andarono anche le prime bombe lanciate contro la Roma. Ma le Fritz X che seguirono infersero ferite mortali. Alle 15,47 una prima bomba perforante le trapassò lo scafo e mise fuori uso due delle quattro eliche. La corazzata si trovò così a dover procedere a velocità limitata, ma era ancora in grado di proseguire. Sette minuti dopo, però, una seconda bomba centrò la zona di del torrione di comando investendo con una terribile fiammata: è probabile che il comandante Adone Del Cima, l’ammiraglio Bergamini e tutto il loro stato maggiore siano morti sul colpo. La nave si spezzò in due, poi si inclinò su un fianco, e in appena 28 minuti colò a picco. Dei 1849 uomini dell’equipaggio, 1253 persero la vita, mentre gli altri furono soccorsi dalle navi della squadra e condotti in salvo alle Isole Baleari.

L'ammiraglio di squadra Carlo Bergamini, comandante delle forze navali da battagliadella Regia Marina.

Le altre corazzate.

CLASSE CAIO DUILIO.
NAVI CAIO DUILIO E ANDREA DORIA.
Nave Duilio modifica.jpg
la Caio Duilio 

Varate nel 1913 e poco impiegate durante la Prima guerra mondiale, le corazzate della Classe Duilio furono le gemelle Caio Duilio e Andrea Doria. Dovevano essere radiate, ma visto i limiti imposti alle Marine militari dal trattato navale di Washington si preferì riutilizzare e così furono radicalmente rimodernate tra il 1937 e il 1940, tanto nello scafo quanto nelle sovrastrutture, in modo da ottenere un potenziamento del 250 per cento del motore e un rafforzamento radicale dell’armamento (trasformazione dei cannoni da 305 mm in 320 mm, incremento dei cannoni dell’armamento secondario e aggiunta dei cannoni anti-aerei). Nel dopoguerra furono le uniche due corazzate lasciate in forza alla Marina italiana. Tra il 1957 e il 1951 furono entrambe demolite.
CLASSE CONTE DI CAVOUR.
NAVI CONTE DI CAVOUR E GIULIO CESARE.
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conte di Cavour

La Conte di Cavour non partecipò a nessuna missione della Grande Guerra, ma con la gemella Giulio Cesare e la Duilo nel 1923 attaccò l’isola di Corfù. Negli anni 20 subì lavori di ammodernamento, ma nel 1928 fu posta in disarmo assieme alla gemella Giulio Cesare. Nel 1933 le due unità vennero riattivate e subirono lavori radicali, per rientrare in servizio con cannoni e motore più potenti nel 1937. Nel 1939 parteciparono all’invasione dell’Albania. Allo scoppio della guerra la Cavour prese parte alla battaglia di Punta Stilo. Fu poi danneggiata nel porto di Taranto e nel 1945 a Trieste la nave  fu bombardata dagli Alleat. La Giulio Cesare fu, invece, ceduta ai sovietici come parziale rimborso per i danni di guerra.  
LITTORIO.
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La Littorio fu la corazzata che diede il nome alla classe di cui facevano parte anche la Roma e la Vittorio Veneto. Nella Notte di Taranto, l’11 novembre 1940, fu colpita da siluri britannici e danneggiata, ma fu riparata in sei mesi. Partecipò nel 1942 alla seconda battaglia della Sirte mietendo i maggiori successi grazie ai suoi potenti cannoni e poco dopo fu coinvolta nella battaglia di Mezzo Giugno durante la quale fu nuovamente danneggiata.
Nell’aprile 1943 venne raggiunta a La Spezia da un bombardamento Alleato. Nonostante questo rimase l’unica corazzata disponibile per la Marina italiana, e venne ribattezzata Italia.
Dopo l’Armistizio riparò prima a Malta e poi in Egitto. Rientrata nel 1947, nonostante i tentativi del nostro Paese di salvarla, fu demolita in base alle clausole di pace.  
VITTORIO VENETO.
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Durante la Seconda guerra mondiale fu la corazzata più attiva in missioni di guerra e di caccia al nemico. Nella Battaglia di Capo Teulada mise in fuga sette incrociatori britannici nel 1941 partecipò allo scontro di Gaudo, dove fu colpita e immobilizzata da attacchi aerei nemici. Il tentativo di soccorrerla generò la battaglia di Capo Matapan e la relativa sconfitta italiana. Dopo pochi mesi rientrò in servizio ma a dicembre fu raggiunta da un siluro che la costrinse a nuovi lavori. Nel 1943 fu seriamente danneggiata da un bombardamento anglo-americano su La Spezia, e dopo l’8 settembre si trasferì a Malta e poi in Egitto. Tornata in Italia fu demolita a partire dal 1948.

LA FINE DI UN VANTO. Si concludeva così la vita della nave orgoglio della Regia marina. La Roma era stata varata nelle ore precedenti alla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, ma entrò in servizio solo nel 1942. Ideata dall’ingegnere Umberto Pugliese, padre della Classe Littorio, esprimeva il punto più alto della tecnologia navale italiana, e univa una possente stazza a una valida velocità: nei suoi viaggi di trasferimento registrò il record mondiale per una corazzata, superando i 32 nodi. Per realizzarla era stato messo in campo il meglio dei progressi nella metallurgia, nell’elettronica, nella meccanica, nella balistica e in ogni altro settore necessario alla costruzione di una grande nave da guerra e al suo funzionamento. Persino gli interni della corazzata erano stati curati in ogni dettagli, con alloggi comodi, un ospedale molto attrezzato, una mensa moderna e anche una lavanderia e stireria. Fu una delle poche unità navali equipaggiate con il radar Gufo. Era poi stato progettato un sofisticato e originale sistema di protezione subacquea che mirava a distribuire lungo tutto lo scafo l’effetto di eventuali esplosioni tramite l’inserimento di grossi cilindri riempiti d’acqua in intercapedini tra lo scafo interno e la murata esterna (Cilindri Pugliese), un sistema che però non fu mai messo alla prova. Altro elemento di grande valore era l’armamento, composto da cannoni realizzati in Italia, alcuni dei quali dotati di un meccanismo che annullava il rollio mantenendo sempre orizzontale la superficie d’appoggio del pezzo. I nove cannoni da 381/50, montati in tre torri trinate corazzate, avevano una gittata massima di 42,8 chilometri, superiore ai cannoni equivalenti delle altre marine e persino a quelli di calibro maggiore. E sparavano proiettili da 885 chili, più grandi di quelli inglesi o di quelli tedeschi della Bismarck. Una potenza che non ebbe mai modo di essere messa alla prova in battaglia. la Roma non affrontò mai uno scontro navale con unità avversarie. Il destino di questo maestoso gioiello fu quello di essere colato a picco con un’arma inedita, fino ad allora sconosciuta, che in pochi minuti rese obsoleto tutto l’orgoglio tecnologico italiano.

Articolo in gran parte di Osvaldo Baldacci pubblicato su Storie di guerre e guerrieri n. 21 – altri testi e immagini da Wikipedia.

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