giovedì 2 aprile 2020

I titani del fronte orientale. Armate a confronto.

I titani del fronte orientale.

Armate a confronto.

Il terrificante scontro tra i due più grandi eserciti della storia: la Wehrmacht e l’Armata Rossa.


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                     Truppe tedesche oltrepassano i confini dell'URSS il 22 giugno 1941, primo giorno dell'operazione    Barbarossa

Era destino che i due giganti si scontrassero. La contrapposizione ideologica e geopolitica tra Germania e Unione Sovietica era irriducibile. Fin dagli anni venti Adolf Hitler aveva scritto a chiare lettere nel suo Mein Kampf che lo “spazio vitale” tedesco risiedeva nella conquista dei territori dell’Europa orientale fino in Russia, tanto più che si trattava di zone controllate da slavi e bolscevichi, che lui avversava. Eppure lo scoppio della Seconda guerra mondiale aveva trovato Berlino e Mosca inaspettatamente alleate. Il patto Molotov-Ribbentrop – firmato nell’agosto 1939 dal ministro degli Esteri sovietico Vjaceslav Molotov e dal ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop – era ben più di un trattato di non aggressione. Aveva permesso infatti alle due potenze di spartirsi la Polonia e di giocare le altre partite con le spalle coperte: la Germania così si era rivolta a Occidente con tutto il suo enorme potenziale, annichilendo la Francia e i Paesi alleati, tentando anche di assediare la Gran Bretagna; l’Urss, nel frattempo si era potuta dedicare agli Stati Baltici, alla Finlandia e alle acquisizione territoriali in Romania, e intanto risolveva anche alcuni annosi problemi a Oriente, firmando dopo una breve guerra, un patto di non aggressione con il Giappone (che si sarebbe rivelato determinante per la sopravvivenza dell’Urss). Ma Hitler e Stalin si osservavano con grande attenzione. Il Fuhrer fin dal 1940 aveva cominciato a organizzare la sua offensiva a Est. Il leader comunista invece  si preparava a difendersi, anche se era convinto che l’attacco sarebbe arrivato più avanti nel tempo. L’esercito russo non era infatti pronto al confronto con la potente Wehrmacht. Per sua fortuna Hitler aveva sopravvalutato la capacità delle delle proprie armate di piegare l’Unione Sovietica in una guerra lampo simile ai conflitti condotti fino a quel momento. Furono quindi due eserciti enormi, complessi e profondamente differenti tra loro quelli che dal 1941 si affrontarono negli spazi sterminati dei territori russi: al momento di iniziare la guerra a Est, la Germania aveva mobilitato 3 milioni di uomini, raggiungendo la spaventosa cifra di 9,5 milioni nel corso del conflitto, mentre l’Urss disponeva di 9 milioni di sodati, arrivando a toccare in seguito il culmine di oltre 13 milioni di uomini sotto le armi.


                           

 

Direttrici d'attacco dell'operazione Barbarossa


Un esercito gigantesco. L’Armata Rossa dei Lavoratori e dei Contadini, più comunemente chiamata l’Armata Rossa, era nata su base volontaria dalla rivoluzione del 1917 e dopo la riorganizzazione da parte di Lev Trotski aveva vinto la guerra civile contro l’esercito controrivoluzionario, l’Armata Bianca. Quello, fu, però, un conflitto ancora molto incentrato sulle manovre della cavalleria. Da quel momento si operarono una serie di ristrutturazioni per cancellare l’eredità zarista e si attuarono profonde riforme (tra cui quella riguardante il sistema dei gradi e l’elezione degli ufficiali). Negli anni Trenta, in virtù dell’industrializzazione del Paese, alcuni esponenti alcuni esponenti dei vertici militari intuirono che era arrivato il momento di sviluppare un moderno esercito motorizzato, avviando così la strutturazione di artiglieria, forze  corazzate e aviazione, con l’idea di sfruttare anche i grandi numeri di coscritti disponibili in Russia. E, infatti, nel 1937 l’esercito contava 120 divisioni, in cui erano inquadrati 1.750,000 uomini.

Il problema era che la politica in Unione Sovietica aveva la prevalenza su qualunque anche sulla sicurezza e la difesa. Le lotte di potere nel Partito Comunista portarono alle purghe staliniste che colpirono pesantemente le Forze Armate, destrutturando non solo gli alti comandi ma anche tutti i ruoli di rilievo, anche territoriale. Tra il 1937 e il 1939 circa 35mila ufficiali furono destituiti, imprigionati o fucilati. Fu in queste condizioni che la Russia affrontò la guerra d’inverno con la Finlandia nel 1939-40. Il risultato di quel conflitto fu sostanzialmente una debacle, che portò non solo Hitler ma anche Churchill a ritenere che l’esercito russo fosse profondamente impreparato. Mosca, però, imparò almeno in parte la lezione e avviò nuove riforme militari, stavolta nella direzione di rendere più efficace il suo apparato difensivo (si restaurarono anche i gradi generale e ammiraglio che erano stati aboliti). Il rinnovato sistema della coscrizione forniva un numero di reclute pressoché infinito, e intanto le industrie procedettero a realizzare nuove armi in quantità e qualità superiori al passato. Inoltre, dopo essere stati sul punto di sciogliere forze corazzate per distribuire i tank alla fanteria come strumenti di supporto, si decise invece di procedere alla costituzione di corpi corazzati (9 all’inizio della guerra, con altri 21 in programmazione), ciascuno dei quali formato da due divisioni di carri armati e da una divisione motorizzata, per circa 1200 cingolati. Nel giugno del 1941, allo scoppio della guerra, l’Urss disponeva di 20mila mezzi corazzati, tra cui due gioielli come il T-34 e il KV. Inizialmente, però, per l’impreparazione e la confusione diffuse tra i ranghi dei carristi il confronto con i panzer tedeschi fu un disastro. Eppure le premesse del successivo miracolo, che portarono in alcuni mesi le forze corazzate sovietiche ad avere la meglio sui leggendari carristi avversari, c’erano già tutte. I corazzati sovietici, infatti, fin da subito risultarono più potenti di quelli tedeschi, ma questi ultimi ebbero la meglio, all’inizio, in virtù della superiorità tattica e di addestramento. Qualcosa di simile accadde in campo aereonautico: nonostante i russi godessero di grandi numeri e di buoni modelli di velivoli già nelle prime fasi della guerra, l’aviazione di Mosca, al principio, non resse minimante il confronto con l’abile e avanzata Luftwaffe. Nel tempo, però, non solo produsse enormi quantità di aerei (già all’inizio del conflitto disponeva complessivamente di ben 12mila velivoli, e ne costruì sempre di più) la anche innovazioni tecniche che alla fine assicurarono ai sovietici il dominio dei cieli. Una produzione industriale che fu possibile grazie al fatto che Mosca aveva spostato per tempo la maggior parte delle fabbriche militari il più a est possibile, spesso al di là degli Urali, per evitare che venissero colpite o, ancora peggio, che cadessero nelle mani dei tedeschi. Gli alleati, inoltre, preoccupati di un possibile crollo inviarono in Unione Sovietica aiuti: in Russia arrivò una quantità immensa di materiali, anche se i sovietici in prima linea preferirono sempre far affidamento sui mezzi di loro produzione. Ma ciò fu possibile perché nelle retrovie erano disponibili enormi quantità di mezzi anglo-americani.

 

L’invasione della Russia.

L’operazione Barbarossa – l’invasione della Russia predisposta da Hitler – scattò all’alba del 22 giugno 1941. L’attacco si svolse contemporaneamente tre direzioni: verso il Baltico e Lelingrado, verso Minsk, Smolensk e Mosca, e verso Kiev, il Volga e il Caucaso. Le avanzate iniziali furono un grande successo, ma le immense distese russe crearono presto seri problemi logistici ai tedeschi che si attardarono anche a eliminare alcune enormi sacche di resistenza, per esempio in Ucraina. A nord, a Lelingrado, i tedeschi decisero di fermarsi per trasformare la loro azione in una guerra d’assedio che durò 900 giorni. Anche di fronte a Mosca la Wehrmacht si fermò per riorganizzarsi, poi il 30 settembre venne lanciato l’attacco con l’Operazione Tifone. A sud invece vennero conquistati importanti snodi e le forze tedesche arrivarono in Crimea alle porte del Caucaso. Con il procedere dell’inverno le condizioni si fecero però sempre più difficili per i tedeschi, e i russi iniziarono a contrattaccare, conseguendo a Mosca una vittoria che fece retrocedere la Wehrmacht. Con l’estate 1942 l’offensiva tedesca riprese soprattutto in direzione sud, verso i pozzi petroliferi. Fu l’Operazione Blu, che ottenne successi tattici e conquiste territoriali, ma fu fermata prima di conseguire appieno i suoi obiettivi strategici. Fu in questa circostanza che i tedeschi raggiunsero Stalingrado, ma non riuscirono a conquistarla. Fu così che l’inverno del 1942 vide la definitiva reazione sovietica, che dopo una strenua resistenza ottenne la vittoria a Stalingrado (l’Operazione Urano dimostrò le grandi e insospettate capacità offensive dei russi) e nel Caucaso, e poi a seguire nonostante un fallimento a nord a Smolensk – nel febbraio 1943 i russi ripresero Kursk e Char’kov. Su quest’ultimo fronte si svolse l’ultima grande controffensiva tedesca, culminata nella grande battaglia di Kursk. Poi l’inerzia della guerra fu definitivamente invertita.

Stranieri e volontari.

Fra i quattro milioni di soldati dell’Operazione Barbarossa, accanto ai tedeschi c’erano romeni, ungheresi e slovacchi. E altri contingenti arrivarono in seguito, a partire dagli italiani e dai finlandesi. L’invasione della Russia fu portata avanti con moltissimi soldati stranieri, da una parte perché la Germania in quel momento controllava quasi tutta l’Europa e poteva arruolare nei territori occupati, compresi quelli via via conquistati a Est, e dall’altra perché il carattere di crociata anti-bolscevica (e anti-russa) attirava numerosi volontari ideologici e combattenti di etnie e nazionalità da decenni ostili a Mosca. Di questi soldati inquadrati nella Wehrmacht più di 200mila venivano dall’Europa orientale. Arrivarono volontari anche da Paesi neutrali con la Spagna, la Svezia e la Svizzera. Ci furono persino 50 britannici, nonché 1500 indiani e anche islandesi, neozelandesi e calmucchi. Non mancarono 60mila russi (tra i prigionieri dei tedeschi e quelli ostili al regime di Stalin), oltre a migliaia di olandesi, belgi, francesi, norvegesi. Questi reparti da legioni straniere furono trasformati in Divisioni delle SS distinte rispetto alle altre (al posto del simbolo delle SS indossavano uno scudetto nazionale). C’erano stranieri anche nell’Armata Rossa, oltre ai soldati delle tante nazionalità di cui era composta l’Unione Sovietica. Il contributo più significativo fu dato dai polacchi inquadrati nell’Armi Ludowa (che nel 1945 aveva 330mila militari in 15 divisioni di aviazione, artiglieria, unità del genio e della cavalleria), ma c’erano anche romeni, jugoslavi, francesi (i piloti dello squadrone aereo Normandie), cecoslovacchi e ungheresi. Nel 1945, il numero totale di soldati stranieri inquadrati negli appositi reparti dell’Armata Rossa ammontava a mezzo milione. La prima unità straniera dell’esercito sovietico a combattere contro i nazisti, l’8 marzo 1943, fu il primo Battaglione Cecoslovacchio Indipendente.

 

Armi e mezzi della Germania.

Walther P38

Tipo: pistola semiautomatica

Peso: 978 g

Lunghezza canna: 21, 6 cm

Calibro: 9x19 mm parabellum (alcuni modelli 7,65 x 21 mm parabellum)

Gittata max: 1000 m

Gittata utile: 100 m

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Maschinenpistole E40

Tipo: pistola mitragliatrice

Peso: 3,79 kg

Lunghezza: 833 mm (calcio esteso), 630 mm (calcio ripiegato)

Lunghezza canna: 251 mm

Calibro: 9 mm

Munizioni: 9 x 19 mm parabellum

Cadenza di tiro: 500 colpi al minuto

Tiro utile: 100

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Stielhandgranate M1924

Tipo:bomba a mano

Peso: 595 gr di cui 170 di carica

Diametro testata: 7 cm

Lunghezza: 36,5 cm

Gittata max: 36 m

Gittata utile: 15 m.

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15 CM nebelwerfer 41

Tipo: lanciarazzi multipla

Peso: 1130 kg

Lunghezza canna: 1,3 m

Calibro: 150 mm

Numero canne: 8

Gittata max: 1950-2200 m

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80 CM (E) Schwerer Gustav Lang cannone

Tipo: supercannone ferroviario a lunga gittata

Peso: 1334 tonnellate

Lunghezza canna: 32,46 m

Lunghezza: 47,3 m

Calibro: 800 mm

Cadenza di tiro: 1 colpo ogni 19-45 min.

Gittata max: 37-47 km

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Panzer III

Tipo: carro media

Equipaggio: 5

Peso: 19,5 t

Lunghezza: 5,52 m

Larghezza: 2,95 m

Altezza: 2,50 m

Velocità: 40 km/h

Armamento: 1 cannone KwK 38 da 50 mm calibro L42 e due mitragliatrici MG 34 da 7,92 mm

Corazzatura: frontale 50 mm, laterale 30 mm, posteriore 50 mm

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Messerscmitt BF 109

Tipo: caccia

Motore V12 Dailmer-Benz DB601Aa

Lunghezza: 8,6 m

Apertura alare: 9,8 m

Velocità: 570 km/h

Armamento: 4 mitragliatrici MG17 da 7,92 mm, un cannoncino MG17 da 7,92 mm, un cannoncino MGF da 20 mm

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Armi e mezzi Russia.

 

Tokarev TT 33

Tipo: pistola semiautomatica

Peso: 0,830 kg

Lunghezza: 196 mm

Canna: 116 mm

Calibro: 7,62 mm

Tiro utile: 50 m

Alimentazione caricatore: 8 colpi

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PPS 42

Tipo: pistola mitragliatrice

Peso: 2,95 kg

Lunghezza: 641-907 mm

Lunghezza canna: 273 mm

Calibro: 7,62 mm

Cadenza di tiro: 600-900 colpi al minuto (ciclico), 100 colpi al minuto (effettivo)

Tiro utile: 150 m

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Ilyushin Il-2 Sturmovik

Tipo: aereo d’attacco al suolo

Equipaggio: 2

Lunghezza: 11,6 m

Apertura alare: 14,70 m

Peso: 4360 kg

Motore: Mikulin AM-38F

Velocità max: 452 km/h

Armamento: 2 mitragliatrici ShKas 7,62 mm, 1 Berezin UB 12,7 mm, 2 cannoni Volkov-Yartsev VYa-23 23 mm, 200 bombe PTAB da 2,5 kg o 6 da 100 kg

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SVT-40

Tipo: fucile semiautomatico

Peso: 3,95 kg

Lunghezza: 1226 mm

Lunghezza canna: 610 mm

Calibro: 7,62 mm

Gittata max: 13 km

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7,62 MM M1939 F-22 USV

Tipo: cannone da campagna

Peso: 1470 kg

Lunghezza: 5,95 m

Lunghezza canna: 3,2 m

Calibro: 76,2 mm

Gittata max: 13 km

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PTRD-41

Tipo: fucile anticarro

Peso: 17,3 kg

Lunghezza: 2020 mm

Lunghezza canna: 1350 mm

Calibro: 14,5 mm

Cadenza di tiro: 6/8 colpi al minuto

Tiro utile: 400 m

Gittata max: 800 m

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L’efficienza della Wehrmacht. L’esercito tedesco, nel giugno 1941, era un’armata poderosa e temibile e soprattutto piena di fiducia in sé stessa per le vittorie riportate. Dopo aver sottomesso ocn relativa facilità gran parte dell’Europa, la Wehrmacht si impegnò in uno sforzo gigantesco per piegare la Russia. Nell’Operazione Barbarossa i tedeschi impiegarono 143 delle 216 divisioni di cui complessivamente disponevano (comprese tutte le divisioni motorizzate) e 19 Panzerdivisionen su 21. La Wehrmacht, forte dell’abilità tattica e dell’addestramento che aveva acquisito nelle precedenti campagne, si scontrò inizialmente con truppe inferiori per qualità e competenza, risultante in netta superiorità numerica sul campo di battaglia: aveva un rapporto di 2 a 1 per quanto riguardava i soldati effettivamente impiegati (sul fronte con la Germania l’Urss aveva disposto 170 divisioni su 300), di 1,5 a 1 per i carri armati, di 3 a 1 per gli aerei da guerra, e disponeva di una leggera superiorità anche d’artiglieria. L’esercito d’invasione, secondo la tradizione militare tedesca, fu strutturato su tre Gruppi d’Armate: Nord (che doveva procedere verso Lelingrado), Centro (verso Mosca), e Sud (verso il Don, il Volga e il Caucaso). Ognuno disponeva di centinaia di migliaia di uomini e di migliaia di carri armati e veicoli: le divisioni corazzate e motorizzate costituivano l’avanguardia, seguita dalle divisioni di fanteria (ciascuna delle quali inquadrava circa 17mila uomini in tre reggimenti di fanti, a loro volta composti da tre battaglioni con il supporto di reparti di artiglieria e di controcarri, un reggimento di artiglieria e diverse altre unità di supporto). La punta di diamante delle forze tedesche erano i reparti di panzer, mentre un ruolo fondamentale lo giocavano le truppe motorizzate che dovevano rapidamente penetrare nei varchi aperti dai carristi. La fanteria dal canto suo era incentrata su mitraglieri e lanciatori di bombe a mano, con un gra numero di fucilieri che agivano in appoggio. Lo schieramento di terra godeva di un possente supporto tattico aereo, dato che la dottrina dell’aviazione tedesca prediligeva l’impiego degli aerei come strumenti sul campo di battaglia piuttosto che per bombardamenti strategici. Per tutti questi motivi, l’urto iniziale tedesco fu devastante, tanto da spingere la Wehrmacht molto all’interno del territorio nemico. Ma una volta che l’irruenta avanzata fu arrestata (e le prime avvisaglie si ebbero già quando i panzer iniziarono a distanziare la fanteria, e poi si trovarono a loro volta a corto di rifornimenti), i rapporti di forza iniziarono a invertirsi, prima di ogni altra cosa proprio sul piano numerico. Stalin, infatti, riuscì a riorganizzare le truppe facendo affluire sempre più rinforzi anche dall’Asia. I tedeschi, invece, per quanto si sforzassero di reclutare nuove truppe in tutta Europa, fin dall’inverno 1941 videro avviarsi un processo di logoramento della loro disponibilità complessive. Non a caso, proprio l’esperienza sul fronte russo portò la Wehrmacht ad affrontare diverse riorganizzazione. Le divisioni corazzate vennero via via ridimensionate nell’organico, riducendo a circa la metà i carri armati che le costituivano, sebbene parallelamente cominciasse l’introduzione di tank di maggior peso (i Panther e i Tiger). Nel 1942 vennero riformate le unità motorizzate dando vita ai celebri Panzergrenadieren, una fanteria meccanizzata le cui divisioni disponevano di sei battaglioni di fanteria (di cui uno trasportato su semicingolati e il resto su autocarri), un battaglione di carri armati (ma nella pratica ci si dovette spesso limitare a caccia carri o cannoni d’assalto), unità di artiglieria trainata da camion o in casi più rari semovente, più altri reparti di supporto. Fu quindi proprio sul fronte orientale che l’armata tedesca affrontò la sua prova suprema e fu qui che dimostrò ancora una volta e forse più che mai di essere una temibilissima macchina da guerra. Ma allo stesso tempo si accorse presto di aver osato troppo, dovendo fare i conti con i propri limiti strutturali e con un nemico che per quanto colpito duramente fu sempre in grado di rialzarsi più forte e numeroso di prima.

 

Duelli tra carri armati.

Protagonisti assoluti del fronte orientale furono i tank, impiegati a migliaia e per tutto il corso del conflitto, come non era mai accaduto  in nessun altro teatro di guerra. Fu per rispondere alle esigenze del fronte russo che i tecnici tedeschi e sovietici si impegnarono in una gara per sviluppare sempre nuovi i modelli di carri armati, più efficienti e più potenti. I migliori mezzi corazzati furono progettati e gettati nella mischia in quegli scontri: dai possenti Panther e Tiger tedeschi, al solito KV4 sovietico, fino a quello che molti considerano il gioiello versatile e affidabile, T34. Eccoli nei dettagli.

 

T34/85

Quando comparve nel 1941, il T34 era il miglior carro armato del momento, con velocità, corazzatura e armamento molto al di sopra degli standard contemporanei, ma fu utilizzato da equipaggi impreparati e con tattiche inadeguate e confuse. Costituì comunque una spiacevole sorpresa per i panzer tedeschi che all’inizio dell’invasione della Russia ebbero vita facile. Anche se fu rapidamente superato dal punto di vista della tecnologia e della potenza, i sovietici non cessarono mai di apportare migliorie al loro mezzo di punta e inoltra lo produssero in tal quantità da permettersi di sopportare anche perdite ingenti. Era infatti facile da costruire e servivano 3mila ore di lavoro contro le 55mila necessarie per un Panzer V Panther tedesco, e riparare, era affidabile, veloce (raggiungeva i 55 chilometri orari su strada, 15 in più del Panzer III o IV), manovrabile (i suoi cingoli larghi gli permettevano di viaggiare facilmente fuoripista) e ben corazzato. A differenza degli altri carri armati dello stesso periodo, montava un potente cannone da 76,2 mm, e in un secondo tempo venne prodotta anche l’ancor più temibile versione con bocca da fuoco da 85 mm. Nelle sue versioni il T34 fu prodotto in 84mila esemplari e costituì la spina dorsale delle forze corazzate sovietiche. Fu utilizzato anche da altre nazioni durante la Guerra di Corea negli anni Cinquanta e nei conflitti arabo-israeliani dei decenni successivi.

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KV1

Il KV1 fu il principale carro pesante dell’Armata Rossa. Con la sua torretta singola, rappresentò l’abbandono da parte russa dei carri pesanti con torrente multiple sviluppati fino ad allora. La produzione sperimentale iniziò nel 1939, ma il suo primo impiego, quello stesso anno in Finlandia, non risultò all’altezza delle aspettative. Il KV1 andò comunque meglio degli altri prototipi impiegati sul campo, per cui si decise di continuare a svilupparlo cosa che portò ad avviare la produzione in serie apportando lacune migliorie. L’equipaggio di cinque uomini era formato da cinque uomini con un capocarro, un radio operatore, un cannoniere, un pilota e un servente. Con il progredire della guerra il progetto venne gradualmente migliorato. Il KV1B ricevette una corazza extra da 25-35 millimetri nella parte anteriore e sui fianchi dello scafo. La torretta passò dalla struttura essenzialmente laminata a quella interamente ricavata per fusione, aumentando lo spessore nel KV1C. Il cannone venne allungato, e nel 1943 il calibro 76,2 venne sostituito da cannoni da 85 millimetri (modello KV85). La versione KV15 era invece più leggera ma più veloce. Nel frattempo, fin dal 1940 era stata sviluppata la variante LV2 caratterizzata da una rande torretta cubica armata con un obi ce D10 da 152 mm.

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Panzer V Pahter.

E’ considerato il miglior panzer di tutta la guerra, insieme al di sopra del suo rivale diretto, il T34, delle cui caratteristiche i tedeschi tennero conto per la progettazione del loro nuovo mezzo. A differenza del tank russo, però, il suo limite stava nella complessità della costruzione, che sommata alle difficoltà tedesche di rifornirsi di materie prime e di avere una elevata produzione industriale, limitò a meno di 5mila gli esemplari prodotti. Il Panzer V Panther (abbreviazione di Panzerkampfwagen V Panther) fu in servizio dalla metà del 1943 fino alla fine del conflitto in Europa. Aveva una eccellente combinazione di potenza di fuoco e protezione. Disponeva di un cannone da 75 mm, di una corazza inclinata per garantire massima protezione e peso contenuto, e di larghi cingoli con ampie ruote per una buona mobilità. Fu schierato la prima volta nella Battaglia di Kursk, nel 1943, e da lì in poi venne impiegato con successo su tutti i fronti. Furono sviluppate diverse varianti: le principali furono la D, la G e una seconda versione della A. l’equipaggio di 5 uomini era composto da un comandante, un cannoniere, un servente, un pilota, un operatore radio/mitragliere. Alcuni Panther furono tra i primi tank a essere dotati di un visore notturno a infrarossi per il capocarro.

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Panzer VI Tiger I e II.

Il Tiger è il panzer più celebre della Seconda guerra mondiale, in virtù della sua imponenza e potenza. Due furono le versioni principali, in realtà abbastanza diverse tra loro, in quanto il Tiger II, conosciuto anche come Konigstiger (in tedesco “Tigre del Bengala”, ma spesso tradotto con l’inglese King Tiger) era molto più grande della versione base. Il Tiger era un progetto molto avanzato per l’epoca e divenne il terrore dei mezzi nemici su tutti i fronti, anche perché il Tiger II con la corazzatura inclinata di ultima generazione era praticamente invulnerabile al fuoco dei tank avversari, e costituiva un ottimo strumento per resistere anche in condizione di inferiorità numerica (per esempio sul fronte orientale il reparto di 4 Tiger 1/502 Aby eliminò 163 tank sovietici, di cui 32 in un solo giorno). Ma c’erano anche dei limiti, a partire dalla sua complessità che rendeva difficile alle stremate fabbriche tedesche avviare una produzione numericamente significativa. Gravi problemi di approvvigionamento si verificarono anche per la grande quantità di benzina necessaria ad alimentare il suo potente motore. C’erano poi alcuni inconvenienti tecnici, come le sospensioni che tendevano a bloccarsi per il fango e le pietre e la sua lentezza. I Tiger vennero forniti soprattutto alle divisioni corazzate SS, ed erano spesso spalmati di un cemento speciale chiamato Zimmerit che impediva ai nemici di attaccare mine magnetiche sullo scafo.

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Le tattiche di battaglia sul fronte orientale.

Sull’immenso fronte orientale la tattica sconfinava nella strategia, essendo difficile da distinguere nettamente lo svolgimento delle singole battaglie dal grande indirizzo della guerra. Il teatro d’azione fu poi così vasto che si presentarono diversi scenari tattici anche molto diversi fra loto dalle grandi offensive in profondità nelle ampie distese di territorio, agli assedi con i combattimenti urbani casa per casa. Tre furono gli schemi essenziali che in modo diverso i due comandi militari applicarono: l’attacco decisivo (o Blitzkrieg), l’aggiornamento e la lotta urbana.

La massima espressione delle tattiche di attacco fu la celebre Guerra lampo tedesca, la Blitzkrieg, che prevedeva l’impiego del Panzerkeil, ossia il cuneo di mezzi corazzati per sfondare i punti deboli nemici e penetrare in profondità lo schieramento avversario. Questo colpo di maglio aveva lo scopo di far crollare rapidamente l’esercito nemico per arrivare a una veloce e vittoriosa conclusione dello scontro bellico. Fu la Polonia, sul fronte occidentale e nei Balcani, e per questo il Fuhrer volle applicarla anche in Russia, convito di sconfiggere il nemico in pochi mesi entro il primo inverno di guerra, nel 1941. Egli infatti era persuaso che l’Unione Sovietica fosse debole e fragile. “Dobbiamo solo tirare un calcio alla porta e l’intera struttura, marcia, crollerà”, diceva. E il calcio che voleva dare era davvero possente, sia per i numeri messi in capo sia per l’approccio tattico delle divisioni tedesche. La Blitzkrieg (il vero termine tedesco era Bewegugskrieg, guerra di movimento) si basava sull’uso coordinato e intensivo dei migliori mezzi a disposizione. Una possente artiglieria e un supporto aereo mirato (utilizzando soprattutto gli aerei da attacco al suolo come gli Stukas, che puntavano alle forze nemiche più che infrastrutture strategiche) avevano il compito di aprire la strada al cuneo delle forze corazzate e motorizzate. Queste si schieravano con i panzer più potenti davanti, seguiti dai carri medi e dall’artiglieria semovente, con in coda la fanteria motorizzata. L’obiettivo tattico era quello di creare un varco nel punto debole dello schieramento avversario, andando a minacciarne nodi strategici e linee di rifornimento, senza soffermarsi a combattere contro tutte le aree di territorio nelle mani dei nemici. A tale scopo l’esercito tedesco aveva le sue truppe organizzate in divisioni specializzate, che concentravano i carri armati nelle Panzerdivision e la fanteria autotrasportata nelle divisioni meccanizzate dotate di veicoli blindanti e corazzati. L’impatto iniziale di questa tattica fu devastante anche in Russia. Tali furono i successi che i primi scontri fecero sembrare la Germania sul punto di ottenere un altro trionfo lampo. D’altro canto, le tattiche contrapposte inizialmente dai sovietici non erano assolutamente all’altezza del tipo di guerra che si stava combattendo. L’Armata Rossa emergeva da una profonda crisi seguita alle purghe staliniste e all’insuccesso della guerra con la Finlandia. Inoltre, Stalin aveva predisposto lo schieramento difensivo al confine con la Germania con il preciso scopo di non offrire alcuna provocazione a Hitler nella speranza che il conflitto scoppiasse il più tardi possibile. I tedeschi – ben addestrati, esperti e motivati – approfittarono di questi vantaggi: distrussero una buona parte dell’aviazione sovietica mentre era ancora al suolo, conquistando il controllo dei cieli. Colpirono il nemico nei suoi punti deboli: fecero strage degli equipaggi carristi avversari, poco addestrati e mal coordinati, e infierirono su una fanteria tanto numerosa quanto poco preparata.

 

  Mitragliatrici contro artiglieria.

Due tattiche specifiche utilizzate sul Fronte orientale riguardano l’impiego di due tipologie di armi differenti. Per la fanteria tedesca l’arma principe era la mitragliatrice, perno di ogni squadra di soldati. Non a caso, durante il conflitto, ne vennero sviluppati modelli modernissimi mentre si continuava a combattere con fucili obsoleti. In effetti, i fucilieri venivano utilizzati solo come ausiliari dei mitraglieri, per proteggerli. La mitragliatrice media se usata in difesa aveva il ruolo di rompere l’attacco del nemico mentre in un assalto doveva aprire la strada e accompagnare le truppe che avanzavano,  andando a costituire un nucleo mobile di fuoco. I mitraglieri erano addestrati a sparare in pochi secondi un’imponente massa di proiettili, in modo da spezzare subito la resistenza nemica. Per questa ragione, la mitragliatrice fu protagonista sia delle battaglie negli spazi aperti sia nei conflitti urbani. Inoltre, i tedeschi puntavano su un ampio utilizzo delle bombe a mano, che tra l’altro avevano il pregio di restare efficienti anche nel freddo clima russo, a differenza delle armi da fuoco che a volte gelavano. I sovietici, invece, si distinsero soprattutto per l’uso dell’artiglieria che Stalin soprannominò “il dio della guerra”. Si è calcolato che abbia provocato il 70% di perdite in  combattimento ai tedeschi. I sovietici, nel corso della guerra, come nessuno aveva mai fatto prima, istituirono intere divisioni esclusivamente di artiglieria, strutturate su brigate con decine  di canoni pesanti e obici. Si stima che i russi arrivarono  a schierare oltre 40mila pezzi durante la conquista di Berlino. Tra i diversi strumenti di artiglieria, innovativi e tatticamente interessanti, furono lanciarazzi famosi come i Katuscia che ebbero un grande impatto in battaglia: una delle loro caratteristica era l’effetto devastante, in quanto i russi erano in grado di saturare l’area bersaglio con molti razzi che esplodevano contemporaneamente.

I cecchini.

Una guerra di movimento in vasti spazi, con lo scontro di grandi masse spesso corazzate, non sembrava proprio l’ideale per i tiratori scelti, che si erano affermati nelle trincee della Prima guerra mondiale. Ma poi. Poi, proprio sul fronte orientale, i prolungati confronti in aree urbane come Stalingrado e Leningrado (ma anche di tante altre città in tutte le aree di combattimento) hanno fatto sì che i cecchini assurgessero a un ruolo di primo piano tanto nell’esercito sovietico che in quello tedesco. All’inizio della guerra l’Armata Rossa disponeva di pochi cecchini, ma il loro numero aumentò rapidamente proprio nel corso del confronto con i tedeschi a Stalingrado. I soldati più abili e coraggiosi ricevevano un addestramento sul campo e un fucile con cannocchiale, e veniva data loro “la licenza di caccia”. I cecchini si potevano avvalere di edifici in rovina, cunicoli e fabbriche abbandonate, posizionandosi con accurata mimetizzazione e lunghe e pazienti attese, nel tentativo di colpire bersagli come ufficiali, carristi, serventi dell’artiglieria, tecnici delle comunicazioni e cecchini nemici. I tiratori tedeschi e russi disponevano di fucili selezionati, ma non ancora del tutto specializzati: tra i modelli con le caratteristiche più adatte venivano scelti già in fabbrica quelli più precisi, per fornirli ai tiratori insieme ad appositi strumenti telescopici. Il fucile preferito dai russi il Mosin Nagant, anche se ne furono sviluppati di più avanzati che venivano dati in premio ai soldati migliori. I tedeschi usavano invece prevalentemente il Mauser K98k, una versione di precisione della carabina delle truppe d’assalto. I più abili cecchini (e cecchine) tedeschi e russi misero a segno centinaia di colpi, ma il record spetta a un finlandese, Simo Haya, che durante la guerra d’inverno 1939-1940 uccise più di 700 russi, grazie al fatto di riuscire a restare immobile nella neve per ore.  

 

La paralisi sovietica. C’era poi un altro aspetto fondamentale in cui divergevano la mentalità tedesca da quella russa: l’autonomia tattica degli ufficiali. I tedeschi da tempo aveva consolidato una prassi secondo la quale i comandi superiori indicavano ai subordinati gli obiettivi da raggiungere, lasciandoli libere di decidere il modo migliore per farlo (Auftragstakitk. Ovvero la “tattica dell’incarico”). Questo garantiva grande flessibilità e sviluppava lo spirito di iniziativa e lo sfruttamento delle risorse migliori e più adeguate alle circostante. Al contrario, nell’esercito sovietico regnava una certa paralisi, dovuta soprattutto al terrore che ancora aleggiava per colpa delle epurazioni politiche che si erano abbattute sull’Urss: di fatto ogni iniziativa era scoraggiata, regalando un ulteriore vantaggio ai tedeschi. le prime tattiche difensive russe furono molto lineari, limitandosi a opporre resistenza agli attacchi nemici e per di più con uno schieramento spesso attacchi nemici e per di più con uno schieramento spesso indebolito dall’indecisione che regnava sull’utilizzo dei carri armati: in certi momenti, infatti, i sovietici distribuirono i tank lungo tutto il fronte, come arma di supporto della fanteria, oppure li concentravano come corpo corazzato a sé stante. Spesso i carri russi erano usati come avanguardia posta a protezione delle ondate di fanti che venivano lanciate all’attacco frontalmente.

 

Chiudere il nemico in una tenaglia. Il corollario degli attacchi della Blitzkrieg era la tattica dell’aggiramento. Sfondare uno o più punti del fronte aveva ancora più senso se era poi possibile mettere in atto una manovra avvolgente con lo scopo di circondare le forze avversarie e neutralizzarle. Una mossa messa in atto dai tedeschi continuamente e su larga scala, che portò alla creazione di grandi sacche in cui furono chiusi enormi contingenti nemici, i quali nella maggior parte dei casi si arresero, tanto da permettere ai tedeschi di catturare in un colpo solo centinaia di migliaia di prigionieri. I tedeschi furono in grado in molte occasioni di applicare la strategia dell’accerchiamento, ma in alcuni casi non ci riuscirono: nel 1941 a Mosca, per esempio, il generale Guderian fu a un passo dall’accerchiare il capitale nemica, ma la resistenza e i rinforzi russi, e le difficoltà che ormai avevano attanagliato le forze tedesche, lo costrinsero a ritirarsi, e forse proprio in quel momento la sorte della guerra cambiò. Nel frattempo i russi impararono a usare bene i concetti strategici che fino ad allora erano stati usati con maestria dai nazisti. Riorganizzarono le loro forze corazzate in armate specializzate capaci a loro volta di infliggere duri colpi, tanto più che ormai avevano grande disponibilità di ottimi mezzi quali i T-34, con equipaggi ormai forgiati dalla guerra. Furono quindi gli stessi sovietici a iniziare ad applicare una tattica che a volte è stata paragonata alla Blitzkrieg, con attacchi concentrati da parte dei tank. Gli assalti sovietici però – anche grazie ai numeri di mezzi presenti – avvenivano su un fronte più ampio rispetto ai cunei tedeschi e, infatti, di solito le aree conquistate con queste offensive erano comunque più larghe che profonde. I russi poi divennero presto maestri anche delle tattiche di aggiramento. Un capolavoro lo compirono a Stalingrado, dove la lunga battaglia aveva reso la città un cumolo di macerie. L’Armata Rossa colpì sui fianchi il nemico, sbaragliando le truppe più deboli lungo il fronte e riuscendo a rendere inoffensive le ancora temibili Panzerdivisionen tedesche. Chiusero così le migliori truppe avversarie in una sacca, nella quale esse non ebbero scelta se non quella di arrendersi o morire.

 

Scontri casa per casa. Stalingrado fu anche il simbolo di un altro genere di conflitto, quello urbano. Esso fu la conseguenza di una scelta strategica di fondo: i sovietici prima e i tedeschi poi, vista la vastità del fronte, puntarono su un sistema di difesa per capisaldi, concentrando le truppe nei nodi ritenuti strategici, dove applicare una resistenza a oltranza. Si videro così furiosi combattimenti in alcune località: Leningrado all’estremo nord e Sebastopoli in Crimea all’estremo sud furono teatro di grandi assedi, il ritorno di una tattica antica (ma con una potenza distruttiva infinitamente superiore) con l’artiglieria tedesca e i bombardieri strategici bersagliare gli edifici in mano ai russi. Stalingrado invece fu lo scenario di una guerra combattuta casa per casa, a volte con i russi a un piano di un edificio e i tedeschi a un altro. Stalin e Hitler si intestardirono in questa battaglia ed entrambi diedero ordine di prendere la città a ogni costo. La difesa a oltranza russa, per quanto costosissima, era però avvantaggiata: Mosca poteva continuamente alimentare la resistenza con rifornimenti e rinforzi che raggiungevano la città da est. Al contrario, quando invece la VI Armata tedesca fu accerchiata, la Germania non fu più in grado di aiutarla. Dopo aver combattuto per mesi tra le macerie urbane, lottando per conquistare ogni metro, in scontri che assomigliavano più alla guerriglia che alla battaglia campale, con cecchini, nidi di mitragliatrici, mine e improvvisate trincee, i tedeschi, infine, cedettero le armi ai russi.

 

Gli italiani in Russia.

La spedizione in Unione Sovietica fu la più grande e costosa delle imprese militari italiane durante la Seconda guerra mondiale, soprattutto in termine di vite umane, considerando che quasi la metà delle nostre perdite complessive durante la Seconda guerra mondiale avvenne sul Fronte orientale. La Campagna di Russia – come altre in precedenza – cominciò in un clima di condiscendenza, con l’idea più di cogliere un risultato politico che andare a fare una guerra vera. Il ragionamento era tanto semplice quanto sbagliato: mettersi in scia all’armata tedesca, che nel 1941 sembrava imbattibile, per poter partecipare a basso costo ai successi della crociata anti-bolscevica sena lasciare a Hitler tutto il palcoscenico e la gloria. Un modo di rifarsi rapidamente e a basso costo del fallimento in Grecia. Non fu Hitler, infatti, a richiedere l’invio del contingente italiano, che anzi non voleva, ma fu Mussolini a reclamare la propria parte per non resta tagliato fuori. “La vostra decisione di prendere alla gola la Russia ha trovato in Italia una adesione entusiastica”, scrisse il Duce al Fuhrer il 22 giugno 1941 dopo che questi gli aveva comunicato l’inizio dell’Operazione Barbarossa . “In una guerra che assume questo carattere l’Italia non può rimanere assente, vi ringrazio quindi di aver accolto la partecipazione di nostre forze terrestri e aeree”. Più le prime che le seconde in realtà, perché in Russia una delle cose che più mancò al contingente italiano fu proprio il supporto aereo. A questo scopo Mussolini creò il CSIR (Corpo di spedizione italiano in Russia) agli ordini di Giovanni Messe (1883-1968), da molti considerato il miglior generale italiano del Secondo conflitto mondiale, che subentrò quasi immediatamente a Francesco Zingales, che versava in cattive condizioni di salute. Il Corpo era costituito da tre divisioni autotrasportabili (un termine che risultò amaro, in quanto gli italiani scarseggiarono di mezzi di trasporto e si mossero soprattutto a piedi) – Pasubio, Torino e 3a Divisione celebre Principe Amedeo Duca d’Aosta – più altre unità tra cui la 63a Legione motorizzata Tagliamento delle Camicie Nere e alcune squadriglie aeree. In totale il CSIR disponeva di 62mila uomini, 83 aerei, 220 cannoni di calibro tra i 20 e i 105 mm, 92 cannoni anticarro da 47/32, 4600 animali da soma, sella e tiro, e 5500 automezzi. L’unica unità corazzata del CSIR era composta da 60 carri leggeri L3/33 da 3 tonnellate (in confronto i tank sovietici arrivano anche a 50 tonnellate) inquadrata nella Celere. Il CSIR – schierato in Ucraina meridionale nel settore operativo del Gruppo Armate Sud tedesco – nei primi mesi fu impiegato soprattutto per inseguire i sovietici in ritirata e rastrellare le retrovie con l’obiettivo di stanare i partigiani e le sacche di resistenza. Il primo scontro a cui parteciparono gli italiani fu la Battaglia dei due fiumi, tra Dnestr e il Bug, a metà agosto. A settembre tutto il corpo di spedizione passò all’offensiva sul Dnepr, resistendo sotto una pioggia di fuoco ai contrattachi sovietici che erano supportati da bombardamenti aerei e da un intenso fuoco di artiglieria. Alla fine di quello stesso mese i diversi reparti italiani si ricongiunsero nel villaggio di Petrikowka, concludendo vittoriosamente la manovra, dopo aver distrutto 450 carri armati nemici e catturato circa 10mila prigionieri, al costo di 90 morti e 200 feriti. In ottobre cavalleria e bersaglieri guidarono l’avanzata fino alla città di Stalino, la occuparono e vi impiantarono la base in cui trascorrere l’inverno, non prima però di aver preso anche Rykovo e Gorlovka. Fu in quei giorni che si svolse la Battaglia di Nikitovka, in cui un reggimento italiano fu accerchiato dai fucilieri sovietici e perse centinaia di uomini. Dopo quella che era stata un’avanzata di 200 km, si erano manifestati tutti i limiti logistici della spedizione italiana, che non era attrezzata adeguatamente per il gelo russo e non era in grado di garantire validi rifornimenti su distanze così enormi.

 

Ibuscenskij l’ultima carica.

Due reggimenti di cavaleria, il Savoia e i Lancieri di Novara, fecero parte della spedizione in Russia fin dall’inizio, nell’estate 1941. Il loro primo contatto con il nemico avvenne l’11 agosto. A settembre a Dnepropetowosk si verificò il loro primo combattimento su larga scala. Agli squadroni di cavalleria era affidato il compito della ricognizione, ma in molti casi i cavalleggeri dovettero smontare e schierarsi nelle trincee per contrastare l’artiglieria russa. Il 17 ottobre il Savoia si impegnò nell’inseguimento dei nemici verso Stalino: nei giorni successivi i cavalleggeri si distinsero per alcuni significativi successi nel corso dell’avanzata, come la battaglia del Fiume Y. Con la primavera del 1942 i reparti di cavalleria vennero riorganizzati nel Raggruppamento autonomo cavalleria. Nell’agosto 1942 i Lancieri di Novara si guadagnarono una medaglia d’oro al valor militare per gli scontri vittoriosi nei dintorni di Jagodnij e di Bolschoj. In quello stesso mese era in corso una controffensiva sovietica nell’ansa settentrionale del Don per alleggerire la minaccia su Stalingrado. La notte tra il 23 e il 24 agosto a Isbuscenskij, i soldati italiani si accorsero che alcuni reparti sovietici si erano portati a ridosso del loro acquartieramenti. Al buio il Savoia Cavalleria si lanciò alla carica e riuscì a travolgere i nemici. Solo in seguito si scoprì che 650 cavalleggeri italiani avevano avuto la meglio contro più di duemila soldati siberiani. L’impresa non fu vana, perché in quell’occasione il fronte tenne, e lo fece ancora per qualche settimana. Si trattò dell’ultima grande carica di cavalleria dell’esercito italiano, che valse una medaglia d’oro allo stendardo del reggimento. Proprio quel giorno il Savoia Cavalleria compiva 250 anni.

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Gli altri italiani in Russia.

L’armata sul Don non fu l’unica presenza italiana nella guerra contro l’Urss. Fu anzi lo stesso Hitler in persona a chiedere a Mussolini alcuni reparti specializzati, divenuti famosi e temuti dopo le imprese nel Mediterraneo: gli uomini della X Mas, con i loro motoscafi, minisommergibili e commando acquatici. Essi vennero inviati sul lago Ladoga, per fermare i rifornimenti a Leningrado assediata, e nel Mar Nero, per contribuire all’assedio di Sebastopoli, in Crimea. Le missioni italiane partirono nella primavera del 1942. Sul lago Ladoga venne costituita la XII Squadriglia MAS, con 90 uomini e 4 motoscafi armati siluranti. Trasferiti via terra cominciarono le operazioni navali il 25 giugno. In quattro mesi, prima che il lago ghiacciasse. I MAS compirono 59 missioni e 17 scontri navali, affondando una cannoniera classe Bira, un cargo da 1300 tonnellate e danneggiando alcune motovedette e un convoglio russo, costringendo inoltre i rifornimenti per Leningrado a cambiare rotta. Poi, nel 1943, i marinai furono richiamati in Italia. Analogamente, sul Mar Nero venne costituita la IV Flottiglia MAS, articolata su 3 squadriglie con 10 MAS, 6 sommergibili tascabili CB, 5 motoscafi siluranti e 5 barchini esplosivi. Le barche furono operative dal 4 giugno. Fu la IV MAS a impossessarsi del porto di Balaklava, e tra le sue vittorie si conta il siluramento del moderno incrociatore Molotov. In 15 mesi di attività, fino all’agosto 1943, i mezzi italiani affondarono 3 navi da trasporto (più una quarta silurata da un MAS e poi finita da un aereo) e 3 sommergibili sovietici.

Stranieri d’Italia.

Sul fronte russo, sotto le insegne degli italiani, combatterono anche alcuni stranieri. Con i volontari dello Stato indipendente della Croazia venne creata una brigata da inquadrare come riserva di corpo d’armata aggregata al Regio Esercito in Russia. Il 26 luglio 1941 venne costituita la Brigata leggera motorizzata, formata da 1121 uomini di cui 45 ufficiali e 67 sottoufficiali. Equipaggiamento e mezzi vennero fornito dal Regio Esercito. Nell’aprile del 1942 l’unità venne inviata al fronte come Legione Croata Autotrasportabile. Inserita nella 3a Divisione Celere, ebbe il battesimo del fuoco l’11 maggior a Pervomajska, dove respinse un attacco sovietico. In seguito continuò a distinguere per determinazione, e raggiunse le rive del Donest. In dicembre fu circondata dai russi a Meskoff e dopo tre giorni i pochi superstiti furono costretti alla resa. Secondo la relazione ufficiale, della Legione Croata si salvarono solo due uomini, un ufficiale e un soldato. C’erano poi i cosacchi russi. Durante i primi mesi del 1942, molti cosacchi ostili al bolscevismo si arresero volontariamente alle truppe italiane. Da questi prigionieri venne costituito il Gruppo Squadroni Cosacchi Campello, composto da circa trecento uomini, che nelle settimane successive prese parte alle azioni di guerra, fino alla ritirata dell’ARMIR, a cui parteciparono giungendo anche loro in Italiani tra i superstiti.

Gruppo squadroni cosacchi Campello.jpg

Quelli che mancano all’appello.

Dopo 75 anni in Russia si continuano a trovare resti degli italiani caduti. È il della fossa comune di Kirov, a 800 km da Mosca, dove sono stati rinvenuti migliaia di corpi, non facilmente identificabili, probabilmente di prigionieri di guerra morti durante i trasferimenti. Tra questi sono stati identificati due soldati italiani, ma un’altra decina di militi ignoti sono probabilmente nostri compatrioti. Sono decine di migliaia i dispersi italiani in Russia di cui dal 1943 non si è avuta più notizia. Molti saranno caduti durante quei feroci combattimenti, ancora di più durante le estenuanti marce in condizioni proibitive. È poi noto che decine di migliaia furono prigionieri dei sovietici (almeno 70mila), e gran parte di loro morì di stenti nei campi di prigionia (si stima 38mila). Secondo l’Unione nazionale italiana reduci di Russia (UNIRR) i caduti e i dispersi furono circa 95mila, quindi un numero discordante rispetto alle cifre ufficiali.

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Soldati dell'8ª Armata durante il trasferimento verso il fronte

 

L’evoluzione dell’ARMIR. Alla fine di un rigido inverno che aveva visto il contingente italiano impegnato in dure battaglie difensive per frenare i contrattacchi russi, dall’Italia arrivarono rinforzi e da luglio il corpo di spedizione fu trasformato nell’VIII Armata, nota come ARMIR (Armata italiana in Russia). Fino ad allora il CSIR aveva subito 1600 morti, circa 400 dispersi e 5300 feriti senza contare i postumi da congelamento. L’ARMIR, al comando di Italo Gariboldi, era composta dal II Corpo d’Armata con le divisioni di fanteria Cosseria, Ravenna e Sforzesca, dal Comando del Corpo d’armata Alpino con le divisioni Cuneense, Julia e Tridentina. La divisione di fanteria Vicenza venne destinata alla sicurezza delle retrovie. Si trattava di 230mila uomini. L’equipaggiamento di armi e veicoli consisteva in 12mila automezzi, 4500 motomezzi, 25mila quadrupedi, 224 mitragliatrici da 20 mm, 28 cannoni da 65/17, 600 pezzi di artiglieria, 52 cannoni contraerei moderni da 75/32 del 201° Reggimento d’artiglieria motorizzato e 54 cannoni anticarro da 75 forniti dai tedeschi. l’ARMIR fu schierata sul fronte del Don per 270 km e supportò dall’esterno i tedeschi nella grande battaglia di Stalingrado, stando all’ala sinistra. Quando i sovietici sfondarono le difese delle truppe romene alleate dell’Asse e accerchiarono i tedeschi in città, il fronte italiano si trovò terribilmente esposto.

A partire dal 16 dicembre 1942 una parte delle truppe fu travolta dall’offensiva russa denominata più Piccolo Saturno e due Corpi d’armata furono messi in rotta, a cui seguì una disordinata ritirata attraverso le gelide pianure russe. Identico esito si verificò a gennaio del 1943, con una seconda offensiva sovietica che stavolta obbligò al ripiegamento gli Alpini che fino ad allora avevano tenuto le posizioni: è la drammatica ritirata rimasta impressa nell’immaginario italiano. Il 17 gennaio la divisione alpina Tridentina, ancora in condizioni di combattere, si mise alla testa delle colonne di fuggiaschi, nelle quali erano confluiti anche molti sbandati ungheresi, romeni e persino tedeschi che erano lontani dai loro reggimenti travolti dal nemico. Le divisioni Julia e Cuneense si sacrificarono contro i carri armati sovietici per coprire il fianco sinistro, e furono sgominate, così come la divisione di fanteria Vicenza. Fu una ritirata attraverso centinaia di chilometri in condizioni climatiche proibitive, con la neve alta e temperature che toccano i 40° gradi sotto zero, con pochi mezzi di trasporto e vestiario insufficienti, mentre sovietici e partigiani attaccavano senza sosta.

Giunti al villaggio di Nikolajevka, che era il passaggio obbligato per uscire dalla sacca in cui i sovietici stavano chiudendo l’ARMIR, il 26 gennaio 1943, in netta inferiorità numerico e con un solo carro armato tedesco, gli Alpini della Tridentina riuscirono nella disperata impresa di aprire una via di fuga, salvando così migliaia di soldati. Il 30 gennaio i sopravvissuti raggiunsero Sebekino: per quelli che ce l’avevano fatta il peggio era alle spalle. La Campagna di Russia si concludeva però con un bilancio più che tragico: il 95% dell’equipaggiamento era andato perso e le vittime italiane erano almeno 85mila. Il sogno di una facile vittoria si era infranto.

 

Schede armi.

 

Mortaio da 81 mod. 35

Tipo: mortaio medio

Peso di batteria: 59 kg

Lunghezza: 1260 mm

Lunghezza canna: 1150 mm

Calibro: 81,4 mm

Cadenza di tiro: 18-35 colpi/min

Gittata: 3100 m

Mortaio da 81 Mod. 35.jpg

Carcano 1891

Tipo: fucile

Peso: 3,8 kg

Lunghezza: 1285 mm

Lunghezza canna: 780 mm

Calibro: 6,5 mm Carcano

Cadenza di tiro: 15 colpi al minuto

Gittata max: 3200 m

Carcano mod. 1891.jpg

Moschetto automatico beretta mod. 38/a

Tipo: fucile automatico (mitra)

Peso: 4,8 kg

Calibro: 9 mm

Azionamento: semiautomatico/automatico

Alimentazione: serbatoio caricatore da 10, 20, 30 o 40 colpi

Cadenza di tiro: 550 colpi al minuto

Beretta M1938.jpg

Breda modello 1930

Tipo: mitragliatrice

Peso: 10,80 kg

Lunghezza: 1230 mm

Lunghezza canna: 520 mm

Calibro: 6,5 mm

Cadenza di tiro: 475 colpi al minuto

Tiro utile: 800-900 m

Breda 30.jpg

Ansaldo Fiat L6/40

Tipo: carro armato leggero

Equipaggio: 2 (pilota e armiere capocarro)

Lunghezza: 3,78 m

Larghezza: 1,92 m

Altezza: 2,03 m

Peso: 6,8 t

Velocità su strada: 42 km/h

Armamento: 1 cannone automatico Breda 20/65 mod. 1935 calibro 20 mm, 1 mitragliatrice Breda mod. 38 da 8 mm coassiale al cannone.

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Cannone controcarro 47/32 mod. 35 elefantino

Tipo: cannone controcarro

Peso: 277 kg

Lunghezza canna: 1680 m

Altezza: 600 mm al ginocchiello

Calibro: 47 mm

Cadenza di tiro: 28 colpi al minuto (granata da fanteria ad alto esplosivo HE). 12-14 colpi al minuto (granata anticarro Effetto Pronto Heat)

Gittata max: 7000 m

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Armi e mezzi del conflitto.

Il fronte più ampio e drammatico della Seconda guerra mondiale fu anche il teatro di impiego di armi per l’epoca innovativa, o comunque capaci di lasciare un segno nella storia militare. I tedeschi spiccarono per innovazione e sviluppo tecnologico, ma anche l’Unione Sovietica mise in campo alcuni progetti davvero importanti (oltre al carro armato T-34 si pensi all’introduzione del lanciarazzi), anche se i russi diedero la priorità alla standardizzazione dei progetti principali per potersi assicurare una produzione basta prima di tutto sulla quantità.

 

Katiuscia

Il lanciarazzi sovietico BM (Bolevala Mashina, Macchina di combattimento) fu presente fin dal 1941 su tutti i campi di battaglia del fronte orientale. Marcano la lettera K di Komintern, venne presto sopranominato dai soldati Katiuscia in onore della protagonista di una canzone in voga in quel periodo. Per i tedeschi e i loro alleati invece il lanciarazzi era
“l’organo di Stalin”. Si trattò della prima batteria terra-terra non composta da artiglieria tradizionale ma con l’impiego di proiettili autopropulsi. Il primo progetto risale agli anni Trenta. Nel 1940 il modello BM-13 aveva raggiunto una precisione accettabile e fu sperimentato nel luglio 1941 a Smolensk. I razzi utilizzati si chiamavano RS-132 (RS sta per Reaktnivny Snarjad,vale a dire “Razzo auto propellente”), avevano un calibro di 132 mm, erano alti 1,8 metri e pesavano 42 chili. I lanciatori furono realizzati anche nella versione BM-8, più leggera, e BM-31, più pesante. Uno degli aspetti vincenti dell’arma era che poteva essere prodotta con grande facilità, con minor spesa e maggior semplicità rispetto alla fabbricazione dei cannoni, e anche in impianti non molto grandi. All’inizio del 1945 la specialità dei lanciarazzi formava una imponente struttura dell’Armata Rossa: 7 Divisioni, 40 brigate, 105 reggimenti e 40 gruppi di accompagnamento.

Scheda BM-13

Tipo: lanciarazzi

Peso: del mezzo 7,2 tonnellate

Lunghezza del mezzo: 6 m

Numero di rotaie: 8 doppie

Numero di razzi: 16

Calibro: 132 mm

Serventi: 6

Gittata: 8000 m

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Lavochkin La 7

Caccia monomotore ad ala bassa sviluppata in Unione Sovietica nella seconda fase della guerra. Molti lo considerano il miglior caccia da duelli aerei al mondo. Era un’evoluzione del La-5 ma con materiali migliori, come la struttura alare in lega di alluminio invece che in legno. Con le modifiche apportate si rivelò più veloce del Focke-Wolfe Fw 190 A-8 e poteva superare in cabrata e in varata sia l’Fw190, sia il Messerschmitt Bf 109G. Il La 7 fu scelto come caccia da Ivan Nikitovic Kozedub, il più grande asse delle forze alleate, con 62 vittorie riconosciute: fu l’unico pilota sovietico ad abbattere un jet a reazione ME262 tedesco, e per errore abbatté due P-51 statunitensi.

Scheda:

tipo: caccia

equipaggio: 1

lunghezza: 8,67

apertura alare: 9,80 m

peso: 2605 kg

motore: radiale Shvetsov ASh-82FN

velocità max: 680 km in quota

armamento: 2 cannoni ShVAK calibro 20 mm o 3 Berezin B20 calibro 200 mm, 200 kg di bombe.

 Memorial La-7 open 7-may-2007.jpg

PPSH-41

E’ una delle armi più rappresentative del soldato sovietico durante la Seconda guerra mondiale, un mitra tra i più temuti di tutto il conflitto, soprannominato dagli italiani Parabellum. Ad alta cadenza di fuoco, aveva spesso un caratteristico caricatore a tamburo circolare che poteva ospitare 71 colpi, ben al  di sopra della media dell’epoca. Era considerato affidabile, versatile, potente, con l’unico limite di essere però ingombrante. Fu una delle armi più usate di tutta la Seconda guerra mondiale, con una produzione di oltre sei milioni di esemplari. Molte parti erano ricavate per stampaggio alla pressa riducendo della metà i tempi di lavorazione rispetto ad altri mitra, così che poteva essere realizzato in 7 ore di lavoro. Preciso fino a 100 metri ed efficace fino a 200, era incredibilmente potente negli scontri ravvicinati in area urbana.

Scheda:

tipo: mitra (ma venne formalmente definito pistola mitragliatrice)

peso: 3,63 kg

lunghezza: 843 mm

lunghezza canna: 269 mm

calibro: 7,62 mm

cadenza di tiro: 1000 colpi al minuto

tiro utile: 150-250 m

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Mosin-Nagant

Fu il fucile d’ordinanza della fanteria sovietica della Seconda guerra mondiale, prodotto in quegli anni nella versione M1891/30 in 17 milioni di esemplari (37 milioni in tutta la sua storia nelle diverse versioni). Ma è famoso soprattutto per quei 330mila fucili selezionati in base alla qualità che servirono a equipaggiare i numerosi e temuti tiratori scelti dell’Armata Rossa. Dotati di mirino telescopico modello PU, con un ingrandimento di 3,5 volte, questi fucili erano ritenuti quelli di maggior precisione dell’epoca e in più erano considerati robusti, affidabili e facili da usare e pulire. Furono protagonisti lungo tutto il fronte orientale e in particolare nelle feroci battaglie all’interno delle città, dove i cecchini russi si guadagnarono grande fama. La versione originaria di questo fucile risaliva al 1891 ed era stata l’arma più comune per i fanti russi durante la Prima guerra mondiale. Venne ammodernato negli anni Venti e Trenta (da qui la sigla 1891/30) e reso più semplice e da costruire. Il Mosin-Nagant – considerando che risulta ancora utilizzato per esempio nella guerra civile siriana – vanta 120 anni di servizio, cosa che ne fa il fucile con il record di presenza in combattimento.

 

Scheda

Tipo: fucile a otturatore girevole-scorrevole

Peso: 4 kg

Lunghezza: 1,287 mm

Lunghezza canna: 730 mm

Cadenza di tiro: 10-12 al minuto

Tiro utile: 500 m (750 m con ottica)

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Sturmgewegr44 (STG44)

L’STG44 è considerato il capostipite di tutti i fucili d’assalto moderni. Due sono stati i segreti di quest’arma. Per prima cosa le munizioni, concepita come intermedie tra quelle corte delle pistole e quelle lunghe dei fucili, una novità assoluta per l’epoca; il calibro 7,92x33 mm Kurz offriva una gittata maggiore delle pistole-mitragliatrici e una potenza d’impatto comunque sufficiente. Il secondo aspetto era la capacità di fuoco selettivo, cioè la possibilità di scegliere tra fuoco singolo e automatico. Venne fornito soprattutto alle truppe d’assalto e alle Waffen-SS. Ma il costo di produzione e il tempo necessario per farlo impedirono alla Germania di produrre quest’arma in quantità sufficienti a mutare l’esito della guerra. Per l’StG44 fu pensato lo Zielgerat 1229, detto Vampir, un primo visore a infrarossi, che veniva montato sopra un’ottica (munita di appositi filtri) per illuminare il bersaglio proiettando luce infrarossa.

Scheda:

Tipo: fucile d’assalto

Peso: 4,31 kg

Lunghezza: 940 mm

Lunghezza canna: 419 mm

Calibro: 7,92 mm

Cadenza di tiro: 550-600 colpi al minuto

Tiro utile: 300 m automatico 600 m semSturmgewehr44 noBG.jpgiautomatico

Mg 42

Per la potenza e l’efficacia con cui falciava i nemici, l’MG42 venne soprannominata la sega di Hitler. Per i tedeschi la mitragliatrice era il cuore delle tattiche di fanteria, l’elemento fondamentale della squadra sia che essa andasse all’assalto sia che dovesse difendere una posizione. Ogni squadra di fanti, di cacciatori, di paracadutisti o di genieri d’assalto aveva almeno una MG34 o una MG42. Quattro squadre formavano un plotone, e i plotoni componevano la compagnia, che aveva a disposizione quattro ulteriori mitragliatrici. L’MG42 poteva essere trasportata e usata da un solo uomo, anche durante gli assalti, oppure poteva essere montata su un treppiedi diventando una mitragliatrice pesante, che dava il meglio con sei serventi (tre dei quali destinati al trasporto di materiali e munizioni), pur bastandone due per essere pienamente operativa. Poteva essere alimentata sia a nastro (da 50 o 250 colpi) che tramite caricatore a tamburo da 50 o 75 colpi. Una sola MG42 era in grado di fermare l’avanzata nemica, e l’arma fu estremamente efficace sul fronte russo, dove i sovietici usavano la tattica dell’attacco a ondate di uomini.

 

Scheda:

Tipo: mitragliatrice

Peso: 11,60 kg con bipiede, l’eventuale treppiede va aggiunto

Lunghezza: 1220 mm

Lunghezza canna: 533 mm

Calibro: 7,92 mm

Cadenza di tiro: 1200 colpi minuto

Tiro utile: 1800 m

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Panzerfaust.

I tedeschi riuscirono a inventare lo strumento adatto per fornire ai fanti un’efficace arma contro-carro portatile. Si trattava del Panzerfaust o “Pugno corazzato”, un lanciagranate portatile, monouso, che funzionava in realtà come un piccolo cannone sena rinculo. A differenza di molte altre armi tedesche di rilievo, il Panzerfaust era un’arma semplice e poco costosa, basato semplicemente su un tubo di lancio per bomba a carica cava con un congegno di scatto e uno di puntamento. La caratteristica è che sparava una granata di calibro superiore alla larghezza della canna. Dopo l’uso il tubo di lancio veniva gettato. Si rivelò in grado di perforare la corazza di ogni tipo di carro armato, e risultò anche molto efficace contro edifici e bunker. Il limite stava nella sua gittata corta che imponeva al soldato di avvicinarsi molto al bersaglio. Ne vennero create tre versioni crescenti, dette 30, 60 e 100 in base ai metri della gittata. Alla fine della guerra molti reparti tedeschi erano armati solo di questo strumento. A esso si ispirarono i sovietici per realizzare il celebre Rpg della guerra fredda.

 

Scheda:

tipo: lanciagranate anticarro portatile

peso: 6,25 kg

lunghezza: 1 metro

calibro: 149 mm

tiro utile: 30-100 m secondo la versione

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Panzerjager elefant

Sul fronte orientale i tedeschi avvertirono la necessità di produrre rapidamente caccia carri pesanti in grado di montare il cannone da 88/71 Pak 43 (derivato da un cannone contraereo ad altissime prestazioni ancora più potente della bocca da fuoco del Tiger II), da contrapporre ai sovietici T-34 e KV. I caccia carri e i cannoni semoventi, due realtà simili ma non identiche, furono assai diffusi nella Seconda guerra mondiale, specialmente sul fronte orientale. Si trattava di mezzi che montavano cannoni più imponenti per mettere fuori uso i tank avversari, rinunciando parallelamente ad altri utilizzi. Visivamente, una caratteristica diffusa era quella di non avere torretta: il cannone era montato direttamente sullo scafo, sia per maggior sostegno sia semplicemente per rendere più rapida ed economica la costruzione del mezzo. Tra tutti i caccia carri il più possente fu quello costruito dallo scafo del Tiger II, con un cannone da 88. Prima (quando cioè esordì al tempo della battaglia di Kursk) venne chiamato Ferdinand, poi dopo alcune modifiche prese il nome Elefant. Incapace di difendersi da solo, questo mezzo era però micidiale sue usato dietro la prima linea, grazie alla sua eccellete corazzatura frontale e al cannone devastante. Gli ultimi esemplari si mostrarono in grado di tenere testa ai maggiori carri nemici anche durante la battaglia di Berlino.

 

Scheda:

Tipo: semovente cacciacarri

Equipaggio: 6

Lunghezza: 8,14 m

Larghezza: 3,38 m

Altezza: 2.97 m

Peso: 65 t (Ferdinand) 70 g (Elefant)

Velocità max: 30 km/h

Armamento: 1 cannone KwK 43/2 L/71 da 8,8 cm, 1 MG34 su scafo da 7,92 mm solo su Elefant

Elefant USAOM-01.jpg

 

 

10 battaglie del fronte orientale.

Dubno 23 giugno – 30 giugno 1941

Fu uno dei più violenti scontri di carri armati e si verificò presso le località di Dubno, Brody, Rovno e Luc’k, nelle regioni occidentali dell’Ucraina. Le Panzer-Divisionen del Gruppo d’armate del Sud, supportate massicciamente dalla Luftwaffe, affrontarono 7 corpi meccanizzati sovietici numericamente superiori in quanto a mezzi. I tank sovietici, a quell’epoca guidata da carristi inesperti e impreparati, operarono una serie di contrattacchi per contenere l’avanzata tedesca, ma furono neutralizzati dai panzer tedeschi, che dopo quattro giorni di scontri furiosi ottennero il dominio del campo e si aprirono la strada verso Kiev.

Leningrado 8 settembre 1941 – 27 gennaio 1944

Fu uno degli assedi più lunghi e feroci della storia, durato 28 mesi e portato avanti con bombardamenti aerei e d’artiglieria. L’attacco a Leningrado costituiva una delle tre direttive dell’Operazione Barbarossa. I tedeschi per conquistare Leningrado costituirono l’Heeresgruppe del Nord, con 28 divisioni per un totale di 475mila uomini. L’attacco fu però respinto e le forze tedesche assediarono la città. la fame per i russi fu terribile: nel solo gennaio del 1942 morirono di stenti 10mila persone al giorno. Anche una flottiglia italiana della XII MAS partecipò all’assedio, pattugliando il Lago Ladoga. I tedeschi non riuscirono comunque a conquistare la città.

 

Mosca 30 settembre 1941 – 31 gennaio 1942

Hitler era convinto che prendendo Mosca avrebbe portato a termine un’altra delle sue guerre lampo, perché i sovietici si sarebbero arresi. Ma doveva farlo prima del sopraggiungere dell’inverno. Si fronteggiarono circa 1,5 milioni di soldati, i tedeschi riuscirono davvero a raggiungere le porte della città, ma i russi opposero una tenace e leggendaria resistenza, e con scontri sanguinosissimi. I sovietici persero 700mila uomini e le forze dell’Asse circa 250mila, riuscirono alla fine a fermare e poi respingere l’offensiva nemica. Fu il primo scacco che la Wehrmacht subiva dall’Armata Rossa dall’inizio della Campagna di Russia.

 

Sebastopoli 30 ottobre 1941 – 4 luglio 1942

Una possente guarnigione dell’Armata Rossa era asserragliata nelle fortificazioni della base navale di Sebastopoli, in Crimea, porto della flotta del Mar Nero. L’esercito tedesco supportato da truppe alleate (soprattutto romene ma anche da una flottiglia italiana) provò a prendere d’assalto di assediare la città. seguirono una serie di falliti contrattacchi russi. Solo a luglio 1942 al termine di violenti e sanguinosi combattimenti ravvicinati supportati da attacchi aerei e dal fuoco dell’artiglieria pesante (la Wehrmacht qui utilizzò i più grandi cannoni della storia moderna), i tedeschi riuscirono a conquistare Sebastopoli.

 

Stalingrado 13 settembre 1942 – 2 febbraio 1943

Fu senz’altro uno dei punti di svolta della guerra. Fu anche un braccio di ferro ideologico e politico fra Hitler e Stalin, di cui la città sul Volga portava il nome. Fu una delle più feroci battaglie in ambiente urbano. I due eserciti si contesero strenuamente ogni metro. I tedeschi arrivarono a controllare quasi tutta la città, fatta eccezione per una stretta fascia nella quale si concentrò la resistenza sovietica, che andò avanti fino a quando l’Armata Rossa, dopo essersi riorganizzata, con una manovra a tenaglia rovesciò completamente la situazione, trasformando gli invasori tedeschi in assediati. La VI armata del generale Paulus resistette per settimane in attesa dei rinforzi ma poi, contravvenendo agli ordini di Hitler, si arrese. Furono coinvolti più di tre milioni di soldati, i caduti furono due milioni.

 

Caucaso luglio 1942 – febbraio 1943

Nel 1942 il Piano Blau mirava a sottomettere l’intera regione caucasica, occupando i passi montani e piombando sui porti e giacimenti petroliferi del Mar Nero. La prima parte dell’operazione ottenne rapidi successi, con il raggiungimento del massiccio dell’Elbrus. A metà agosto le divisioni alpine tedesche scalzarono i sovietici dalle posizioni d’alta montagna aprendosi la strada verso l’obiettivo, distante solo 40 chilometri, ma poi i russi furono capaci di bloccare gli invasori prima che si riversassero sulle pianure verso il mare. Di fronte al contrattacco sovietico, alle sconfitte e gli arretramenti sul resto del Fronte orientale, nell’inverno 1942 i tedeschi cominciarono la ritirata anche da qui, fino ad arrivare oltre il Don nel febbraio 1943

Charkov 19 febbraio – 23 marzo 1943

Per il suo valore strategico la città di Charkov è stata teatro di 4 importanti battaglie durante la Seconda guerra mondiale. La terza battaglia Charkov ha rappresentato l’ultimo importante successo delle truppe tedesche sul fronte orientale. Il merito va al generale Erich von Manstein, che manovrando abilmente le sue colonne di mezzi corazzati attaccò i russi sui fianchi e nelle retrovie. Benché le divisioni tedesche fossero sotto organico, fecero strage soprattutto tra i convogli logistici nemici. Conquistarono Charkov dopo 5 giorni di combattimenti. Il successo di von Manstein arrestò momentaneamente l’offensiva sovietica.

 

Kursk 5 – 15 luglio 1943

Quella di Kursk fu la più grande battaglia di mezzi corazzati della storia. La Germania tentò la sua ultima grande controffensiva mettendo in campo tutto quello di cui ancora disponeva. Furono schierati quasi un milione di tedeschi e due milioni di russi, oltre 2mila panzer per la Germania e 4-5mil tank per l’Urss, più 2mila aerei per parte. I tedeschi puntavano a colpire sui fianchi un grande cuneo che si era formato con l’avanzata sovietica, per intrappolare una parte dell’Armata Rossa. I russi, però, erano a conoscenza del piano nemico, grazie alle informazioni di una spia, e si prepararono bene. Le manovre dei tedeschi ottennero parziali successi, ma a costi elevatissimi, così alla fine furono costretti a desistere.

 

Budapest 24 dicembre 1944 – 14 febbraio 1945

A Budapest le forze tedesco-ungheresi opposero una strenua resistenza all’avanzata dell’Armata Rossa. Un assalto alla capitale ungherese venne inizialmente respinto a novembre, poi a Natale intorno alla città si strinse l’assedio sovietico. Hitler continuò a mandare in rinforzo divisioni corazzate, deciso a non cedere. Le nuove truppe misero in difficoltà i russi tra attacchi e contrattacchi, ma alla fine la resistenza fu sopraffatta e a febbraio quanto restava delle truppe tedesche fuggì precipitosamente. Con la caduta di Budapest era aperta la strada per Vienna.

 

Berlino 16 aprile – 2 maggio 1945

L’ultimo atto della guerra in Europa si consumò nella capitale tedesca. Il 16 aprile le forze russe scatenarono una grande offensiva attraverso i fiumi Oder e Neisse, per puntare all’accerchiamento di Berlino. Stalin arrivò a mettere in concorrenza fra loro i due generali Zukov e Konev, su chi per primo fosse riuscito a conquistare la città. L’accerchiamento fu completato il 24 aprile. I tedeschi offrirono l’ultima strenua resistenza casa per casa, tanto che la battaglia (dall’esito scontato viste le soverchianti forze di Mosca) costò comunque ai russi più di 350mila caduti e la perdita di quasi 2mila carri armati e pezzi di artiglieria. La capitolazione della capitale del Terzo Reich fu firmata il 2 maggio.

 

Una incredibile vittoria grazie alla guerra patriottica.

 

A un certo punto della guerra la possente armata tedesca che aveva travolto l’enorme schieramento russo, arrivando alle porte di Mosca e Leningrado, iniziò a essere respinta. Imponendo la resistenza a oltranza a Stalingrado, Hilter aveva rinunciato a forze che gli avrebbero permesso di manovrare con più efficacia sul fronte meridionale. Tra il 1942 e il 1943 l’esercito tedesco era ancora temibile e in grado non solo di rispondere alle offensive dell’Armata Rossa, ma anche di continuare a contrattaccare, come avvenne per esempio a Kursk. Dal canto loro, dopo lo sgomento per gli esiti devastanti delle prime battaglie i sovietici si erano riorganizzati, grazie anche all’idea di Stalin di trasformare quello che all’inizio era un conflitto ideologico in un Grande guerra patriottica. Il nazionalismo nel nome della Madre Russia permise di dimenticare i danni causati dalle purghe comuniste e rinfrancò soldati e cittadini unendoli in un’unica resistenza all’invasore. Allo stesso tempo i nuovi quadri militari erano stati ormai forgiati dai primi mesi di combattimento e le industrie russe avevano iniziato a spedire al fronte tonnellate di materiale e mezzi, a cui si univano i rinforzi che giungevano dai territori asiatici e dalla coscrizione. Così, dopo un momento di equilibrio, la bilancia si inclinò a favore dell’Armata Rossa e le sue divisioni iniziarono a riversarsi a ovest travolgendo i tedeschi e costringendoli a indietreggiare, non solo fino ai confini dell’Urss, ma attraverso tutta l’Europa orientale e poi fino a Berlino. Dopo la vittoria a Stalingrado i sovietici (che nella primavera 1943 crearono le “Armate carri” – Tankovji Armija – formate in genere dau due “Corpi carri” e un “Corpo meccanizzato” ed equipaggiate con un numero di carri variabile tra 400 e 1000) avanzarono di slancio di 500 chilometri, e quasi contemporaneamente costrinsero i tedeschi a lasciare il Caucaso. Il contrattacco tedesco a Kursk – che diede vita alla più grande battaglia di carri armati della Storia – dimostrò che la Wehrmacht era ancora vitale, ma anche che non era più in grado di conseguire i propri obiettivi strategici. Così l’Armata Rossa ricominciò a macinare terreno in Ucraina, e poi dopo una nuova offensiva generale si spinse a sud fino in Romania e in Polonia, mentre nella regione centrale i russi ripresero Smolensk e poi proseguirono un’avanzata più lenta ma inesorabile. A nord i combattimenti furono decisamente più statici, ma tra gennaio e marzo 1944 i russi avevano raggiunto l’Estonia. Nell’estate del 1944 divenne protagonista il Fronte centrale, con i sovietici che lanciarono con più di 120 divisioni (oltre 2,5 milioni di soldati contro 800 mila tedeschi) la grande Operazione Bagration, che portò alla distruzione del Gruppo d’armate tedesco Centro, indebolito dal trasferimento di truppe in Francia per contrastare lo sbarco in Normandia. Anche i russi pagarono un altissimo prezzo (si stimano quasi 800mila caduti e la perdita di 3mila mezzi), ma conquistarono la Bielorussia e raggiunsero la Polonia, riuscendo nell’impresa di isolare e circondare sul Baltico il Gruppo di armate Nord della Wehrmacht, che da quel momento fu praticamente fuori gioco. Potendo contare su numeri enormi e rimpiazzi continui, nonostante le perdite elevatissime, i sovietici entrarono a Varsavia nel gennaio 1945, poi presero Budapest a febbraio e Vienna ad aprile. Nel frattempo era cominciata una specie di gara fra le truppe del generale Georgij Zukov, quelle del generale Konstatin Rokossovkij e quelle del generale Ivan Konev, per essere i primi ad arrivare a Berlino. I tre fronti sovietici contavano complessivamente 2,5 milioni di uomini, 6250 carri armate, 7500 aerei, 41600 pezzi di artiglieria e mortai, 3255 lanciarazzi Katiuscia su autocarro e 95383 veicoli a motore (fra cui molti prodotti negli USA).

 

La guerra nei cieli.

Il Fronte orientale fu anche un immenso campo di battaglia per le due aviazioni nemiche, la Luftwaffe tedesca e la VVS sovietica. come per le forze di terra, all’inizio la superiorità della Germania fu devastante, per qualità e capacità, e persino per numeri tattici (cioè quelli schierati effettivamente in battaglia, benché nel complesso i numeri dell’aviazione sovietica furono fin dall’inizio nettamente superiori sulla carta). Hitler iniziò l’Operazione Barbarossa con tre Luftlotte (flotte aeree), per un totale di 3mila aerei. Si trattava in gran parte di aerei destinati al supporto tattico sul campo di battaglia, e lo stesso valeva per i sovietici, che disponevano di 10/12mila aeroplani. L’obiettivo dei due Comandi era soprattutto la conquista della superiorità aerea sul campo di battaglia in supporto alle truppe terrestri, a cui si aggiungevano limitate azioni dei bombardieri contro obiettivi strategici. L’esordio tedesco fu come sempre sfolgorante: il primo giorno i tedeschi colpirono sistematicamente tutti i campi di volo sovietici identificati distruggendo a terra 1500 aerei nemici. Nelle stesse ore altri 300 aerei furono abbattuti in aria. Ma giunti a Mosca e Leningrado il vantaggio tedesco scomparve per i rigori dell’inverno, che creava seri problemi operativi ai velivoli, nonché per l’arrivo costante e massiccio di nuovi aeroplani sovietici al fronte. La guerra aerea non assunse mai una vita propria rispetto ai combattimenti sul terreno, come invece accade con i bombardamenti strategici Alleati. Furono protagonisti soprattutto i caccia, con i loro duelli, e gli aerei da attacco al suolo come i sovietici II-2 che armati di razzi erano in grado di creare seri danni ai carri armati tedeschi. Un ruolo importante fu anche quello dei trasporti, vista l’immensità del fronte e le difficoltà di approvvigionare le truppe, spesso in posizioni isolate (Stalingrado cadde per il fallimento del ponte aereo della Luftwaffe, mentre alcune sacche russe ottennero le loro vittorie grazie ai costanti rifornimenti). Dal 1943 la superiorità numerica della VVS si fece sempre più schiacciante, con in media 10mila aeroplanisempre attivi e operativi, contro i 3mila dei tedeschi. gli enormi numeri sui cieli del Fronte orientale contribuirono a far sì che molti piloti raggiunsero lo status di “asso” registrando i record assoluti di vittorie nella storia dell’aviazione militare: al tedesco Erich “Bubi” Hartmann vengono attribuite ben 532 vittorie certificate, 345 delle quali contro aerei sovietici quasi tutti caccia.

La guerra partigiana.

La guerra partigiana all’inizio dell’invasione tedesca era inimmaginabile. Molte popolazioni locali accolsero i tedeschi come liberatori contro i russi e si unirono a loro. Gli stessi russi erano molto provati dai difficili anni dello stalinismo. I primi movimenti partigiani ebbero quindi carattere marginale e raramente ebbero quindi carattere spontanei. Con il tempo però la situazione cambiò e il contributo della resistenza dietro le linee tedesche divenne un elemento fondamentale dell’apparato militare sovietico. Lo spietato comportamento dei nazisti (che impiegarono un numero enorme di uomini non per combattere al fronte ma per ripulire i territori dalle persone osteggiate dal regime) e il nuovo carattere patriottico della guerra spinse una quantità incredibilmente alta di persone a sostenere lo sforzo bellico dell’Armata Rossa. Questa a sua volta si organizzò assumendosi in prima persona il compito di organizzare nuclei partigiani, inviando molti agenti speciali dietro le linee tedesche. All’inizio del 1943 si contavano ormai tra i 120 e i 150mila partigiani, strutturati in gruppi di cento uomini, soprattutto in Ucraina, Bielorussia e Crimea. I loro obiettivi principali erano le linee logisti della Wehrmacht, e poi strade, ferrovie, ponti, depositi. Costringevano inoltre i tedeschi a guardarsi le spalle e a distogliere ulteriori truppe dal fronte per difendere le installazioni strategiche.

 

Assalto alla Germania. L’offensiva per prendere la Germania orientale e Berlino iniziò il 16 aprile con un assalto alle linee tedesche lungo i fiumi Oder e Neisse. Dopo molti giorni di intensi combattimenti l’Armata Rossa fece breccia nella difesa tedesca e il 24 aprile i sovietici avevano completato l’accerchiamento della capitale del Reich. I russi furono in grado di schierare uno accanto all’altro, senza protezione migliaia di pezzi di artiglieria, grazie all’assoluto controllo dei cieli. nel frattempo la Wehrmacht radunava tutte le sue forze residue per una resistenza ad oltranza, che aveva il sapore della disperazione: le truppe erano ormai formate soprattutto da giovanissimi e e da anziani (dal 1944 era stata creata la “milizia popolare”, il Volkssturm, armate e addestrata in modo approssimativo e costituita da uomini non precedentemente arruolabili, come i membri della Hitlerjugend – l’organizzazione giovanile nazista – i disabili, i feriti, gli anziani), nonché da volontari stranieri che sapevano di non poter contare sulla clemenza dei vincitori. Molti combattenti non disponevano più neanche di divise e un’arma molto comune era il Panzerfaust portatile, un lanciarazzi anticarro usa e getta. Fu comunque una battaglia ferocissima, nella quale i tedeschi vendettero cara la pelle, perché ormai combattevano per la propria sopravvivenza. Si stima che nonostante l’inevitabilità del risultato, complessivamente le operazioni a Berlino (dal 16 aprile all’8 maggio) costarono all’Armata Rossa 361367 morti, dispersi e feriti, e 1997 fra carri armati e cannoni distrutti: impossibile calcolare le perdite tedesche. Il 30 aprile i russi erano ormai a poche centinaia di metri dal Palazzo della Cancelleria; in quelle stesse ore Adolf Hitler, dopo un frettoloso matrimonio con Eva Braun, si toglieva la vita.

La città si arrese ai sovietici il 2 maggio, la resa della Germania agli Alleati venne firmata cinque giorni dopo, il 7 maggio, mentre l’8 i sovietici pretesero una nuova capitolazione a Berlino nel quartier generale di Zukov. La guerra era finita degli oltre 70 milioni di morti complessivi stimati a causa della Seconda guerra mondiale, almeno 30 milioni si registrarono sul Fronte orientale, che a tutt’oggi si può considerare il fronte di guerra più esteso di tutta la storia militare, con i suoi 1600 chilometri. I sovietici persero circa 10 milioni di soldati e tra 10 e 16 milioni di civili, i tedeschi e i loro alleati italiani, rumeni, ungheresi e slovacchi 5,2 milioni. Fu qualcosa di gigantesco: la Germania subì sul Fronte orientale l’80% di tutte le perdite della guerra. Nella campagna di Russia i tedeschi videro distrutti più di 42700 carri armati e cannoni d’assalto e più di 150mila pezzi d’artiglieria, i russi addirittura 96500. L’Armata Rossa, che coscrisse 35 milioni di soldati rivendicò l’annientamento di 507 divisioni nemiche. Per quanto riguarda gli aeroplani, i sovietici persero 102600 aerei, di cui 46100 in combattimento, mentre i tedeschi ne persero 75700, di cui 16mila in combattimento. Ma una differenza fondamentale è che la Germania venne consumata da queste perdite in modo irreparabile, mentre l’Urss riuscì a rigenerare sempre le proprie risorse grazie all’enorme disponibilità di persone ma anche di produzione industriale: nel solo 1944 l’Urss produsse 30mila carri armati, 40mila aerei e 122mila cannoni. Oltre al proprio territorio, Mosca liberò da sola almeno metà Europa.

Come ai tempi di Napoleone, il grande orso russo era stato sul punto di essere domato, ma poi le immense risorse che lo sostenevano dalle retrovie furono in grado di trasformare una quasi sconfitta in una vittoria non solo trionfale, ma anche permanente, con l’effetto di regalare all’Unione Sovietica di Stalin uno status di impero e di superpotenza mondiali quale mai Mosca aveva raggiunto prima: con in mano lo scalpo di Hiltler, i sovietici si prepararono a dominare metà del mondo.

 

Schede e armi della Germania.

 

Stug III

Tipo: caccia-carri e cannone d’assalto

Equipaggio: 4

Lunghezza: 5,38 m

Larghezza: 2,98 m

Altezza: 1,95 m

Peso: 19.6 t

Velocità max: 40 km/h

Armamento: 1 cannone 75 mm StuK 40L/48, 1 mitragliatrice 7,92 MG34

Corazzatura: frontale 80 mm

StuGIII.jpg

 

Focke-Wulff FW 190

Tipo: caccia

Equipaggio: 1

Motore: un radiale BMW 801D-2

Lunghezza: 8,95 m

Apertura alare: 10,51 m

Velocità: 656 km/h

Armamento: 2 mitragliatrici MG 131 da 13 mm, 4 cannoni MG 151 da 20 mm, una bomba da 500 kg.

FockeWulf Fw190.jpg

Flack 88

Tipo: cannone anti-aereo e anti-caccia

Peso: 5,15 in batteria, 6.86 t in trasporto

Lunghezza: 7,62 m

Lunghezza canna: 4,66 m

Serventi 6-10

Calibro: 88 mm

Gittata max: 14860 m

Tiro utile: 8000 m

Cadenza di tiro: 8 proiettili (fino a un massimo di 15) al minuto

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8,8 CM Raketenwerfer 43 puppchen

Tipo: lanciarazzi anticarro

Peso: 143 kg

Lunghezza: 2972 m

Altezza: 0,899 m

Calibro: 88 mm

Tiro utile: 350 m

Gittata massima: 750 m

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Jagdpanzer V Jagopanther

Tipo: semovente d’artiglieria

Equipaggio: 5

Lunghezza: 9,87 m

Larghezza: 3,07 m

Altezza: 2,71 m

Peso: 45500 kg

Velocità su strada: 55 km/h

Armamento: 1 cannone 8,8 cm Pak 43.3 L/71. 1 mitragliatrice 7,92 mm MG 34

Jagdpanther.IWM.jpg

 

Schede armi e mezzi Russia

ISU-122

Tipo: semovente d’artiglieria

Equipaggio: 5

Lunghezza: 9,85 m

Larghezza: 3,07 m

Peso:45,5 t

Velocità max: 37

Armamento: 1 obice da 122  mm A-195, 1 mitragliatrice DShK da 12,7 mm

ISU-122 skos RB.jpg

IS-1

Tipo: carro armato pesante

Equipaggio: 4

Lunghezza: 8,32 m

Larghezza: 3,07

Peso: 45,5 t

Velocità max: 37

Armamento: 1 obice da 122 mm A-195

1 mitraglitrice DShK da 12,7 mm

KV-85 left side view.JPG

152 MM M1909/30

Tipo: obice

Peso: 2810 kg

Lunghezza: 5,84 m

Lunghezza canna: 2,16 m

Calibro: 152,4 mm

Cadenza di tiro: 5-6 colpi al minuto

Tiro utile: 8850 m

152mm m09-30 fortress howitzer schneider 01.jpg

Yakovlev Yak 9

Tipo: caccia

Equipaggio: 1

Lunghezza: 8,54 m

Apertura alare: 9,80 m

Peso a vuoto: 2750 kg

Motore: a pistoni Kimov VK 107-A

Armamento: 2 motragliatrici BS 12,7 mm. 1 cannone SHVAk 20 mm

Yak 9 1.jpg

 

 

Articolo in gran parte pubblicato su Storie di guerre e guerrieri, autori vari, Sprea Editori n. 23 – altri testi e immagini da Wikipedia.

 

 

 

 


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