Eben-Emael
deve cadere.
Cronaca
di una delle più audaci e decisive missioni della Seconda Guerra mondiale,
premessa indispensabile per consentire alle armate naziste di dilagare in
Belgio e attaccare la Francia alle spalle, aggirando in questo modo la linea
Marginot.
Forte di Eben-Emael Fort d'Ében-Émael parte delle fortificazioni di Liegi | |
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L'ingresso del forte nel Blocco 1 | |
Ubicazione | |
Stato | Belgio |
Stato attuale | Belgio |
Regione | Vallonia |
Città | Bassenge, provincia di Liegi |
Coordinate | 50°47′51″N 5°40′44″E |
Informazioni generali | |
Tipo | forte |
Costruzione | 1º aprile 1932-1935 |
Visitabile | Si |
Sito web | http://www.fort-eben-emael.be/ |
Informazioni militari | |
Utilizzatore | Belgio |
Funzione strategica | difesa del Belgio da un attacco tedesco condotto dal confine olandese |
Termine funzione strategica | maggio 1940 |
Armamento | cannoni da 120, 75 e 60 mm più mitragliatrici |
Azioni di guerra | battaglia del forte di Eben-Emael |
Fonti citate nel corpo del testo | |
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Il forte di Eben-Emael del Belgio è situato tra Liegi e Maastricht, nei pressi del canale Alberto al confine con i Paesi Bassi.
Costruito nel 1932-1935, la sua funzione era quella di proteggere il confine belga da un attacco tedesco condotto dal vicino confine olandese. Considerato imprendibile, il 10 maggio 1940, durante l'invasione tedesca del Belgio, venne assaltato da un gruppo di ottantadue paracadutisti tedeschi decollati da Colonia con undici alianti tipo DFS 230, rinforzati il giorno successivo da altri loro commilitoni che determinarono la resa della guarnigione belga.
All’alba
del 10 maggio la 7a Divisione di fanteria belga a guardia dei tre ponti che
permettevano il transito tra Belgio e Olanda era ancora convinta che, se le
armate naziste avessero voluto attaccare in forze, sarebbe stato un suicidio
farlo proprio in quel settore del fronte. Sebbene la loro fosse una posizione
strategica di primaria importanza, in grado di garantire una rapida avanzata su
Bruxelles, la presenza dell’incombente fortezza alle loro spalle avrebbe
infranto sul nascere qualsiasi assalto portato in maniera convenzionale, con
forti perdite per il nemico e nessuna avanzata territoriale. La loro
convinzione era in effetti giustificata, se consideriamo che l’imponente
struttura difensiva era ritenuta da tutti praticamente inespugnabile. Eppure
quando, intorno alle 5,20 di quel fatidico giorno, incominciarono a rimbombare
le esplosioni nel perimetro difensivo della base, senza che gli inservienti ai
pezzi fossero in grado di capire cosa realmente stesse accadendo, e potessero
agire con prontezza, fu chiaro che il tanto temuto attacco era avvenuto
cogliendo tutti di sorpresa. Bastarono pochi minuti per far cadere la fortezza
nel caos più completo. Solo in pochi ebbero il tempo di rendersi conto che ogni
previsione era stata puntualmente disattesa: nessun carro armato all’orizzonte,
nessun massiccio bombardamento aereo o d’artiglieria. La minaccia arrivava
dall’alto in maniera subdola e silenziosa sotto forma di fragili alianti in
grado d’adagiarsi con incredibile facilità, grazie all’impiego di speciali
paracadute, sul terreno a ridosso dei bunker, proprio nel cuore dell’impianto
difensivo. E da questi velivoli erano fuoriuscite truppe dotate di armamenti
speciali, lanciafiamme, mitragliatrici pesanti e scale, e soprattutto capaci di
muoversi sul terreno con estrema facilità, come se sapessero in anticipo dove e
come colpire. Ben presto le esplosioni in rapida successione dimostrarono che
anche le poderose strutture in acciaio e cemento si sbriciolavano sotto il
lancio di speciali cariche di esplosivo. In pochi minuti, alle terrorizzate
truppe di coscritti, alloggiate nelle viscere del forte, non restò che prendere
atto di essere state beffate. Eben-Emael era caduta ancora prima di reagire.
INESPUGNABILE. Come fu
possibile organizzare una simile operazione, e soprattutto da chi fu condotta?
Il generale tedesco Kurt Student, in un saggio pubblicato nell’immediato
dopoguerra, così si espresse su questo sensazionale episodio: “Fu un atto d’incredibile audacia dall’esito
decisivo … Ho potuto studiare la storia dell’ultimo conflitto e le battaglie su
tutti i fronti, ma non sono stato in grado di trovare nella schiera delle più
brillanti azioni, realizzate da noi o dagli avversari, qualcosa che possa
essere paragonato al successo raggiunto dal gruppo d’assalto Koch”. Non ci
sono dubbi infatti che anche l’Alto comando della Wehrmacht, nei mesi che
precedettero l’inizio dell’Operazione Fall Gelb (il piano d’attacco contro
l’Europa Occidentale voluti da Hitler) nel maggio del 1940, fosse cosciente
dell’impossibilità di prendere Eben-Emael con un attacco frontale, data la
grande complessità del suo sistema difensivo. Costruita tra il 1930 e il 1935,
la fortezza era stata progettata proprio per sbarrare la strada a qualsiasi
tentativo d’invasione tedesca, com’era avvenuto nel lontano 1914, e garantire
il controllo delle vie di comunicazione con i Paesi Bassi. Era stato pertanto
realizzato un potente dispositivo difensivo che poggiava sul Canale Alberto,
dove questo piega verso sud affiancando il corso del fiume Mosa, lungo il confine
Belgio-Olanda, a forma di diamante con una lunghezza di quasi un chilometro e
largo 700 metri, per circa 26 ettari di superficie. Il suo perimetro era
protetto da un fossato largo 10 metri, filo spinato e ostacoli anticarro in
acciaio. Ma il suo vero punto di forza era la presenza di postazione
d’artiglieria fortificate, posizionate in punti strategici e alloggiate in
poderosi bunker di cemento armato. Questa struttura rendeva un attacco frontale
estremamente pericoloso perché le batterie che dominavano il territorio
circostante erano in grado di colpire con precisione tutte le direttrici di
penetrazone. Ogni tentativo d’impadronirsi dei tre vitali ponti avrebbe per
forza di cose dovuto fare i conti con un terribile fuoco di sbarramento
prodotto da sei pezzi da 120 mm, due dei quali montati in torrette ruotabili a
360°, sedici pezzi da 75 mm, dodici cannoni a tiro rapido anticarro e
innumerevoli mitragliatrici binate e pezzi antiaerei. La strategia di difesa
era chiara. Difendere questo settore del fronte quanto bastava per bloccare
l’offensiva nemica, far saltare i ponti per impedirne l’accesso e ritirarsi
successivamente sulle solide difese del fiume Dyle in attesa dell’arrivo di
truppe alleate in supporto. Un piano apparentemente perfetto, che sembrava
lasciare poche alternative agli strateghi della Wehrmacht, intenzionati a
sorprendere il sistema difensivo francese incentrato sulla Linea Marginot (il
complesso di fornicazioni poste ai confini). La chiave per avere la meglio
sull’esercito nemico e la British Expeditionary Force accorsa in suo aiuto era
attaccare da nord, penetrando in Belgio, per
poi avanzare con truppe corazzate e motorizzate nel cuore della Francia
e costringere il governo d’Oltralpe ad arrendesi. Era necessaria una soluzione
rapida, il più indolore possibile, per avere la meglio sulla fortezza di
Eben-Emael, ora più che mai obiettivo primario per il rapido proseguire
dell’operazione Fall Gelb. Hitler in persona si interessò al problema. E la
soluzione non tardò a profilarsi.
Mappa dell'area tra Belgio e Olanda vicino al Forte di Eben-Emael
Forte
di Eben Emael.
Mappa del forte
Edificata
lungo il Canale Alberto sul confine belga-olandese, la fortezza di Eben-Emael
era stata progettata a forma di diamante (900 metri di lunghezza per 700 di
larghezza), e occupava una superficie di oltre 26 ettari. La sua posizione, insieme
ad altri forti più a nord e a sud, avrebbe dovuto garantire la difesa del
confine belga contro ogni tentativo di penetrazione tedesca proveniente dal
territorio olandese. Almeno questo sulla carta.
Inoltre
a nord-est il complesso era protetto dal monte Saint Peter, mentre a ovest il
terreno poteva essere allagato deviando le acque del fiume Geer. Sul lato
meridionale era stato scavato un possente fossato anticarro lungo quasi mezzo
chilometro e largo dieci metri, anch’esso inondabile in caso di estremo
pericolo. Nel suo complesso il perimetro era stato progettato per essere
difeso con estrema facilità dal potente schieramento di artiglieria pesante
(pezzi da 120 e 75 mm) posizionato sulla sommità della fortezza, e pezzi
anticarro a tiro rapido. Completavano il tutto un secondo fossato largo dieci
metri e profondo quattro, barriere di filo spinato e pericolosi ostacoli
anticarro in acciaio.
Ciò
rendeva Eben-Emael un baluardo quasi insormontabile, in grado di respingere
ogni unità che avesse tentato di attraversare i ponti poco più a nord. Ma
questo immenso dispositivo difensivo, ancora legato a una visione ormai
sorpassata della guerra, non aveva tenuto conto di un attacco portato in
maniera del tutto imprevedibile, ricorrendo ad agguerriti reparti di truppe
aerotrasportate.
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Sopra la casamatta Visé 1, sotto la Coupole Sud situata sulla sommità del Blocco 5
ATTACCO
DAL CIELO. La
scelta, dopo lunghi tentennamenti e discussioni, cadde su una forza d’assalto altamente
addestrata, da condurre sull’obbiettivo grazie ad alianti. Ma questi reparti
non sarebbe stati paracadutati, bensì avrebbero dovuto posarsi letteralmente
all’interno del forte belga per poter disporre, una volta a terra, di speciali
armi (lanciafiamme, esplosivi, scale e mitragliatrici pesanti) con cui avere la
meglio sulle difese in cemento armato e ridurre al silenzio le artiglierie
nemiche. Per evitare pericolose manovre e ridurre lo spazio d’atterraggio fu
inoltre deciso di dotare gli alianti di speciali paracadute che avrebbero
permesso ai velivoli di toccare terra in maniera più dolce. Il piano, di per sé
geniale, non era mai stato tentato prima e richiedeva addestramento fuori dal
comune, ottima coordinazione tra i reparti e precisa conoscenza della
planimetria del complesso. Tutti questi fattori avrebbero dovuto collimare alla
perfezione: il minimo errore avrebbe significato la catastrofe. Di questo il
generale Student, artefice del piano, era perfettamente cosciente. Quattro
diversi gruppi di truppe d’assalto aviotrasportati, le temibili
Fallschirmjager, avrebbero dovuto atterrare, intervallatati pochi minuti uno
dall’altro, sui quattro obiettivi ritenuti strategici (i tre ponti e il
complesso di Eben-Emael), mettere a tacere le difese nemiche impadronendosi
delle casematte e resistere a ogni tentativo di contrattacco. Gli uomini
preposti ai ponti avrebbero inoltre dovuto assicurarsi fin da subito che i
difensori belgi non azionassero le cariche di esplosivo per far saltare i
preziosi viadotti da cui abrebbe dovuto transitare il grosso della Wehrmacht.
La scelta degli uomini da impiegare non fu pertanto casuale. Nel novembre del
1939 quella che sarebbe stata la punta di lancio dell’invasione dei Paesi Bassi
fu radunata in tutta segretezza a Hildesheim, a costituire il gruppo d’assalto
Koch, al comando del capitano Walter Koch; lo componevano 11 ufficiali e 427
uomini di due battaglioni del 1° Reggimento Fallschirm, mentre per l’attacco
alla fortezza furono designati 85 uomini della Compagnia pionieri-paracadutisti
guidati dal tenente Rudolf Witzig, che assunse il nomi in codice di gruppo
d’assalto Granit. Furono necessari sei lunghi mesi per poter definire i ruoli,
studiare le mappe e tutti i documenti forniti dall’intelligence sulla reale disposizione
delle opere difensive, e preziose informazioni giunsero interrogando molti
operai che avevano lavorato alla realizzazione del forte. L’addestramento fu
duro e molto impegnativo: in particolare furono testati i nuovi esplosivi a
“carica cava”, essenziali per poter ridurre al silenzio i bunker nemici e,
vennero progettate anche speciali scale per poter accedere alle difese
dall’alto.
Per
riprodurre in maniera attendibile e precisa l’area delle l’area delle
operazioni, fu costruita in Cecoslovacchia una copia perfetta di Eben-Emael,
dove poter perfezionare i meccanismi d’attacco. Sebbene inizialmente il
progetto potesse risulta ai limiti della follia, fu ben presto chiaro che, se
condotto in maniera adeguata, avrebbe garantito quell’effetto sorpresa in grado
d’impedire la minima reazione nemica. E così ai primi di maggio, alla vigilia
dell’inizio delle operazioni, tutti gli uomini furono condotti in due aeroporti
poco distanti da Coloni per le ultime fasi di perfezionamento del piano. Non è
superfluo sottolineare come dall’esito di quest’operazione segretissima sarebbe
dipeso il futuro del conflitto in Europa occidentale: un fallimento avrebbe per
forza di cose impedito la messa in atto della pianificata guerra lampo con la
Francia, costringendo l’esercito tedesco a un conflitto a ridosso della munita
Linea Maginot, vanificando l’efficacia delle sue divisioni corazzate.
Cupola del Forte di Eben-Emael penetrato da una "carica cava"
Fallschirmjager.
Traducibile
come “fanteria leggera con paracadute”, i Fallschirmjager rappresentarono nel
Secondo conflitto mondiale uno dei reparti d’élite dell’esercito tedesco,
prima sottoposti alla Wehrmacht e poi integrati nei corpi dipendenti dalla
Luftwaffe per poter garantire maggiore sincronismo con le incursioni aeree
precedenti i lanci. Nei cinque anni di guerra furono costituite una Divisone
dell’aria (Fliegerdivison) e 13 Divisioni paracadutisti (Fallschirmjager
division). Nei primi mesi di guerra il nucleo parà era inquadrato nella 7a
Divisione dell’Aria (7 Fliegerdivsion) al comando del generale Studente,
prima che venisse ferito nella battaglia di Rotterdam, dopodiché il comando
fu affidato al generale Richard Putziger. Perfettamente addestrati, si
distinsero in operazioni divenute famose, operante in aree e fronti diversi
come la Campagna di Norvegia, l’occupazione del Cane di Corinto, la battaglia
di Creta, l’Africa settentrionale e perfino nella difesa dell’abbazia di
Montecassino. Ma la loro più sensazionale impresa fu certamente la conquista
del forte di Eben-Emael, ottenuta impiegando alianti dotati di paracaduti
frenanti.
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Fallschirmjäger nella seconda guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]
Fallschirmjäger | |
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Il distintivo di paracadutista in uso nella Luftwaffe durante la seconda guerra mondiale | |
Descrizione generale | |
Attivo | 1936-1945 |
Nazione | Germania |
Servizio | Luftwaffe |
Tipo | paracadutisti |
Ruolo | aviolancio operazioni speciali |
Battaglie/guerre | Occupazione tedesca della Cecoslovacchia Seconda guerra mondiale |
Parte di | |
Reparti dipendenti | |
1. Fallschirmarmee
1. Fallschirmjäger-Division 2. Fallschirmjäger-Division 3. Fallschirmjäger-Division 4. Fallschirmjäger-Division 5. Fallschirmjäger-Division 6. Fallschirmjäger-Division 7. Fallschirmjäger-Division 8. Fallschirmjäger-Division 9. Fallschirmjäger-Division 10. Fallschirmjäger-Division 11. Fallschirmjäger-Division 21. Fallschirmjäger-Division Fallschirmjäger-Brigade Ramcke | |
Comandanti | |
Degni di nota | Kurt Student Richard Heidrich Hermann-Bernhard Ramcke Bruno Bräuer Eugen Meindl |
"fonti nel corpo del testo" | |
Voci su unità militari presenti su Wikipedia |
I Fallschirmjäger del Terzo Reich furono utilizzati come truppe per aviosbarchi nell'occupazione dei forti di Eben Emael nella campagna del Belgio, nella Campagna di Norvegia, nell'occupazione dell'istmo di Corinto, a Creta e in Sicilia. Dopo le perdite nell'attacco a Creta non furono più utilizzati a massa nella loro funzione, ma unicamente come fanteria scelta, particolarmente importante fu la loro azione difensiva nella battaglia di Montecassino e nell'operazione Varsity.
Inizialmente erano sottoposti all'Oberkommando der Wehrmacht ma poi furono integrati nei corpi operanti della Luftwaffe, per poter conferire loro maggior sincronismo con le incursioni aeree precedenti ai lanci.
LA PRESA
DEI PONTI. Il
fatidico ordine d’attacco arrivò il 9 maggio e l’inizio delle operazioni fu
fissato alle 05,25 del giorno successivo. Alle 4.30 del mattino del 10,
quarantadue alianti DFS 230, trainati da trimotori da trasporto Ju 52, su cui
erano stipate le truppe aerotrasportate, decollarono dagli aeroporti
prestabiliti. A parte alcuni inconvenienti a due mezzi, entrambi facenti parte
del gruppo Granit (quello addetto all’attacco diretto della fortezza), che
furono costretti a interrompere momentaneamente la missione, per il resto della
formazione l’approccio all’obbiettivo non subì particolari intoppi. Gli alianti
furono pertanto sganciati a circa trentadue chilometri dal bersaglio, a una
quota di 2100 metri, per eseguire la fase più delicata dell’avvicinamento in
volo planato. La loro estrema silenziosità e il sole nascente alle loro spalle
favorirono questa fase delicatissima e le difese antiaeree belghe si accorse di
quanto stava accadendo quando i velivoli erano già in prossimità degli
obiettivi prefissati; solo allora incominciarono a sparare in maniera disordinata
e imprecisa. Intorno alle 5,20 undici alianti del gruppo Steel atterrarono in
prossimità del ponte di Veldwezelt e, nonostante un’iniziale resistenza nemica,
riuscirono a posizionare alcune cariche di esplosivo che permisero di forzare
le casematte poste a sua difesa. Simultaneamente alcuni Fallschirmjager riuscirono
a raggiungere le travature del ponte su cui erano fissate le cariche esplosive
e a neutralizzarle, impedendone la distruzione da parte dei difensori.
Raggiunto l’obiettivo primario, nelle ore successive la squadra fu impegnata a
respingere timidi e disordinati tentativi di contrattacco belga, potendo
contare anche sull’apporto di bombardieri in picchiata Ju 87 Stuka per
neutralizzare una postazione di artiglieria che li aveva presi di mira da circa
mezzo chilometro di distanza. Anche il secondo gruppo d’assalto, chiamato in
codice “Concrete”, riuscì a prendere terra con nove dei dieci alianti
assegnati, intorno alle 5,15, a una certa distanza dal secondo ponte di
Vroenhoven, dopo aver incontrato non pochi problemi per il fuoco antiaereo.
Eppure anche in questo caso una rapida azione portò alla cattura della
casamatta in cui era presente il sistema di detonazione del ponte, mentre il
resto degli uomini ebbe buon gioco nel neutralizzare i difensori rimanenti.
Ogni altro tentativo di contrattacco belga fu respinto grazie alle
mitragliatrici pesanti portate sugli alianti. Invece la situazione del terzo
gruppo, chiamato in codice Iron, non fu così fortunata: sottoposto a un
violento fuoco antiaereo, riuscì a toccare terra alle 5,35 in prossimità del
ponte di Kanne proprio nel preciso momento in cui la guarnigione belga azionava
il detonare per farlo saltare in aria. Questo perché i difensori erano stati
messi in allarme dall’arrivo, prima del previsto, di una colonna meccanizzata
tedesca in supporto. Nonostante questo contrattempo i parà tedeschi riuscirono
a eliminare ogni resistenza in breve tempo, anche se furono impegnati
continuamente a respingere assalti nemici. Il loro compito non sarebbe finito
che intorno alle 11 della mattina successiva, quando furono finalmente aiutati
da truppe mandate in supporto.
Aliante
DFS 230.
|
DFS 230 | |
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Una formazione di due DFS 230 scortati da uno Junkers Ju 87 nel cielo italiano. | |
Descrizione | |
Tipo | aliante da trasporto |
Equipaggio | 2 |
Progettista | Hans Jacobs |
Costruttore | DFS (prototipi) Gothaer Waggonfabrik(produzione in serie) |
Data primo volo | 1937 |
Utilizzatore principale | Luftwaffe |
Altri utilizzatori | FARR |
Dimensioni e pesi | |
Tavole prospettiche | |
Lunghezza | 11,24 m |
Apertura alare | 21,98 m |
Altezza | 2,74 m |
Superficie alare | 41,30 m² |
Efficienza | 1:18 |
Peso a vuoto | 860 kg |
Peso carico | 2 100 kg |
Capacità | 8 soldati equipaggiati |
Prestazioni | |
VNE | 161 km/h a 300 m[senza fonte] |
Vt (velocità max al traino aereo) | 210 km/h |
Note | dati riferiti alla versione DFS 230 A-1 |
i dati sono estratti da Die Deutsche Luftrüstung 1933-1945[1] tranne dove indicato
| |
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Il DFS 230 fu un aliante da trasporto tedesco sviluppato nel 1937 dal DFS - Deutsche Forschungsanstalt für Segelflug ed in dotazione alla Luftwaffe durante la seconda guerra mondiale.
Progettato
nel 1937 e realizzato per garantire all’esercito tedesco un mezzo standard
per operazioni aerotrasportate, rimase in dotazione alla Luftwaffe per
l’intero corso della Seconda guerra mondiale. Il DFS 230 veniva portato in
volo da un velivolo a motore predisposto a tale compito, collegato con un
cavo alla parte superiore dell’aliante, dopodiché in prossimità del bersaglio
e a una quota prestabilita veniva sganciato, per poter planare
silenziosamente. In servizio già nel 1938, prima dell’invasione del Benelux e
poi nella campagna di Francia, con il compito di paracadutare truppe nelle
zone delle operazioni. Il suo carico utile era in genere di 10 uomini
(compresi i due piloti) con equipaggiamento o più di una tonnellata di
materiale. Nel raid che portò alla conquista del forte di Ebene-Emaieò so
ricorse a una soluzione drastica per poter garantire un atterraggio
controllato nel complesso difensivo: un paracadute d’arresto-
|
ASSALTO A
EBEN-EAMEL. Per
garantire il passaggio in Belgio della Wehrmacht, non era solo necessario
prendere i ponti, ma neutralizzare efficacemente anche le artiglierie di
Eben-Emael, la parte più delicata e
complessa del piano. Dalla riuscita di questo attacco sarebbe dipeso il resto
dell’Operazione Fall Gelb. E le premesse non furono incoraggianti.
Come
abbiamo visto, tra gli alianti partiti da Colonia, infatti, due avevano avuto
problemi ed entrambi appartenevano proprio al gruppo d’assalto Granit: inconveniente
che creò non pochi guai per la riduzone dell’organico sul campo. E a complicare
le cose ulteriormente, tra coloro che furono rimasti ritardati c’era anche il
comandante Witzig. Nonostante questi contrattempi, gli altri nove velivoli
riuscirono ad atterrare all’interno del perimetro difensivo della fortezza,
utilizzando alla perfezione i paracaduti d’arresto per rallentare la discesa e
bloccarne la corsa. Il comando temporaneo della missione, in attesa dell’arrivo
dei ritardatari (cosa che avvenne ad attacco già iniziato), fu preso dal
sergente maggiore Helmut Wenzel, mentre il resto dei suoi compagni assaliva i
bersagli prefissati. L’effetto sorpresa non avrebbe potuto essere più totale, e
sebbene alcuni cannoni antiaerei avessero incominciato a sparare appena gli
alianti avevano toccato terra, in pratica non ci fu una reale opposizione:
ritenendo impossibile un mid con queste caratteristiche, i belgi non si erano
premunti nel disporre campi minati, reticolati o fornire di feritoie i bunker
per consentire alla fanteria di contrastare attacchi ravvicinati. Le truppe
aviotrasportati, emerse dagli alianti, incominciarono ad attaccare le casematte
all’apice del forte, che alloggiavano pezzi d’artiglieria in grado di colpire i
ponti già catturati. La numero 18, per esempio, con i suoi tre pezzi da 75 mm
fu la prima ad essere danneggiata e poi distrutta ricorrendo a potenti cariche
cave. Così caddero in successione la 12 e la 26. Più complicato fu il caso
della 24, essendo una torretta con pezzi di grosso calibro (120 mm) montati su
una cupola rotante: troppo grande per poter essere eliminata con una sola
carica d’esplosivo, fu dapprima danneggiata e poi scalata fino alla sommità per
distruggere i cannoni. Anche nelle restanti sezioni del forte l’azione degli
incursori, nonostante non mancassero inconvenienti, progrediva inesorabilmente.
Per poter mettere fuori combattimento la casamatta numero 13 con le sue
mitragliatrici pesanti, per esempio, furono dapprima impiegati i lanciafiamme
per costringere i soldati belgi ad allontanarsi dai pezzi e poterla fare
saltare in aria con tutta calma in un secondo tempo. Gli obiettivi 15 e 16
risultarono invece installazioni fittizie, non armate: una sorta di specchietto
di allodole. Ma il problema maggiore fu la 23, una cupola retrattile con due
cannoni da 75 mm che si credeva non avrebbe potuta creare particolari problemi:
ipotesi confutata quando i suoi pezzi cominciarono a sparare costringendo le
truppe d’assalto a cercare riparo. Solo l’intervento degli Stuka riuscì a
danneggiarle, ma non a distruggerla, anche se gli inservienti belgi dovettero
ritirarsi peri l resto dei combattimenti.
Il
destino di Eben-Emael era ormai segnato. Una dopo l’altra anche tutte le
entrate e le uscite del complesso furono distrutte con esplosivi, impedendo
alla guarnigione di contrattaccare in forze. La quasi totalità dei pezzi
d’artiglieria che avrebbero potuto martellare i ponti appena catturati fu messa
fuori combattimento, mentre solo alcune installazioni minori con mitragliatrici
e pezzi antiaerei rimanevano attive. Fu a quel punto che anche sull’obiettivo
l’aliante di Witzig, dopo essere stato recuperato e condotto sull’obiettivo,
atterrò sulla sommità del forte riuscendo a prendere parte ai combattimenti e a
contrastare i contrattacchi nemici, spesso poco coordinati e senza apporto di
artiglieria, e i tentativi di sortita da parte della guarnigione interna.
Sebbene il piano presupponesse che, dopo poche ore, gli uomini del gruppo
Granit venissero rilevati dal 51° Battaglione del genio, le particolari
difficoltà riscontrate sul terreno li costrinsero a resistere fino alle 7 del
giorno successivo solo alle 12,30 infatti la stremata guarnigione belga alzò
bandiera bianca.
La
battaglia si era conclusa con un successo incredibile e ben mille prigionieri,
mentre il gruppo d’assalto nel complesso del forte aveva subito solo sei morti
e 19 feriti.
Le altre unità di fallschirmjager.
Nel corso della seconda guerra
mondiale altre unità di Fallschimjager si distinsero in differenti teatri operativi
con esito diverso. Erano contraddistinti da un numero. Ecco alcune delle più
importanti:
1.
Fallschirmjager. Costituita in
Russia nel 1942, fu impiegata nella piana di Catania nel luglio 1943 per
contrastare, insieme al 10° Reggimento Arditi, l’occupazione del ponte
Primosole da parte di paracadutisti britannici. La divisione si distinse
inoltre nella difesa di Montecassino ricevendo dal nemico l’appellativo di
Diavoli Verdi per il suo incredibile coraggio.
2.
Fallschirmiahger. Costituita a
Reims nel 1943 utilizzando effettivi del 1° Reggimento paracadutisti, fu
inviata in Bretagna e impegnata nelle operazioni di contrasto allo sbaroco in
Normandia. Nonostante un’accanita resistenza fu chiusa nella sacca di
Falaise, dove venne completamente decimata.
3.
Fallschimjager. Nel gennaio 1944
era ancora in fase di costituzione a Perugia, quando gli effettivi di questa
divisone furono fatti affluire ad Anzio (una delle prime unità ad arrivare)
al comando del maggiore Gericke. A ranghi ridotti dovette utilizzare truppe presenti
in loco per poter essere operativa e contrastare gli attacchi
anglo-americani.
4.
Fallschimjager. Costituita a
Bitsch in Belgio nel 1944 con il nome di Fallschimjagerdivision Erdmann,
venne utilizzata per contrastare il 30° Corpo britannico nell’operazione
Market Garden. Vi riuscì egregiamente, nonostante i ranghi sottodimensionati
e l’addesttramento carente, rallentandone l’avanzata.
|
CHE LA
GUERRA LAMPO ABBIA INIZIO. Nell’insieme
le operazioni per la cattura dei tre ponti e del forte di Eben-Emael erano
state un successo senza precedenti. Non solo i cannoni erano stati eliminati,
ma due dei tre preziosissimi ponti erano rimasti in piedi in mano ai reparti di
Fallschirmjager. La loro cattura ebbe un ruolo determinante per permettere il
passaggio della 18a Armata tedesca, evitare il resto delle difese belghe e
spingersi nel cuore del Paese. In pochi giorni Bruxelles sarebbe caduta in mano
nazista permettendo alla Wehrmacht di poter attuare il tanto sperato attacco
alla Francia, evitando un assalto diretto alla Linea Maginot. E le conseguenze
di questo episodio si materializzarono in tutta la loro drammaticità nelle
settimane successive, con la totale crisi dell’impianto difensivo
anglo-francese e il crollo del fronte. Le rapide puntate delle armate corazzate
tedesche avrebbero portato ai drammatici giorni di Dunkerque tra il 26 maggio e
il 3 giugno 1940, con la totale distruzione dell’esercito francese e la
frettolosa evacuazione del contingente inglese. Per molti ufficiali che
parteciparono a questa incredibile operazione sarebbe arrivata la più alta
onorificenza tedesca, la Croce di Cavaliere della Croce di Ferro, per
straordinari meriti sul campo di battaglia. L’impresa di Eben-Emael rappresenta
senza dubbio uno degli episodi più importanti del Secondo conflitto mondiale:
non si trattò solo di una missione ai limiti dell’impossibile, peraltro
perfettamente riuscita, ma fu pianificata proprio per dare inizio al piano d’attacco
che avrebbe dovuto mettere in ginocchio la Francia.
Per
tale ragione la sua importanza va oltre il singolo episodio, ma dimostra come
l’esercito tedesco si sia affidato a un’operazione dall’esito non scontato per
poter mutare i rapporti di forze in campo e sorprendere l’avversario. Cosa che
puntualmente avvenne.
Non
è eccessivo sostenere che proprio grazie a poco meno di mille uomini
aviotrasportati il corso della guerra in Occidente ebbe un epilogo così rapido
e impossibile da prevedersi in anticipo.
Articolo
in gran parte di Antonio Ratti pubblicato su Guerre e Guerrieri Anthology extra
n. 1 altri testi e immagini da Wikipedia.
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