Dietro i capolavori.
Spiritualità, bellezza,
eroismi: le opere del Rinascimento trasudano valori esemplari. Ma a dipingerle
furono uomini non sempre perfetti.
Geniali,
colti e misteriosi, ma anche capricciosi, sadici e criminali. Non sempre gli
artisti del Rinascimento sono stati ‘esempio di virtù1’. Anzi, dietro i loro
capolavori, riconosciuti a livello mondiale come la massima espressione di
grazia e armonia, spesso si nascondono vite spericolate e condotte deplorevoli.
Gli scritti del passato, su tutti le ‘Vite dei più eccellenti pittori,
scultori, e archi tettori di Giorgio Vasari (1511-1574)’ considerata la prima
storiografia artistica moderna, ci hanno tramandato notizie e aneddoti sulle
biografie dei grandi maestri dell’arte svelandone anche gli aspetti più oscuri:
scopriamo quindi soggetti dall’indole eccentrica e nevrotica, geni tormentati
da stati depressivi, uomini dai costumi sessuali troppo disinvolti per le leggi
dell’epoca, imbevute di morale cristiana.
Nella
top ten dei vizi cui spesso indulgevano gli artisti, c’è la lussuria,
ovviamente condannata dalla morale cristiana.
All’italiana. Particolarmente invisa alla società
del Rinascimento era la sodomia, comportamento per cui si poteva finire sotto
processo (capitò a Leonardo, e molti artisti ne furono sospettati) e rischiare
la condanna capitale, indipendentemente dal fatto che si realizzasse o meno fra
individui dello stesso sesso. La pratica era talmente diffusa in Italia, in
particolare nella città di Firenze, che nel 1432 venne istituito un corpo
speciale di guardie: gli “Ufficiali di notte”, così detti perché l’attività,
essendo clandestina, aveva luogo soprattutto al calar del sole. La fama degli
italiani in tal senso oltrepassò i confini, tant’è che in ambiente francese la
sodomia era definita ‘rapporto alla maniera italiana, mentre in Germania
diventò sinonimo di ‘fiorentino’.
I
grandi artisti del Cinquecento finivano col cavarsela quasi sempre: le corti se
li contendevano ed erano troppo preziosi per bloccarne l’ingegno.
Qui di seguito alcune
storie dei geni che hanno avuto storie non proprio edificanti:
la vendetta di Benvenuto Cellini.
la ninfa di Fontanainebleau
Scultore, scrittore e..
‘fuorilegge’, questo potremmo dire del fiorentino Benvenuto Cellini (1500-1571)
artista dal ricchissimo curriculum criminale. Tra i reati di cui si macchiò,
uno in particolare stava per costargli la condanna al rogo: la sodomia. Si trovava
in Francia alla corte di Francesco I, dove era stato chiamato nel 1540. Ad
accusarlo di sodomia furono Caterina (che aveva posato per La ninfa di
Fontanainebleau), e un inserviente di nome Pagolo. Per fortuna, la denuncia fu
subito ritirata, ma Cellini, anziché rallegrarsene, reagì in maniera sadica:
dopo aver obbligato i due giovani a sposarsi, costrinse la ragazza a orari di
lavoro massacranti, abusandone sessualmente. In tal modo l’artista si prendeva
una duplice vendetta, come affermò egli stesso nella autobiografia: “prima la
faccio soffrire con lunghe pose completamente nuda, e poi posso dare del
cornuto a Pagolo”.
Ritratto di Benvenuto Cellini alla Biblioteca Nazionale di Vienna
“il sodoma” Giovanni Antonio Bazzi.
Autoritratto del Sodoma in un dettaglio da uno degli affreschi dell'Abbazia di Monte Oliveto Magg
Fu tra i più apprezzati artisti dell’epoca, tanto da comparire ritratto da Raffaello nel grande a ffresco della Scuola di Atene nei panni di Protogene (pittore greco vissuto nel III secolo a.C.). Ma la notorietà di cui godeva non era dovuta solo al suo talento. Giovanni Antonio Bazzi (1477-1549) era conosciuto per il carattere sin troppo stravagante e una sessualità sregolata, tanto da essere soprannominato ‘Il Sodoma’. Per il pittore non era un’ingiuria: egli anzi si vantava di quel nomignolo, tanto che lo usava per firmare le proprie opere. Non deve stupire, quindi, il suo San Sebastiano particolarmente sensuale e conturbante. L’iconografia del martire era, tra l’altro, una delle più gettonate dagli artisti rinascimentali italiani, anche perché pretesto per la rappresentazione del nudo maschile.
Il rimorso di Rosso Fiorentino.
Giorgio Vasari e assistenti, Ritratto di Rosso Fiorentino, Casa Vasari, Firenze
La categoria degli è
nota per un alto tasso di suicidi, e il primo caso riportato in letteratura
pare sia stato quello di Rosso Fiorentino (1495-1540), autore della celebre
Deposizione della Croce (la cui drammaticità ha ispirato intellettuali come
Gabriele d’Annunzio e Pier Paolo Pasolini). A parlare del suo caso è ancora
Vasari: “un giorno l’artista, vittima di
un furto, accusò l’amico e collaboratore Francesco Pellegrini, che a sua volta
gli intentò causa per diffamazione. Il Rosso, già travolto dai rimorsi per aver
tradito l’amico (il quale tra l’altro dovette subire torture per confessare un
crimine mai commesso), preferì allora uccidersi da sé stesso piuttosto che
essere castigato da altri” e così, il 14 novembre 1540 si tolse la vita
bevendo un velenosissimo liquore.
Deposizione dalla Croce (1521), Volterra, Pinacoteca e museo Civico
Il sesso secondo
Marcantonio Raimondi.
Ritratto di Marcantonio Raimondi,
dalle Vite del Vasari
Anche l’Italia ha il
suo kamasutra. Si tratta di un volumetto dal titolo ‘I modi o le sedici
posizioni’ ed è il primo libro erotico dato alle stampe nel nostro Paese. esso
raccoglie, appunto, sedici posizioni realizzate da Marcantonio Raimondi
(1480-1534), su bozze di Giulio Romano, che ritraggono diverse “attitudini e
positure con cui giacciono i disonesti”, come scriveva indignato il Vasari. Il
libro si rivelò un grande successo editoriale, tanto che per frenarne la
diffusione, papa Clemente VII dovette farne sequestrare ogni copia in
circolazione e far arrestare l’autore. Grazie al poeta toscano Pietro Aretino,
influente negli ambenti ecclesiastici, Raimondi fu tuttavia rilasciato e nel
1527 venne pubblicata una seconda edizione del libro ancora più scandalosa:
ogni incisione era infatti accompagnata da un sonetto erotico composto dallo
stesso Aretino. La censura pontificia colpì ancora, e degli originali non rimane
perciò traccia.
Frammenti della seconda edizione de I Modi di Raimondi conservati al British Museum.[1]
Il misterioso Sandro Botticelli
La Primavera
Interprete del
Rinascimento a 360 gradi, Sandro Botticelli (1445-1510) ha abbracciato la
cultura umanista anche nei suoi aspetti più oscuri. Il dipinto La primavera ne
è un esempio. Dietro la sua apparente limpidezza si cela infatti un significato
più profondo non ancora del tutto svelato. Se per alcuni studiosi si tratta di
un’allegoria dell’età dell’oro medicea, altre interpretazioni individuano nell’opera
il paradigma del Neoplatonismo. Altre ancora vi leggono invece simboli che
rimandano all’alchimia, pratica a cui in realtà si accostarono molti artisti
dell’epoca. Nonostante la sua enorme popolarità, quindi, La primavera rimane
uno dei dipinti più misteriosi della storia dell’arte, e con essa anche il suo
autore: ciò ha contribuito ad alimentare la leggenda secondo cui Sandro
Botticelli sarebbe stato uno dei Gran Maestri del fantomatico Priorato di Sion.
Presunto autoritratto dall'Adorazione dei Magi degli Uffizi
Raffaello Sanzio: pazzo per le donne.
Trionfo di Galatea
È tra i pittori più
raffinati del Rinascimento italiano, dotato di uno stile così elegante che
chiunque si aspetterebbe di avere a che fare con un uomo mite e discreto. Tutt’altro.
Raffaello (1483-1520) era assai lussurioso, anzi, in tema di femmine trasudava
una tal sicurezza da essere “con rispetto da’ suoi grandissimi amici osservato”,
come scriveva Vasari. La fissa per le donne se la portava pure al lavoro,
chiamato a Roma per dipingere la loggia del palazzo della Farnesina di Agostino
Chigi, l’artista urbinate pretese e ottenne che anche la sua amata si
trasferisse lì. Quella donna era Margherita Luti, il cui volto è impresso nel
Trionfo di Galatea della Farnesina. Quello per Margherita fu un amore
travolgente, che condusse Raffaello fino alla tomba: stando sempre al Vasari,
egli morì il 6 aprile 1520 in seguito a una notte di eccessi sessuali.
L’enigma Albert Durer.
Melencolia I
È noto per essere stato
il massimo esponente del Rinascimento tedesco. L’incisione Melencolia I, la sua
opera più famosa, è diventata l’emblema dello spirito introspettivo dell’artista
stesso. Secondo la ‘dottrina dei quattro umori’, tornata di gran moda proprio
nel Rinascimento, la Melencolia è lo stato patologico tipico dei creativi, nei
quali provoca un atteggiamento che oscilla tra ‘mal di vivere’ e genialità. Ma il
senso dell’incisione, ricca simboli spesso indecifrabili, non si esaurisce qui.
Come La primavera di Botticelli, anche l’opera di Durer (1471-1528), si presta
a più livelli di lettura, tra cui molti in chiave alchemica, a dimostrazione di
quanto questa scienza occulta fosse diffusa. L’oggetto più misterioso è il “quadrato
magico” o “planetario”, dove i numero sono disposti in modo tale che la somma
su ogni riga, colonna e diagonale, dia sempre lo stesso risultato: 34.
Il sanguigno Carlo Crivelli.
Madonna della Passione
“Chi fa le cose di
Cristo, con Cristo deve stare per sempre”, diceva Fra’ Beato Angelico, secondo
cui gli artisti dovevano essere uomini santi dalla condotta impeccabile. Eppure
il pittore veneziano Carlo Crivelli (1430-1495) santo non lo era affatto, a
dispetto delle sue opere dall’indiscutibile spiritualità, coma la Madonna della
Passione. e fu proprio per passione che un giorno Crivelli si macchiò di un
grave misfatto: in preda al desiderio per una donna sposata, prima la sequestrò
(approfittando dell’assenza del marito) e poi la segregò in casa propria. Il 5
marzo 1457 fu per questo condannato a sei mesi di carcere duro e al pagamento
di una multa di 100 lire. Tanta immoralità avrebbe dovuto porre fine alla sua
carriera, e invece la fama del pittore e l’alto valore sacro delle sue opere
non risentirono mai del peccato commesso, con buona pace del Beato Angelico.
Articolo a cura di
Federica Campanelli, pubblicato su Focus storia n. 144 – altri testi e immagini
da Wikipedia.
Nessun commento:
Posta un commento