Botticelli il pittore dei medici.
Universalmente conosciuto come Sandro Botticelli, Alessandro
Filipepi è l’artista forse più legato alla cerchia medicea, di cui rappresenta
gli ideali umanistici di bellezza e armonia.
Sandro Botticelli
Ultimo
figlio di Mariano, un conciatore di pelli, e di Smeralda (della quale non si
hanno notizie), Alessandro Filipepi nacque a Firenze, esattamente a Borgo
Ognissanti, nel quartiere di Santa Maria Novella, nel 1445. Pare che da piccolo
fosse cagionevole di salute: nel 1458 il padre affermò, in una sorta di
dichiarazione dei redditi del tempo, che il figlio tredicenne era malsano,
aggiungendo anche che il giovane “sta alleggere”. Molto si è detto sul
significato di questa espressione: secondo una teoria, si tratta di un modo per
dire “sta a leggere”, ovvero che era dedito agli studi; secondo un’altra, si
tratta semplicemente di un errore di scrittura, perché il padre intendeva dire
che Sandro “sta a legare”, ovvero che montava pietre preziose, forse come apprendista
in una bottega orafa.
Probabilmente il nome
Botticelli si ricollega alla professione di uno dei fratelli maggiori,
“battiloro” come pure “battigello” e da qui il termine potrebbe essere stato
deformato a livello popolare in “Botticello” e quindi in “Botticelli”. A ogni
modo, Sandro doveva essere un giovane talentuoso perché fu presto notato dai
facoltosi Vespucci, la famiglia di cui faceva parte anche il ben più noto
Amerigo, il navigatore che diede il proprio nome al nuovo continente: erano,
infatti, i vicini di casa dei Filipepi agli inizi degli anni sessanta. Furono
probabilmente i ricchi confinanti a raccomandarlo al grande pittore Filippo
Lippi. Il maestro, un ex carmelitano vicino alla famiglia dei Medici, aveva
appena aperto una bottega a Prato, dove Botticelli realizzò le sue prime opere
documentate come, per esempio, una Madonna con Bambino e un angelo, oggi
conservata ad Ajaccio. Quando poi nel 1467 il maestro si trasferì a Spoleto,
Alessandro non lo seguì. Prese invece a frequentare la bottega di Andrea del
Verrocchio, attorno al quale gravitavano i maggiori artisti della nova
generazione d’avanguardia, come Domenico Ghirlandaio e Leonardo.
La Fortezza, prima opera documentata di Botticelli (1470)
LA
VITA DEL PITTORE.
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1445 Alessandro
Filipepi nasce a Borgo Ognissanti di Firenze.
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1481 Viene chiamato
a Roma dal papa per lavorare alla Cappella Sistina.
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1485 Esegue la
spalliera con la storia di Nostagio degli Onesti.
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1495 Comincia i
disegni della Commedia di Dante per Lorenzo de’ Medici.
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1510 Muore il 15
maggio ed è sepolto nella chiesa di Ognissanti.
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AL SERVIZIO DEI MEDICI. Nel 1470, anno in cui
dipinse la personificazione della Fortezza per il Tribunale della Mercanzia,
Alessandro si era già messo in proprio aprendo una bottega direttamente nella
casa paterna, dove abitava insieme al resto della famiglia. A differenza di
molti artisti, non amava molto viaggiare. Infatti a eccezione di un soggiorno a
Roma per lavorare alla Cappella Sistina su incarico del pontefice, e di pochi
altri spostamenti, non lasciò mai Firenze.
Intanto la carriera
progrediva rapidamente e in breve divenne una personalità di spicco nell’ambito
della cultura umanistica promossa dalla Firenze medicea. La città in quegli
anni vedeva il rinnovarsi della cultura classica e la scoperta del
neoplatonismo: si trattava di una corrente che riproponeva alcuni temi della
filosofia platonica e affermava la supremazia dello spirito sulla materia in un
movimento ascensionale che conduceva l’anima, attraverso l’intelletto e
l’amore, verso Dio. Nel 1459, su consiglio dello studioso greco Giorgio Gemisto
Pletone, Cosimo il Vecchio aveva fondato l’Accademia neoplatonica fiorentina
nella villa medicea di Careggi. Vi si riunivano intellettuali come Pico della
Mirandola, Agnolo Poliziano e il filosofo Marsilio Ficino, traduttore delle
opere di Platone e teorizzatore delle opere di Platone e teorizzatore del
neoplatonismo. L’adesione di Botticelli alla cultura fiorentina a lui
contemporanea è evidente soprattutto in quattro opere a soggetto mitologico,
ricche di riferimenti allegorici per certi versi ancora misteriosi, realizzati
negli anni ottanta. La prima opera documentata per i Medici risale al 1475,
quando realizzò per giuliano uno stendardo per una giostra (uno spettacolo di
intrattenimento cavalleresco), la stessa cantata dal Poliziano nelle celebri
Stanze. Da allora il rapporto con la famiglia dei mecenati fu duraturo e
probabilmente non solo professionale: il fatto che Lorenzo il Magnifico in un
suo verso lo canzonasse come “ingordo e ghiotto”, fa pensare che i due fossero
stati anche compagni di momenti goderecci.
SCAPOLO E BURLONE. Botticelli fu uno
scapolo impenitente e, a parte una denuncia anomina per sodomia nel novembre
del 1502, non si hanno notizie sulle sue relazione amorose. Era avverso al
matrimonio e raccontava che una notte, avendo sognato di essersi sposato, si
era risvegliato di soprassalto e, nel timore di riaddormentarsi e riprendere l’incubo,
aveva passato il resto della notte a vagare per Firenze.
Tuttavia non fu certo
un solitario: Vasari racconta che era un uomo di compagnia e sempre pronto allo
scherzo. Un giorno accanto alla sua bottega si era trasferito un tessitorie che
utilizzava dei macchinari tanto rumorosi da far tremare le pareti. Alle
rimostranze dell’artista, questi aveva risposto che in casa sua faceva ciò che
voleva. Il caso volle che il muro della casa di Botticelli fosse più alto di
quello della casa del tessitore, quindi pose in bilico una pietra, che a ogni
vibrazione del muro rischiava di cadere in casa del vicino. Il tessitore allora
gli chiese di toglierla, ma Botticelli replicò che in casa sua faceva ciò che
voleva. In un’altra occasione si burlò di un suo allievo, Biagio, attaccando
dei cappucci di carta sulle teste degli angeli che questi aveva dipinto per poi
toglierli facendogli credere che aveva avuto delle visioni.
Con la morte di Lorenzo
il Magnifico nel 1492 e la comparsa del predicatore Girolamo Savonarola, che
attaccò la corruzione dei costumi dell’epoca, può dirsi conclusa la stagione
dell’umanesimo quattrocentesco. Botticelli risentì del clima mutato: le opere
di questo periodo evidenziano una crisi interiore che non scomparirà nemmeno
dopo la morte del frate nel 1498. L’artista si spense nel 1510, dopo aver
attraversato con uno stile unico e inconfondibile tutta la parabola artistica
medicea, tanto da essere paragonato ad
Apelle, il pittore di Alessandro Magno.
RITRATTI DEL SUO TEMPO.
Sandro
Botticelli eseguì numerosi ritratti per i membri di ricche famiglie fiorentine,
primi tra tutti i Medici. Nel dipinto raffigurante L’Adorazione dei Magi,
rappresentò anche se stesso, riccamente abbigliato, insieme a una rassegna di
ritratti medicei, che probabilmente richiamarono l’attenzione dei mecenati
sull’artista. Nel suo autoritratto, Botticelli volge lo sguardo verso lo
spettatore: si tratta di una tecnica, diffusa tra gli artisti, per coinvolgerlo
maggiormente nella scena. I ritratti di Botticelli sono basati sul giusto
equilibrio tra la correttezza fisiognomica e una certa tendenza
all’idealizzazione, come nel caso del ritratto del fratello di Lorenzo il
Magnifico, Giuliano de’ Medici, quest’ultimo fu rappresentato più volte
dall’artista, così come lo fu Simonetta Vespucci amata da Giuliano.
Nel gennaio del 1475
Giuliano partecipò alla giostra in piazza Santa Croce. In quell’occasione
Botticelli realizzò per lui uno stendardo con l’immagine della dea Pallade con
le fattezze di Simonetta. Morì pugnalato durante la congiura antimedicea dei
Pazzi nel 1478.
Ritratto di Giuliano de' Medici, 1478, Washington, National Gallery
Cosimo il Vecchio:
L’uomo, identificato probabilmente con Antonio, fratello del pittore, veste
secondo la moda borghese del tempo: una lunga veste di colore nero e un berretto
rosso. Tra le mani regge una medaglia raffigurante Cosimo il Vecchio. Antonio
si era infatti occupato della doratura di alcune medaglie per i Medici.
Ritratto virile: questo
giovane uomo è rappresentato frontalmente, contro uno sfondo scuro che esalta
la luce proveniente da sinistra. Indossa una tunica marrone bordata da una
pelliccetta e un berretto rosso. Gli occhi sono grandi e sembrano fissare lo
spettatore con intensità.
ritratto virile.
LE
CHIAVI DI UN CAPOLAVORO. Su LA PRIMAVERA, realizzata per
Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici (detto il popolano) esistono molte
interpretazioni in chiave mitologica, allegorica, simbolica e
storico-celebrativa della famiglia. Secondo l’interpretazione in chiave
neoplatonica dello storico dell’arte Ernst Gombrich, per esempio, il tema
centrale dell’opera è l’amore che, sotto l’influsso di Venere, da sensuale
diventa intellettuale. La scena è ambientata in un prato primaverile circondato
da alberi d’arancio e pieno di piante di ogni genere. Mercurio con la mano
destra alzata agita un caduceo per scacciare le nubi, che non devono rovinare
l’eterna primavera del giardino. Le Grazie, chiamate da Esiodo, Aglaia,
Eufrosine e Talia, danzano coperte da vesti trasparenti che sembrano mosse
dalla brezza. Venere, vestita di bianco e con un mantello vermiglio, sembra
seguire con il gesto della mano la danza delle Grazie. Vicino a lei il mirto,
il suo simbolo. Flora, dea della giovinezza,avanza verso il centro con la
tunica decorata da fiori di vario genere. Regge un lembo della veste ricolmo di
boccioli di rosa, che sparge nel cammino. Cupido, con gli occhi bendati, sta
scagliando una freccia verso la più esterna delle tre Grazie, che intreccia le
mani con le altre due. Zefiro, il vento di ponente che annuncia la primavera, è
raffigurato come un essere alato bluastro che tenta di ghermire la ninfa Clori.
Clori cerca di fuggire terrorizzata. Come risultato dell’incontro fecondante
con Zefiro vengono generati i germogli che le escono dalla bocca.
PALLADE
E IL CENTAURO. Convenzionalmente si inseriscono nella
serie mitologica quattro opere: oltre LA PRIMAVERA e LA NASCITA DI VENERE, Botticelli
realizzò anche VENERE E MARTE, distesi in un prato e circondati da satiri che
cercano di disturbare il sonno del dio addormentato, e PALLADE CHE DOMA IL CENTAURO
(1484 circa). Anche quest’ultimo dipinto (collocato con LA PRIMAVERA nel
palazzo di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici) si presta a varie
interpretazioni: una teoria nata a fine ottocento legge in quest’opera
un’esaltazione di Lorenzo il Magnifico, che si era alleato con il Regno di
Napoli per scongiurare la partecipazione di questo alla lega antifiorentina
promossa da papa Sisto IV. Quindi il centauro rappresenterebbe Roma, mentre
Pallade Firenze. La dea ha infatti ricamato lo stemma mediceo sulla veste
trasparente e regge un’enorme alabarda. Sullo sfondo vi sarebbe il golfo di
Napoli. In chiave neoplatonica, invece, il dipinto raffigurerebbe la vittoria
della ragione sulla brutalità che, seppur armata, diventa docile al suo tocco.
Pallade e il centauro
LADY
MODELLA. Botticelli rappresentò spesso il soggetto della
Madonna conferendole sempre eleganza e spiritualità. Questo è evidente per
esempio nel tondo della MADONNA DEL MAGNIFICAT, datato tra il 1481 e il 1485.
Realizzato probabilmente per la famiglia di Piero de’ Medici, si tratta di un
vero e proprio esperimento ottico poiché le figure appaiono come riflesse in
uno specchio convesso. Il titolo dell’opera rimanda a un passo del vangelo di
Luca, che la Madonna sta scrivendo aiutata dagli angeli: Magnificat anima mea Dominum,
l’espressione con cui Maria si rivolse a Dio durante l’incontro con Elisabetta.
Un ulteriore riferimento all’incontro tra le due donne si trova nella pagina di
sinistra del libro, dove si intravedono alcune parole della profezia circa la
nascita di Giovanni Battista, il figlio di Elisabetta. Gesù seduto sulle
ginocchia della madre , regge in mano il melograno, simbolo della sua futura
Passione. qualche anno dopo Botticelli realizzerà un altro tondo, la MADONNA
DEL MELOGRANO.
Madonna del Magnificat
MUSA
E MODELLA. Considerata una delle donne più belle
della Firenze rinascimentale. Simonetta Cattaneo nacque a Genova (o a
Portovenere) nel 1453 per poi andare in sposa, a quindi anni, a Marco Vespucci.
Si trasferì quindi a Firenze, dove morì giovanissima, tra il 1475 e il 1476.
Alla sua more divenne una vera e propria musa per artisti e letterati, che
vedevano in lei la personificazione della bellezza. Lorenzo il Magnifico, che
si era occupato delle cure di Simonetta durante la malattia che l’aveva portata
alla morte (probabilmente la tisi) inviandole i migliori medici della sua
corte, le dedicò ben quattro sonetti. Agnolo Poliziano, invece, la cantò nelle
Stanze per la giostra del Magnifico Giuliano di Pietro dè Medici, nelle quali
si alludeva ad un amore platonico tra Simonetta e lo stesso Giuliano. Sandro
Botticelli realizzò alcuni ritratti di dame in cui critici hanno riconosciuto la fisionomia di
Simonetta, che ravvisano anche in LA PRIMAVERA con Flora, nonché nella NASCITA
DI VENERE e nella dea dell’amore in VENERE E MARTE.
ritratto di Simonettta.
Articolo in gran parte
pubblicato su STORICA NATIONAL GEOGRAFICA del mese di novembre 2018, altri
testi e immagini da Wikipedia.
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