martedì 23 aprile 2019

Edward Munch L’urlo della coscienza.

Edward Munch
L’urlo della coscienza.
La fama del più celebre pittore scandinavo sembra legata a un solo soggetto, un grido allucinato che riecheggia nella coscienza di chiunque lo osservi. Ma è la sua intera produzione a parlare sempre dello stesso tema: l’angoscia di vivere.



Pochi quadri sono entrati nell’immaginario comune quanto il celebre L’urlo di Edvard Munch. Eppure del suo autore, al di fuori dell’ambiente specialistico e accademico, non s’interessa quasi nessuno, al punto di lasciar pensare che quella piccola tela inquietante sia una sorta di unicum, un quadro riuscito quasi per caso a un pittore altrimenti irrilevante dell’Espressionismo europeo, un artista di assoluto spessore.
Edward Munch nacque a Luten, in Norvegia, il 12 settembre 1863. L’anno seguente, il padre Christian, che era medico, si trasferì con la moglie e i quattro figli a Oslo per prendere servizio ospedaliero presso la fortezza di Akersbus. Nonostante l’impiego fosse di tutto rispetto, la famiglia non passò anni tranquilli, perseguitata da creditori e costretta a traslocare spesso. Il picco Edvard, in particolare, fin dai primissimi anni di vita fece conoscenza con la disperazione e il dolore prima a causa della morte improvvisa della madre per tubercolosi, nel 1868, poi per la scomparsa della sorella maggiore Johanne Sophie, nel 1877, seguita dal fratello Andreas e dalla sorellina Laura. A causa del perpetuo stato di depressione che finì per minarne la salute, Edvard lasciò la scuola per via delle troppe assenze, iniziando un ciclo di studi privati organizzati dal padre. Fu lui a trasmettergli la passione per i racconti di genere orrorifico, in particolare quelli di Edgar Allan Poe. Ma fu la zia Karen ad accorgersi per prima che quel ragazzino introverso aveva un vero e proprio talento per la pittura e l’uso dei colori. Visto il precario stato di salute mentale del padre e le scarse risorse economiche della famiglia, però, Edward scelse d’iscriversi a un istituto tecnico per diventare ingegnere. Qui, grazie allo studio della prospettiva, iniziò a coltivare il suo talento disegnando, fino a prendere la decisione d’iscriversi, nel 1881, all’Istituto d’arte e mestieri.

Un grido universale.
L’opera più famosa di Munch è senza dubbio L’Urlo. Dipinto a olio, tempera e pastello su cartoen rappresenta l’esternazione del grido disperato che c’è dentro ognuno di noi. Munch scrisse: “Una sera passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la città e sotto di me il fiordo … Mi fermai e guardai al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembra quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando. Questo è diventato L’Urlo”. Un ricordo che, nel 1895, venne impresso in forma più concisa e poetica sulla cornice del quadro. Munch ne realizzò tre versioni: la prima, del 1893, è un pastello su cartone, composizione ancora abbozzata che verrà completata nella versione definitiva dello stesso anno. Nel 1895 ne realizzò un’altra, battuta all’asta il 2 maggio 2012 per la somma record di 120 milioni di dollari. L’ultimo Urlo risale al 1910. La tela esposta al Museo Munch è stata rubata due volte, nel 1994 e nel 2004, ma sempre ritrovata.

La Senna a Saint-Cloud, 1890.

UN NORVEGESE A PARIGI. Sotto la guida di Julius Middelthun e Christian Krohg, Munch sviluppò uno stile personale, frutto dell’ammirazione per i maestri impressionisti e naturalisti. Mentre era ancora studente realizzò le sue prime opere, senza però a farsi notare dalla critica. Molti suoi nudi furono addirittura sequestrati dal padre, bollati come opere degenerate. Nel frattempo, Edward strinse amicizia con Hans Jager, uno scrittore assai originale e bohémien convinto, che gli inculcò l’amore per l’anarchia e l’anticonformismo, al grido di “Scrivi la tua vita”. Dal diario su cui Munch imparò ad annotare ogni cosa, gli stati d’animo del giovane traboccarono sulla tela, come ben testimonia il quadro La fanciulla malta (1886), un soggetto che sarebbe stato ripreso più volte negli anni a venire. Si tratta di un quadro dal fortissimo impatto emotivo, caratterizzato dal colore graffiato e dall’impietoso ritratto della malattia: una messinscena macabra che scaturisce dall’inconscio dell’autore e sfoga la disperazione, mai sopita, per i lutti che avevano sconvolto la sua famiglia. Il primo riconoscimento non tardò ad arrivare: grazie all’esposizione di alcuni quadri in una mostra importante, Edvard riuscì ad ottenere una borsa di studio per trasferirsi a Parigi. Munch arrivò nella Ville Lumière in quel fantastico 1889 che vide la città completamente assorbita dal clamore per l’Esposizione universale: il suo quadro Il mattino fu esposto nel padiglione norvegese con grande successo. Tuttavia, nonostante i molti stimoli offerti dalla società parigina, Edvard non si sentiva appagato, annoiato com’era dal lavoro presso lo studio del pittore Léon Bonnat. Si trasferì allora in un sobborgo sulle rive della Senna, che diventò soggetto di molte sue tele, realizzate nella spasmodica ricerca di uno stile personale che fosse in grado, attraverso l’uso del colore, di esprimere il suo stato d’animo piuttosto che riprodurre un paesaggio senz’anima.

Sesso e amore.
Puberty (1894-95) by Edvard Munch.jpg
Per Munch, l’attività sessuale rappresentò sempre una questione irrisolta, che trovò nei suoi quadri sfoghi violenti, dando luogo a forme e colori inquietante. La passione carnale è il tema dominante di molte sue opere. Si pensi ai nudi o al bellissimo La pubertà, dipinto nel 1895: una ragazzina, seduta sul letto, guarda fissa chi sta osservando il quadro, coprendosi pudicamente il sesso senza però riuscire a nascondere il seno ancora acerbo. La sua ombra si stacca da lei quasi fosse un demone che l’abbandona, qualcosa che esce per non tornare più. Più sensuali ed esplicite, quasi violente, sono tele come Vampiro, del 1894-1895, in cui una donna dai capelli rosso fuoco morde sul collo un uomo che si abbandona completamente al suo abbraccio mortale. Come il sesso, anche l’amore costituì un’ossessione per Munch. Poco si sa della sua vita affettiva, se non che ebbe due storia importanti: una con Emily ”Milly” Ihlen Thaulow, sposata a suo cugino; l’altra, più duratura, con Tulla Larsen, figlia di un mercante di vini che lo perseguitò per farsi sposare, invano. Un giorno Tulla si fece trovare nuda in casa dell’artista, ma venne respinta: ne scaturì un litigio, che portò la donna a sparare al pittore, ferendolo gravemente a una mano. Quell’episodio fu poi fermato da Munch nella tela L’assassina, che lo ritrae sul letto con la mano insanguinata.
  
L’URLO BERLINESE. La pace temporanea del soggiorno parigino venne interrotta bruscamente dall’arrivo dell’ennesima notizia luttuosa: la morte del padre. Si trattò di un colpo durissimo per Munch che, sebbene non fosse mai riuscito a instaurare un rapporto affettivo con il genitore, cadde in un profondo stato depressivo. In questo periodo nero partorì Notte a Saint Claud, dove raffigura se stesso nelle vesti del padre morto, dando corpo a una figura oscura e indefinita, persa nel buio della notte.
Nei mesi seguenti lo stile dell’artista maturò molto, guardando con interesse all’utilizzo dei colori di Gauguin e allontanandosi sempre di più dai dettami impressionisti degli esordi. In malinconia (1891), il giovane pensieroso in primo piano è avvolto da uno sfondo colorato che si piega in linee distorte le quali finiscono per rappresentare non le rive di un fiume, bensì le inquietudini del suo spirito. La tela fu in grado di attirare l’attenzione della critica europea arrivando fino a Berlino, città in cui gli venne offerta la possibilità di esporre. Non fu un’esperienza felice: gli intellettuali tedeschi dimostrarono di non apprezzare l’arte di Munch, al punto tale da imporre l’immediata chiusura dell’esposizione. Venne così a crearsi una situazione complessa, con sostenitori e detrattori fino allo scoppio di un vero e proprio “caso Munch”, che portò alla fondazione di un comitato di sostegno degli artisti tedeschi capeggiato da Max Liebermann, che si scisse dall’Associazione degli arti berlinesi (organizzatori della mostra), fondando la cosiddetta Berliner Secession.
Ma i quadri di Munch erano ormai famosi e la mostra trovò allestimenti importanti a Dusseldorf e Colonia, per poi tornare a Berlino come “spettacolo a pagamento” (dunque non una vera e propria mostra d’arte), con tanto di biglietto d’ingresso. Fu un successo, con lunghe code di gente disposta ad aspettare lunghe code di gente disposta ad aspettare pur di poter entrare e vedere i quadri dello scandolo. Ma quel che conta è che proprio in quella Berlino così ostile a Munch riuscì a dar vita alla tela che lo avrebbe reso celebre in tutto il mondo: L’Urlo.

Tre capolavori di arte maledetta.

La pubertà (1895), Galleria Nazionale, Oslo. Un’adolescente nuda, seduta sul letto, si copre la zona pubica, proiettando un’ombra marcata sulla parete. Proprio questo cono oscuro è la chiave del dipinto: un’allegoria della morte già in età puberale.

Madonna (1894-1895) Galleria Nazionale e Museo Munch, Oslo. Lo stesso tema è articolato in diverse tele e litografie: il busto di una donna bruna, a seno nudo, in posa lasciva e con lo sguardo trasognato. Sul capo aleggia un’aura rossa che potrebbe essere un’aureola di santità, un alone di luce o un copricapo femminile. È l’inestricabile intreccio fra amor sacro e amor profano.
Edvard Munch - Madonna (1894-1895).jpg

Ragazze sul ponte (1902), Museo nazionale Puskin, Mosca. Tre ragazze si affacciano su un ponte alla periferia di un paese tranquillo in cui le case si specchiano nell’acqua. Non vediamo i volti, ma soltanto i colori degli abiti. La scena sarebbe placida se non accadesse un fenomeno strano: la luna, presente all’orizzonte, non viene riflessa dalle acque del fiume.

 
Questo articolo è tratto dalla pubblicazione I GENI DELL’ARTE, PITTORI MALEDETTI: 130 pagine dedicate a Bosch, Modigliani, Dalì, Warhol e moltissimi altri artisti che hanno operato tra genio e follia durante i secoli. Puoi acquistarlo anche su www.sprea.it  

malinconia 

LA PACE RITROVATA. Grande importanza ebbe la mostra aperta nel 1893, sempre a Berlino, sul centralissimo viale Unter del Linden, in cui l’artista espose una serie di opere dedicate all’amore. Un progetto che sarebbe sfociato, nel 1902, nella concezione del “fregio della vita”, una raccolta di opere (tra cui i celebri L’Urlo, Il vampiro e il già citato Malinconia) nella quale campeggiano, violente, le rappresentazioni colorate di temi come la morte, la paura, la malinconia, l’ansia. Uno sforzo tematico e produttivo senza precedenti, che non trovò accoglienza benevola nella critica berlinese, la quale, ancora una volta, non mancò di riservare al pittore parole sprezzanti.
In quegli anni Munch compì qualche viaggio in Francia e in Italia, e iniziò la collaborazione con il celebre drammaturgo e compatriota Henrik Ibsen. Ma la sua vita privata continuava a essere un tormento. Fu ricoverato in sanatorio per disintossicarsi dall’alcool e i ripetuti litigi con la compagna Tulla (che egli rifiutò ostinatamente di sposare) sfociarono in tragedia: la donna, esasperata, gli sparò ferendolo a una mano. A causa dei continui stati depressivi, accentuati dalla ricerca ossessiva della codificazione pittorica delle sue angosce più profonde, a partire dal 1908 Munch cadde preda di una profonda crisi, che ancora una volta cercò di annegare nell’alcool. Grazie alle terapie del dottor Daniel Jacobson, l’artista riuscì a trovare la forza per reagire e tornare in patria, dove finalmente poté trovare un po’ di serenità. Si votò a una pittura più serena, che gli valse ammirazione e riconoscimenti non ultimo il calmierato dell’Ordine reale norvegese di Sant’Olav per i suoi servizi nell’arte.
Gli ultimi anni in Norvegia furono tranquilli, anche grazie a generose commissioni, che permisero a Munch di dipingere e vivere in agiatezza, in compagnia del suo amato cavallo Rousseau, che ritrasse più volte. Il suo studio fu continuamente visitato da appassionati d’arte e, soprattutto, da numerose giovani che posarono nude per lui e contribuirono a fargli trascorrere una vecchiaia serena. L’unico dispiacere che annebbiò quegli anni sereni fu la messa al bando delle sue opere durante la dominazione nazista, a partire dal 1940. Much fu infatti annoverato tra gli autori degenerati,e le sue opere tolte dai musei. I paesi liberali, invece, gli tributarono premi e onorificenze: nel  1936 ricevette la francese Legion d’Onore e allestì per la prima volta una personale alla London Gallery, mentre nel 1942 espose negli Stati Uniti. Il 19 dicembre 1943, l’esplosione di una nave tedesca nel porto di Oslo provocò enormi danni al suo atelier, gettando l’artista nella più cupa depressione e portandolo a trascurare completamente la polmonite che lo aveva colpito mesi prima. Edvard Munch si spense il 23 gennaio 1944 all’età di 80 anni.

Articolo in gran parte di Enrico Ercole pubblicato su  Conoscere la storia n. 48 – altri testi e immagini da Wikipedia.

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