domenica 7 aprile 2019

Un trono per sei.


Un trono per sei.
Dal barbaro Massimino il Trace al giovane Gordiano III, nella sola primavera del 238 d.C. Roma vide avvicendarsi sul soglio imperiale ben sei imperatori.
Al centro di queste vicende non c’erano solo faide e rivalità personali, ma anche lo scontro diretto tra i due pilastri dell’impero: esercito e senato.


(LA) (IT)
«Non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te[1]»
Alessandro Severo
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Alexander Severus Musei Capitolini MC471.jpg
Busto di Alessandro Severo (Musei capitoliniRoma)
Nome originaleMarcus Bassianus Alexianus(alla nascita)
Marcus Aurelius Alexander(dopo l'adozione)
Marcus Aurelius Severus Alexander Augustus (dopo l'ascesa al potere imperiale)
Regno13 marzo 222
18/19 marzo 235
Tribunicia potestas15 anni: la prima il 14 marzo del 222, rinnovata poi annualmente il 10 dicembre.
Cognomina ex virtuteParthicus maximus[2][3] e Persicus[2] nel 232
TitoliParthicus maximus[2][3] e Persicus[2] (232).
Salutatio imperatoria10 volte: la prima al momento della assunzione del potere imperiale nel 222 (I-II), 225(III?), 227 (IV?), 228 (V?), 229 (VI?), 230 (VII?), 232(VIII-IX?), 234 (X)
Nascita1º ottobre 208
Arca Caesarea
Morte18/19 marzo 235 (26 anni)
MogontiacumGermania superiore
SepolturaMonte del Grano
PredecessoreEliogabalo
SuccessoreMassimino il Trace
ConiugeSallustia Orbiana
DinastiaSeveriana
PadreMarco Giulio Gessio Marciano
MadreGiulia Mamea
Consolato3 volte: nel 222 (I),[4] 226(II)[5] e 229 (III).[6]
Pontificato maxnel 222[4]
Marco Aurelio Severo Alessandro Augusto (in latinoMarcus Aurelius Severus Alexander Augustus[7]Arca Caesarea1º ottobre 208 – Mogontiacum, 18 o 19 marzo 235), nato come Marco Bassiano Alessiano (Marcus Bassianus Alexianus) ma meglio noto semplicemente come Alessandro Severo (Alexander Severus), è stato un imperatore romano, appartenente alla dinastia dei Severi, che regnò dal 222 al 235, anno della sua morte.
Adottato dal cugino e imperatore Eliogabalo, dopo il suo assassinio Alessandro salì al trono. Data la sua giovane età (fu imperatore a tredici anni), il potere fu effettivamente esercitato dalle donne della sua famiglia, la nonna Giulia Mesa e la madre Giulia Mamea. Passato alla storia come esempio di buon imperatore, rispettò le prerogative del senato e si prese cura dei sudditi, non aumentò il carico fiscale e favorì il sincretismo religioso, infatti nel suo larario trovò posto anche una statua di Gesù Cristo, insieme a quella di Abramo.
Come Antonino Pio, di carattere fu mite e buono, ebbe nobili inclinazioni. Anche quando giudicò su colpe gravissime, non comminò la pena di morte.
L'imperatore non fu però all'altezza dei problemi militari che dovette affrontare. Nel 226 la dinastia dei Sassanidi iniziò un'offensiva che strappò ai Romani la Cappadocia e la Mesopotamia, fino a minacciare la Siria. Severo riuscì ad arginare l'invasione, ma dovette rapidamente trasferirsi sul fronte del Reno per difendere la Gallia dall'aggressione dei Germani. Nel 235 fu assassinato dai soldati durante una campagna contro le tribù germaniche in quanto stava trattando un accordo col nemico ed essi trovavano troppo esitante la sua condotta in guerra. Al suo posto salì al trono un generale di origine barbarica e di grandi capacità militari, Massimino il Trace.

Sei imperatori furono, per Roma, la messe di primavera del 238 d.C.: un record anche per la travagliata storia del tardo impero. Gaio Giulio Valerio Massiminio, meglio noto come Massimino I o MAssimino il Trace, era diventato imperatore nel 235. Barbaro di origine (il padre era goto, la madre alana), si era fatto strada nelle legioni grazie alla possanza fisica e al valore in battaglia, che lo avevano fatto apprezzare dall’imperatore Settimio Severo (146-211). Nato intorno al 173, era un semplice pastore quando l’imperatore, per festeggiare il figlio Geta, indisse giochi militari mettendo in palio bracciali, collane e decorazioni d’argento. Massimino, che all’epoca ignorava quasi del tetto la lingua latina, si rivolse a Settimio nel suo linguaggio barbarico, chiedendo di poter competere.  

UN GIGANTE TERRIBILE. Impressionato dalla sua statura gigantesca, l’imperatore gli concessi di battersi con una schiera di vivandieri. Il Trace, che secondo le fonti superva in altezza gli otto piedi romani (2.40 m) ed era un vero colosso (tanto da guadagnarsi, in seguito, soprannomi come Ercole, Anteo, Ciclope e Tifone) sconfisse uno dopo l’altro ben sedici uomini, aggiudicandosi il diritto di entrare a far parte dell’esercito. Lì cominciò la sua inarrestabile carriera, divenendo prima cavaliere e poi centurione sotto l’imperatore Caracalla. Lasciò i ranghi quando costui fu ucciso e detronizzato da Macrino, ma vi rientrò sotto Eliogabalo, nel 218, rivestendo i gradi di ufficiale superiore.
Quando, nel 222, la porpora imperiale fu presa da Alessandro Severo, al Trace fu affidato l’addestramento delle reclute della IV Legio Falvia Felilx di stanza a Singidunum, l’attuale Belgrado. Gli disse l’imperatore: “Non ti ho affidato, o mio carissimo e affezionato Massimino, il comando di veterani. Hai sotto il tuo comando delle reclute. Fai in modo che apprendano la vita militare secondo i tuoi insegnamenti, il tuo valore, il tuo impegno, in modo che tu possa procurarmi molti Massimini”. Massimino andò oltre ogni le aspettative di Settimio. L’imperatore era salito al potere giovanissimo (aveva appena 14 anni) e le redini del regno erano state a lungo nelle mani della nonna, Giulia Mesa, e della madre, Giulia Mamea. Messosi in luce grazie alle sue campagne militari in Persia, Alessandro si rivelò meno brillante contro i Germani che avevano attraversato il limes germanics (posto poco più a est del corso dei fiumi Reno e Danubio) e stavano saccheggiando le provincie romane. Invece di affrontare i ribelli (soprattutto Alemanni) sul piano militare, cercò di trattare la pace ricorrendo alla corruzione. La cosa dispiacque ai soldati, che vedevano svanire un buon modo per fare bottino e arricchirsi a spese degli sconfitti. Mentre l’imperatore si accampava a Mogontiacum (l’attuale Magonza), a Massimino vennero affidate le legioni renane, che finirono per ribellarsi e rovesciare Alessandro. Secondo lo storico greco Erodiano, molti soldati devoti a Massimino ritenevano l’imperatore troppo dipendente dal potere della madre e codardo nel condurre la guerra contro gli Alemanni. Tra il febbraio e il marzo del 235, furono proprio questi uomini a decidere la sua fine e a investire il barbaro Massimino dello scettro imperiale. Alessandro venne subito raggiunto a Magonza e ucciso, assieme alla madre, prima che potesse reagire e organizzare le truppe ancora sotto il suo comando.
Il Trace, nonostante lo sdegno del Senato, si ritrovò imperatore. Fu il primo barbaro, nato senza cittadinanza romana, e il primo non senatore a raggiungere il trono; e fu anche il primo imperatore a non mettere mai piede nella capitale durante gli anni del suo regno. Si trovò invece impegnato in varie campagne militari lungo i confini settentrionali e orientali, tra le attuali Germania, Austria e Romania, conquistandosi la fama di formidabile guerriero. Il valore militare, disgiunto da capacità diplomatiche e politiche, fu la sua forza ma anche la sua debolezza, e i fatto di non essere mai stato a Roma sarebbe stata una delle cause della sua caduta. Il Senato lo disprezzava perché non faceva parte della nobiltà dell’Urbe. Per guadagnarsi il favore dei soldati, suoi unici sostenitori, Massimino concesse premi e donativi derivanti da tassazioni eccessive, soprattutto nei confronti di possidenti e latifondisti, che più degli altri potevano essere spremuti dagli esattori.

Il colosso della Tracia.
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Stando alle testimonianze dell’epoca, l’aspetto fisico di Massimino era terrificante. L’Historia Augusta (raccolta di biografie di imperatore redatta nel IV secolo) lo descrive come capace di “trascinare a forza di braccia un carro carico di gente, buttar giù i denti di un cavallo con un pugno, spezzargli il garretto con un calcio, frantumare pietre di tufo e spaccare le piante in due”. Ma di lui si narravano altre prodezze, per esempio che “bevesse in un solo giorno un’anfora di vino (circa 26l) e mangiasse fino 40 libbre al giorno di carne (quasi 13 kg) o addirittura 60 (oltre 19 kg)”. Autentici prodigi, che lo fecero benvolere da Cesari e soldati. L’imperatore Eliogabalo lo sbeffeggiò dicendogli: “Dicono o Massimino, che tu abbia lottato vittoriosamente con 16, 20 e 30 soldati. Potresti farcela per 30 volte con una donna?”; tuttavia lo riprese nei suoi ranghi. Quello del Trace fu un regno all’insegna della ferocia. Come riporta ancora una volta l’Historia Augusta: “si sentiva raccontare di gente messa in croce, rinchiusa viva nelle carogne di animali appena uccisi, gettata in pasto alle belve, o anche massacrata forza di bastonate, senza alcuna distinzione di grado sociale, essendo evidente che egli voleva amministrare secondo la disciplina militare, ciò che non conviene mai a un sovrano per farsi amare. Egli credeva, infatti, che l’Impero non si poteva amministrare, se non con la crudeltà”.

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                                                      Busto di Gordiano ai Musei Capitolini di Rom
L’AVVENTO DEI GORDIANI. La rivolta contro il governo tirannico di Massimino scoppiò in Africa, dove uno zelante funzionario fedele all’imperatore aveva estorto forti somme ad alcuni proprietari terrieri grazie a una sentenza comprata da un tribunale corrotto. I latifondisti derubati armarono lavoratori e clientes contro il funzionario, lo uccisero e offrirono la porpora imperiale a Marco Antonio Gordiano Semproniano Romano Africano (159-238), che all’epoca aveva già quasi ottant’anni ed era proconsole della provincia. Dapprima titubante, alla fine costui si fece convincere e accettò, prendendo il nome di Gordiano I e associando al regno il figlio, Gordiano II. I due si insediarono a Cartagine e mandarono una delegazione a Roma per essere riconosciuti dal Senato, che accordò il titolo di “augusto” ai due Gordiano e dichiarò Massimino nemico della patria (hostis). Nel contempo, si scatenava nell’Urbe la resa dei conti: Vitaliano, prefetto del pretorio fedele a Massimino, fu eliminato dai sicari di Gordiano e così pure molti altri funzionari rimasti dalla parte del trace. Per il gigante barbaro cominciò la Dammatio memoriae: le su statue furono abbattute, i dipinti che ricordavano le sue vittorie bruciati. Egli decise allora di scendere in Italia e imporre la sua autorità con l’esercito. Inaspettatamente, la prima soluzione ai suoi problemi venne dall’Africa. Il senatore Cappelliano, governatore della Numidia (nell’attuale Marocco) fedele a Massimino, mosse le sue truppe (la III Legio Augusta e alcuni ausiliari) contro i Gordiano. Assalì Cartagine ed ebbe la meglio sui due imperatori. Gordiano II morì in battaglia, mentre Gordiano I si tolse la vita dopo aver appreso della morte del figlio: il loro regno era durato appena 20 giorni. Capelliano, con l’intento di ingraziarsi l’esercito nel caso in cui Massimino fosse stato ucciso, sterminò tutti i loro alleati più fedeli.
Dopo l’ascesa al trono di Gordiano I e Gordiano II, il Senato aveva nominato una commissione di 20 senatori che si occupassero della difesa del suolo italico in previsione di una discesa di Massimino. Alla morte dei due Gordiano non abbandonò questa politica e trasse dai ranghi dei senatori selezionati in precedenza due nuovi porporati: Balbino (Decimo Celio Calviono Balbino, 178-238) e Pupieno (Marco Clodio Pupieno Massimo, 165-238), che divennero il quarto e il quinto sovrano di Roma di quel fatidico anno 238. Ma non furono gli ultimi, perché i seguaci dei Gordino originarono tumulti in città e pretesero anche che un membro della famiglia degli uccisi fosse associato al trono: Gordiano III (225-244), benvoluto dal popolo, da parte dell’esercito e dai pretoriani.
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Denarius di Gordiano II

La fine del terzo Gordiano.
ritratto di Filippo l'Arabo
Gordiano III nacque nel 225. Sua madre era figlia di Gordiano I e sorella di Gordiano II. Associato come Cesare da Balbino Aquila Timesiteo e Pipieno, divenne unico imperatore dopo la loro uccisione. Dapprima fu il Senato a tenere le redini del suo governo (il giovane che aveva appena 13 anni), ma i suoi protettori, che lo avevano scelto, erano soprattutto militari. Nel 241 salì alla prefettura del pretorio Gaio Furio Sanino Aquila Timesiteo, funzionario di grande valore, passato indenne attraverso le lotte degli anni precedenti. Fu lui a guidare la politica di Gordiano III, prima mettendo in sicurezza le frontiere settentrionali, poi portando l’esercito a Oriente, contro i Sasanidi. Timetiseo fu però vittima delle ambizioni di Filippo l’Arabo (Marco Giunio Vero Filippo) che probabilmente lo uccise con il veleno e ne prese il posto.
Ma le aspirazioni di Filippo erano ancora più alte: puntava alla porpora imperiale. Giocando sul malcontento dei soldati, a cui mancavano rifornimenti e vettovaglie, riuscì a conquistarsi il favore dell’esercito. Il 25 febbraio 244 Gordiano III morì (si disse per cause naturali, ma probabilmente fu assassinato a sua volta), Filippo ne prese il posto, assicurandosi il favore del Senato.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Gordiano III
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Gordian III Massimo.jpg
Ritratto di Gordiano III al Museo nazionale romano di palazzo Massimo
Nome originaleMarcus Antonius Gordianus Pius
Regno22 aprile-29 luglio 238 (come cesare di Balbino e Pupieno)
29 luglio 238-11 febbraio 244(come augusto)
Tribunicia potestasper 7 volte, la prima nel maggio del 238, poi rinnovata ogni anno il 10 dicembre.
Cognomina ex virtuteInvictus (mai sconfitto).[1]
TitoliPater PatriaePius e Felix[2]nel 238
Salutatio imperatoria7 volte: la prima al momento dell'assunzione al potere imperiale (maggio del 238), poi ancora nel 239 (II),[3] 240(III),[4] 241 (IV),[5] 242 (V e VI) e 243 (VII).
Nascita20 gennaio 225
Roma
Morte11 febbraio 244
Circesium
PredecessoreBalbino e Pupieno
SuccessoreFilippo l'Arabo
ConsorteFuria Sabina Tranquillina
PadreGiunio Licinio Balbo
MadreAntonia Gordiana
Consolato2 volte: nel 239[6] e nel 241.[7]
Pontificato maxnel 238
Marco Antonio Gordiano Pio, meglio noto come Gordiano III (in latinoMarcus Antonius Gordianus PiusRoma20 gennaio 225 – Circesium11 febbraio 244), è stato imperatore romano dal 238 alla sua morte, avvenuta durante una campagna militare in Oriente contro i Sasanidi. A causa della sua giovane età (salì al trono a tredici anni e regnò fino a diciannove), il governo dell'impero fu nelle mani di reggenti appartenenti all'aristocrazia senatoriale, che si dimostrarono capaci; Gordiano funse da simbolo dell'unità dell'impero, riscuotendo il sostegno del popolo. La storiografia ne dipinge quindi un ritratto estremamente positivo, forse anche in opposizione al suo successore Filippo l'Arabo.


MORTE DEL TIRANNO. Massimino, intanto, aveva superato il confine italico, trovandosi di fronte un territorio spopolato. Tutti gli abitanti della penisola, su invito del Senato, avevano abbandonato i villaggi e si erano rifugiati in luoghi più facilmente difendibili. Messa sotto assedio Aquileia, che pensava di prendere in breve tempo, il Trace si trovò invece ad affrontare una battaglia lunga e difficile. La resistenza era guidata dai senatori Rutilio Pudente Crispino e Tullio Menofilo. I difensori non davano requie alle truppe di Massimino, che si trovavano ogni giorno sempre più in difficoltà, mancando di approvvigionamenti e subendo considerevoli perdite. Il malcontento fra i legionari cominciò a dilagare, al punto che, il 10 maggio 238, Massimino e il figlio Massimo furono mostrate ai cittadini di Aquileia in segno di resa. L’imperatore Pupieno, che intanto aveva raggiunto Ravenna e stava organizzando l’esercito, fu messo al corrente dei fatti e si recò ad Aquileia per rispedire le truppe di Massimino oltre confine. Rientrato a Roma per il trionfo, venne accolto da Balbino, Gordiano III e dal Senato intero. Poco dopo, però, scoppiarono nuovi disordini. Balbino si era scontrato con i partigiani di Gordiano III e i rivoltosi avevano appiccato diversi incendi. La presenza in Roma di tutti gli imperati sembrò stabilizzare la situazione per un po’, ma i rapporti fra Balbino e Pupieno erano sempre stati minati dal sospetto ed entrambi temevano di poter essere vittima l’uno dell’altro. per ottenere consenso, intendevano pianificare campagne militari a Settentrione e in Oriente, tuttavia i pretoriani non vedevano di buon occhio la loro politica, temendo forse di essere scalzati, nel loro ruolo, dalla guardia germanica. Così, misero in atto un colpo di Stato: l’11 maggio, penetrarono nel palazzo imperiale, catturarono i due imperatori, li condussero al loro accampamento e li uccisero dopo averli torturati. All’arrivo della guardia germanica, i pretoriano avevano già acclamato come unico imperatore il giovane Gordiano III. Era iniziata l’era in cui il potere di Roma andava a chi possedeva il controllo delle legioni.

Pupienus Musei Capitolini MC477.jpgBalbinus Hermitage.jpg
busto di Pupieno                       busto di Balbino

Articolo in gran parte di Eugenio Anchisi pubblicato su Civiltà Romana n. 2 Sprea Editori. Altri testi e immagini da Wikipedia.   


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