Il cursus honorum
Fare carriera
nell’antica Roma: per arrivare alle più alte cariche dell’Urbe n
on bastavano ricchezza e potere: bisognava seguire un percorso prestabilito. I favoritismi non mancavano, ma non erano nemmeno la regola.
on bastavano ricchezza e potere: bisognava seguire un percorso prestabilito. I favoritismi non mancavano, ma non erano nemmeno la regola.
Il
cursus honorum era la successione di cariche pubbliche che un cittadino romano
doveva ricoprire per arrivare al consolato, che nell’ordinamento della Roma
repubblicana (e nei primi secoli dell’impero) costituiva la magistratura (cioè
la carica pubblica) più elevata. Le cariche erano chiamate anche honores, da
cui deriva cursus honorum, cioè “la successione degli onori”. Potevano accedere
alle magistrature solo i maschi nati liberi (i cosiddetti civis ingenui) e con
cittadinanza romana. Erano invece esclusi i Latini dei municipia (le comunità
cittadine legata a Roma, ma con un certo grado di autonomia), gli abitanti
delle colonie, i liberti (gli schiavi affrancati, che di solito continuavano a
vivere nella casa del padrone) e i preregrini, cioè gli stranieri residenti a
Roma.
Le principali
magistrature, in ordine di importanza e di accesso, erano questura, edilità,
tribunato, pretura, censura e consolato, la più alta: si dividevano in
magistrature minori (quaestura, aedelitus, tribunatus) e maggiori (praetura,
censura, consulatus). Le loro principali caratteristiche erano elettività,
temporaneità, collegialità, e responsabilità.
INIZIO SOTTO LE ARMI. Il cursus honorum
comprendeva inoltre, per consuetudine, anche delle iniziali cariche militari.
Ogni magistratura aveva un’età minima per l’elezione e bisognava rispettare un
certo intervallo di tempo per ottenere la carica successiva. La legge proibiva
di ricoprire più volte lo stesso ruolo, anche se non sempre la norma veniva
rispettata (Mario ricoprì il consolato per cinque anni consecutivi, tra il 104
e il 100 a.C.).
Raggiungere una carica
alla più giovane età possibili era considerato un vanto, oltre che un successo
nella carriera politica, anche perché ogni ritardo nel conseguimento di una
magistratura avrebbe ritardato tutte le altre. Il percorso attraverso le varie
cariche cominciava di norma con il sevizio militare tra gli equites (i
cavalieri), a partire dal diciassettesimo anno di età. Dieci anni di servizio
erano considerati obbligatori per ottenere l’idoneità a un incarico politico,
ma la regola non era applicata rigidamente. Durante il servizio militare,
alcuni riuscivano a ricoprire la carica di tribuno militare (tribunus
laticlavius). I tribuni appartenenti a ciascuna legione erano in pratica degli
ufficiali di stato maggiore e affiancavano il legatus legionis nelle sue
decisioni.
Il primo gradino
ufficiale del cursus era quello di questore (quaestor), il più basso tra le
cariche politiche romane. I candidati dovevano avere almeno 30 anni (sotto Augusto
almeno 25), ma i patrizi potevano anticipare la loro candidatura di due anni. I
questori erano eletti ai comitia tributa (l’assemblea delle tribù in cui era
suddivisa la popolazione romana) e assistevano i consoli occupandosi
dell’amministrazione del tesoro pubblico (l’aerarium Saturni) e coadiuvavano i
governatori provinciali nelle attività finanziarie, per esempio distribuendo le
risorse o provvedendo al pagamento delle armate provinciali. Inoltre, se
autorizzati dal Senato, i questori potevano emettere denaro pubblico. Il tesoro
non custodiva soltanto le risorse monetarie, ma anche importanti documenti,
come i testi delle leggi o i decreti del Senato, messi sotto la custodia dei
questori. Nel tardo periodo repubblicano, l’elezione alla questura si accompagnava
all’automatica ammissione in Senato. Un questore poteva indossare la toga
praetexta (bordata di rosso), ma non era scortato da littori (una sorta di
guardie del corpo) e non aveva imperium (cioè la facoltà di impartire ordini ai
quali non era possibile sottrarsi)
Morte di Gaio Sempronio Gracco, tribuno della plebe (dipinto di Jean-Baptiste Topino-Lebrun, 1792
Il censore, che contava i soldi dei
romani.
"Fregio del censimento", dall'altare di Domizio Enobarbo, fine del II secolo a.C., opera marmorea proveniente da Campo Marzio, Roma (Museo del Louvre).
Un importante magistrato romano era
il censore, preposto al censimento, ogni cinque anni, della popolazione.
Poteva anche nominare nuovi senatori o eliminarne di vecchi. Ne venivano
eletti due per volta e restavano in carica diciotto mesi. La censura era una
carica prestigiosa e normalmente solo gli ex consoli potevano assumerla.
Venivano eletti dai comizi centuriati dopo che i consoli e i pretori
dell’anno avevano iniziato il loro mandato. Non avevano l’imperium e non
erano accompagnati da littori. Le loro azioni non potevano essere bloccati da
veti, a parte quelli dei tribuni della plebeo di un collega censore. Un
censore poteva anche multare un cittadino, oppure vendere le sue proprietà come
punizione per aver eluso un censimento o per aver compiuto una registrazione
falsa.
Altre azioni che potevano comportare
una pena censoria erano l’abbandono di terre coltivabili, la sottrazione al
servizio militare, la violazione dei doveri civili, atti di corruzione o
debiti ingenti. I censori gestivano anche gli appalti pubblici e il pagamento
di coloro che svolgevano questi lavori. Una volta entrati in carica,
emanavano un editto in cui stabilivano quando i cittadini dovevano
presentarsi per dichiarare il proprio reddito. In origine, esso era basato
sulla quantità di terra coltivabile o sul numero dei capi di bestiame
posseduti. In seguito, base del censimento divenne il capitale mobile. o
presentarsi per dichiarare il proprio reddito. In origine, esso era basato
sulla quantità di terra coltivabile o sul numero dei capi di bestiame
posseduti. In seguito, base del censimento divenne il capitale mobile.
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GESTIONE DEGLI AFFARI INTERNI. A 36 anni, il questore si poteva candidare alla carica di edile (aedilis). Gli edili conducevano gli affari interni di Roma e collaboravano con le cariche più alte. Ogni anno venivano eletti due edili curuli (patrizi) e due plebei. I comitia tributa, sotto la presidenza di un magistrato di grado più elevato (un console o un pretore), eleggevano i due edili curili. Il Concilium plebis (consiglio della plebe), sotto la presidenza di un tribuno della plebe, eleggeva i due edili plebei. Gli edili avevano poteri sugli affari giornalieri della città, per esempio riparare e conservare i templi (pare che “edile” derivi dal latino aedes, cioè tempio) e gli edifici pubblici. Organizzavano poi i giochi (ludi) e le feste. Si occupavano inoltre delle fognature, degli acquedotti e degli approvvigionamenti dell’Urbe. Sovrintendevano anche ai mercati e svolgevano la funzione di giudici in ambito commerciale. Si occupavano infine dell’ordine pubblico e dei pubblici registri. Ogni spesa pubblica fatta da un edile doveva comunque essere autorizzata dal Senato. Un passo importante nella carriera politica di un plebeo era la carica di tribuno della plebe (tribunus plebis). I tribuni erano eletti dal Concilium plebis o dall’intero popolo di Roma (patrizi compresi). Il tribunato fu il primo ufficio creato per tutelare i diritti dei cittadini comuni (plebei). I tribuni erano rappresentanti del popolo ed esercitavano un controllo sugli atti del Senato (attraverso un potere di veto), salvaguardando le libertà civili dei cittadini. L’appartenenza alla plebe (che derivava dalle tradizioni arcaiche di Roma, secondo cui erano patrizi solo i discendenti degli antichi fondatori) era avulsa dal reale status sociale di un cittadino: molti plebei, infatti, erano più ricchi e potenti d dei nobili.
I tribuni erano
considerati sacrosanti, cioè inviolabili. La loro sacrosanctitas prevedeva che
chiunque toccasse prevedeva che chiunque toccasse un tribuno diventasse sacer
agli dei inferi, cioè passibile di pena capitale. Era un’offesa capitale
danneggiare un tribuno, ignorare un suo veto o interferire con lui. La sacrosanctitas
di un tribuno aveva tuttavia effetto solo entro i confini della città. Se un
magistrato, un’assemblea o il Senato non rispettavano le disposizioni di un
tribuno, questi poteva far valere la sacrosanctitas per fermare quell’azione. Il
tribuno interveniva anche quando un semplice cittadino romano decideva di
opporsi, impugnandola, alla decisione di un magistrato (era la cosiddetta
coercitio). In questo caso bisognava attendere che un tribuno intervenisse e
prendesse una decisione.
L’inviolabilità della
persona del tribuno era il motivo per cui gli imperatori si facevano attribuire
la tribuncia potestas, nonché il ruolo ufficiale di difensore della parte più
debole e vulnerabile della società libera romana.
Gaio Mario, sei volte console tra il 108 a.C. e il 100 a.C. (Musei Vaticani).
GIUSTIZIA ED ESERCITO. I pretori (praetor), in
numero di sei, erano eletti tra gli uomini di almeno 39 anni (30 dopo la
riforma di Augusto). Avevano responsabilità giudiziarie, ma potevano an che
comandare le armate provinciali e presiedevano i tribunali. Di solito si
candidavano con i consoli di fronte all’assemblea dei comizi centuriati. Dopo essere
stati eletti, veniva loro conferito l’imperium, grazie al quale potevano
comandare l’esercito. In assenza di entrambi i consoli, il pretore urbano
governava la città e presiedeva l’assemblea del Senato e le altre assemblee
romane. Altri pretori avevano responsabilità all’estero, e spesso agivano anche
come governatori di provincia.
La carica di console (consul)
era la più prestigiosa e rappresentava il vertice della carriera politica
repubblicana. L’età minima per accedervi era di 42 anni (ridotti a 33 con la
riforma di Augusto). I consoli della repubblica erano i più alti in grado tra i
magistrati ordinari. Venivano eletti ogni anno dai comizi centuriati (che
raccoglievano tutti i cittadini romani, sia patrizi che plebei) e detenevano il
potere supremo in materia civile e militare. Dopo la loro elezione, ottenevano
l’imperium. Se un console moriva mentre era in carica, un altro console (consul
suffectus) veniva eletto al suo posto per completare il mandato. Durante l’anno,
uno dei due consoli (chiamato senior) era di volta in volta superiore in grado
rispetto all’altro (chiamato junior), e questa graduatoria veniva capovolta
ogni mese. Una volta terminato il proprio mandato, ogni console deteneva in
Senato il titolo onorifico consulare. Doveva attendere dieci anni prima di
poter essere rieletto.
Il console era a capo
del governo, presiedeva le sedute del Senato e le assemblee cittadine, e aveva
la responsabilità ultima di far rispettare le politiche e le leggi adottate da
entrambe le istituzioni. Era anche il capo della diplomazia romana, poteva
svolgere affari con le popolazioni straniere e stringere relazioni con esse. Inoltre,
facilitava i rapporti tra gli ambasciatori stranieri e il Senato. In seguito a
un ordine del Senato, i consoli avevano la responsabilità di adunare truppe, di
cui prendevano il comando e, disponendo della suprema autorità militare
venivano dotati di adeguate risorse finanziare per condurre le campagne
belliche e mantenere i loro eserciti. Mentre si trovava all’estero, il console
aveva potere assoluto sui soldati. Alla fine del mandato, non era raro che un
console venisse demandato, in qualità di proconsole, al governo di importanti
provincie.
IL DITTATORE, MAGISTRATO STRAORDINARIO. In
caso di emergenza militare o di eccezionale pericolo per la patria, si
procedeva alla nomina di un magistrato straordinario, il dittatore (dictator). Restava
in carica sei mesi e il suo potere era assoluto, libero da veti. Quando c’era
necessità di un dittatore, il Senato emetteva un decreto che autorizzava i
consoli a nominarne uno, che si insediava immediatamente. Durante la dittatura,
i magistrati ordinari restavano in
carica, ma diventavano subordinati al dittatore.
Nel caso in cui
avessero disobbedito ai suoi ordini, potevano anche essere costretti a
dimettersi. Il potere dittatoriale equivale alla somma dei poteri dei due
consoli. In pratica, il dittatore prendeva il posto dell’antico Rex. Era accompagnato
da 24 littori quando si trovava fuori dal pomerium (il confine sacro e
inviolabile della città, tracciato da Romolo) da 12 al suo interno (il doppio
dei consoli). Il dittatore aveva potere assoluto sulla res publica. Quando l’emergenza
terminava, si procedeva alla restaurazione del governo ordinario.
Articolo in gran parte
di Eugenio Anchisi pubblicato su Civiltà Romana n. 1 Sprea editori – altri testi
e immagini da wikipedia.
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