domenica 10 febbraio 2019

I templari. Il braccio armato di Dio.


I templari. Il braccio armato di Dio.
Da secoli i Templari affascinano e incuriosiscono. Intorno a loro sono fiorite leggende di ogni tipo, spesso fantasiose e dense di intrighi. Ma chi erano veramente i membri di questo ordine cavalleresco? Che cosa ne causò lo scioglimento? Andiamo alla ricerca della realtà dietro il mito.



Il sigillo dei templari: i due cavalieri che condividono la cavalcatura sono stati interpretati come simbolo di povertà o della dualità del monaco/soldato
Quello dei Pauperes commilitones Christi templique Salomonis ("Poveri compagni d'armi di Cristo e del tempio di Salomone"), meglio noti come cavalieri templari o semplicemente templari, fu uno dei primi[1] e più noti ordini religiosi cavallereschi cristiani medievali.
La nascita dell'ordine si colloca nella Terra santa al centro delle guerre tra forze cristiane e islamiche scoppiate dopo la prima crociata indetta nel 1096. In quell'epoca le strade della Terrasanta erano percorse da pellegrini provenienti da tutta Europa, che venivano spesso assaliti e depredati. Per difendere i luoghi santi e i pellegrini, nacquero diversi ordini religiosi. Intorno al 1118-1119 un pugno di cavalieri decise di fondare il nucleo originario dell'ordine templare, dandosi il compito di assicurare l'incolumità dei numerosi pellegrini europei che continuavano a visitare Gerusalemme. L'ordine venne ufficializzato nel 1129, assumendo una regola monastica, con l'appoggio di Bernardo di Chiaravalle. Il doppio ruolo di monaci e combattenti, che contraddistinse l'Ordine templare negli anni della sua maturità, suscitò naturalmente perplessità in ambito cristiano.[2]
L'ordine templare si dedicò nel corso del tempo anche ad attività agricole, creando un grande sistema produttivo, e ad attività finanziarie, gestendo i beni dei pellegrini e arrivando a costituire il più avanzato e capillare sistema bancario dell'epoca. Cresciuto nei secoli in potere e ricchezza, l'ordine si inimicò il re di Francia Filippo il Bello e andò incontro, attraverso un drammatico processo iniziato nel 1307, alla dissoluzione definitiva nel 1312, a seguito della bolla "Vox in excelso" di papa Clemente V che sospese l'ordine in via amministrativa. Le recenti ricerche storiche hanno rivelato in maniera inequivocabile che il Papa Clemente V in realtà così facendo decise di non decidere: non voleva creare un nuovo scisma con la corona francese (come minacciato da Filippo il Bello) così, per evitarlo, sospese l'ordine del Tempio senza condannarlo.
Nell'immaginario popolare la figura dei templari rimane controversa a causa delle tante leggende nate tra il XVIII ed il XIX secolo che parlano di strani riti e di un legame mai avuto con la massoneria (nata circa 400 anni dopo la sospensione dell'ordine). In realtà tutte queste leggende sono frutto dell'immaginario collettivo dei movimenti culturali dell'illuminismo, del romanticismo e della massoneria che hanno dipinto l'ordine dei Templari in maniera così fosca senza aver condotto degli accurati studi storici e per attaccare la Chiesa Cattolica. In epoca recente tutti questi falsi miti sono stati sconfessati dagli atti del processo che sono stati studiati a fondo ed hanno rivelato che in realtà le accuse erano montate ad hoc sulla base di confessioni estorte con la tortura dall'inquisizione francese che a sua volta era stata manipolata da Guillaume de Nogaret, guardasigilli di Filippo il Bello, per permettere al re di impossessarsi degli ingenti averi appartenenti all'ordine del Tempio e per sanare l'enorme debito contratto dallo stesso re di Francia nei confronti dell'ordine stesso (circa 400.000 fiorini, che corrispondono al bilancio attuale della Francia). Infatti la legge canonica del tempo prevedeva che chi veniva accusato di eresia perdeva tutti i crediti contratti e tutti i propri averi.[3]



Motto latino dei cavalieri templari: "Non a noi, non a noi Signore da' gloria, ma al nome tuo" (salmo 114,1della Bibbia CEI; salmo 115,1 della Bibbia Diodati)
Tutto cominciò nella Gerusalemme appena liberata dai crociati. Partiti nel 1095 per riconquistare la Città Santa caduta in mano agli infedeli, erano riusciti sotto la guida di Goffredo da Buglione e Raimondo di Tolosa nell’ardua impresa: il 15 luglio 1099, al termine di oltre quattro anni di duri scontri e cinque settimane di assedio, avevano varcato le mura della città e, dopo un’immensa strage, avevano destituito il governatore fatimide. Poco dopo, Goffredo aveva assunto il titolo di Difensore del Santo Sepolcro. Alla sua morte, il fratello Baldovino era stato incoronato re di Gerusalemme.
Stabilizzata la situazione e ritornata in patria buona parte dei “franchi” – com’erano chiamati gli occidentali nelle fonti arabe del tempo – occorreva difendersi dalla prevedibile riscossa musulmana e proteggere i pellegrini che, in massa, da Occidente giungevano a pregare presso il Santo Sepolcro. Accanto ai Cavalieri di San Giovanni, o Ospitalieri, nacque così l’ordine dei Cavalieri del Tempio, o Templari: se i primi presero il nome dall’omonimo e più antico ospedale sorto a Gerusalemme per accogliere i fedeli in cammino, i secondi lo trassero dal luogo dove si insediarono, che si riteneva sorgesse nei pressi del sito dove secoli addietro si ergeva il Tempio di Salomone.
Lungi da essere una setta esoterica impadronitasi di terribili segreti o misteri metafisici (come invece vuole una certa pubblicistica incline al sensazionalismo), i Templari furono un ordine religioso-militare fatto di uomini che scelsero di vivere, alla pari dei monaci, secondo i voti di obbedienza, povertà e castità, ma, invece che nella quiete del monastero, svolgere la loro missione sul campo di battaglia, combattendo contro gli infedeli in difesa dei Luoghi Santi. Se il loro valore e le loro indubbie capacità militari li resero protagonisti assoluti in guerra, la loro abilità nel gestire i beni dei pellegrini e le ingenti donazioni di cui beneficiarono li resero molto ricchi e intraprendenti, al punto che a loro, probabilmente, si deve il primo capillare sistema bancario del Medioevo. Ma proprio intraprendenza e ricchezza furono la causa della loro rovina: attiratisi le invidie e gli appetiti di nobili e regnanti, una volta terminale le Crociate sarebbero stati vittime di una vera e propria persecuzione che li avrebbe condotti, drammaticamente, alla fine.



Simboli dei Templari.

Molti sono i simboli legati all’immagine dei Templari. Primo fra tutti è il Beauceant, o Baussant, il gonfalone da loro utilizzato. Stando alle fonti e all’iconografia coeva, aveva l’aspetto di uno stendardo diviso in due parti, una bianca e una nera. La croce rossa, non citata nella Regola di Troyes, è attestata a partire dalla bolla papale del 1139 e fu formalizzata nel 1147 quando papa Eugenio III concesse l’uso della croce patente. I colori bianco e nero alludono probabilmente alla duplice natura, terrene e spirituale, dell’Ordine. Anche l’etimologia del nome è dibattuta: c’è chi lo fa derivare dal provenzale bausan, ossia bordo, fascia e chi dal motto che appariva sul vessillo (Vaucent, ovvero vale cento, alludendo al valore dei Templari).
Oltre allo stendardo, l’immagine dei cavalieri del Tempio era legata al sigillo apposto dal Maestro sui documenti ufficiali e sulle missive dell’Ordine, che rappresentava sul recto la Cupola della Roccia, ossia la moschea di Omar, sulla spianata del tempio di Gerusalemme dove ebbero la prima sede sul verso c’erano due cavalieri sullo stesso cavallo. Perché? Escludendo le interpretazioni magico-alchemiche, è probabile che i due monaci guerrieri alludessero alla duplice natura della missione templare, oppure alla solidarietà tra commilitoni, valore fondante dell’Ordine.


LA REGOLA DI TROYES. Ma andiamo con ordine. La fondazione dei Templari avvenne, secondo il cronista Guglielmo di Tiro che ne parla nella sua Historia rerum in partibus transmarinis gestarum (La storia delle gesta in Oltremare), nel 1118, quando cioè “alcuni nobili cavalieri, pieni di devozione per Dio, religiosi e timorati di Dio, rimettendosi nelle mani del signore patriarca per servire Cristo, professarono di voler vivere perpetuamente secondo le consuetudini delle regole dei canonici, osservando la castità e l’obbedienza e rifiutando ogni proprietà. Tra i loro primi e i principali furono questi due uomini venerabili, Ugo de Paganis e Goffredo di Santo Aldemaro”. Il numero da lui riferito, nove, è altamente simbolico: molto probabilmente si trattava di un gruppo più numeroso. Ma pochi o tanti che fossero, di certo riuscirono in breve tempo a ritagliarsi un ruolo di rilievo grazie alle cospicue donazioni di terre e beni che giungevano da ogni parte: tra le prime ci fu un’ala del palazzo ricavato dal nuovo re Baldovino II nella moschea al-Aqsa, la più importante della città.
Il vero battesimo dell’Ordine avvenne nel gennaio del 1129, in occasione del Concilio di Troyes, in cui fu approvata la prima regola.  Compilata sul modello di quella benedettina, essa stabiliva in settantadue semplici norme – poi progressivamente aumentate negli Statuti (Retraits) – i dettami comportamentali da seguire: l’estrema morigeratezza nei costumi, la solidarietà collettiva, il divieto di usare la violenza gratuita, l’astensione dal baciare le donne (anche se parenti), il dovere d’obbedienza ai superiori (maestri), il ricorso cosante alla preghiera. La vita quotidiana era condotta nel silenzio, nella preghiera e nell’obbedienza e improntata alla massima frugalità. I pasti erano consumati in comunità e accompagnati dalla lettura di testi sacri: le portate comprendevano: la carne tre volte la settimana, salvo che nei periodi di digiuno prescritto dalla liturgia, e due o tre portate di verdura e legumi negli altri giorni. Il vino era concesso solo diluito, per il resto si beveva acqua. Si dormiva su un pagliericcio o su una semplice stuoia, e gli unici comfort erano un cuscino e una coperta di lino. Coricati con la camicia, cintura e scarpe, si stava sempre all’erta, la lucerna accesa fino all’alba.


Prima pagina dell'antica Regola templare, nella versione francese del 1242. Roma, Biblioteca dei Lincei, Fondo Corsini

LA GUERRA GIUSTA. Come poteva conciliarsi uno stile di vita pacifista come quello monacale con la necessità di difendere gli stati cristiani partecipando attivamente ad azioni belliche che comportavano la perdita di vite umane? Il problema, morale e religioso, era senza dubbio spinoso. Ma già fior di teologi avevano tentato in passato di risolverlo introducendo il concetto di “guerra giusta”, ossia legittimando l’intervento qualora fosse servito a una buona causa. Liberare la Terrasanta dagli infedeli era sicuramente una di queste, e rappresentava anche l’occasione per esercitare il controllo delle turbolenti milizie feudali, letteralmente esplose a cavallo del Mille, e la cui violenza risultava spesso difficilmente arginabile, al punto da indurre la Chiesa a stabilire, pena la scomunica, le cosiddette “tregue di Dio” in cui era vietato combattere. Invitando alla Crociata, era possibile quindi convogliare verso un fine eticamente accettabile energie altrimenti quasi impossibili da gestire. Non si poteva, però, uccidere mai i cristiani. I problemi morali furono definitivamente superati grazie al fondamentale intervento di Berardo di Chiaravalle (1090-1153), la personalità religiosa più influente del tempo. Nel suo trattato De laude novae militiae ad Militis Templi (In lode della nuova Milizia), il dotto abate non solo lodava lo sforzo dei Templari di unire audacia bellica e ardore religioso contro i “nemici della cristianità”, ma elaborava la teoria del “malicidio”, secondo la quale uccidendo un infedele, un pagano o un eretico non si compiva un delitto, bensì un’azione gradita a Dio in quanto si eliminava il male di cui essi erano espressione. Scrive chiaramente: “Il cavaliere di Cristo uccide in piena coscienza e muore tranquillo: morendo si salva, uccidendo lavora per il Cristo”.
Così giustificati, i Templari poterono partecipare alle Crociate non solo come scorta (nel 1147 accompagnarono Luigi VII di Francia e le sue truppe mentre attraversarono l’Anatolia) ma anche come guerrieri. Diedero il loro determinante contributo, nel 1153, alla presa di Ascalona, sacrificando una quarantina di uomini, tra cui il Maestro Bernard de Trémelay. Parteciparono nel luglio 1187, alla clamorosa disfatta dei Corni di Hattin, che comportò la caduta del regno di Gerusalemme nelle mani del Saladino: nella carneficina ne morirono a decine. Riuscirono però a riscattarsi nel 1191 ad Arsuf, con Riccardo Cuor di Leone. Prima avevano perso centinaia di confratelli – tra cui il maestro Gérard de Ridefort – nella battaglia di San Giovanni d’Acri del 4 ottobre 1189 e durante il lungo e vittorioso assedio che ne era seguito. Nel 1220, accampati con l’esercito cristiano davanti a Damietta, sventarono una sortita notturna: erano infatti svegli per pregare e poterono così accorgersi della presenza nemica, respingendola. Ancora, difesero eroicamente Acri nell’ultimo tragico assedio del 1291 condotto dall’immenso esercito di Al-Ashraf (160mila fanti e 60mila cavalieri contro poco più di 16mila crociati) che si concluse con la caduta del regno di Gerusalemme: in quell’occasione si trincerarono nella Cupola (la fortezza della città) morendo travolti a centinaia dal suo crollo. La loro ultima impresa fu la resistenza, fino alla capitolazione finale nel 1303, sull’isolotto di Ruad (oggi Arados, in Siria), sconfitta che mise fina alla storia delle Terre d’Oltremare e il definitivo ritorno dei Templari e dei Crociati in Occidente.

Varianti di baussant:
1. Spaccato nero e argento, con croce patente con attraversamento dell'insieme (come descritto nella regola). 2. D'argento con estremità superiore nera (Chronica majorum, di Mattieu Paris, XIII secolo.3. Spaccato argento e nero, con croce patente (chiesa di San Bevignate, Perugia, XIII secolo). 4. Fiamma di lancia con i colori del Tempio, e un quadrato con croce graca (manoscritto della fine del XIII secolo).


I castelli dei Templari. Ecco le loro fortezze più famose.
fortezze templari in Terrasanta

Baghras – Veduta

castello di epoca bizantina nei monti Amanos.Castello di Baghras

Disciplinati, vigili, leali e tecnicamente preparati, i Templari erano i difensori ideali per presidiare castelli e fortezze. In Terrasanta costruirono una quarantina di insediamenti fortificati più o meno grandi, dislocati lungo le vie di comunicazione, nelle aree strategiche, sulle strade battute dai pellegrini e lungo i confini: da qui era facile controllare il territorio e organizzare operazioni di difesa, di scorta, di soccorso o di attacco.
I più importanti erano a nord: il castello di Baghras, in prossimità del passo di Belen, nell’odierna Turchia, costruito dai templari intorno al 1153 e teatro di numerosi asedi, a sud, non lontano da Tripoli, i presidi di Tortosa (oggi Tartus), Al-Arimah e Safita (Chastel Blanc); in Galilea i castelli di Safad (in Israele), di Chastellet (nei pressi del “Guardo di Giacobbe”, nodo cruciale per l’attraversamento del fiume Giordano lungo il collegamento fra San Giovanni d’Acri e Damasco) e La Fève (al-Fula); e ancora, Chateu Pélerin (Castello dei Pellegrini) nei pressi di Atlit, oggi in Israele e Ahmant in Oltregiordano. Altre cruciali strutture fortificate erano dislocate lungo le coste ad Acri, Cesarea, Ascalona e Tripoli per consentire gli approvvigionamenti dal continente. A questa fitta rete templare si affiancavano le fortezze gestite dagli Ospitalieri, di cui il cosiddetto Krak dei Cavalieri (cliccare qui per leggere un articolo su questo blog), oggi in territorio siriano, nei pressi di Homs, rappresenta l’esempio più imponente e meglio conservato. I Templari ne avevano acquistato uno simile a Safed, sul lago di Tiberiade, dotato di doppia cinta muraria e munito di un sistema di torri rotonde all’interno e quadrate agli angoli, con cui un grosso donjon (la torre rettangolare abitata, a più piani) e difeso da due fossati (uno interno e uno esterno). Fu distrutto completamente nel 1266 e mai più ricostruito.



CUPIDIGIA ED ERESIA. Mentre in Terrasanta si distinguevano in battaglia, a Roma papa Innocenzo II (1130-1143) aveva ufficializzato, con la bolla Omne datum optimum del 29 marzo 1139, l’Ordine come indipendente da qualsiasi altra ingerenza che non fosse quella della Chiesa cattolica, sottoponendolo alla diretta autorità del pontefice ed esentandolo anche dal pagamento delle imposte. Fu il salto di qualità che permise, insieme a donazioni sempre più cospicue, di accumulare grandi ricchezze. A ciò si aggiunse il fatto che, dovendo provvedere da sé alle proprie necessità, sorsero dappertutto magioni agricole in grado di produrre beni per la sussistenza in loco e Oltremare, il che permise di creare una vasta rete di traffici commerciali. Grazie alla capillarità delle mansioni, inoltre, i pellegrini preferivano consegnare ai Templari, alla partenza, il denaro necessario per il viaggio, ricevendo una “lettera di cambio” che avrebbe potuto essere cambiata all’occorrenza denaro liquido, evitando così di perdere i beni in caso di rapina. L’amministrazione di tali liquidità, e il cambio delle valute, procurarono all’Ordine ulteriori proventi. Anche per questo, una volta terminate le Crociate e tornati in Francia su richiesta di Clemente V che nel frattempo aveva spostato la sede papale oltralpe, attirarono la cupidigia di più parti e sul loro conto iniziarono a fiorire le più disparate maldicenze. Le colse proprio il re di Francia Filippo IV il bello (1264-1314) che, qualora fosse riuscito a farli incriminare per eresia, avrebbe potuto sbarazzarsi in un colpo solo dell’ingombrante e pericolosa presenza, sul suo territorio, di un corpo guerriero che rispondeva solo al papa, annullare i suoi debiti con l’Ordine e incamerare i beni.
Le accuse furono dunque di idolatria ed eresia: fu loro attribuito, tra le altre cose, di praticare la sodomia, di sputare sulla croce e di adorare un misterioso idolo barbuto di nome Baphomet. Dopo un lungo e drammatico processo, che si aprì nel 1307, la fine dei Templari si consumò nel 1314 (l’ordine era già stato soppresso dal debole Clemente V al concilio di Vienne due anni prima) tra le fiamme che avvolsero sul rogo l’ultimo Maestro Jacques de Molay e il precettore di Normandia Geoffrey de Charny.
Si diffusero, a questo punto, le più diverse leggende, come quella secondo la quale avevano nascosto da qualche parte, prima di sparire, un immenso tesoro, compreso il Graal, o di dominare segrete esoterici ed essere artefici di complotti e maledizioni, e alcuni sostenevano che non fossero scomparsi affatto. I semi per la speculazione sarebbero germogliati, nei secoli, in innumerevoli saghe e ricostruzioni pseudoscientifiche che continuano ancora oggi. in realtà questi “leoni n guerra e agnelli in pace”, per usare la definizione del cronista e  vescovo di Acri Giacomo da Vitry, furono vittime di un complotto ben architettato e perirono per troppa lealtà. Avrebbero potuto forse salvarsi alzando le armi contro altri cristiani, ma la loro Regola glielo proibiva. Spirito di corpo, senso del dovere e attaccamento ai loro valori, oltre che al fatto di saper svolgere bene il loro mestiere, furono paradossalmente le vere ragioni della loro drammatica fine.

Il rogo sul quale arsero vivi l'ultimo Maestro Jacques de Molay e Geoffrey de Charnay, acceso su di un'isoletta sulla Senna a Parigi, davanti alla Cattedrale di Notre-Dame, il 18 marzo 1314 (manoscritto della fine del XIV secolo).

IL LORO EQUIPAGGIAMENTO. La qualità e lo stile dell’abito, come ampiamente confermato nell’iconografia, erano semplici e improntati alla massima praticità, visto che ciascuno doveva potersi vestire e indossare i calzari da solo. A disciplinarli con cura è sempre la Regola di Troyes. si ammetteva un unico colore base: il bianco, che simboleggiava l’uscita dalle tenebre del peccato e la castità, era riservato ai soli fratelli, mentre per evitare confusione i servi, che non erano vincolati ai voti, dovevano indossare il nero oppure un monocolore a scelta (bianco, ovviamente escluso). Ciascun fratello riceveva l’abito in base alla propria taglia e corporatura. Le camicie erano, di norma, di lana: d’estate, per far fronte al torrido caldo orientale, era concesso l’uso del lino. La camicia era fermata in vita da una semplice cintura di cuoio. Come tutte le altre vesti, doveva essere adatta alla corporatura in modo da assicurare il decoro del fratello. Ciò era compito del drappiere. Le calzature erano stivali in cuoio ed erano più comode e adatte alla marcia e alla battaglia, utili anche alla protezione del piede e della gamba. Solo i nobili potevano portare il mantello bianco, blasonato con la croce. Gli abiti vecchi dovevano essere riconsegnati e riposti con cura in vista del loro ulteriore utilizzo per gli scudieri oppure per i poveri. Anche l’aspetto sottostava a regole precise: capelli corti e composti, così come le barbe e i baffi, evitando qualsiasi concessione frivola. Speroni e altri ornamenti, specie se d’oro e d’argento, erano considerati vanità mondane ed erano espressamente vietati. Per quanto concerne le armi, i Templari indossavano protezioni per il corpo fatte di maglia di ferro. Sul capo portavano un elmo di foggia e dimensione variabile ma il più delle volte quasi completamente chiuso, fatta eccezione per due feritoie in corrispondenza degli occhi e vari fori di areazione. Quello utilizzato dalla cavalleria pesante, era di solito indossato sopra al camaglio, il rivestimento ad anelli di ferro intrecciati che proteggeva la testa. Si indossava sopra un copricapo in cuoio. A volte era sostituito da un più semplice “cappello di ferro” cui erano aggiunte protezioni anch’esse a maglia. Gli elmi da cavalleria pesante di solito presentavano una ferratura di rinforzo a croce, oppure a cielo piatto rivettato. In entrambi la vista è consentita dalla feritoia, mentre il ricambio d’aria è garantito dai fori di areazione. La cotta di maglia era costituita da anelli di ferro intrecciati e rivettati. Era divisa in tre parti per proteggere le gambe, il petto e la testa. Si indossava sopra una sopravveste di protezione. I guanti proteggevano le mani dai colpi. La cotta d’arme era di colore bianco per i nobili, blasonata con la croce e portata sopra l’usbergo di maglia per evitare che il ferro si arroventasse al sole. Una curiosità: le mutande, chiamate femoralia, erano già attestate nell’Alto medioevo, ed erano portate sotto la camicia e fissate ai gambali con lacci di cuoio.  L’equipaggiamento era completato da una spada, con lama a doppio filo e punta arrotondata, e veniva usata di taglio. Data la natura monastica dell’ordine templare, la forma a croce della spada aveva anche un forte significato simbolico; oltre alla spada avevano anche due coltelli, una lancia e uno scudo, che era triangolare, di solito in legno di pioppo, ricoperto di cuoio e spesso rinforzato con lamelle chiodate. Progressivamente diminuì di dimensioni, passando da 1,5 m di altezza a 60 cm, il che rendeva le azioni più agili. A questa attrezzatura si aggiungeva a volte una mazza. Responsabile dell’abbigliamento e dell’armamento era il drappiere.





Una raffigurazione tipica dei cavalieri templari in un manoscritto inglese del 1250

ORGANIZZAZIONE DELL’ORDINE. I Templari, come gli altri ordini religioso-militari, erano retti da una salda gerarchia. A capo c’era il Maestro (Magister Militiae Templi), coadiuvato da un vice (il Siniscalco) ed eletto da un Capitolo. Le milizie erano comandate dal Maresciallo sottoposto all’autorità del Maestro. Seguivano importanti figure come il Commendatore della Terra e del Regno di Gerusalemme, tesoriere e capo della provincia di Terrasanta; il comandante di Gerusalemme e i comandanti provinciali. Ciascuno di essi aveva a disposizione un team di sottoposti (tra cui traduttori, palafrenieri, scrivani) e cavalli. Completavano il tutto altri funzionari, con il gonfaloniere, il drappiere (responsabile del vestiario e dell’armamento) e l’elemosiniere. A tutti costoro, fratelli di convento in quanto avevano pronunciato i voti, si affiancavano i fratelli di mestiere, simili ai conversi, che si occupavano delle attività economiche e agricole. Con il tempo si aggiunsero gli ispettori generali che rappresentavano il Maestro in Occidente. Spostata, dopo la caduta di Gerusalemme, la sede generale dapprima ad Acri e infine a Cipro, i Templari seppero organizzare e gestire una fittissima rete di mansioni (domus) in tutta Europa, specie in Francia, Spagna, Inghilterra, Portogallo contendendosi con gli Ospitalieri l’assistenza ai pellegrini. I rapporti economici nelle mansioni erano organizzati secondo il sistema feudale: il praeceptor (commendatario) imponeva le tasse ed esercitava la giustizia sui contadini. L’Italia, particolarmente ricca di domus, era divisa in due province, ciascuna retta da un maestro: Lombardia o Italia (centro-nord e la Sicilia dal 1282) e Apulia il Mezzogiorno.

Ricostruzione di una commenda templare, quella di Coulommiers nella regione dell'Île-de-France

Le armi d’assedio.

balista

mangano
Gerusalemme, San Giovanni d’Acri, Antiochia, Damasco, Tripoli. Gli assedi condotti durante le Crociate furono innumerevoli, alcuni addirittura epici. Le tecniche prevedevano l’attacco diretto al nemico, ma anche il taglio dei rifornimenti, la distruzione delle riserve di cibo e acqua e altri espedienti di carattere psicologico per demoralizzare l’avversario e costringerlo alla resa. Le macchine utilizzate erano la balista e il mangano. La prima era una grossa balestra; il secondo aveva un braccio in legno a forma di cucchiaio, dentro il quale si inseriva il proiettile e lo si scagliava grazie all’energia liberata mollando una corda attorcigliata. La macchina più potente era però il trabucco a contrappeso, un’enorme fionda in grado di lanciare con buona precisione proiettili da 50 a oltre 1000 chilogrammi fino a 3-400 metri di distanza. Giunto probabilmente a Bisanzio dalla Cina in una versione a trazione umana, uno sconosciuto ingegnere europeo del XII secolo introdusse l’innovazione del contrappeso, migliorandolo considerevolmente. I mussulmani inoltre lanciavano granate in argilla e vetro e il “fuoco greco”, una miscela liquida a base di petrolio e zolfo (detta in arabo naft) che si incendiava all’impatto del bersaglio. Il suo uso era raccomandato da Mardi ibn Ali al-Tarsusi, nel manuale militare che scrisse per il Saladino. Durante l’assedio di Gerusalemme del 1099, mentre l’esercito cristiano faceva legna per costruire le macchine, il comandante della flotta genovese Guglielmo Embriaco diede ordine di smantellare le navi e di costruire, con il materiale ricavato, una serie di torri: le stesse furono poi sospinte, nottetempo, contro le mura della città consentendo ai crociati di varcarle e prendendo il nemico di sorpresa. Ad Acri, nel 1291, i mussulmani scavarono invece alcune gallerie sotto la fortezza templare (la Cupola) e ne causarono il crollo travolgendo migliaia di persone. Difendersi non era facile. Per attutire i colpi dei proiettili di pietra si proteggevano le mura con balle di paglia, ma era una tecnica poco efficace e controproducente: bastava dar loro fuoco con le frecce incendiarie. Fra fronte a un attacco con proiettili termici era molto difficile, quindi si cercava di prevenire il fuoco coprendo le parti in legno con strati di panni e pelli imbevute di acqua e urina. Nei castelli si tenevano sempre a portata di mano barili pieni di acqua e aceto, ma data la natura dei luoghi in Terrasanta, la scarsità d’acqua e il clima secco, il più delle volte non bastava.

San Giovanni d’Acri e Arsuf.

Guido di Lusignano rende le armi a Saladino dopo la disastrosa battaglia di Hattin.


Filippo II e Riccardo Cuor di Leone ricevono le chiavi di San Giovanni d'Acri.

Dopo la disfatta di Hattin, avvenuta il 4 luglio del 1187 per opera del Saladino (1137-1193), l’esercito musulmano si era spinto, forte dei prigionieri illustri tra cui il re di Gerusalemme Guido di Lusignano, sotto San Giovanni d’Acri. La città si arrese subito. Nei mesi successivi il Saladino conquistò Gerusalemme e gran parte delle città costiere. La gravità della situazione provocò una nuova Crociata, indetta dal papa con l’appoggio dei sovrani di Francia Filippo II Augusto, d’Inghilterra Enrico II e dell’imperatore Federico Barbarossa. Nel frattempo il marchese Corrado del Monferrato aveva riconquistato Tiro e prometteva riscossa. Sperando di fomentare la discordia tra i cristiani, il Saladino liberò allora Guido di Lusignano, odiato da Corrado perché lo riteneva responsabile del disastro, in cambio dell’impegno di non prendere più le armi. Il re cercò subito di riprendere il controllo dell’esercito e di Tiro, ma fallì per la resistenza di Corrado e fu allora costretto a chiederne l’appoggio se voleva strappare Acri agli infedeli.
L’assedio di Acri iniziò il 28 agosto 1189 con i cristiani in forte inferiorità numerica. Guido pose il campo sotto le mura in attesa dei rinforzi via mare. Intanto il Saladino marciava con l’intenzione di prenderlo alle spalle. La prima battaglia, il 4 ottobre, fu inizialmente favorevole ai Crociati: il merito fu soprattutto dei Templari, che attaccarono l’ala destra del Saladino sfondandola e permettendo al resto della cavalleria di disperderla. Ma mentre i Crociati erano distratti dal bottino, un contingente di 5000 musulmani, uscito dalle mura sguarnite, attaccò i Templari sterminandoli: tra loro morì anche il Maestro Gérard de Ridefort. I Crociati, però, riuscirono a recuperare, anche se a costo di gravi perdite. Iniziò così un assedio durato quindici mesi e costellato di azioni no risolutive, scarsità di viveri ed epidemie su entrambi i fronti. L’esercito crociato era occupato contemporaneamente ad assediare le mura e a respingere il Saladino. La situazione era allo stremo quando Filippo II e Riccardo Cuor di Leone  (nel frattempo succeduti a Enrico II) giunsero con i rinforzi rovesciando gli equilibri. Fu stabilita una tregua per i negoziati, ma a causa della malattia dei re cristiani si andava per le lunghe. Finalmente il 12 luglio 1191 Riccardo accettò la resa e le bandiere crociate tornarono a sventolare sulle mura.
A questo punto Riccardo marciò verso Giaffa per poi puntare su Gerusalemme. Sulla strada,il 7 settembre i due eserciti si scontrarono ad Arsuf. Le truppe del Saladino, più0 numerose e leggere, cercarono di bloccare la cavalleria pesante crociata dapprima con fanti e arcieri e poi con i cavalieri. I crociati resistettero finché alcuni Ospitalieri, rompendo l’ordine di stare serrati, non caricarono il nemico: il resto della cavalleria li seguì costringendo lo stesso Riccardo a mettersi al comando. Dopo pochi minuti l’esercito musulmano, fiaccato dalle infruttuose azioni precedenti, veniva messo in fuga. La disfatta di Hattin era così riscattata.

Schlacht von Arsuf.jpg
Battaglia di Arsuf, tavola del XIX secolo di Eloi Firmin Feron.

evoluzione della battaglia - Carica della fanteria egiziana e beduina

Carica della cavalleria cristiana

A SAN GIOVANNI D’ACRI
CRISTIANI:  25000 soldati, rinforzi compresi,
MUSULMANI: 6000 di guarnigione in Acri, 8000 nell’esercito di Saladino.

AD ARSUF
CRISTIANI: 20000 uomini
MUSULMANI: 25000, per lo più cavalleria leggera

Articolo in gran parte di Elena Percivaldi pubblicato su Storie di guerre e guerrieri, Collection extra n. 1 Sprea Editori, altri testi e immagini da Wikipedia.

1 commento:

  1. Sandro Colmo Articolo molto lungo e ben documentato. Soprattutto ben fondato dal punto di vista storico. Concordo pienamente sull'approccio ideologico e apprezzo questo modo razionale e scientifico di fare storia: questa è la Storia che mi piace !
    Vorrei infine sottolineare con un certo compiacimento che nel mio post sull'argomento, qui pubblicato qualche giorno fa, non si riscontra la minima contraddizione su quanto riportato nell'articolo, nonostante che io, lo assicuro, non lo conoscessi affatto.

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