La presa di Tiro.
Il capolavoro di
Alessandro.
Capacità
ingegneristiche, visione strategica, abilità tattica e una buona dose di
azzardo: solo in questo modo Alessandro Magno riuscì ad avere la meglio
sull’ostinata resistenza di Tiro tra il gennaio e il luglio del 332 a.C.
Un’impresa titanica, che a distanza di secoli non smette di stupire.
Assedio di Tiro parte della campagna persiana di Alessandro Magno | |||
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Assedio di Tiro | |||
Data | gennaio-luglio 332 a.C. | ||
Luogo | Tiro, Libano | ||
Esito | vittoria macedone | ||
Schieramenti | |||
Comandanti | |||
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Perdite | |||
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L'assedio di Tiro fu svolto dai soldati di Alessandro Magno, durante la sua conquista dell'impero persiano, nel 332 a.C. L'esercito macedone non fu in grado di catturare la città, che era un punto strategico per il controllo del mar Mediterraneo, con una semplice battaglia dato che la città in parte ergeva presso un'isola ben fortificata e di difficile conquista. Alessandro allora bloccò il porto e circondò la città, assediandola per sette mesi e conquistandola grazie alla costruzione di un terrapieno che gli permise di oltrepassare le fortificazioni.
Gli storici narrano che Alessandro si arrabbiò profondamente alla strenua difesa dei Tirii e, una volta conquistata la città, ne rase al suolo metà di questa. Secondo Arriano, 8 000 cittadini furono uccisi dopo la caduta di Tiro, anche se Alessandro risparmiò chi si era rifugiato nei templi, tra cui c'erano il re di Tiro, Azemilco, e la sua famiglia.
Il
5 novembre del 333 a.C. nella piana di Isso, uno stretto lembo di terra chiuso
tra le montagne e il Mediterraneo oggi al confine tra Turchia e Siria, andò in
scena uno dei capolavori tattici di Alessandro Magno. Per quanto in forte
inferiorità numerica, il grande condottiero seppe manovrare le sue truppe in
maniera così geniale ed efficace da non lasciare scampo all’esercito persiano
che aveva di fronte. Uno sconcertato Dario III, Re dei Re e signore del più vasto
impero che si fosse mai visto, riuscì a salvarsi a stento, ben conscio comunque
che la parte occidentale dei suoi smisurati possedimenti era alla mercé del
nemico. A quel punto il macedone, nell’ottica di sfruttare appieno il successo
ottenuto, avrebbe potuto puntare rapidamente a oriente, incalzando il rivale
per impedirgli di riorganizzarsi e assetargli il colpo di grazia. Ma una serie
di valutazioni strategiche lo trattennero, almeno momentaneamente, dal mettere
in atto un simile piano.
Tiro, ieri e oggi.
Tiro vista da un aeroplano nel 1934
Tiro oggi è una cittadina del
Libano meridionale, collegata alla terraferma da un istmo sabbioso, eppure
all’epoca di Alessandro era una delle più formidabili strutture difensive
della regione, ritenuta quasi imprendibile per la sua posizione insulare e le
possenti opere difensive che la circondavano integralmente. La presenza di
una potente flotta da guerra, inoltre, la rendeva un obiettivo proibitivo per
qualsiasi esercito, in particolare se sprovvisto di navi da combattimento.
Eppure, nonostante le enormi difficoltà, le truppe macedoni riuscirono in
questo compito dopo quasi sette mesi di latta senza quartiere.
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L’AFFRONTO DI AZEMILCO. Se infatti l’Asia
Minore era ormai nelle sue mani, l’intera fascia siro-palestinese e l’Egitto
erano ancora nominalmente sotto il controllo nemico. A preoccupare Alessandro,
in particolare, era la potente flotta a disposizione dei fenici che, in caso di
un’azione congiunta, avrebbe potuto tagliare le linee di collegamento con la
Penisola ellenica, interrompendo quel flusso di rifornimenti (uomini e mezzi)
assolutamente vitali per il proseguo del conflitto. Uno scenario allarmante del
quale l’intero corpo di ufficiali al seguito, dopo un concitato consiglio di
guerra, fu messo al corre. Ricorda lo storico Arriano: “Vedo che per noi il passaggio in Egitto non è sicuro, poiché i
persiani hanno il dominio del mare; quanto poi inseguire Dario lasciandoci alle
spalle proprio l’infida città dei tiri e l’Egitto e Cipro che sono in mano
persiana, neppure questo mi pare sicuro (…). C’è ragione infatti di temere che
i persiani, ripreso il dominio delle regioni sul mare, dopo che noi siamo
avanzati con l’esercito contro Babilonia e Dario, con una flotta più forte
spostino la guerra in Grecia”. Dopo aver mandato messaggeri ad accertarsi
della fedeltà delle città stato fenice, Alessandro fu inizialmente rassicurato
dal fatto che la maggior parte di loro si era dimostrata conciliante, in parte
per paura di ritorsioni, in parte perché stanche della dominazione achemenide. Ma
l’entusiasmo si spense quando gli fu riferita la posizione di Tiro, la più
potente tra loro: Alessandro era il benvenuto, dissero gli ambasciatori, ma non
sarebbe stato consentito ad alcun soldato macedone di accedere all’interno
delle mura cittadine. Su questo aspetto il re Azemilco si dimostrò risoluto e
non ci furono ultori margini di trattativa. Per il giovane e orgoglioso
condottiero si trattò di un affronto gravissimo. Colto da un furibondo attacco
d’ira, e senza pensare alle possibili conseguenza della sua scelta, diede
immediatamente disposizione all’esercito di mettere in atto tutti i preparativi
per attaccare la riottosa città. L’assedio, che si sarebbe materializzato nei
mesi successivi, dal gennaio al luglio del 332 a.C., può essere considerato una
delle pagine più notevoli dell’intero conflitto contro la Persia e della storia
militare di tutti i tempi.
Un’impresa che ha
dell’incredibile se teniamo conto che Tiro, per i contemporanei, era
considerata una piazzaforte pressoché inespugnabile. il perché lo spiega
chiaramente Arriano: “La città era
un’isola ed era fortificata da ogni parte da alte mura e riguardo al mare il
vantaggio allora sembrava essere dalla parte dei Tirii, perché (…) ancora
dominavano il mare”.
Un'azione navale durante l'assedio, di André Castaigne, 1888-1889.
L’assedio in sei fasi.
1-
Se il primo molo fu distrutto, il
secondo, costruito a poca distanza, fu invece portato a termine. Vi furono
caricate macchine d’assedio, ma non ebbero un ruolo determinante nella presa
della città.
2-
Macchine ossidionali imbarcate su
navi, predisposte per tale compito, furono impiegate per spazzare gli spalti
delle mura e consentire il lavoro di costruzione del secondo molo.
3-
I due porti a nord e a sud, una volta che
Alessandro ebbe a disposizione una flotta, furono bloccati, mentre le navi
tirie si schierarono alla loro imboccatura per evitare qualsiasi
infiltrazione nemica.
4-
Alessandro diede ordine che le navi
con a bordo macchine da lancio operassero su più lati dell’isola per testare
le difese nemiche e tenere sotto pressione i difensori.
5-
Prima dell’attacco definitivo, nei
pressi dell’isola di Ercole furono messe in atto tutta una serie di azioni
diversive per confondere il nemico.
6-
L’apertura di una breccia nelle mura
avvenne nell’estremità sud dell’isola di Ercole, dove ci si accorse che
l’apparato difensivo era più debole. Da qui le truppe macedoni riuscirono
finalmente a entrare in città.
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UN’OPERA CICLOPICA. In sostanza Alessandro
si trovava nella non facile condizione di dover assediare un’isola fortificata,
per quanto a breve distanza dal litorale (ottocento metri), senza neppure
disporre di una flotta. Come affrontare quello che sembrava un vero e proprio
rompicapo? Gli ingegneri che il sovrano aveva portato al seguito elaborarono
una prima possibile soluzione: le prospezioni individuarono un istmo sabbioso a
pochi metri di profondità (Arriano parla di due metri nella parte a ridosso
della costa) che avrebbe potuto essere sfruttato per realizzare un terrapieno
su cui far passare le macchine d’assedio. Alessandro rimase entusiasta all’idea
e ordinò che i soldati iniziassero i lavoro a ritmo serrato, impiegando legname
e pietre che si trovavano abbondanti nella zona (ancora oggi è possibile
osservare ciò che resta di quest’opera imponente). E in effetti durante le
prime settimane di gennaio del 332 a.C. le operazioni andarono spedite, fanno
sperare in una rapida conclusione. Ma fu solo un’illusione. Le prime difficoltà
si materializzarono quando il fondale incominciò a scendere rapidamente e i
Tirii, sempre più consapevoli della minaccia incombente reagirono con feroce
determinazione, martellando i nemici con armi da lancio e attaccandoli con
rapide sortite dal mare. Scrive Arriano: “I
fanti macedoni fatti oggetto di lancio dall’alto delle mura subirono danni,
anche perché erano stati equipaggiati(…) per il lavoro più che per la
battaglia, e i Tirii intorno al molo (…) in più modi rendevano impossibile ai
macedoni la gettata”. Per cercare di arrestare lo stillicidio, Alessandro
diede ordine che venissero realizzate due enormi torri di legno, protette da
strisce di cuoio e pelli (per evitare che le frecce infuocate le
danneggiassero), da installare alle estremità del molo. Equipaggiate con
macchine belliche, fin da subito riuscirono ad arrestare le puntate avversarie.
Ma i macedoni non poterono cullarsi a lungo del successo. I Tirii infatti
escogitarono un ingegnoso stratagemma per controbattere alla mossa: scelta una
nave da trasporto, la riempierono di legname, zolfo e pece, e altre sostanze
infiammabili, quindi appesero alcuni calderoni d’olio sulle cime dei pennoni,
perché il loro contenuto, una volta caduto sul ponte, innescasse un terribile
incendio. Attesero che il vento spirasse verso terra e come scrive Arriano: “quando ormai furono vicini al molo e alle
torri, avendo dato fuoco al legname e insieme trascinando a tutta forza con le
triremi la nave, la spinsero sulla punta del molo; quelli sulla nave che brucia
vasi erano ormai salvati a nuovo facilmente. Intanto la violenta fiammata
investiva le torri e le antenne spezzate versarono sul fuoco il materiale
preparato per attizzare la fiamma”. Ma era solo l’inizio: con le torri
ormai in fiamme, parte dei difensori salirono su piccole imbarcazioni e
assaltarono il terrapieno in diversi punti, riuscendo a sradicare la palizzata
che lo teneva insieme. Il lavoro di settimane fu così vanificato in poche ore.
NAVI A TUTTI I COSTI. Per lo stupefatto e
impotente Alessandro fu un colpo durissimo che lo fece sprofondare nello
sconforto. Dopo attente riflessioni, capì che la strategia messa in atto non
avrebbe mai avuto successo, finché non avesse potuto disporre di una flotta con
cui controbattere all’iniziativa avversaria. Per tale ragione non esitò, mentre
i suoi erano impegnati nella costruzione di un secondo molo, a raggiungere la
vicina città a Sidone, che disponeva di un certo numero di navi alla fonda, per
chiedere aiuto al re locale. Il loro numero non avrebbe potuto cambiare il
rapporto di forze in campo, ma quando arrivò a destinazione venne a sapere che
le altri città fenice della regione – Biblo e Arado in particolare – si erano
schierate dalla sua parte, mettendo a disposizione un’ottantina di navi. Ma non
era tutto: si scoprì inoltre che anche il re di Cipro avrebbe fornito altri
centoventi legni. Nel complesso Alessandro si trovò quindi a disporre di oltre
duecento vascelli, fattore che gli garantiva una netta superiorità
sull’avversario. Dopo aver trascorso alcuni giorni nei preparativi, salpò
dunque con l’intera flotta, navigando in assetto da combattimento verso Tiro,
nella speranza che il nemico uscisse per dare battaglia. ma non andò così. I
Tirii, resisi conto della loro inferiorità, presero l’unica decisione possibile: schierare in
massa le proprie imbarcazioni da guerra all’imboccatura dei due porti (uno a
nord, l’altro a sud dell’isola) per evitare che la flotta di Alessandro potesse
penetrarvi; inoltre, aspettando il momento propizio, misero in atto una serie
di rapidi contrattacchi per eliminare le imbarcazioni che si avvicinavano troppo,
affondandone un certo numero. Ancora una volta per Alessandro fu necessario
ingegnarsi per mettere in atto opportune contromisure. Dopo aver dato
disposizione alle navi cipriote di schierarsi di fronte al porto settentrionale
e a quelle fenicie nel settore opposto, ordinò di imbarcare gli arieti e le
macchine d’assedio su alcune chiatte da trasporto e portarle a ridosso delle
mura con l’intento di aprire una breccia nel sistema difensivo. Anche in questo
caso però i Tirii avevano già previsto tutto, immergendo a pochi metri dalla
riva pesanti blocchi di pietra a pelo che impedirono alle imbarcazioni di
avvicinarsi. Ai macedoni non restò quindi che intraprendere uno spossante
lavoro di dragaggio del fondale, ricorrendo a enormi argani, che alla fine permisero
di rimuovere gli ostacoli sottomarini. Solo allora le macchine furono condotte
a ridosso delle mura nemiche. Intuendo la gravità della mossa, i Tirii
reagirono con decisione inviando nuotatori provetti per tagliare le corde
d’ormeggio delle chiatte, finché Alessandro non ordinò che fossero sostituite
da pesanti catene di ferro. Per tutta risposta gli assediati cercarono di
forzare il blocco di fronte all’imboccatura presidiata dalla flotta cipriota
per cercare di cambiare il corso della battaglia; e ci sarebbero riusciti
probabilmente se Alessandro non si fosse accorto della manovra, accorrendo con
tutte le navi che aveva a disposizione. Circumnavigando l’isola alla massima
velocità possibile, il macedone riuscì a cogliere di sorpresa parte delle imbarcazioni
nemiche: alcune furono rapide nell’invertire la rotta, altre invece furono
catturate, mentre gli equipaggi riuscirono a prendere terra gettandosi in mare.
Torri d’assedio imbarcate.
Un assedio contro un poderoso
sistema difensivo è già di per sé un compito complesso sula terraferma,
immaginiamoci in mare. Ecco perché la presa macedone di Tiro del 332 a.C. non
è solo una delle tante imprese di Alessandro, ma un esempio leggendario di
come sia stato possibile utilizzare le tecnologie disponibili a quel tempo
con il massimo profitto. A prescindere dalla costruzione dell’imponente
terrapieno, che dalla riva arrivò a lambire le mura orientali dell’isola,
l’elemento davvero innovativo fu l’impiego di torri ossidionali imbarcate su
navi o all’occorrenza chiatte. In alcuni casi, fu necessario edificare enormi
strutture poggiate su due scafi affiancati e tenuti insieme da travi fissate
alla chiglia per garantire il massimo livello di stabilità. Una volta che
queste strutture venivano trainate in prossimità dell’obiettivo, si procedeva
ad ancorarle con funi o catene per assicurarsi che si muovessero il meno
possibile. Era chiaro, come effettivamente avvenne che queste opere
ingegneristiche avrebbero potuto operare solo con il mare calmo. A livello
operativo in genere venivano utilizzate per spazzare le difese nemiche e
indebolirle con l’impiego di lunghi arieti o balliste. Se le operazioni
avevano successo e si riusciva ad aprire una breccia delle mura, a quel punto
era possibile una breccia nelle mura, a quel punto era possibile gettare una
passerella di legno per permettere alla fanteria di entrare nel dispositivo
difensivo avversario.
L’interno della torre ospitava
arieti o lancia dardi che sparavano fuoco tramite feritoie. Sugli spalti
della torre si posizionavano arcieri e frombolieri per bersagliare le mura
nemiche. Su ogni lato dell’imbarcazione era presente un ordine di remi per la
manovra. Gli scafi per alloggiare le torri d’assedio era necessario unire gli
scafi di due vascelli (mercantili o triremi da guerra)
LA LANCIA DARDI. Quando
Alessandro si trovò di fronte l’ostacolo di Tiro, pare avesse già a
disposizione un vasto e collaudato parto di armi da lancio. Secondo le
informazioni a nostra disposizione, sarebbe stato il padre, Filippo II, che
lo precedette al trono, a sviluppare quest’arte che i greci avevano già
portato a un ottimo livello tecnico. Filippo si attivò perché tra le file del
suo esercito fosse presente un reparto di artiglieri dedicato esclusivamente
alla progettazione e al perfezionamento di questi dispositivi da impiegare in
operazioni d’assedio. Una delle più diffuse ed efficaci era denominata
oxybeles, ovvero “lancia dardi”, e utilizzava lo stesso principio di una
moderna balestra. Montata su un robusto treppiede, aveva un rudimentale
meccanismo che permetteva di modificarne l’alzo e calcolare con precisione il
tiro. Il dardo era alloggiato in una scanalatura ricavata in un asse di legno
mobile che scorreva su una guida ed era azionato da un arco che veniva teso
ricorrendo a un meccanismo a gancio messo in funzione da due genieri. Secondo
alcune stime, basate su moderne repliche, era in grado di raggiungere una
gittata di almeno trecento metri.
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L’ASSALTO FINALE. Quest’ultima incursione
– erano ormai i primi di luglio – aveva ridotto drasticamente il potenziale
navale tirio. Per Alessandro non fu difficile a quel punto procedere con il
martellamento delle difese grazie alle macchine ossidionali, attaccando sia dal
mare (nel settore nord dell’isola) che lungo il molo artificiale. Eppure i primi
tentativi si dimostrarono decisamente infruttuose per la solidità e lo spessore
delle mura. Le cose cominciarono a migliorare solo nei giorni successivi quando
il settore meridionale, in prossimità dell’isolotto di Ercole, mise in luce
preoccupanti segni di debolezza strutturale: per la priva volta fu possibile
aprire una piccola breccia e gettare alcune passerelle per testare le difese
nemiche (per l’esiguità delle forze l’attacco fu comunque rintuzzato dagli
assediati). La svolta era comunque nell’aria: due giorni dopo infatti, con il
mare calmo, Alessandro diede ordine di attaccare in massa proprio quel settore
della città. Dopo aver abbattuto un vasto tratto di mura e aperto vistose
brecce, fece avanzare imponenti torri dotate di passerelle, protette a breve
distanza da navi dotati di armi da lancio in grado di spazzare le mura dei
difensori, per l’assalto finale. In capo a poche ore, nonostante un’accanita
resistenza, le sue unità scelte riuscirono a risalire il muro e a sloggiare i
soldati avversari presenti, aprendo la strada al resto delle truppe macedoni
che poterono sbarcare con relativa calma. Anche sul mare ciprioti e fenici, a
segnale convenuto, assalirono i porti riuscendo a penetrarvi e occupare i
quartieri limitrofi. I Tirii a quel punto compreso che la battaglia era perduta
e cercarono di opporre l’ultima resistenza nella parte alta della città. ma non
ci fu nulla da fare: le truppe macedoni, accecate dall’odio accumulato in quei
mesi frustanti, li affrontarono a viso aperto, sbaragliandoli. I pochi che
riuscirono a fuggire furono passati a fil di spada. Per la città non ci fu più
nulla da fare e la strage, come riportato dalle fonti fu terribile. Alessandro,
memore dell’affronto subito mesi prima, non fece nulla per frenare la rabbia
dei suoi. Scrive ancora Arriano: “I
macedoni si gettavano con rabbia su tutto, esasperati (…). Caddero circa
ottomila Tirii”. Solo a coloro che si erano rifugiati nel tempio di Eracle,
tra cui il re Azemilco e buon parte dell’aristocrazia, fu risparmiata la vita.
Ma anche il loro destino era segnato: furono resi schiavi e venduti in massa
insieme al resto dei sopravvissuti. Terminava in questo modo uno dei più
incredibili assedi della storia, del quale Alessandro era riuscito a venire a
capo sol con una determinazione fuori dal comune e quel genio militare che
l’avrebbe reso leggendario. Con la caduta di Tiro, infatti, non ebbe più
ostacoli per intraprendere la conquista dell’Egitto né per la successiva
spedizione nel cuore della Persia, che l’avrebbe reso padrone indiscusso fino
ai confini dell’India.
Articolo in gran parte
di Antonio Ratti pubblicato su Storie di guerre e guerrieri n. 21. Altri testi
e immagini da Wikipedia.
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