lunedì 4 febbraio 2019

La cacciata di Tarquinio il Superbo.

La cacciata di Tarquinio il Superbo.
Ottenuto il trono di Roma con l’aiuto di una donna senza scrupoli, il re ne fu cacciato dopo che la virtuosa Lucrezia si fu tolta la vita per essere stata oltraggiata da suo figlio, il prepotente Sesto Tarquinio.

Lucio Tarquinio
Tarquinius-Superbus.jpg
Tarquinio il Superbo.
Re di Roma
In carica535 a.C. - 509 a.C.
PredecessoreServio Tullio[1][2][3]
Successorefine regno[4]
Nome completoLucio Tarquinio
NascitaRoma
MorteRoma, 495 a.C.
DinastiaTarquini
PadreTarquinio Prisco[5][6]
ConiugiTullia Maggiore[5]
Tullia Minore
FigliTito TarquinioArrunte TarquinioSesto Tarquinio,
Lucio Tarquinio (... – 495 a.C.), meglio conosciuto come Tarquinio il Superbo a causa dei suoi costumi, fu il settimo e ultimo re di Roma[6][7].
Della dinastia etrusca dei Tarquini,[4] Tarquinio regnò dal 535 a.C. al 509 a.C., anno in cui fu messo al bando da Roma. 
L’epoca dei re di Roma durò circa due secoli, dal 753 al 509 a.C. Si trattava di sovrani elettivi scelti dalla comunità, la cui carica non era ereditaria. I primi re appartenevano alla stirpe dei fondatori della città. Più tardi, il trono fu preso da sovrani di origine etrusca. Non si sa se questo avvenne in conseguenza di un’egemonia etrusca su Roma, o (più semplicemente) se Etruschi immigrati nell’Urbe riuscirono a ottenere i massimi ruoli politici. In ogni caso, secondo la tradizione,il primo re etrusco fu Tarquinio Prisco. Figlio di un greco e di un’etrusca, si trasferì a Roma perché a Tarquinia trovò precluse le vie della scalata politica. In città, divenne intimo del re Anco Marzio, che lo nominò tutore dei suoi figli.

BUONI E CATTIVI. Alla morte di Anco Marzio, Tarquinio si presentò al popolo come erede del sovrano e fu eletto per acclamazione. Gli succedette Servio Tullio, che secondo la tradizione era suo genero (figlio di una nobile latina, divenuta schiava della moglie di Tarquinio), ma che forse era un suo avversario politico (il cui vero nome pare fosse Mastarma), originario della città etrusca di Vulci. Servio realizzò opere pubbliche e riforme sociali. Con lui, la partecipazione alla vita politica fu estesa anche ai commercianti e agli artigiani stranieri giunti in città. questo gli garantì grande consenso. Il potere politico, di fatto, passò dai discendenti dei fondatori di Roma, i patrizi (i cui capi sedevano in Senato), a coloro che detenevano la ricchezza. Una vera rivoluzione per una società rimasta legata alle tradizioni pastorali dei padri, per i quali la terra era più importante del denaro. Beneamato dal popolo, Silvio non lo era dei figli (o nipoti) di Tarquinio Prisco: Tarquinio Arunte e Lucio Tarquinio (che forse era il figlio di un fratello di Servio ucciso dal re). Il secondo, in particolare, ambiva prepotentemente al trono. Per pacificare le famiglia, Servio aveva dato in spose ai due uomini le figlie Tullia Maggiore e Tulli Minore, la prima a Lucio, la seconda ad Arunte. Ma Tullia Minore era ambiziosa quanto il cognato. Invidiava la sorella e la riteneva priva di nerbo. Allo stesso modo disprezzava il marito, che considerava imbelle. Lei e Lucio, privi di scrupoli, si misero in combutta ed eliminarono i rispettivi consorti e si sposarono.
Il passo successivo verso il potere fu l’eliminazione del suocero e del padre, Servio Tullio. Tarquinio, inscenando una sorta di colpo di stato, si presentò in Senato, occupò il trono regale e rivendicò per sé la corna, che Servio, secondo lui, aveva tolto alla sua famiglia. I senatori, che non vedevano di buon occhio Servio per le riforme che li avevano privati di parte del loro antico potere, si difenderà la corna. Tra lui e il pretendente scoppiò una lite furibonda, alla fine della quale l’anziano monarca fu scaraventato giù da una rampa di scale. Nel frattempo sopraggiunse su un carro la figlia Tullia. Visto il padre  rantolare sul selciato, diede ordine al cocchiere di travolgerlo.  Come scrisse Tito Livio: “resa forsennata dalle Furie, Tullia fece passare il cocchio sul corpo del padre e portò sul carro insanguinato, lorda e aspersa essa stessa, le tracce dell’eccidio paterno”. Una scena da film dell’orrore. I consorti si trovarono spianata la strada verso il trono. Tarquinio, divenuto re, fu subito soprannominato “Superbo”, perché negò la sepoltura al suocero morto. Prese il potere con la forza, senza l’approvazione del popolo e del Senato romano, e governò, a differenza di Servio (che era benvoluto dal popolo) in maniera dispotica.
 Capitoline Brutus Musei Capitolini MC1183.jpg
Busto di Bruto, nei Musei Capitolini in Roma.


IL TIRANNO GUERRIERO. Tuttavia, a Tarquinio riconobbe una notevole indole militare. Ampliò il territorio di Roma, conquistando città come Pometia, Ardea, Ocricoli, Gabil (quest’ultima con l’inganno, senza spargere una sola goccia di sangue romano). Si spinse nell’entroterra laziale, facendo guerra al popolo dei Volsci, e firmò trattati con Tuscolo e Anzio. Per rafforzare le vie commerciali marittime sulla costa tirrenica fondò le colonie di Circei e Signia. Inoltre portò a termine la costruzione della Cloaca Massima, la grande fogna di Roma e, completò il tempio di Giove Ottimo Massimo, grazie anche al bottino conquistato in guerra e schiavizzando il popolo romano. Tuttavia il suo regno era costantemente in bilico. Dopo la visione di un serpente che sbucava da una colonna di legno, il re inviò una delegazione a consultare un oracolo.
Della spedizione faceva parte anche Lucio Giunio Bruto, gentiluomo di palazzo, che dal responso oracolare capì che sarebbe stato lui a governare Roma dopo Tarquinio. Bruto, anch’egli di origine etrusca, era figlio e fratello di due oppositori di Tarquinio mandati a morte del re. Si era finto stupido per non essere perseguitato, ma faceva comunque parte della ristretta cerchia che orbitava attorno al sovrano. Fu lui ad accelerarne la caduta dopo un altro episodio cruento. Durante l’assedio di Ardea, Tarquinio Sesto (figlio del Superbo) e il generale Tarquinio Collatino cominciarono a discutere delle rispettive mogli. Secondo Sesto tutte cercavano sollazzo fra altre braccia quando i marini erano assenti, ma Collatino non era dello stesso potere. per risolvere la disputa, i due tornarono a Roma, dove trovarono la moglie di Sesto intenta a gozzovigliare e a farsi corteggiare, mentre la sposa di Collatino, Lucrezia, tesseva una tela per il marito. Inviperito per aver perso la scommessa, Sesto giurò di far sua la moglie dell’altro. Tornò di nuovo a Roma e la stuprò. Lei, disperata, raggiunse il marito e il padre ad Ardea e si tolse la vita con un pugnale. Bruto e Collatino portarono il corpo della donna nell’Urbe e giurarono di vendicarla tenendo fra le mani lo stesso pugnale usato da Lucrezia. Saputo dell’oltraggio e del suicidio, il popolo stanco di soprusi, si sollevò. Lo stesso fece l’esercito, raggiunto da Lucio Giunio Bruto ad Ardea, Tarquinio e la sua famiglia furono costretti alla fuga. Il trono, conquistato con un delitto e grazie a una donna degenerata, veniva perduto a causa di un delitto commesso ai danni di una donna virtuosa.
Sesto fu ucciso a Gabii. Il Superbo chiese aiuto al re di Chiusi, Porsenna, poi ad altri, ma i suoi tentativi di riprendere Roma fallirono. In città, intanto, era stata proclamata la Repubblica, i cui primi consoli furono Bruto e Collatino. Rifugiatosi a Tusculum e poi a Cuma, Tarquinio morì nel 495 a.C. A Roma la notizia fu accolta con gioia: morto l’ultimo re, la res publica cominciava la sua Storia.

(LA)
«Aduentu suorum lacrimae obortae, quaerentique viro "Satin salue?" "Minime" inquit; "quid enim salui est mulieri amissa pudicitia? Vestigia viri alieni, Collatine, in lecto sunt tuo; ceterum corpus est tantum violatum, animus insons; mors testis erit. Sed date dexteras fidemque haud impune adultero fore. Sex. est Tarquinius qui hostis pro hospite priore nocte vi armatus mihi sibique, si vos viri estis, pestiferum hinc abstulit gaudium." Dant ordine omnes fidem; consolantur aegram animi avertendo noxam ab coacta in auctorem delicti: mentem peccare, non corpus, et unde consilium afuerit culpam abesse. "Vos" inquit "uideritis quid illi debeatur: ego me etsi peccato absoluo, supplicio non libero; nec ulla deinde impudica Lucretiae exemplo uiuet." Cultrum, quem sub ueste abditum habebat, eum in corde defigit, prolapsaque in volnus moribunda cecidit. Conclamat vir paterque.»
(IT)
«Alla vista dei congiunti, scoppia a piangere. Il marito allora le chiede: "Tutto bene?" Lei gli risponde: "Come fa ad andare tutto bene a una donna che ha perduto l'onore? Nel tuo letto, Collatino, ci son le tracce di un altro uomo: solo il mio corpo è stato violato, il mio cuore è puro e te lo proverò con la mia morte. Ma giuratemi che l'adultero non rimarrà impunito. Si tratta di Sesto Tarquinio: è lui che ieri notte è venuto qui e, restituendo ostilità in cambio di ospitalità, armato e con la forza ha abusato di me. Se siete uomini veri, fate sì che quel rapporto non sia fatale solo a me ma anche a lui." Uno dopo l'altro giurano tutti. Cercano quindi di consolarla con questi argomenti: in primo luogo la colpa ricadeva solo sull'autore di quell'azione abominevole e non su di lei che ne era stata la vittima; poi non è il corpo che pecca ma la mente e quindi, se manca l'intenzione, non si può parlare di colpa. Ma lei replica: "Sta a voi stabilire quel che si merita. Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l'esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!" Afferrato il coltello che teneva nascosto sotto la veste, se lo piantò nel cuore e, piegandosi sulla ferita, cadde a terra esanime tra le urla del marito e del padre.[13][27]»

Plastico ricostruttivo della "grande Roma dei Tarquini" presso il museo della Civiltà Romana all'EUR.
Tarquinio, messo al bando dalla città su cui regnava,[13] venuto a sapere di questa notizia, mentre stava ancora assediando la città di Ardea, partì per Roma per reprimere la rivolta. Lucio Giunio Bruto, allora, informato che il re si stava avvicinando, per evitare l'incontro, fece una breve diversione e raggiunse l'accampamento regio ad Ardea dove fu accolto con entusiasmo da tutti i soldati, i quali espulsero i figli del re, mentre a quest'ultimo venivano chiuse le porte in faccia e comunicata la notizia dell'esilio.[4][29][30] Due dei figli seguirono il padre in esilio a Cere (Cerveteri), Sesto Tarquinio invece, partito per Gabii, qui fu assassinato, da coloro che si vendicarono delle stragi e razzie da quello compiute. In seguito a questi eventi, furono convocati i comizi centuriati dal prefetto della città di Roma, ed elessero i primi due consoliLucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino.[29]
Costretto a fuggire con la moglie ed i figli[4] a Cere, dopo ventiquattro anni di regno, il vecchio sovrano non si diede per vinto, e tentò di restaurare il proprio regno con l'aiuto di Porsenna, re di Clusium,[6] a cui si alleò, e delle città latine avversarie di Roma. Nonostante i successi ottenuti dal lucumone etrusco, Tarquinio non riuscì a rientrare nell'Urbe.[6]Tarquinio allora, con i propri familiari, pose la propria base a Tuscolo, governata da suo genero Mamilio Ottavio. Questo cavalcò il malcontento delle città Latine, adoperandosi in funzione anti-romana.
«...Ma il pericolo di una nuova guerra coi Latini non era il solo allarme: infatti si sapeva ormai per certo che trenta città latine, istigate da Ottavio Mamilio, avevano formato una coalizione...»
(Tito LivioAb Urbe condita librilib. II, par. 18)
Intanto Tarquinio riuscì ad ottenere il sostegno degli Etruschi di Tarquinia e Veio, ponendosi al comando di un esercito, che si scontrò con quello romano, condotto dai consoli Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola, nella sanguinosa battaglia della Selva Arsia, in territorio romano. La battaglia, a lungo incerta, vide la vittoria dei romani[31].
Lo scontro inizialmente temuto si concretizzo nel 499 a.C., quanto gli eserciti romani e latini si scontrarono nella battaglia del Lago Regillo. L'esercito romano fu affidato Aulo Postumio Albo Regillense, nominato dittatore per fronteggiare la crisi, ed a Tito Ebuzio Helva, suo magister equitum, mentre quello latino era guidato da Mamilio e dallo stesso Tarquinio.
«... La notizia della presenza dei Tarquini tra le file latine suscitò un'indignazione tale nei Romani da non poter rimandare ulteriormente lo scontro. Per questo la battaglia non ebbe precedenti quanto a ferocia e accanimento. Infatti i comandanti non si limitarono a dirigere le operazioni, ma si buttarono di persona nella mischia e quasi nessun membro dei due stati maggiori, salvo il dittatore romano, uscì indenne dallo scontro. Postumio era in prima linea a dirigere e incoraggiare i suoi uomini, quando Tarquinio il Superbo, nonostante l'età e il fisico indebolito, si lanciò al galoppo contro di lui, ma rimediò una ferita al fianco e riuscì a scamparla solo grazie all'intervento tempestivo dei suoi uomini....»
(Tito LivioAb Urbe condita librilib. II, par. 19)

Tarquinio e la Sibilla.


Sibilla Cumana nella Cappella Sistina

Aulo Gellio, scrittore e giurista romano, nelle sue Notti attiche (immenso archivio della memoria antica scritto tra il 150 e il 170 a.C.) ci ha tramandato un curioso episodio legato alla vita di Tarquinio il Superbo. Un giorno, una vecchia e sconosciuta straniera si recò dal re portando nove libri che dive di essere oracoli divini: voleva venderli. Tarquini le chiese il prezzo e lei gli domandò una somma spropositata, al che il re la derise come se desse i numeri a causa dell’età. Allora la vecchia preparò sotto i suoi occhi un braciere, dove bruciò tre dei nove libri, per poi chiedere al sovrano se fosse disposto a comprare i rimanenti al medesimo prezzo. Tarquinio rise ancora più a quella richiesta e ribadì che la vecchia stava vaneggiando.
La straniera, a quel punto, arse altri tre libri e di nuovo chiese al re se voleva compre quelli rimasti allo stesso prezzo. Tarquinio a quel punto, si fece serio, capì che la fermezza della donna non doveva essere presa alla leggera e comprò gli ultimi tre libri alla cifra che gli era stata chiesta per tutti quanti. La donna, dopo essersi allontanata, non fu mai più rivista. I tre libri furono riposti in un santuario e chiamati sibillini, poiché si ritenne che la vecchia fosse la Sibilla Cumana. Da allora i rotoli furono consultati per tutte le questioni di interesse pubblico.
                                   

Articolo in gran parte di Edward Foster pubblicato su Civiltà Romana n. 1. Altri testi e immagini da Wikipedia

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