Chi sono gli slavi?
Fra Polonia e Ucraina,
3000 anni fa, gli slavi formarono i primi insediamenti. Rimasero nell’ombra per
tutta l’antichità. Poi, nel Medioevo, si affacciarono alla Storia.
Nell’Europa
medievale divennero celebri come “schiavi”, tanto che la parola slavus, da cui
appunto schiavo, prese forma dal loro nome: slavi. Questo appellativo indicava
un puzzle di gruppi tribali indoeuropei che, muovendo da est, si erano
gradualmente avvicinati all’Occidente, venendo ridotti in schiavitù prima di
riuscire ad affermarsi in tutta l’Europa Centro orientale. Ma quali erano le
loro origini?
In cammino. I primi insediamenti slavi, secondo
gli archeologi, risalirebbero al 1 millennio a.C., e sono attestati in un
territorio comune a nord dei Carpazi, tra la Polonia e l’Ucraina
Settentrionale. Un’area ricchissima di corsi d’acqua, fatto che spiegherebbe lo
stesso nome “slavi”, derivante dalla radice skloav, o sklav: acquitrino,
canale. Un’altra interpretazione fa invece derivare il termine da slovo,
parola: in tal caso gli slavi sarebbero i “parlanti”, colo che usano una lingua
comprensibile, al contrario dei popoli nemici, germanici in primis, definiti
“muti”. Dubbi etimologici a parte, quel che è certo è che queste popolazioni
rimasero a lungo stanziali e ignote. “Il
mondo slavo restò nell’ombra per tutta l’antichità, se si pensa che le sue
genti non sono citate in fonti greche e latine prima del VI secolo”, spiega
Marcello Garzaniti, professore di slavistica dell’Università degli Studi di
Firenze e autore del saggio Gli slavi. Storia, cultura e lingue dalle origini
ai giorni nostri (Carocci). Fu attorno al V secolo che, spinti da una crescita
demografica interna e dall’espansione degli Unni, guerrieri nomadi proveniente
dall’Asia Centrale, iniziarono a incamminarsi verso nuove terre, occupando
gradualmente la riva sinistra del Danubio, varie regione della penisola
balcanica, fino al Peloponneso, dell’Europa Orientale e di quella Centra. Qui,
in un’area indefinita, sorse tra il 623 e il 624 il primo regno slavo di cui si
abbia notizia, fondato da un certo Samo, mercante a capo di un’unione di tribù.
Poco dopo, verso il 680, nacque il primo vasto regno slavo, quello dei Bulgari.
Parentele linguistiche. “Nella
loro espansione, questi popoli precedettero in direzioni diverse. Tanto che nel
VI secolo lo storico bizantino Giordane prospettò una distinzione in tre grandi
gruppi: slavi meridionali, occidentali e orientali”,
riprende Garzaniti. Una divisione valida ancora oggi e che corrisponde ad
altrettanti gruppi linguistici, peraltro affini, “In effetti, pur occupando territori distanti tra loro, i vari gruppi
svilupparono delle parlate, poi divenute lingue nazionali, connotate da similitudini
tutt’ora evidenti”, racconta l’esperto. Parentele linguistiche, e non solo.
Gli storici bizantini e persiani riportano anche alcune caratteristiche fisiche
comuni, come i capelli biondo-rossastri, la pelle chiara e i corpi robusti.
Contadini e pagani. Dal punto di vista
economico sociale, gli slavi basavano la loro esistenza sull’agricoltura,
legata soprattutto a ortaggi e cerali, pur praticando anche allevamento, pesca
e caccia. “Era una società organizzata in
una rete di villaggi nei quali avevano un ruolo di rilievo le donne, che
godevano di rilevanti diritti in tema di eredità, famiglia e commerci” ,
aggiunge Garzaniti. Sul piano politico, gli slavi si rifacevano a primitive
organizzazioni tribali basate su stirp legate a un capostipite comune, con più
tribù che formavano un popolo. “La
gestione della cosa pubblica era tendenzialmente collettivista: ogni villaggio
era infatti amministrato da un cosiglio di anziani; una forma di governo che
trova riscontro anche nel fatto che non esistono parole di origine slava per
indagare la figura del re”, continua lo storico. Gli slavi praticavano una
forma di politeismo in cui spiccava, in alcune aree, una divinità superiore,
chiamata Perun il signore del tuono.
Gli anni della schiavitù. Dopo secoli di espansione,
gli slavi si scontrarono con i nuovi regni europei che, nell’Alto Medioevo,
ripresero il controllo delle varie aree slavizzate. Iniziava per queste genti
un periodo oscuro di sottomissione e schiavitù. “A partire dall’VIII secolo, subirono la violenta pressione del Regno
franco, del Sacro Romano Impero e dell’Impero Bizantino, finché non prese vita,
ai loro danni, una tratta di schiavi di enorme proporzioni. La quantità di
slavi venduta come merce fu così ingente che la latino servus si sostituirà il
termine sclavus, mutato dal loro nome”, prosegue lo storico. Diffusissima
dal XII Secolo, questa parola si trova oggi nell’inglese slave e in altre
lingue. A sfavore degli slavi giocò tra l’altro il loro paganesimo: la Chiesa
infatti riteneva immorale vendere merce umana soltanto se cristiana. Nel tardo
Medioevo la situazione cambiò, in meglio: oltre a creare varie compagini
statali, dal Regno di Polonia a quello di Boemia, si affrancarono dalla
condizione di subalternità e si avvicinarono al cristianesimo e alla cultura
mediterranea: passò decisivo verso l’assimilazione con gli altri popoli
europei. Protagonista di questa fase fu la Rus’di Kiev, un potente regno nato dalla fusione fra slavi e
guerrieri scandinavi, che comprendeva l’Ucraina e la Bielorussia attuali.
Latini o ortodossi. “Il
processo di cristianizzazione cancellò i loro riti pagani, anche se nei
territori balcanici e orientali la cultura contadina rimase legata alle
tradizioni, dando talvolta vita a una vera ‘doppia fede. “ prosegue Garzanti. La conversione avvenne
sotto le spinte evangelizzatrici di Roma e Costantinopoli, i maggiori centri
missionari del tempo. Tra i molti evangelizzatori spiccarono i fratelli Cirillo
e Metodio, attivi dalla metà del IX secolo. “A
loro si deva anche il merito di aver creato il primo alfabeto slavo: il
glagolitoco, da cui deriva il cirillico” sottolinea Garzaniti. Nell’XI
secolo arrivò anche lo scossone dello scisma che divise la Chiesa in due;
latina o cattolica, a Occidente, ortodossa, o bizantina a Oriente. “Si generò così la divisione tra una Slavia
latina e una ortodossa, e popolazioni con lingue simili e la medesima cultura
etnica si ritrovarono sulle sponde di due mondi distinti”, evidenzia lo
storico. Divisione nella divisione: gli ortodossi adotteranno l’alfabeto
cirillico anziché quello latino.
la terza Roma. Il mondo slavo ortodosso conobbe un
momento di grande fulgore sotto Ivan il Terribile (1530-1584), primo zar di
tutte le Russie. Con lui Mosca assunse le funzioni di terza Roma, in
alternativa all’Urbe e a Costantinopoli. “Quest’ultima
era caduta nel 1453 sotto i colpi degli ottomani. Serviva una “Terza Roma” che
fungesse da nuovo faro per gli ortodossi”, riassume Garzaniti. Gli zar
successivi continuarono a circondarsi di un alone religioso, ergendosi inoltre
a custodi dei tradizionali valori slavi. Quegli stessi valori a cui, nel XIX
secolo, si rifacevano movimento come lo slavofilismo e il panslavismo. L’uno,
culturale, aspirava a recuperare in Russia l’antico sistema di valori slavi
circa le proprie radici e prospettava la fondazione di una grande fratellanza
slava.
In
Europa i paesi di origine slava. Stati in cui è adottata come principale lingua ufficiale una lingua di un popolo slavo. Slavi occidentali Slavi orientali Slavi meridionali Slavi occidentali, orientali e meridionali: è questa la differenziazione geografico linguistica del mondo slavo, che vede nel primo raggruppamento Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia; nel secondo raggruppamento Russia e Ucraina; nel terzo Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Slovenia. Questi Paesi hanno tutti come idioma nazionale una lingua slava e sono a maggioranza cristiana (tranne la Bosnia dove prevalgono i mussulmani), divisi però fra cattolici e ortodossi. Sei Paesi di lingua slava fanno oggi parte dell’Ue: Bulgaria, Croazia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia, ma solo questi ultimi due hanno adottato l’euro. |
E il futuro? La voglia di unità non durò: tra
Otto e Novecento, i poli slavi diedero vita a più movimenti nazionalistici –
conseguenza della dissoluzione degli imperi – niente affatto disposti a
sacrificare la propria identità per una causa comune. “Gli slavi, pur riscoprendo la loro comune origine etnica, avevano
anche preso coscienza di appartenere a nazioni diverse. Ecco perché, con il
crollo dell’Impero Ottomano, i neonati Stati slavi balcanici entrarono in
conflitto tra loro, tanto che nascerà poi il termine di balcanizzazione quale
sinonimo di conflitto endemico”, proseguo lo storico. La stessa Grande
guerra iniziò con un attentato, contro l’erede al trono d’Austria, per mano di
un nazionalista slavo, il bosniaco Gavrilo Princip. Mentre in epoca più
recente, i vecchi nazionalismi sono tornati a farsi virulenti con il conflitto che
negli anni Novanta ha frantumato la Iugoslavia, federazione che nel dopoguerra
aveva aggregato Bosnia Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Croazia, Serbia e
Slovenia. Dell’erosione di quest’entità, così come da quella dell’Urss, si sono
ricostituiti nuovi stati slavi, pronti in molti casi a integrarsi nella comunità
europea. “Il forte senso di appartenenza
nazionale di queste popolazioni può costituire oggi una fonte di arricchimento
per l’Europa, a patto di evitare ogni strumentalizzazione politica”,
conclude Garzaniti. Una curiosità: durante l’evoluzione della storia slava, il
vecchio appellativo scalsu, passando per il veneziano s’ciao, “ti sono
schiavo”, ha dato vita a un nuovo vocabolo: il nostro ‘ciao’, saluto oggi
declinato in quasi tutte le lingue europee.. incluse quelle slave.
Articolo in gran parte
di Matteo Liberti pubblicato su focus storia n. 146 – altri testi e immagini da
Wikipedia.
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