giovedì 21 febbraio 2019

Il cursus honorum


Il cursus honorum
Fare carriera nell’antica Roma: per arrivare alle più alte cariche dell’Urbe n
on bastavano ricchezza e potere: bisognava seguire un percorso prestabilito. I favoritismi non mancavano, ma non erano nemmeno la regola.


Il cursus honorum era la successione di cariche pubbliche che un cittadino romano doveva ricoprire per arrivare al consolato, che nell’ordinamento della Roma repubblicana (e nei primi secoli dell’impero) costituiva la magistratura (cioè la carica pubblica) più elevata. Le cariche erano chiamate anche honores, da cui deriva cursus honorum, cioè “la successione degli onori”. Potevano accedere alle magistrature solo i maschi nati liberi (i cosiddetti civis ingenui) e con cittadinanza romana. Erano invece esclusi i Latini dei municipia (le comunità cittadine legata a Roma, ma con un certo grado di autonomia), gli abitanti delle colonie, i liberti (gli schiavi affrancati, che di solito continuavano a vivere nella casa del padrone) e i preregrini, cioè gli stranieri residenti a Roma.
Le principali magistrature, in ordine di importanza e di accesso, erano questura, edilità, tribunato, pretura, censura e consolato, la più alta: si dividevano in magistrature minori (quaestura, aedelitus, tribunatus) e maggiori (praetura, censura, consulatus). Le loro principali caratteristiche erano elettività, temporaneità, collegialità, e responsabilità.


Rappresentazione della festività dei floralia, organizzata dagli edili plebei a Roma.


INIZIO SOTTO LE ARMI. Il cursus honorum comprendeva inoltre, per consuetudine, anche delle iniziali cariche militari. Ogni magistratura aveva un’età minima per l’elezione e bisognava rispettare un certo intervallo di tempo per ottenere la carica successiva. La legge proibiva di ricoprire più volte lo stesso ruolo, anche se non sempre la norma veniva rispettata (Mario ricoprì il consolato per cinque anni consecutivi, tra il 104 e il 100 a.C.).
Raggiungere una carica alla più giovane età possibili era considerato un vanto, oltre che un successo nella carriera politica, anche perché ogni ritardo nel conseguimento di una magistratura avrebbe ritardato tutte le altre. Il percorso attraverso le varie cariche cominciava di norma con il sevizio militare tra gli equites (i cavalieri), a partire dal diciassettesimo anno di età. Dieci anni di servizio erano considerati obbligatori per ottenere l’idoneità a un incarico politico, ma la regola non era applicata rigidamente. Durante il servizio militare, alcuni riuscivano a ricoprire la carica di tribuno militare (tribunus laticlavius). I tribuni appartenenti a ciascuna legione erano in pratica degli ufficiali di stato maggiore e affiancavano il legatus legionis nelle sue decisioni.
Il primo gradino ufficiale del cursus era quello di questore (quaestor), il più basso tra le cariche politiche romane. I candidati dovevano avere almeno 30 anni (sotto Augusto almeno 25), ma i patrizi potevano anticipare la loro candidatura di due anni. I questori erano eletti ai comitia tributa (l’assemblea delle tribù in cui era suddivisa la popolazione romana) e assistevano i consoli occupandosi dell’amministrazione del tesoro pubblico (l’aerarium Saturni) e coadiuvavano i governatori provinciali nelle attività finanziarie, per esempio distribuendo le risorse o provvedendo al pagamento delle armate provinciali. Inoltre, se autorizzati dal Senato, i questori potevano emettere denaro pubblico. Il tesoro non custodiva soltanto le risorse monetarie, ma anche importanti documenti, come i testi delle leggi o i decreti del Senato, messi sotto la custodia dei questori. Nel tardo periodo repubblicano, l’elezione alla questura si accompagnava all’automatica ammissione in Senato. Un questore poteva indossare la   toga praetexta (bordata di rosso), ma non era scortato da littori (una sorta di guardie del corpo) e non aveva imperium (cioè la facoltà di impartire ordini ai quali non era possibile sottrarsi)

Morte di Gaio Sempronio Graccotribuno della plebe (dipinto di Jean-Baptiste Topino-Lebrun, 1792

Il censore, che contava i soldi dei romani.

"Fregio del censimento", dall'altare di Domizio Enobarbo, fine del II secolo a.C., opera marmorea proveniente da Campo Marzio, Roma (Museo del Louvre).

Un importante magistrato romano era il censore, preposto al censimento, ogni cinque anni, della popolazione. Poteva anche nominare nuovi senatori o eliminarne di vecchi. Ne venivano eletti due per volta e restavano in carica diciotto mesi. La censura era una carica prestigiosa e normalmente solo gli ex consoli potevano assumerla. Venivano eletti dai comizi centuriati dopo che i consoli e i pretori dell’anno avevano iniziato il loro mandato. Non avevano l’imperium e non erano accompagnati da littori. Le loro azioni non potevano essere bloccati da veti, a parte quelli dei tribuni della plebeo di un collega censore. Un censore poteva anche multare un cittadino, oppure vendere le sue proprietà come punizione per aver eluso un censimento o per aver compiuto una registrazione falsa.
Altre azioni che potevano comportare una pena censoria erano l’abbandono di terre coltivabili, la sottrazione al servizio militare, la violazione dei doveri civili, atti di corruzione o debiti ingenti. I censori gestivano anche gli appalti pubblici e il pagamento di coloro che svolgevano questi lavori. Una volta entrati in carica, emanavano un editto in cui stabilivano quando i cittadini dovevano presentarsi per dichiarare il proprio reddito. In origine, esso era basato sulla quantità di terra coltivabile o sul numero dei capi di bestiame posseduti. In seguito, base del censimento divenne il capitale mobile. o presentarsi per dichiarare il proprio reddito. In origine, esso era basato sulla quantità di terra coltivabile o sul numero dei capi di bestiame posseduti. In seguito, base del censimento divenne il capitale mobile.

Moneta raffigurante un consoleaccompagnato da due littori.

GESTIONE DEGLI AFFARI INTERNI. A 36 anni, il questore si poteva candidare alla carica di edile (aedilis). Gli edili conducevano gli affari interni di Roma e collaboravano con le cariche più alte. Ogni anno venivano eletti due edili curuli (patrizi) e due plebei. I comitia tributa, sotto la presidenza di un magistrato di grado più elevato (un console o un pretore),  eleggevano i due edili curili. Il Concilium plebis (consiglio della plebe), sotto la presidenza di un tribuno della plebe, eleggeva i due edili plebei.  Gli edili avevano poteri sugli affari giornalieri della città, per esempio riparare e conservare i templi  (pare che “edile” derivi dal latino aedes, cioè tempio) e gli edifici pubblici. Organizzavano poi i giochi (ludi) e le feste. Si occupavano inoltre delle fognature, degli acquedotti e degli approvvigionamenti dell’Urbe. Sovrintendevano anche ai mercati e svolgevano la funzione di giudici in ambito commerciale. Si occupavano infine dell’ordine pubblico e dei pubblici registri. Ogni spesa pubblica fatta da un edile doveva comunque essere autorizzata dal Senato. Un passo importante nella carriera politica di un plebeo era la carica di tribuno della plebe (tribunus plebis). I tribuni erano eletti dal Concilium plebis o dall’intero popolo di Roma (patrizi compresi). Il tribunato fu il primo ufficio creato per tutelare i diritti dei cittadini comuni (plebei). I tribuni erano rappresentanti del popolo ed esercitavano un controllo sugli atti del Senato (attraverso un potere di veto), salvaguardando le libertà civili dei cittadini. L’appartenenza alla plebe (che derivava dalle tradizioni arcaiche di Roma, secondo cui erano patrizi solo i discendenti degli antichi fondatori) era avulsa dal reale status sociale di un cittadino: molti plebei, infatti, erano più ricchi e potenti d dei nobili.
I tribuni erano considerati sacrosanti, cioè inviolabili. La loro sacrosanctitas prevedeva che chiunque toccasse prevedeva che chiunque toccasse un tribuno diventasse sacer agli dei inferi, cioè passibile di pena capitale. Era un’offesa capitale danneggiare un tribuno, ignorare un suo veto o interferire con lui. La sacrosanctitas di un tribuno aveva tuttavia effetto solo entro i confini della città. Se un magistrato, un’assemblea o il Senato non rispettavano le disposizioni di un tribuno, questi poteva far valere la sacrosanctitas per fermare quell’azione. Il tribuno interveniva anche quando un semplice cittadino romano decideva di opporsi, impugnandola, alla decisione di un magistrato (era la cosiddetta coercitio). In questo caso bisognava attendere che un tribuno intervenisse e prendesse una decisione.
L’inviolabilità della persona del tribuno era il motivo per cui gli imperatori si facevano attribuire la tribuncia potestas, nonché il ruolo ufficiale di difensore della parte più debole e vulnerabile della società libera romana.

Gaio Mario, sei volte console tra il 108 a.C. e il 100 a.C. (Musei Vaticani).

GIUSTIZIA ED ESERCITO. I pretori (praetor), in numero di sei, erano eletti tra gli uomini di almeno 39 anni (30 dopo la riforma di Augusto). Avevano responsabilità giudiziarie, ma potevano an che comandare le armate provinciali e presiedevano i tribunali. Di solito si candidavano con i consoli di fronte all’assemblea dei comizi centuriati. Dopo essere stati eletti, veniva loro conferito l’imperium, grazie al quale potevano comandare l’esercito. In assenza di entrambi i consoli, il pretore urbano governava la città e presiedeva l’assemblea del Senato e le altre assemblee romane. Altri pretori avevano responsabilità all’estero, e spesso agivano anche come governatori di provincia.
La carica di console (consul) era la più prestigiosa e rappresentava il vertice della carriera politica repubblicana. L’età minima per accedervi era di 42 anni (ridotti a 33 con la riforma di Augusto). I consoli della repubblica erano i più alti in grado tra i magistrati ordinari. Venivano eletti ogni anno dai comizi centuriati (che raccoglievano tutti i cittadini romani, sia patrizi che plebei) e detenevano il potere supremo in materia civile e militare. Dopo la loro elezione, ottenevano l’imperium. Se un console moriva mentre era in carica, un altro console (consul suffectus) veniva eletto al suo posto per completare il mandato. Durante l’anno, uno dei due consoli (chiamato senior) era di volta in volta superiore in grado rispetto all’altro (chiamato junior), e questa graduatoria veniva capovolta ogni mese. Una volta terminato il proprio mandato, ogni console deteneva in Senato il titolo onorifico consulare. Doveva attendere dieci anni prima di poter essere rieletto.
Il console era a capo del governo, presiedeva le sedute del Senato e le assemblee cittadine, e aveva la responsabilità ultima di far rispettare le politiche e le leggi adottate da entrambe le istituzioni. Era anche il capo della diplomazia romana, poteva svolgere affari con le popolazioni straniere e stringere relazioni con esse. Inoltre, facilitava i rapporti tra gli ambasciatori stranieri e il Senato. In seguito a un ordine del Senato, i consoli avevano la responsabilità di adunare truppe, di cui prendevano il comando e, disponendo della suprema autorità militare venivano dotati di adeguate risorse finanziare per condurre le campagne belliche e mantenere i loro eserciti. Mentre si trovava all’estero, il console aveva potere assoluto sui soldati. Alla fine del mandato, non era raro che un console venisse demandato, in qualità di proconsole, al governo di importanti provincie.

IL DITTATORE, MAGISTRATO STRAORDINARIO. In caso di emergenza militare o di eccezionale pericolo per la patria, si procedeva alla nomina di un magistrato straordinario, il dittatore (dictator). Restava in carica sei mesi e il suo potere era assoluto, libero da veti. Quando c’era necessità di un dittatore, il Senato emetteva un decreto che autorizzava i consoli a nominarne uno, che si insediava immediatamente. Durante la dittatura, i  magistrati ordinari restavano in carica, ma diventavano subordinati al dittatore.
Nel caso in cui avessero disobbedito ai suoi ordini, potevano anche essere costretti a dimettersi. Il potere dittatoriale equivale alla somma dei poteri dei due consoli. In pratica, il dittatore prendeva il posto dell’antico Rex. Era accompagnato da 24 littori quando si trovava fuori dal pomerium (il confine sacro e inviolabile della città, tracciato da Romolo) da 12 al suo interno (il doppio dei consoli). Il dittatore aveva potere assoluto sulla res publica. Quando l’emergenza terminava, si procedeva alla restaurazione del governo ordinario.

Statua di Gaio Giulio Cesare, dittatore perpetuo

Articolo in gran parte di Eugenio Anchisi pubblicato su Civiltà Romana n. 1 Sprea editori – altri testi e immagini da wikipedia.      

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