martedì 30 aprile 2019

Numa Pompilio il re che amava le donne.


Numa il re che amava le donne.
Salito al trono dopo il bellicoso Romolo, Numa Pompilio diede a Roma regole di convivenza basate sul rispetto dei riti religiosi. Ad aiutarlo nel suo compito, una misteriosa figura femminile: la ninfa Egeria.

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Numa Pompilio
Numa Pompilius and Ancus Marcius coin 1.gif
La moneta ritrae NVMAE POMPILI e ANCI MARCI, nipote del primo. Sul retro la Vittoriasotto un arco ed una nave sotto la luna.
Re di Roma
In carica715 a.C. - 673 a.C.
PredecessoreRomolo[1][2][3]
SuccessoreTullo Ostilio[4][5]
NascitaCures[1]754 a.C.
Morte673 a.C.
DinastiaRe latino-sabini
ConiugeTazia
FigliPompilia

Numa Pompilio (Cures Sabini, 754 a.C.  673 a.C.) è stato il secondo re di Roma,[1] il cui regno durò quarantatré anni[2] 
La narrazione mitica riporta che la morte di Romolo nel 716 a.C, aprì a Roma un periodo di crisi politica. La fine del primo re, ammantata di mistero (sarebbe stato assunto in cielo durante una tempesta), nasconde probabilmente una realtà più cruda. Tra i patres, ossia i patrizi, e il monarca si era creata un frattura, dovuta all’assolutismo di Romolo. Ciò aveva indotto i patrizi a emarginare il sovrano, cercando d’istituire  una forma di governo differente. Come racconta Plutarco nelle Vite parallele “Romolo fu fatto improvvisamente sparire dal mondo”. Di lui non rimase traccia e non si seppe più nulla. Proculo Giulio affermò che, dopo la scomparsa, il re gli era apparso per annunciarli la futura gloria dell’Urbe. Plutarco, più prosaicamente narra che furono invece i senatori a uccidere di proprio pugno Romolo, all’intero del tempio dedicato a Vulcano, per poi farlo a pezzi e seppellirli sparsi qua e là.


 Numa Pompilio consulta gli dei

UN NUOVO RE. Romolo venne divinizzato e al suo posto non fu eletto un nuovo re. Il collegio dei patrizi, di cui facevano parte sia i Romani che Sabini, si assunse l’incarico di governare la città. secondo Plutarco, “I patrizi si divisero tra loro il potere, in modo che ciascuno di essi tenesse il potere per sei ore del giorno e sei della notte”. Secondo altri autori, il tempo di rotazione era più lungo (alcuni giorni), ma il tentativo di tramutare la monarchia di oligarchia non si dimostrò efficace e ben presto il popolo cominciò a protestare per la disorganizzazione e l’inefficienza del governo. Si stabilì quindi di eleggere un nuovo monarca. La scelta non era facile. Dopo la fondazione, Roma si era espansa e in città erano confluite diverse popolazioni. Dopo il rapimento delle loro donne, i Sabini si erano uniti ai Romani in un’unica entità. Tito Tazio, re sabino, aveva governato per cinque anni (dal 750 al 745 a.C.) assieme a Romolo, in una sorta di monarchia collegiale. Tra i due gruppi, comunque, non c’era completa armonia. Quando si trovarono in contrasto sul candidato da sostenere i Romani puntavano sul senatore Proculo, della loro stirpe, mentre i Sabini propendevano per il nome di Velesio. L’accordo apparve introvabile fino a quando non si giunse a escogitare un sistema di elezione bizzarro ma geniale: si decise che ciascuno dei due popoli avrebbe dovuto ai Romani e costoro si accordarono sul nome di Numa Pompilio.

Numa Pompilio parla con la ninfa Egeria che gli dona le leggi di Roma (mos maiorum)[

SOVRANO ILLUMINATO. Numa non faceva parte del gruppo di Sabini che si era stanziato sul Quirinale (i Romani, da parte loro, occupavano il colle del Campidoglio), ma risiedeva ancora nell’antica città di Curi (da cui deriva il nome “Quiriti” che i Sabini davano a se stessi e che poi si estese a tutti i Romani), capitale del popolo sabino, sulla riva sinistra del Tevere. Aveva fama di uomo virtuoso e pius, secondo l’antico significato latino di “colui che adempie ai doveri morali e religiosi”, “colui che onora i padri”. Aveva inoltre un ulteriore titolo d’onore: era marito di Tazia, la figlia di Tito Tazio, e pertanto genero del sovrano associato a Romolo. Pare, inoltre che fosse nato nel giorno di fondazione della città. il 21 aprile.
Proculo e Valesio, abbandonate le velleità di ascendere al trono, furono inviati a Curi come ambasciatori. Al principio, la reazione del re designato fu negativa. Vedovo già da tempo, amante della pace e dei luoghi tranquilli (si rifugiava spesso nei suoi possedimenti di campagna, abbandonando la città), Numa preferiva la saggezza alla politica. Si disse anche che fosse stato discepolo di Pitagora (cosa impossibile, visto che il matematico e filosofo greco visse un paio di secoli più tardi). Quando i due messi lo informarono della sua elezione rispose pacatamente: “Ogni uomo che vuol cambiare vita si espone a un rischio. Colui che non manca di nulla ,e non ha da dolersi di quello che possiede, solo se è pazzo può indursi a mutare la sua maniera di vivere. D’altronde, cosa sia un regno si può dedurlo dalle vicende di Romolo, accusato di aver teso insidie a Tazio. Inoltre, Romolo è celebrato come figli odi un dio. Io sono semplice figli od immortali. I costumi che in me vengono lodati (grande tranquillità, inclinazione alla filosofia, amore per la pace in cui fui allevato, preferenza per gli uomini non portati alla guerra) differiscono moltissimo da quelli richiesti a chi deve divenire re. A voi Romani, Romolo lasciò eredità di guerre per proseguire le quali la città ha bisogno di un re giovane di animo fervente. Le mie intenzioni, volte e onorare gli dei e amministrare la giustizia, sarebbero oggetto di derisione in una città più bisognosa di un capitano che di un re”. Si trattava di un garbato rifiuto, e forse i discendenti di Romolo avevano indicato Numa proprio per questo, volendo costringere poi i Sabini a scegliere un Romano per la carica suprema. Invece, un po’ per le insistenze del padre, un po’ per le insistenze del padre, un po’ per le insistenze del padre, un po’ per aver visto segni divini favorevoli al suo mandato, Numa alla fine accettò di recarsi a Roma per sedersi sul trono dell’Urbe. Anche in città fu accolto da auspici favorevoli al suo mandato, uccelli che arrivavano in volo da destra. All’età di quasi quarant’anni, Numa indossò il manto regale e si diede alla sua opera di riorganizzazione dello stato.

Calendario romano[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Calendario romano e festività romane.
A lui viene ascritta anche una riforma del calendario, basato sui cicli lunari, che passò da 10 a 12 mesi di 355 giorni (secondo Livio inviece lo divise in 10 mesi, mentre in precedenza non esisteva alcun calcolo[2]), con l'aggiunta di gennaio, dedicato a Giano, e febbraio che furono posti alla fine dell'anno, dopo dicembre[39] (l'anno iniziava con il mese di marzo, da notare tuttora la persitenza di somiglianze dei nomi degli ultimi mesi dell'anno con i numeri: settembre, ottobre, novembre, dicembre).
Il calendario conteneva anche l'indicazione dei giorni fasti e nefasti, durante i quali non era lecito prendere alcuna decisione pubblica. Anche in questo caso, come per tutte le riforme più difficili, la tradizione racconta che il re seguì i consigli della ninfa Egeria, sottolineando così il carattere sacrale di queste decisioni.[27]
(LA)
«Atque omnium primum ad cursus lunae in duodecim menses discribit annum; quem quia tricenos dies singulis mensibus luna non explet desuntque sex dies solido anno qui solstitiali circumagitur orbe, intercalariis mensibus interponendis ita dispensavit, ut vicesimo anno ad metam eandem solis unde orsi essent, plenis omnium annorum spatiis dies congruerent. Idem nefastos dies fastosque fecit quia aliquando nihil cum populo agi utile futurum erat
(IT)
«E divise l'anno in dodici mesi seguendo prima di tutto il ciclo della Luna; e poiché la Luna non lo completa con i singoli mesi di trenta giorni, ma avanzano sei giorni per un anno intero che completi il ciclo dei solstizi, stabilì di interporre mesi intercalari in modo che nel giro di 19 anni i giorni, tornando alla stessa posizione del sole dal quale erano partiti, collimassero in pieno con gli anni. Distinse poi i giorni in fasti e nefasti,[10] perché in certi giorni non si dovessero prendere decisioni pubbliche.»
(Tito LivioAb Urbe condita libri, I)
L'anno così suddiviso da Numa, non coincideva però con il ciclo lunare, per cui ad anni alterni veniva aggiunto come ultimo mese il mercedonio, composto da 27 giorni, togliendo a febbraio 4 o 5 giorni; era il collegio dei pontefici a decidere queste compensazioni, alle volte anche sulla base di convenienze politiche[40].


DA UN MONARCA ALL’ALTRO.
Dalla moglie Tazia, figlio di Tito Tazio, che fu re di Roma in coppia con Romolo, Numa Pompilio ebbe un figlia, Pomilia. Altre fonti raccontano di altri eredi avuti da Tazia oppure da una seconda moglie, Lucrezia. I nomi di questi ulteriori discendenti, tutti maschi, sarebbero Pompo, Calpo, Pino e Mamerco. Da essi, secondo la tradizione, sarebbero discese importanti gens (famiglie) di Roma.
Più importante, però, la discendenza attraverso Pompilia. Questa, infatti, si sarebbe sposata con il senatore sabino Marcio, candidatosi alla successione di Numa dopo la morte del re. Gli fu però preferito, per alternanza, Tullio Ostilio, che era di stirpe romana. Per la delusione patita, Marcio si lasciò morire. Da lui e da Pomilia, tuttavia, era nato Anco Marzio (o Marcio). Che sarebbe salito al trono dopo Tullio, regnando dal 641 al 616,
     
Egeria nel parco di Wörlitz in Germania

LA NINFA EGERIA. In questo compito fu aiutato dalla ninfa Egeria. Si trattava di una delle quattro Camene, divinità delle sorgenti, alle quali venivano attribuite qualità profetiche e ispiratrici. Tra queste ninfe, due (Antevorra e Postvorta) erano invocate dalle donne perché le assistessero durante il parto; la terza, Carmenta, era una specie di musa della poesia e del racconto epico, la quarta era lei, Egeria, il cui nome è assonante con la parola ager (terra da coltivare): era probabilmente una divinità femminile arcaica e molto potente, legata al culto della terra.
Egeria ispirò al nuovo re saggezza, concordia e pacificazione. Secondo la leggenda, fu amante, consigliera e anche moglie di Numa. Quando il re morì, la ninfa si sciolse letteralmente in lacrime, dando origine a una fonte che divenne luogo sacro e viene identificato con la sorgente che si trova presso Porta Capena, nella zona dove ora sorge il Circo Massimo. Egeria era anche associata alla figura di Diana Nemorensis, la dea onorata dei boschi presso il lago di Nemi; un culto antico e cruento, che prevedeva sacrifici umani. Si è ipotizzato che dietro l’immagine della ninfa si nascondesse un personaggio reale, una sacerdotessa di qualche antico culto matriarcale, celebrato nei boschi, a cui Numa chiedeva consiglio per la sua opera di riforma religiosa. Fino alla sua elezione, infatti, i Romani, i Sabini e gli Etruschi che popolavano l’Urbe onoravano dei diversi, non sempre in accordo fra loro. Fu Numa a istituire una prima triade dei maggiori, da celebrare con cerimonie e riti particolari: Giove, Marte e Quirino (Jupiter, Mars, Quirinus). Divinità nelle quali lo storico francese Georges Dumézile (1898-1986) vide la conferma della sua teoria della “tripartizione funzionale” applicabile alle religioni dei popoli indoeuropei (come romani e Sabini): la funzione sacrale e giuridica rappresentata da Giove, la funzione guerriera di Marte e la funzione produttiva impersonata da Quirino.

Parole di Roma: REX.
La parola rex, che a Roma indicava il sovrano, è legata ad altri termini di origine indoeuropea diffusi non solo in Europa, ma anche in Asia. In gaelico (lingua parlata in Irlanda) esiste per esempio il vocabolo ri, in celtico rix (suffisso in nomi di condottieri, come Vercingetorix), in sanscrito (antica lingua indiana) si trova il vocabolo raj. Dalla radice della parola derivano anche il vergo regere, che significa “guidare, condurre, dirigere” e il participio passato è rectus (sia retto, in senso astratto che diritto). Il rex, infatti nel suo significato originale, più che un sovrano è colui che traccia una regola una via da seguire. Dopo la fine del periodo monarchico, con la cacciata di Tarquinio il Superbo, a Roma la figura del rex continuò a esistere: era il rex sacro rum, il sovrano delle cose sacre, personaggio che non aveva funzione politica, ma religiosa, e officiava i rituali a cui prima, tradizionalmente, aveva presieduto il re di Roma.

DALLA RELIGIONE AL CALENDIARIO. Numa proibì di venerare immagini degli dei con forma umana, cosa che riteneva sacrilega, e istituì il collegio dei Pontefici, presieduti dal pontefice massimo, che aveva il compito di vigilare sulla moralità pubblica e privata e sulle prescrizioni di carattere sacro. Istituì, inoltre, il collegio delle vergini Vestali, assegnando loro la cura del tempio in cui era custodito il fuoco sacro della città, che non si doveva mai spegnere. Nominò i Feziali (sacerdoti guardiani della pace), che avevano il compito di appianare i conflitti con i popoli vicini e di proporre la guerra solo una volta esauriti gli sforzi diplomatici (durante il regno di Numa non si registrò alcun conflitto). Diede vita anche al collegio dei Salii, i sacerdoti che dovevano separare il gemp della pace e della guerra (che per gli antichi Romani andava da marzo a ottobre). Si trattava di un compito importante, perché stabiliva, durante l’anno, il passaggio dallo stato di cittadini (soggetti all’amministrazione civile) a guerrieri (che sottostavano alle leggi dell’amministrazione militare e dovevano dedicarsi alle esercitazioni). La tradizione attribuisce a Numa anche la definizione dei limiti tra le proprietà private e pubbliche, cosa che fu sacralizzata con la dedica dei confini a Jupiter Terminalis. Nel Foro, fece erigere il Tempio di Vesta e la Regia, che non era propriamente la dimore del re, ma una sorta di tempio in cui custodire gli oggetti più sacri. Fece inoltre edificare il Tempio di Giano, le cui porte erano chiuse in tempo di pace (e rimasero chiuse per i 43 anni del suo regno). Gli fu attribuita anche la riforma del calendario, che passò da 10 a 12 mesi, con l’aggiunta di gennaio, dedicato a Giano, e febbraio, posti dopo dicembre (l’anno romano iniziava a marzo). Il calendario conteneva anche l’indicazione dei giorni fasti (favorevoli) e nefasti (sfavorevoli), durante cui non si prendevano decisioni pubbliche. Anche queste riforme avvennero su consiglio di Egeria, cosa che ne sottolinea il carattere sacrale. Il regno di Numa Pompilio si risolse quindi in un lungo e prospero periodo di pace, che si chiuse con la sua morte di vecchiaia, a ottant’anni, Anco Marzio, che sarebbe diventato il quarto sovrano di Roma.

Articolo in gran parte di Edward Foster pubblicato su Civiltà Romana n.2 Sprea editori. Altri testi e immagini da Wikipedia.

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