Edward Munch
L’urlo della coscienza.
La fama del più celebre pittore scandinavo sembra legata a un
solo soggetto, un grido allucinato che riecheggia nella coscienza di chiunque
lo osservi. Ma è la sua intera produzione a parlare sempre dello stesso tema:
l’angoscia di vivere.
Pochi
quadri sono entrati nell’immaginario comune quanto il celebre L’urlo di Edvard
Munch. Eppure del suo autore, al di fuori dell’ambiente specialistico e
accademico, non s’interessa quasi nessuno, al punto di lasciar pensare che
quella piccola tela inquietante sia una sorta di unicum, un quadro riuscito
quasi per caso a un pittore altrimenti irrilevante dell’Espressionismo europeo,
un artista di assoluto spessore.
Edward Munch nacque a
Luten, in Norvegia, il 12 settembre 1863. L’anno seguente, il padre Christian,
che era medico, si trasferì con la moglie e i quattro figli a Oslo per prendere
servizio ospedaliero presso la fortezza di Akersbus. Nonostante l’impiego fosse
di tutto rispetto, la famiglia non passò anni tranquilli, perseguitata da
creditori e costretta a traslocare spesso. Il picco Edvard, in particolare, fin
dai primissimi anni di vita fece conoscenza con la disperazione e il dolore
prima a causa della morte improvvisa della madre per tubercolosi, nel 1868, poi
per la scomparsa della sorella maggiore Johanne Sophie, nel 1877, seguita dal
fratello Andreas e dalla sorellina Laura. A causa del perpetuo stato di
depressione che finì per minarne la salute, Edvard lasciò la scuola per via
delle troppe assenze, iniziando un ciclo di studi privati organizzati dal padre.
Fu lui a trasmettergli la passione per i racconti di genere orrorifico, in
particolare quelli di Edgar Allan Poe. Ma fu la zia Karen ad accorgersi per
prima che quel ragazzino introverso aveva un vero e proprio talento per la
pittura e l’uso dei colori. Visto il precario stato di salute mentale del padre
e le scarse risorse economiche della famiglia, però, Edward scelse d’iscriversi
a un istituto tecnico per diventare ingegnere. Qui, grazie allo studio della
prospettiva, iniziò a coltivare il suo talento disegnando, fino a prendere la
decisione d’iscriversi, nel 1881, all’Istituto d’arte e mestieri.
Un
grido universale.
L’opera
più famosa di Munch è senza dubbio L’Urlo. Dipinto a olio, tempera e pastello
su cartoen rappresenta l’esternazione del grido disperato che c’è dentro
ognuno di noi. Munch scrisse: “Una sera
passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la città e sotto di me il
fiordo … Mi fermai e guardai al di là del fiordo, il sole stava tramontando,
le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura:
mi sembra quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come
sangue vero. I colori stavano urlando. Questo è diventato L’Urlo”. Un
ricordo che, nel 1895, venne impresso in forma più concisa e poetica sulla
cornice del quadro. Munch ne realizzò tre versioni: la prima, del 1893, è un
pastello su cartone, composizione ancora abbozzata che verrà completata nella
versione definitiva dello stesso anno. Nel 1895 ne realizzò un’altra, battuta
all’asta il 2 maggio 2012 per la somma record di 120 milioni di dollari.
L’ultimo Urlo risale al 1910. La tela esposta al Museo Munch è stata rubata
due volte, nel 1994 e nel 2004, ma sempre ritrovata.
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La Senna a Saint-Cloud, 1890.
UN NORVEGESE A PARIGI. Sotto la guida di
Julius Middelthun e Christian Krohg, Munch sviluppò uno stile personale, frutto
dell’ammirazione per i maestri impressionisti e naturalisti. Mentre era ancora
studente realizzò le sue prime opere, senza però a farsi notare dalla critica.
Molti suoi nudi furono addirittura sequestrati dal padre, bollati come opere
degenerate. Nel frattempo, Edward strinse amicizia con Hans Jager, uno
scrittore assai originale e bohémien convinto, che gli inculcò l’amore per
l’anarchia e l’anticonformismo, al grido di “Scrivi la tua vita”. Dal diario su
cui Munch imparò ad annotare ogni cosa, gli stati d’animo del giovane
traboccarono sulla tela, come ben testimonia il quadro La fanciulla malta
(1886), un soggetto che sarebbe stato ripreso più volte negli anni a venire. Si
tratta di un quadro dal fortissimo impatto emotivo, caratterizzato dal colore
graffiato e dall’impietoso ritratto della malattia: una messinscena macabra che
scaturisce dall’inconscio dell’autore e sfoga la disperazione, mai sopita, per
i lutti che avevano sconvolto la sua famiglia. Il primo riconoscimento non
tardò ad arrivare: grazie all’esposizione di alcuni quadri in una mostra
importante, Edvard riuscì ad ottenere una borsa di studio per trasferirsi a
Parigi. Munch arrivò nella Ville Lumière in quel fantastico 1889 che vide la
città completamente assorbita dal clamore per l’Esposizione universale: il suo
quadro Il mattino fu esposto nel padiglione norvegese con grande successo.
Tuttavia, nonostante i molti stimoli offerti dalla società parigina, Edvard non
si sentiva appagato, annoiato com’era dal lavoro presso lo studio del pittore
Léon Bonnat. Si trasferì allora in un sobborgo sulle rive della Senna, che
diventò soggetto di molte sue tele, realizzate nella spasmodica ricerca di uno
stile personale che fosse in grado, attraverso l’uso del colore, di esprimere
il suo stato d’animo piuttosto che riprodurre un paesaggio senz’anima.
Sesso
e amore.
Per
Munch, l’attività sessuale rappresentò sempre una questione irrisolta, che
trovò nei suoi quadri sfoghi violenti, dando luogo a forme e colori
inquietante. La passione carnale è il tema dominante di molte sue opere. Si
pensi ai nudi o al bellissimo La pubertà, dipinto nel 1895: una ragazzina,
seduta sul letto, guarda fissa chi sta osservando il quadro, coprendosi
pudicamente il sesso senza però riuscire a nascondere il seno ancora acerbo.
La sua ombra si stacca da lei quasi fosse un demone che l’abbandona, qualcosa
che esce per non tornare più. Più sensuali ed esplicite, quasi violente, sono
tele come Vampiro, del 1894-1895, in cui una donna dai capelli rosso fuoco
morde sul collo un uomo che si abbandona completamente al suo abbraccio
mortale. Come il sesso, anche l’amore costituì un’ossessione per Munch. Poco
si sa della sua vita affettiva, se non che ebbe due storia importanti: una
con Emily ”Milly” Ihlen Thaulow, sposata a suo cugino; l’altra, più duratura,
con Tulla Larsen, figlia di un mercante di vini che lo perseguitò per farsi
sposare, invano. Un giorno Tulla si fece trovare nuda in casa dell’artista,
ma venne respinta: ne scaturì un litigio, che portò la donna a sparare al
pittore, ferendolo gravemente a una mano. Quell’episodio fu poi fermato da
Munch nella tela L’assassina, che lo ritrae sul letto con la mano
insanguinata.
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L’URLO BERLINESE. La pace temporanea del
soggiorno parigino venne interrotta bruscamente dall’arrivo dell’ennesima
notizia luttuosa: la morte del padre. Si trattò di un colpo durissimo per Munch
che, sebbene non fosse mai riuscito a instaurare un rapporto affettivo con il
genitore, cadde in un profondo stato depressivo. In questo periodo nero partorì
Notte a Saint Claud, dove raffigura se stesso nelle vesti del padre morto,
dando corpo a una figura oscura e indefinita, persa nel buio della notte.
Nei mesi seguenti lo
stile dell’artista maturò molto, guardando con interesse all’utilizzo dei
colori di Gauguin e allontanandosi sempre di più dai dettami impressionisti
degli esordi. In malinconia (1891), il giovane pensieroso in primo piano è
avvolto da uno sfondo colorato che si piega in linee distorte le quali
finiscono per rappresentare non le rive di un fiume, bensì le inquietudini del
suo spirito. La tela fu in grado di attirare l’attenzione della critica europea
arrivando fino a Berlino, città in cui gli venne offerta la possibilità di esporre.
Non fu un’esperienza felice: gli intellettuali tedeschi dimostrarono di non apprezzare
l’arte di Munch, al punto tale da imporre l’immediata chiusura dell’esposizione.
Venne così a crearsi una situazione complessa, con sostenitori e detrattori
fino allo scoppio di un vero e proprio “caso Munch”, che portò alla fondazione
di un comitato di sostegno degli artisti tedeschi capeggiato da Max Liebermann,
che si scisse dall’Associazione degli arti berlinesi
(organizzatori della mostra), fondando la cosiddetta Berliner Secession.
Ma i quadri di Munch
erano ormai famosi e la mostra trovò allestimenti importanti a Dusseldorf e
Colonia, per poi tornare a Berlino come “spettacolo a pagamento” (dunque non
una vera e propria mostra d’arte), con tanto di biglietto d’ingresso. Fu un
successo, con lunghe code di gente disposta ad aspettare lunghe code di gente
disposta ad aspettare pur di poter entrare e vedere i quadri dello scandolo. Ma quel
che conta è che proprio in quella Berlino così ostile a Munch riuscì a dar vita
alla tela che lo avrebbe reso celebre in tutto il mondo: L’Urlo.
Tre capolavori di arte maledetta.
La pubertà (1895), Galleria
Nazionale, Oslo. Un’adolescente nuda, seduta sul letto, si copre la zona
pubica, proiettando un’ombra marcata sulla parete. Proprio questo cono oscuro
è la chiave del dipinto: un’allegoria della morte già in età puberale.
Madonna (1894-1895) Galleria
Nazionale e Museo Munch, Oslo. Lo stesso tema è articolato in diverse tele e
litografie: il busto di una donna bruna, a seno nudo, in posa lasciva e con
lo sguardo trasognato. Sul capo aleggia un’aura rossa che potrebbe essere un’aureola
di santità, un alone di luce o un copricapo femminile. È l’inestricabile
intreccio fra amor sacro e amor profano.
Ragazze sul ponte (1902), Museo
nazionale Puskin, Mosca. Tre ragazze si affacciano su un ponte alla periferia
di un paese tranquillo in cui le case si specchiano nell’acqua. Non vediamo i
volti, ma soltanto i colori degli abiti. La scena sarebbe placida se non
accadesse un fenomeno strano: la luna, presente all’orizzonte, non viene
riflessa dalle acque del fiume.
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malinconia
LA PACE RITROVATA. Grande importanza ebbe
la mostra aperta nel 1893, sempre a Berlino, sul centralissimo viale Unter del
Linden, in cui l’artista espose una serie di opere dedicate all’amore. Un progetto
che sarebbe sfociato, nel 1902, nella concezione del “fregio della vita”, una
raccolta di opere (tra cui i celebri L’Urlo, Il vampiro e il già citato
Malinconia) nella quale campeggiano, violente, le rappresentazioni colorate di
temi come la morte, la paura, la malinconia, l’ansia. Uno sforzo tematico e
produttivo senza precedenti, che non trovò accoglienza benevola nella critica
berlinese, la quale, ancora una volta, non mancò di riservare al pittore parole
sprezzanti.
In quegli anni Munch
compì qualche viaggio in Francia e in Italia, e iniziò la collaborazione con il
celebre drammaturgo e compatriota Henrik Ibsen. Ma la sua vita privata
continuava a essere un tormento. Fu ricoverato in sanatorio per disintossicarsi
dall’alcool e i ripetuti litigi con la compagna Tulla (che egli rifiutò
ostinatamente di sposare) sfociarono in tragedia: la donna, esasperata, gli sparò
ferendolo a una mano. A causa dei continui stati depressivi, accentuati dalla
ricerca ossessiva della codificazione pittorica delle sue angosce più profonde,
a partire dal 1908 Munch cadde preda di una profonda crisi, che ancora una
volta cercò di annegare nell’alcool. Grazie alle terapie del dottor Daniel
Jacobson, l’artista riuscì a trovare la forza per reagire e tornare in patria,
dove finalmente poté trovare un po’ di serenità. Si votò a una pittura più
serena, che gli valse ammirazione e riconoscimenti non ultimo il calmierato dell’Ordine
reale norvegese di Sant’Olav per i suoi servizi nell’arte.
Gli ultimi anni in
Norvegia furono tranquilli, anche grazie a generose commissioni, che permisero
a Munch di dipingere e vivere in agiatezza, in compagnia del suo amato cavallo
Rousseau, che ritrasse più volte. Il suo studio fu continuamente visitato da
appassionati d’arte e, soprattutto, da numerose giovani che posarono nude per
lui e contribuirono a fargli trascorrere una vecchiaia serena. L’unico
dispiacere che annebbiò quegli anni sereni fu la messa al bando delle sue opere
durante la dominazione nazista, a partire dal 1940. Much fu infatti annoverato
tra gli autori degenerati,e le sue opere tolte dai musei. I paesi liberali,
invece, gli tributarono premi e onorificenze: nel 1936 ricevette la francese Legion d’Onore e
allestì per la prima volta una personale alla London Gallery, mentre nel 1942
espose negli Stati Uniti. Il 19 dicembre 1943, l’esplosione di una nave tedesca
nel porto di Oslo provocò enormi danni al suo atelier, gettando l’artista nella
più cupa depressione e portandolo a trascurare completamente la polmonite che
lo aveva colpito mesi prima. Edvard Munch si spense il 23 gennaio 1944 all’età
di 80 anni.
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