Un trono per sei.
Dal barbaro Massimino il
Trace al giovane Gordiano III, nella sola primavera del 238 d.C. Roma vide
avvicendarsi sul soglio imperiale ben sei imperatori.
Al centro di queste
vicende non c’erano solo faide e rivalità personali, ma anche lo scontro
diretto tra i due pilastri dell’impero: esercito e senato.
(LA) (IT)
«Non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te[1]»
Alessandro Severo | |
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Busto di Alessandro Severo (Musei capitolini, Roma) | |
Nome originale | Marcus Bassianus Alexianus(alla nascita) Marcus Aurelius Alexander(dopo l'adozione) Marcus Aurelius Severus Alexander Augustus (dopo l'ascesa al potere imperiale) |
Regno | 13 marzo 222 18/19 marzo 235 |
Tribunicia potestas | 15 anni: la prima il 14 marzo del 222, rinnovata poi annualmente il 10 dicembre. |
Cognomina ex virtute | Parthicus maximus[2][3] e Persicus[2] nel 232 |
Titoli | Parthicus maximus[2][3] e Persicus[2] (232). |
Salutatio imperatoria | 10 volte: la prima al momento della assunzione del potere imperiale nel 222 (I-II), 225(III?), 227 (IV?), 228 (V?), 229 (VI?), 230 (VII?), 232(VIII-IX?), 234 (X) |
Nascita | 1º ottobre 208 Arca Caesarea |
Morte | 18/19 marzo 235 (26 anni) Mogontiacum, Germania superiore |
Sepoltura | Monte del Grano |
Predecessore | Eliogabalo |
Successore | Massimino il Trace |
Coniuge | Sallustia Orbiana |
Dinastia | Severiana |
Padre | Marco Giulio Gessio Marciano |
Madre | Giulia Mamea |
Consolato | 3 volte: nel 222 (I),[4] 226(II)[5] e 229 (III).[6] |
Pontificato max | nel 222[4] |
Marco Aurelio Severo Alessandro Augusto (in latino: Marcus Aurelius Severus Alexander Augustus[7]; Arca Caesarea, 1º ottobre 208 – Mogontiacum, 18 o 19 marzo 235), nato come Marco Bassiano Alessiano (Marcus Bassianus Alexianus) ma meglio noto semplicemente come Alessandro Severo (Alexander Severus), è stato un imperatore romano, appartenente alla dinastia dei Severi, che regnò dal 222 al 235, anno della sua morte.
Adottato dal cugino e imperatore Eliogabalo, dopo il suo assassinio Alessandro salì al trono. Data la sua giovane età (fu imperatore a tredici anni), il potere fu effettivamente esercitato dalle donne della sua famiglia, la nonna Giulia Mesa e la madre Giulia Mamea. Passato alla storia come esempio di buon imperatore, rispettò le prerogative del senato e si prese cura dei sudditi, non aumentò il carico fiscale e favorì il sincretismo religioso, infatti nel suo larario trovò posto anche una statua di Gesù Cristo, insieme a quella di Abramo.
Come Antonino Pio, di carattere fu mite e buono, ebbe nobili inclinazioni. Anche quando giudicò su colpe gravissime, non comminò la pena di morte.
L'imperatore non fu però all'altezza dei problemi militari che dovette affrontare. Nel 226 la dinastia dei Sassanidi iniziò un'offensiva che strappò ai Romani la Cappadocia e la Mesopotamia, fino a minacciare la Siria. Severo riuscì ad arginare l'invasione, ma dovette rapidamente trasferirsi sul fronte del Reno per difendere la Gallia dall'aggressione dei Germani. Nel 235 fu assassinato dai soldati durante una campagna contro le tribù germaniche in quanto stava trattando un accordo col nemico ed essi trovavano troppo esitante la sua condotta in guerra. Al suo posto salì al trono un generale di origine barbarica e di grandi capacità militari, Massimino il Trace.
Sei
imperatori furono, per Roma, la messe di primavera del 238 d.C.: un record
anche per la travagliata storia del tardo impero. Gaio Giulio Valerio
Massiminio, meglio noto come Massimino I o MAssimino il Trace, era diventato
imperatore nel 235. Barbaro di origine (il padre era goto, la madre alana), si
era fatto strada nelle legioni grazie alla possanza fisica e al valore in
battaglia, che lo avevano fatto apprezzare dall’imperatore Settimio Severo
(146-211). Nato intorno al 173, era un semplice pastore quando l’imperatore,
per festeggiare il figlio Geta, indisse giochi militari mettendo in palio
bracciali, collane e decorazioni d’argento. Massimino, che all’epoca ignorava
quasi del tetto la lingua latina, si rivolse a Settimio nel suo linguaggio
barbarico, chiedendo di poter competere.
UN GIGANTE TERRIBILE. Impressionato dalla sua
statura gigantesca, l’imperatore gli concessi di battersi con una schiera di
vivandieri. Il Trace, che secondo le fonti superva in altezza gli otto piedi
romani (2.40 m) ed era un vero colosso (tanto da guadagnarsi, in seguito,
soprannomi come Ercole, Anteo, Ciclope e Tifone) sconfisse uno dopo l’altro ben
sedici uomini, aggiudicandosi il diritto di entrare a far parte dell’esercito.
Lì cominciò la sua inarrestabile carriera, divenendo prima cavaliere e poi
centurione sotto l’imperatore Caracalla. Lasciò i ranghi quando costui fu
ucciso e detronizzato da Macrino, ma vi rientrò sotto Eliogabalo, nel 218, rivestendo
i gradi di ufficiale superiore.
Quando, nel 222, la
porpora imperiale fu presa da Alessandro Severo, al Trace fu affidato
l’addestramento delle reclute della IV Legio Falvia Felilx di stanza a
Singidunum, l’attuale Belgrado. Gli disse l’imperatore: “Non ti ho affidato, o mio carissimo e affezionato Massimino, il
comando di veterani. Hai sotto il tuo comando delle reclute. Fai in modo che
apprendano la vita militare secondo i tuoi insegnamenti, il tuo valore, il tuo
impegno, in modo che tu possa procurarmi molti Massimini”. Massimino andò
oltre ogni le aspettative di Settimio. L’imperatore era salito al potere
giovanissimo (aveva appena 14 anni) e le redini del regno erano state a lungo
nelle mani della nonna, Giulia Mesa, e della madre, Giulia Mamea. Messosi in
luce grazie alle sue campagne militari in Persia, Alessandro si rivelò meno
brillante contro i Germani che avevano attraversato il limes germanics (posto
poco più a est del corso dei fiumi Reno e Danubio) e stavano saccheggiando le
provincie romane. Invece di affrontare i ribelli (soprattutto Alemanni) sul
piano militare, cercò di trattare la pace ricorrendo alla corruzione. La cosa
dispiacque ai soldati, che vedevano svanire un buon modo per fare bottino e
arricchirsi a spese degli sconfitti. Mentre l’imperatore si accampava a
Mogontiacum (l’attuale Magonza), a Massimino vennero affidate le legioni
renane, che finirono per ribellarsi e rovesciare Alessandro. Secondo lo storico
greco Erodiano, molti soldati devoti a Massimino ritenevano l’imperatore troppo
dipendente dal potere della madre e codardo nel condurre la guerra contro gli
Alemanni. Tra il febbraio e il marzo del 235, furono proprio questi uomini a
decidere la sua fine e a investire il barbaro Massimino dello scettro
imperiale. Alessandro venne subito raggiunto a Magonza e ucciso, assieme alla
madre, prima che potesse reagire e organizzare le truppe ancora sotto il suo
comando.
Il Trace, nonostante lo
sdegno del Senato, si ritrovò imperatore. Fu il primo barbaro, nato senza
cittadinanza romana, e il primo non senatore a raggiungere il trono; e fu anche
il primo imperatore a non mettere mai piede nella capitale durante gli anni del
suo regno. Si trovò invece impegnato in varie campagne militari lungo i confini
settentrionali e orientali, tra le attuali Germania, Austria e Romania,
conquistandosi la fama di formidabile guerriero. Il valore militare, disgiunto
da capacità diplomatiche e politiche, fu la sua forza ma anche la sua
debolezza, e i fatto di non essere mai stato a Roma sarebbe stata una delle
cause della sua caduta. Il Senato lo disprezzava perché non faceva parte della
nobiltà dell’Urbe. Per guadagnarsi il favore dei soldati, suoi unici
sostenitori, Massimino concesse premi e donativi derivanti da tassazioni
eccessive, soprattutto nei confronti di possidenti e latifondisti, che più
degli altri potevano essere spremuti dagli esattori.
Il
colosso della Tracia.
Stando
alle testimonianze dell’epoca, l’aspetto fisico di Massimino era
terrificante. L’Historia Augusta (raccolta di biografie di imperatore redatta
nel IV secolo) lo descrive come capace di “trascinare
a forza di braccia un carro carico di gente, buttar giù i denti di un cavallo
con un pugno, spezzargli il garretto con un calcio, frantumare pietre di tufo
e spaccare le piante in due”. Ma di lui si narravano altre prodezze, per
esempio che “bevesse in un solo giorno
un’anfora di vino (circa 26l) e mangiasse fino 40 libbre al giorno di carne
(quasi 13 kg) o addirittura 60 (oltre 19 kg)”. Autentici prodigi, che lo
fecero benvolere da Cesari e soldati. L’imperatore Eliogabalo lo sbeffeggiò
dicendogli: “Dicono o Massimino, che tu
abbia lottato vittoriosamente con 16, 20 e 30 soldati. Potresti farcela per
30 volte con una donna?”; tuttavia lo riprese nei suoi ranghi. Quello del
Trace fu un regno all’insegna della ferocia. Come riporta ancora una volta
l’Historia Augusta: “si sentiva
raccontare di gente messa in croce, rinchiusa viva nelle carogne di animali
appena uccisi, gettata in pasto alle belve, o anche massacrata forza di
bastonate, senza alcuna distinzione di grado sociale, essendo evidente che
egli voleva amministrare secondo la disciplina militare, ciò che non conviene
mai a un sovrano per farsi amare. Egli credeva, infatti, che l’Impero non si
poteva amministrare, se non con la crudeltà”.
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L’AVVENTO DEI GORDIANI. La rivolta contro il
governo tirannico di Massimino scoppiò in Africa, dove uno zelante funzionario
fedele all’imperatore aveva estorto forti somme ad alcuni proprietari terrieri
grazie a una sentenza comprata da un tribunale corrotto. I latifondisti
derubati armarono lavoratori e clientes contro il funzionario, lo uccisero e
offrirono la porpora imperiale a Marco Antonio Gordiano Semproniano Romano
Africano (159-238), che all’epoca aveva già quasi ottant’anni ed era proconsole
della provincia. Dapprima titubante, alla fine costui si fece convincere e
accettò, prendendo il nome di Gordiano I e associando al regno il figlio,
Gordiano II. I due si insediarono a Cartagine e mandarono una delegazione a
Roma per essere riconosciuti dal Senato, che accordò il titolo di “augusto” ai
due Gordiano e dichiarò Massimino nemico della patria (hostis). Nel contempo,
si scatenava nell’Urbe la resa dei conti: Vitaliano, prefetto del pretorio fedele
a Massimino, fu eliminato dai sicari di Gordiano e così pure molti altri
funzionari rimasti dalla parte del trace. Per il gigante barbaro cominciò la
Dammatio memoriae: le su statue furono abbattute, i dipinti che ricordavano le
sue vittorie bruciati. Egli decise allora di scendere in Italia e imporre la
sua autorità con l’esercito. Inaspettatamente, la prima soluzione ai suoi
problemi venne dall’Africa. Il senatore Cappelliano, governatore della Numidia
(nell’attuale Marocco) fedele a Massimino, mosse le sue truppe (la III Legio
Augusta e alcuni ausiliari) contro i Gordiano. Assalì Cartagine ed ebbe la
meglio sui due imperatori. Gordiano II morì in battaglia, mentre Gordiano I si
tolse la vita dopo aver appreso della morte del figlio: il loro regno era durato
appena 20 giorni. Capelliano, con l’intento di ingraziarsi l’esercito nel caso
in cui Massimino fosse stato ucciso, sterminò tutti i loro alleati più fedeli.
Dopo l’ascesa al trono
di Gordiano I e Gordiano II, il Senato aveva nominato una commissione di 20
senatori che si occupassero della difesa del suolo italico in previsione di una
discesa di Massimino. Alla morte dei due Gordiano non abbandonò questa politica
e trasse dai ranghi dei senatori selezionati in precedenza due nuovi porporati:
Balbino (Decimo Celio Calviono Balbino, 178-238) e Pupieno (Marco Clodio
Pupieno Massimo, 165-238), che divennero il quarto e il quinto sovrano di Roma
di quel fatidico anno 238. Ma non furono gli ultimi, perché i seguaci dei
Gordino originarono tumulti in città e pretesero anche che un membro della
famiglia degli uccisi fosse associato al trono: Gordiano III (225-244),
benvoluto dal popolo, da parte dell’esercito e dai pretoriani.
Denarius di Gordiano II
La fine del terzo Gordiano.
ritratto di Filippo l'Arabo
Gordiano III nacque nel 225. Sua
madre era figlia di Gordiano I e sorella di Gordiano II. Associato come
Cesare da Balbino Aquila Timesiteo e Pipieno, divenne unico imperatore dopo
la loro uccisione. Dapprima fu il Senato a tenere le redini del suo governo
(il giovane che aveva appena 13 anni), ma i suoi protettori, che lo avevano
scelto, erano soprattutto militari. Nel 241 salì alla prefettura del pretorio
Gaio Furio Sanino Aquila Timesiteo, funzionario di grande valore, passato
indenne attraverso le lotte degli anni precedenti. Fu lui a guidare la
politica di Gordiano III, prima mettendo in sicurezza le frontiere
settentrionali, poi portando l’esercito a Oriente, contro i Sasanidi.
Timetiseo fu però vittima delle ambizioni di Filippo l’Arabo (Marco Giunio Vero
Filippo) che probabilmente lo uccise con il veleno e ne prese il posto.
Ma le aspirazioni di Filippo erano
ancora più alte: puntava alla porpora imperiale. Giocando sul malcontento dei
soldati, a cui mancavano rifornimenti e vettovaglie, riuscì a conquistarsi il
favore dell’esercito. Il 25 febbraio 244 Gordiano III morì (si disse per
cause naturali, ma probabilmente fu assassinato a sua volta), Filippo ne
prese il posto, assicurandosi il favore del Senato.
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Gordiano III | |
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Augusto dell'Impero romano
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Ritratto di Gordiano III al Museo nazionale romano di palazzo Massimo | |
Nome originale | Marcus Antonius Gordianus Pius |
Regno | 22 aprile-29 luglio 238 (come cesare di Balbino e Pupieno) 29 luglio 238-11 febbraio 244(come augusto) |
Tribunicia potestas | per 7 volte, la prima nel maggio del 238, poi rinnovata ogni anno il 10 dicembre. |
Cognomina ex virtute | Invictus (mai sconfitto).[1] |
Titoli | Pater Patriae, Pius e Felix[2]nel 238 |
Salutatio imperatoria | 7 volte: la prima al momento dell'assunzione al potere imperiale (maggio del 238), poi ancora nel 239 (II),[3] 240(III),[4] 241 (IV),[5] 242 (V e VI) e 243 (VII). |
Nascita | 20 gennaio 225 Roma |
Morte | 11 febbraio 244 Circesium |
Predecessore | Balbino e Pupieno |
Successore | Filippo l'Arabo |
Consorte | Furia Sabina Tranquillina |
Padre | Giunio Licinio Balbo |
Madre | Antonia Gordiana |
Consolato | 2 volte: nel 239[6] e nel 241.[7] |
Pontificato max | nel 238 |
Marco Antonio Gordiano Pio, meglio noto come Gordiano III (in latino: Marcus Antonius Gordianus Pius; Roma, 20 gennaio 225 – Circesium, 11 febbraio 244), è stato imperatore romano dal 238 alla sua morte, avvenuta durante una campagna militare in Oriente contro i Sasanidi. A causa della sua giovane età (salì al trono a tredici anni e regnò fino a diciannove), il governo dell'impero fu nelle mani di reggenti appartenenti all'aristocrazia senatoriale, che si dimostrarono capaci; Gordiano funse da simbolo dell'unità dell'impero, riscuotendo il sostegno del popolo. La storiografia ne dipinge quindi un ritratto estremamente positivo, forse anche in opposizione al suo successore Filippo l'Arabo.
MORTE DEL TIRANNO. Massimino, intanto,
aveva superato il confine italico, trovandosi di fronte un territorio
spopolato. Tutti gli abitanti della penisola, su invito del Senato, avevano
abbandonato i villaggi e si erano rifugiati in luoghi più facilmente
difendibili. Messa sotto assedio Aquileia, che pensava di prendere in breve
tempo, il Trace si trovò invece ad affrontare una battaglia lunga e difficile.
La resistenza era guidata dai senatori Rutilio Pudente Crispino e Tullio Menofilo.
I difensori non davano requie alle truppe di Massimino, che si trovavano ogni
giorno sempre più in difficoltà, mancando di approvvigionamenti e subendo
considerevoli perdite. Il malcontento fra i legionari cominciò a dilagare, al
punto che, il 10 maggio 238, Massimino e il figlio Massimo furono mostrate ai
cittadini di Aquileia in segno di resa. L’imperatore Pupieno, che intanto aveva
raggiunto Ravenna e stava organizzando l’esercito, fu messo al corrente dei
fatti e si recò ad Aquileia per rispedire le truppe di Massimino oltre confine.
Rientrato a Roma per il trionfo, venne accolto da Balbino, Gordiano III e dal
Senato intero. Poco dopo, però, scoppiarono nuovi disordini. Balbino si era
scontrato con i partigiani di Gordiano III e i rivoltosi avevano appiccato
diversi incendi. La presenza in Roma di tutti gli imperati sembrò stabilizzare
la situazione per un po’, ma i rapporti fra Balbino e Pupieno erano sempre
stati minati dal sospetto ed entrambi temevano di poter essere vittima l’uno
dell’altro. per ottenere consenso, intendevano pianificare campagne militari a
Settentrione e in Oriente, tuttavia i pretoriani non vedevano di buon occhio la
loro politica, temendo forse di essere scalzati, nel loro ruolo, dalla guardia
germanica. Così, misero in atto un colpo di Stato: l’11 maggio, penetrarono nel
palazzo imperiale, catturarono i due imperatori, li condussero al loro
accampamento e li uccisero dopo averli torturati. All’arrivo della guardia
germanica, i pretoriano avevano già acclamato come unico imperatore il giovane
Gordiano III. Era iniziata l’era in cui il potere di Roma andava a chi
possedeva il controllo delle legioni.
Articolo in gran parte di Eugenio Anchisi pubblicato su Civiltà Romana n. 2 Sprea Editori. Altri testi e immagini da Wikipedia.
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