giovedì 9 aprile 2020

Quando gli uomini portavano la toga.

Quando gli uomini portavano la toga.

Solenne e prestigiosa, la toga era la veste che i Romani indossavano in occasioni pubbliche e cerimonie rituali. Riservata ai soli cittadini, era anche il simbolo delle più alte cariche dello Stato.

 

Statua con toga dell'imperatore Nerva.

Come scrive il poeta Virgilio (70-19 a.C.) nel primo libro dell’Eneide, i Romani erano: “I signori del mondo, la stirpe togata”. Niente più di quel sontuoso capo d’abbigliamento distingueva da tutti gli altri, i cittadini dell’urbe. La toga era l’abito principale di un vero romano, fin dai tempi della monarchia, ed esisteva addirittura lo ius togue, il diritto a indossarla, riservato unicamente ai cittadini romani maschi; ne erano tassativamente esclusi gli stranieri, le donne e, naturalmente, gli schiavi, oltre ai cittadini condannati all’esilio. Esistevano addirittura delle guardie preposte al controllo dell’abbigliamento degli stranieri, per evitare che si potessero compiere abusi.

 

Statua con toga dell'imperatore Caligola

Un segno di prestigio. Sfoggiata da magistrati e personaggi di spicco, la toga (il cui nome deriva dal verbo tegere, che significa ‘coprire’) era un’ampia sopravveste, prevalentemente tessuta in lino e portata sopra la tunica. Si trattava, in sostanza, di un semicerchio di stoffa lungo quasi tre metri, che si distingueva da ogni altro capo proprio per la forma tondeggiante. Imponente e pesante, niente affatto facile da indossare. Nella sua versione orlata di porpora, la cosiddetta toga pretesta, costituiva un segno di riconoscimento per le più alte magistrature. Per tutto il periodo repubblicano e il primo periodo imperiale, ogni autentico romano non poteva esimersi dall’indossarla, nonostante riuscire a drappeggiarla con arte, facendone ricadere le pieghe in modo elegante e plastico, richiedesse pratica e tempo, oltre che l’aiuto di mani esperte: spesso quelle della consorte, a volte quelle di un servo, il vestiplicus, ossia lo schiavo addetto alla cura dell’abbigliamento del padrone, lo aiutava a disporre sapientemente le pieghe per creare il cosiddetto sinus, che dal braccio sinistro scendeva sino ai piedi, e poi il balteus, che dalla spalla scendeva oltre il ginocchio. Per indossarla, se ne appoggiava un lungo lembo sulla spalla sinistra, facendola ricadere fin quasi ai piedi, il resto dell’indumento veniva poi fatto passare dietro la schiena, riportato sul davanti del corpo lasciando libero il braccio destro di nuovo riportato sulla spalla sinistra. Il peso della parte terminale, ricadendo dietro il corpo, teneva ferma la toga, le cui pieghe dovevano essere ‘disegnate’ con cura, per dare all’abito l’imponenza che gli era propria. Ricoperto dalla toga, ogni personaggio assumeva una maestà che lo rendevano autorevole. Per altro si trattava di un indumento che, per sua natura, per il suo peso e per come veniva avvolto attorno al corpo, senza essere fissato con fibule o altro, non permetteva gesti scomposti. Questo contribuiva a dare un aspetto dignitoso e quasi statuario a chi la portava. I Romani, del resto, attribuivano un fortissimo valore simbolico a quest’abito, che indicava rango, età e status di chi lo indossava. La toga veniva indossata sopra la tunica, che con l’indumento più comune e pratico. La plebe portava la tunica come vestito unico, mentre gli uomini di rango la usavano come sottoveste. Cucita in maniera semplice, la tunica era formata dall’unione di due rettangoli di lana o di lino, in cima ai quali si trovava un foro per far passare la testa. Era trattenuta in vita da una cintura che serviva anche a regolarne la lunghezza, di solito maggiore dietro le ginocchia. Non aveva vere maniche: le braccia erano coperte dall’abbondanza della stoffa. Sotto la tunica s’indossava un perizoma, il subligaulum, che veniva legato sui fianchi. Con questi indumenti semplici, i Romani erano soliti anche andare a dormire.

 

romano con toga


Le braghe dei barbari.


015 Conrad Cichorius, Die Reliefs der Traianssäule, Tafel XV.jpg

All'epoca in cui i romani indossavano tunica e toga, molti popoli barbarici, in Nord Europa e in Oriente, indossavano i pantaloni che i romani chiamavano bracae. Si trattava di un indumento considerato poco adatto a un romano, proprio perché di origine straniera. Per fare un esempio, l’Italia settentrionale, cioè quella parte di territorio gallico passato più precocemente sotto il controllo romano, e quindi considerato più civile, era chiamato Gallia togata, mentre il territorio celtico d’oltralpe costituiva la Gallia bracata (così chiamata con evidente senso dispregiativo). Ciò non impediva che nell’esercito si facesse largo uso di bracae, soprattutto a causa dei climi rigidi che i legionari incontravano nel corso delle loro spedizioni. Si trattava di pantaloni lunghi fino al polpaccio, cuciti in cuoio, lana o feltro e adatti a proteggere dal freddo e dall’umidità delle inospitali regioni settentrionali. Nel tardo impero, i pantaloni si allungarono fino alla cavilia o, addirittura, fino alla punta del piede, trasformandosi in una specie di calzamaglia.

Sulla Colonna Traiana, inaugurata nel 113 d.C., sono raffigurati diversi ausiliari (reclutati fra le popolazioni sottomesse) vestiti con bracae. Sul monumento non compaiono legionario romani con i pantaloni a rimarcare l’origine barbarica di quel capo di abbigliamento

 

Ricca sopravveste. Lungo i secoli, la toga subì alcune modifiche. In epoca repubblicana era più stretta (toga rescrita) e più corta, mentre divenne sempre più ampia e drappeggiata (toga fusa) nel periodo imperiale. In origine era intessuta solo di lino, decisamente più morbide e leggere. La toga fusa era a forma di mezzaluna, doveva essere larga quanto l’altezza della persona e lunga circa tre volte tanto. Solitamente, dalla vita fuoriusciva un lembo che formava un nodo di pieghe. Durante i riti sacri, l’officiante si copriva il capo con un lembo delle toga. Esistevano diversi tipi di toga. La toga pretesta, che era la più prestigiosa, appannaggio delle più alte cariche statali e poi anche dell’imperatore, era bordata da una fascia di porpora ed era riservata ai dittatori, sommi magistrati, consoli, pretori e ad alcuni sacerdoti. La indossavano però anche i fanciulli fino all’età di 17 anni. Dopo quell’età, in una solenne cerimonia che di solito cadeva il 17 marzo, durante le festività dedicate a Bacco, i ragazzi entravano nella maturità e iniziavano a vestire una semplice toga bianca e priva di ornamenti (durante la stessa cerimonia, ai ragazzi veniva tolta dal collo anche la bulla, una sorta di amuleto che li proteggeva dalle influenze maligne). Esistevano poi la toga picta, di vari colori, ornata con ricami in oro e indossata dai comandanti che celebravano il trionfo militare; la toga candida, portata dai candidati alle cariche pubbliche per indicarne la purezza e l’onestà; la toga pulla, o atra, che era nera, marrone o grigia, e veniva indossata nei giorni di lutto. Nonostante si trattasse dell’abito formale dei cittadini, da indossare nelle occasioni pubbliche e durante le cerimonie, la toga risultava poco pratica e in epoca imperiale il suo uso fu spesso trascurato.

Le furono preferiti mantelli e sopravvesti meno elaborati e pesanti. Nelle sue Satire, il poeta Giovenale (60-127) notava come in gran parte d’Italia nessuno indossasse più la toga, se non i morti (si trattava, infatti, dell’indumento con cui venivano abbigliati i defunti di rango). Fu anche per questo motivo che Augusto, notando che i cittadini si recavano al Foro abbigliati in modo non consono, si indignò e cercò d’imporne l’uso, dando ordine agli edili di controllare che il suo desiderio fosse rispettato. Essa rimase l’abito tradizionale dell’uomo libero, il civis togatus, contrapposto al tunicatus populus.

 

Articolo in gran parte di Mario Santoni pubblicato su Civiltà Romana n. 2 – altri testi e immagini da wikipedia.


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