domenica 5 aprile 2020

Chi sono gli slavi?

Chi sono gli slavi?

Fra Polonia e Ucraina, 3000 anni fa, gli slavi formarono i primi insediamenti. Rimasero nell’ombra per tutta l’antichità. Poi, nel Medioevo, si affacciarono alla Storia.

Nell’Europa medievale divennero celebri come “schiavi”, tanto che la parola slavus, da cui appunto schiavo, prese forma dal loro nome: slavi. Questo appellativo indicava un puzzle di gruppi tribali indoeuropei che, muovendo da est, si erano gradualmente avvicinati all’Occidente, venendo ridotti in schiavitù prima di riuscire ad affermarsi in tutta l’Europa Centro orientale. Ma quali erano le loro origini?

 

In cammino. I primi insediamenti slavi, secondo gli archeologi, risalirebbero al 1 millennio a.C., e sono attestati in un territorio comune a nord dei Carpazi, tra la Polonia e l’Ucraina Settentrionale. Un’area ricchissima di corsi d’acqua, fatto che spiegherebbe lo stesso nome “slavi”, derivante dalla radice skloav, o sklav: acquitrino, canale. Un’altra interpretazione fa invece derivare il termine da slovo, parola: in tal caso gli slavi sarebbero i “parlanti”, colo che usano una lingua comprensibile, al contrario dei popoli nemici, germanici in primis, definiti “muti”. Dubbi etimologici a parte, quel che è certo è che queste popolazioni rimasero a lungo stanziali e ignote. “Il mondo slavo restò nell’ombra per tutta l’antichità, se si pensa che le sue genti non sono citate in fonti greche e latine prima del VI secolo”, spiega Marcello Garzaniti, professore di slavistica dell’Università degli Studi di Firenze e autore del saggio Gli slavi. Storia, cultura e lingue dalle origini ai giorni nostri (Carocci). Fu attorno al V secolo che, spinti da una crescita demografica interna e dall’espansione degli Unni, guerrieri nomadi proveniente dall’Asia Centrale, iniziarono a incamminarsi verso nuove terre, occupando gradualmente la riva sinistra del Danubio, varie regione della penisola balcanica, fino al Peloponneso, dell’Europa Orientale e di quella Centra. Qui, in un’area indefinita, sorse tra il 623 e il 624 il primo regno slavo di cui si abbia notizia, fondato da un certo Samo, mercante a capo di un’unione di tribù. Poco dopo, verso il 680, nacque il primo vasto regno slavo, quello dei Bulgari.

 

Parentele linguistiche. “Nella loro espansione, questi popoli precedettero in direzioni diverse. Tanto che nel VI secolo lo storico bizantino Giordane prospettò una distinzione in tre grandi gruppi: slavi meridionali, occidentali e orientali”, riprende Garzaniti. Una divisione valida ancora oggi e che corrisponde ad altrettanti gruppi linguistici, peraltro affini, “In effetti, pur occupando territori distanti tra loro, i vari gruppi svilupparono delle parlate, poi divenute lingue nazionali, connotate da similitudini tutt’ora evidenti”, racconta l’esperto. Parentele linguistiche, e non solo. Gli storici bizantini e persiani riportano anche alcune caratteristiche fisiche comuni, come i capelli biondo-rossastri, la pelle chiara e i corpi robusti.

 

Contadini e pagani. Dal punto di vista economico sociale, gli slavi basavano la loro esistenza sull’agricoltura, legata soprattutto a ortaggi e cerali, pur praticando anche allevamento, pesca e caccia. “Era una società organizzata in una rete di villaggi nei quali avevano un ruolo di rilievo le donne, che godevano di rilevanti diritti in tema di eredità, famiglia e commerci” , aggiunge Garzaniti. Sul piano politico, gli slavi si rifacevano a primitive organizzazioni tribali basate su stirp legate a un capostipite comune, con più tribù che formavano un popolo. “La gestione della cosa pubblica era tendenzialmente collettivista: ogni villaggio era infatti amministrato da un cosiglio di anziani; una forma di governo che trova riscontro anche nel fatto che non esistono parole di origine slava per indagare la figura del re”, continua lo storico. Gli slavi praticavano una forma di politeismo in cui spiccava, in alcune aree, una divinità superiore, chiamata Perun il signore del tuono.

 

Gli anni della schiavitù. Dopo secoli di espansione, gli slavi si scontrarono con i nuovi regni europei che, nell’Alto Medioevo, ripresero il controllo delle varie aree slavizzate. Iniziava per queste genti un periodo oscuro di sottomissione e schiavitù. “A partire dall’VIII secolo, subirono la violenta pressione del Regno franco, del Sacro Romano Impero e dell’Impero Bizantino, finché non prese vita, ai loro danni, una tratta di schiavi di enorme proporzioni. La quantità di slavi venduta come merce fu così ingente che la latino servus si sostituirà il termine sclavus, mutato dal loro nome”, prosegue lo storico. Diffusissima dal XII Secolo, questa parola si trova oggi nell’inglese slave e in altre lingue. A sfavore degli slavi giocò tra l’altro il loro paganesimo: la Chiesa infatti riteneva immorale vendere merce umana soltanto se cristiana. Nel tardo Medioevo la situazione cambiò, in meglio: oltre a creare varie compagini statali, dal Regno di Polonia a quello di Boemia, si affrancarono dalla condizione di subalternità e si avvicinarono al cristianesimo e alla cultura mediterranea: passò decisivo verso l’assimilazione con gli altri popoli europei. Protagonista di questa fase fu la Rus’di Kiev, un potente  regno nato dalla fusione fra slavi e guerrieri scandinavi, che comprendeva l’Ucraina e la Bielorussia attuali.

 

Latini o ortodossi. “Il processo di cristianizzazione cancellò i loro riti pagani, anche se nei territori balcanici e orientali la cultura contadina rimase legata alle tradizioni, dando talvolta vita a una vera ‘doppia fede. “  prosegue Garzanti. La conversione avvenne sotto le spinte evangelizzatrici di Roma e Costantinopoli, i maggiori centri missionari del tempo. Tra i molti evangelizzatori spiccarono i fratelli Cirillo e Metodio, attivi dalla metà del IX secolo. “A loro si deva anche il merito di aver creato il primo alfabeto slavo: il glagolitoco, da cui deriva il cirillico” sottolinea Garzaniti. Nell’XI secolo arrivò anche lo scossone dello scisma che divise la Chiesa in due; latina o cattolica, a Occidente, ortodossa, o bizantina a Oriente. “Si generò così la divisione tra una Slavia latina e una ortodossa, e popolazioni con lingue simili e la medesima cultura etnica si ritrovarono sulle sponde di due mondi distinti”, evidenzia lo storico. Divisione nella divisione: gli ortodossi adotteranno l’alfabeto cirillico anziché quello latino.

 

la terza Roma. Il mondo slavo ortodosso conobbe un momento di grande fulgore sotto Ivan il Terribile (1530-1584), primo zar di tutte le Russie. Con lui Mosca assunse le funzioni di terza Roma, in alternativa all’Urbe e a Costantinopoli. “Quest’ultima era caduta nel 1453 sotto i colpi degli ottomani. Serviva una “Terza Roma” che fungesse da nuovo faro per gli ortodossi”, riassume Garzaniti. Gli zar successivi continuarono a circondarsi di un alone religioso, ergendosi inoltre a custodi dei tradizionali valori slavi. Quegli stessi valori a cui, nel XIX secolo, si rifacevano movimento come lo slavofilismo e il panslavismo. L’uno, culturale, aspirava a recuperare in Russia l’antico sistema di valori slavi circa le proprie radici e prospettava la fondazione di una grande fratellanza slava.

 

In Europa i paesi di origine slava.

Stati in cui è adottata come principale lingua ufficiale una lingua di un popolo slavo.

     Slavi occidentali

     Slavi orientali

     Slavi meridionali





Slavi occidentali, orientali e meridionali: è questa la differenziazione geografico linguistica del mondo slavo, che vede nel primo raggruppamento Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia; nel secondo raggruppamento Russia e Ucraina; nel terzo Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Slovenia. Questi Paesi hanno tutti come idioma nazionale una lingua slava e sono a maggioranza cristiana (tranne la Bosnia dove prevalgono i mussulmani), divisi però fra cattolici e ortodossi. Sei Paesi di lingua slava fanno oggi parte dell’Ue: Bulgaria, Croazia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia, ma solo questi ultimi due hanno adottato l’euro.

 

E il futuro? La voglia di unità non durò: tra Otto e Novecento, i poli slavi diedero vita a più movimenti nazionalistici – conseguenza della dissoluzione degli imperi – niente affatto disposti a sacrificare la propria identità per una causa comune. “Gli slavi, pur riscoprendo la loro comune origine etnica, avevano anche preso coscienza di appartenere a nazioni diverse. Ecco perché, con il crollo dell’Impero Ottomano, i neonati Stati slavi balcanici entrarono in conflitto tra loro, tanto che nascerà poi il termine di balcanizzazione quale sinonimo di conflitto endemico”, proseguo lo storico. La stessa Grande guerra iniziò con un attentato, contro l’erede al trono d’Austria, per mano di un nazionalista slavo, il bosniaco Gavrilo Princip. Mentre in epoca più recente, i vecchi nazionalismi sono tornati a farsi virulenti con il conflitto che negli anni Novanta ha frantumato la Iugoslavia, federazione che nel dopoguerra aveva aggregato Bosnia Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Croazia, Serbia e Slovenia. Dell’erosione di quest’entità, così come da quella dell’Urss, si sono ricostituiti nuovi stati slavi, pronti in molti casi a integrarsi nella comunità europea. “Il forte senso di appartenenza nazionale di queste popolazioni può costituire oggi una fonte di arricchimento per l’Europa, a patto di evitare ogni strumentalizzazione politica”, conclude Garzaniti. Una curiosità: durante l’evoluzione della storia slava, il vecchio appellativo scalsu, passando per il veneziano s’ciao, “ti sono schiavo”, ha dato vita a un nuovo vocabolo: il nostro ‘ciao’, saluto oggi declinato in quasi tutte le lingue europee.. incluse quelle slave.

 

Articolo in gran parte di Matteo Liberti pubblicato su focus storia n. 146 – altri testi e immagini da Wikipedia.


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