Chi ha paura del selvaggio?
Protagonista di numerose leggende, l’uomo selvatico è un essere irsusto
e solitario che vive ai margini della società. Depositario di conoscenze
arcane, è rispettato e temuto. E ricorda all’uomo medievale il suo ambiguo
rapporto con la natura.
L’immagine
dell’uomo selvatico nasce nelle pieghe più profonde del tempo. Forse si adagiò
tra gli archetipi quando l’uomo comprese di essere membro di una specie
superiore, capace di discernere tra quei due grandi ambiti che millenni dopo
gli scienziati chiameranno “natura” e “cultura”. Quello dell’uomo selvaggio è
un mito che ha lasciato tracce in tempi e in luoghi anche molto lontani fra
loro: nelle leggende e nei proverbi presenti nel folklore, e che si
riconoscono, per esempio, nei riti connessi al Carnevale, o in altre esperienze
rituali inserite nella tradizione popolare. E così, l’uomo selvatico può essere
riconosciuto nella maschera dell’orso, nel diavolo, o nelle molteplici sfaccettature
degli “uomini-albero”.
UN ALLEVATORE PRIMORDIALE. Ma chi è dunque, l’uomo
selvatico? Nelle varie tradizioni, è una sorta di essere primordiale che, pur
mantenendo un aspetto umano, lo “contamina” con caratteristiche tipiche delle
fiere, come l’ipertricosi (in altre parole, è interamente coperto di peli). Vive
ai margini della civiltà e i suoi atteggiamenti nei confronti dell’uomo “civile”
assumono connotazioni diverse: in genere prevale l’emarginazione, o l’autoemarginazione:
si trova in natura per scelta, o perché nato da genitori selvatici, oppure perché
fuggito dal consorzio umano, dal quale era stato rifiutato, se non addirittura
allontanato malamente. Inoltre, la tradizione orale narra di selvaggi diventati
tali poiché “malati di mente”, “ritardati” o caratterizzati da anomalie fisiche
tali da renderli, appunto “selvaggi”.
Per accentuare la sua
selvatichezza, è tradizionalmente rappresentato irsuto, vestito di pelle e
armato di clava, depositario di conoscenze culturali che gli consentono di compiere
una serie di attività all’interno dell’ambiente naturale, generalmente
sconosciute dagli uomini che vivono nella civiltà.
Secondo il folklore (la
tradizione orale, ma anche maschere, feste, rituali stagionali), lìuomo
selvatico risulta caratterizzato da alcuni stereotipi. È considerato il primo
abitante delle Alpi. È maestra nell’arte casearia, nell’apicoltura, nelle tecniche
minerarie e in altre attività legate all’economia dei territori in cui la sua
leggenda è diffusa. Ha insegnato agli uomini canti e proverbi. Si è allontanato
dal resto dei “civili” perché non è stato accettato, e in più occasioni è stato
da loro offeso. Vive dei prodotti della natura, di cui conosce tutti i segreti.
In rari casi è un allevatore e, quando fa il pastore, eccelle su chiunque.
Abita in un luogo fisso
(un riparo sottoroccia, una casa abbandonata o una grotta), spesso inaccessibile
all’uomo normale. Non pericoloso e tende a fuggire quando incontra. Si avvicina
ai luoghi abitati solo quando viene attirato dal canto di una donna. Di solito
è buono e le testimonianze che lo descrivono come malvagio sono rare. Le sue peculiarità
simboliche lo avvicinano alle figure mitiche di nani ed elfi. Oltre all’uomo
selvatico, esiste anche la donna selvatica, e in alcuni casi si incontrano
perfino interi gruppi famigliari. Adattamenti più recenti della leggenda
imputano la fuga del selvaggio a cause “moderne”: l’uomo civile ha occupato la
sua terra, costringendolo a ritirarsi altrove. In più, timoroso delle trappole
per gli animali e dei mezzi agricoli usati dai contadini per lavorare i campi, preferisce
mantenersi a distanza.
Donna irsuta…
Se l’uomo selvatico domina quasi
incontrastato il panorama mitico, qua e là è possibile trovare tracce anche
della donna selvatica. In diverse leggende la donna diventa selvatica perché rapita
dall’uomo selvatico (o da un orso). L’unione dei due porta alla nascita di
figli anatomicamente molto simili al padre: ricorrente è la descrizione di
creature piccole, pelose, mentalmente inferiori, che ricordano da vicino la
figura dello “scemo del villaggio”. Questi tratti ne enfatizzano la
diversità, ponendole in contrasto con la comunità degli uomini.
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SELVAGGIO CONTRO CIVILE? La figura dell’uomo
selvatico ha condizionato profondamente l’immaginario delle popolazioni che ne
hanno conservato la memoria. Forse perché rappresenta la parte più arcaica di
ognuno di noi: fatto sta che il suo mito riaffiora insistentemente nelle nostre
tradizioni. Qualche volta si maschera, ma quasi sempre compare con tutte le sue
caratteristiche dominanti, dimostrandoci che è riuscito a rimanere aggrappato
alla nostra memoria, con leggerezza, fantasia e anche un po’ di poesia.
Il suo modello
simbolico si affermò anche nella letteratura cortese e nell’iconografia
medievale, investendolo del ruolo di creatura della natura, contrapposta alla
cultura e al di fuori del consorzio umano. L’uomo selvatico è protagonista di
molte leggende, da Occidente a Oriente, e occupa una posizione importante nei
rituali del Carnevale, in cui spesso è simbolo dell’inverno.
In alcune storie assume
caratteristiche affini al cosiddetto “eroe culturale”, cioè a colui che insegna
qualcosa di fondamentale agli uomini civili: l’arte casearia, l’agricoltura, l’attività
mineraria e così via. Per esempio, fornì ai pastori le indicazioni per
realizzare il burro e il formaggio, e le istruzioni per ottenere il miele dagli
alveari. Le leggende che fanno riferimento a queste sue peculiarità raccontano
che, proprio quando l’uomo selvatico era in procinto di insegnare segreti
importanti (come ottenere la cera dal
latte, o l’olio dal caglio), fu costretto a fuggire perché vittima degli
scherzi degli uomini. Il risultato fu che non svelò a nessuno i suoi antichi
segreti. E così dopo aver trasferito quasi per intero le proprie conoscenze a
pastori e contadini, fuggì sulla montagna o nel fitto dei boschi, da cui non
fece mai più ritorno, o al massimo, si concesse solo rapide incursioni nel
consorzio umano.
PADRONE DELLE VALLI. L’iconografia (da
quella di matrice popolare all’arte colta) ha contribuito ad accentuare le
valenze simboliche dell’uomo selvatico: in genere lo rappresenta con abiti
realizzati con prodotti della natura (foglie, pelli, cortecce, ecc), per
accentuare la dimensione selvaggia del suo habitat.
Il selvaggio è presente
anche in araldica, come sostenitore di stemmi, con un ruolo analogo a quello di
alcuni animali simbolici, posti ai lati del blasone. Nelle feste popolari che
si intersecano con il rito del Carnevale, è parte integrante della
rappresentazione e nella sua figura si mescolano motivi allegorici provenienti
sia dalla letteratura che dall’universo del mito. Il corpus di fonti costituito
dall’iconografia è fatto di affreschi, miniature, incisioni e sculture, a cui,
come si è detto, si aggiunge anche l’arte aristocratica dell’araldica.
Un esempio emblematico
è rappresentato dalla Camera Picta di Sacco, in Valgerola. Altre raffigurazioni
significative si trovano a Tirano (Sondrio), dove sono presenti ben due “salva
deghi” affrescati sulla Porta Schiavina: le creature, visibili solo in parte,
hanno dimensioni notevoli, sono ricoperte da un folto pelo rossiccio e
impugnano un lungo bastone da pellegrino nella mano destra. Originale è poi il
selvaggio tricefalo di Bressanone (le due teste laterali potrebbero essere
state aggiunte in un secondo momento). Qui la statua ripropone il modello
ricorrente, un uomo peloso con un lungo bastone nella destra, ma con una
piccola variante, rappresentata dal perizoma di foglie. La scultura è posta a
una certa altezza da terra, nel punto in cui i Portici Maggiori si incontrano
con quelli Minori.
La presenza delle tre
teste (caso unico nell’iconografia dell’uomo selvatico, ma non in quella
cristiana) ha suggerito svariate interpretazioni, tra cui quella del modello
demoniaco: affreschi con demoni tricefali sono piuttosto frequenti nelle
raffigurazioni del Giudizio Universale.
Intorno al selvaggio di
Bressanone, datato al XVI secolo, circolano diverse leggente che attribuiscono
poteri soprannaturali a quest’insolita statua. Secondo la più strana di esse,
ogni Venerdì Santo, allo scoccare del mezzogiorno, dalle tre bocche uscirebbero
monete.
Articolo in gran parte
di Massimo Centini Antropologo e saggista pubblicato su Medioevo Misterioso
extra n. 7 – altri testi e immagini da Wikipedia.
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