I titani del fronte
orientale.
Armate a confronto.
Il terrificante scontro
tra i due più grandi eserciti della storia: la Wehrmacht e l’Armata Rossa.
Truppe tedesche oltrepassano i confini dell'URSS il 22 giugno 1941, primo giorno dell'operazione Barbarossa
Era destino che i due giganti si scontrassero. La contrapposizione ideologica e geopolitica tra Germania e Unione Sovietica era irriducibile. Fin dagli anni venti Adolf Hitler aveva scritto a chiare lettere nel suo Mein Kampf che lo “spazio vitale” tedesco risiedeva nella conquista dei territori dell’Europa orientale fino in Russia, tanto più che si trattava di zone controllate da slavi e bolscevichi, che lui avversava. Eppure lo scoppio della Seconda guerra mondiale aveva trovato Berlino e Mosca inaspettatamente alleate. Il patto Molotov-Ribbentrop – firmato nell’agosto 1939 dal ministro degli Esteri sovietico Vjaceslav Molotov e dal ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop – era ben più di un trattato di non aggressione. Aveva permesso infatti alle due potenze di spartirsi la Polonia e di giocare le altre partite con le spalle coperte: la Germania così si era rivolta a Occidente con tutto il suo enorme potenziale, annichilendo la Francia e i Paesi alleati, tentando anche di assediare la Gran Bretagna; l’Urss, nel frattempo si era potuta dedicare agli Stati Baltici, alla Finlandia e alle acquisizione territoriali in Romania, e intanto risolveva anche alcuni annosi problemi a Oriente, firmando dopo una breve guerra, un patto di non aggressione con il Giappone (che si sarebbe rivelato determinante per la sopravvivenza dell’Urss). Ma Hitler e Stalin si osservavano con grande attenzione. Il Fuhrer fin dal 1940 aveva cominciato a organizzare la sua offensiva a Est. Il leader comunista invece si preparava a difendersi, anche se era convinto che l’attacco sarebbe arrivato più avanti nel tempo. L’esercito russo non era infatti pronto al confronto con la potente Wehrmacht. Per sua fortuna Hitler aveva sopravvalutato la capacità delle delle proprie armate di piegare l’Unione Sovietica in una guerra lampo simile ai conflitti condotti fino a quel momento. Furono quindi due eserciti enormi, complessi e profondamente differenti tra loro quelli che dal 1941 si affrontarono negli spazi sterminati dei territori russi: al momento di iniziare la guerra a Est, la Germania aveva mobilitato 3 milioni di uomini, raggiungendo la spaventosa cifra di 9,5 milioni nel corso del conflitto, mentre l’Urss disponeva di 9 milioni di sodati, arrivando a toccare in seguito il culmine di oltre 13 milioni di uomini sotto le armi.
Direttrici d'attacco dell'operazione Barbarossa
Un esercito gigantesco. L’Armata Rossa dei
Lavoratori e dei Contadini, più comunemente chiamata l’Armata Rossa, era nata
su base volontaria dalla rivoluzione del 1917 e dopo la riorganizzazione da
parte di Lev Trotski aveva vinto la guerra civile contro l’esercito
controrivoluzionario, l’Armata Bianca. Quello, fu, però, un conflitto ancora
molto incentrato sulle manovre della cavalleria. Da quel momento si operarono
una serie di ristrutturazioni per cancellare l’eredità zarista e si attuarono
profonde riforme (tra cui quella riguardante il sistema dei gradi e l’elezione
degli ufficiali). Negli anni Trenta, in virtù dell’industrializzazione del
Paese, alcuni esponenti alcuni esponenti dei vertici militari intuirono che era
arrivato il momento di sviluppare un moderno esercito motorizzato, avviando
così la strutturazione di artiglieria, forze
corazzate e aviazione, con l’idea di sfruttare anche i grandi numeri di
coscritti disponibili in Russia. E, infatti, nel 1937 l’esercito contava 120
divisioni, in cui erano inquadrati 1.750,000 uomini.
Il problema era che la
politica in Unione Sovietica aveva la prevalenza su qualunque anche sulla
sicurezza e la difesa. Le lotte di potere nel Partito Comunista portarono alle
purghe staliniste che colpirono pesantemente le Forze Armate, destrutturando
non solo gli alti comandi ma anche tutti i ruoli di rilievo, anche
territoriale. Tra il 1937 e il 1939 circa 35mila ufficiali furono destituiti,
imprigionati o fucilati. Fu in queste condizioni che la Russia affrontò la
guerra d’inverno con la Finlandia nel 1939-40. Il risultato di quel conflitto
fu sostanzialmente una debacle, che portò non solo Hitler ma anche Churchill a
ritenere che l’esercito russo fosse profondamente impreparato. Mosca, però,
imparò almeno in parte la lezione e avviò nuove riforme militari, stavolta
nella direzione di rendere più efficace il suo apparato difensivo (si
restaurarono anche i gradi generale e ammiraglio che erano stati aboliti). Il
rinnovato sistema della coscrizione forniva un numero di reclute pressoché
infinito, e intanto le industrie procedettero a realizzare nuove armi in
quantità e qualità superiori al passato. Inoltre, dopo essere stati sul punto
di sciogliere forze corazzate per distribuire i tank alla fanteria come
strumenti di supporto, si decise invece di procedere alla costituzione di corpi
corazzati (9 all’inizio della guerra, con altri 21 in programmazione), ciascuno
dei quali formato da due divisioni di carri armati e da una divisione
motorizzata, per circa 1200 cingolati. Nel giugno del 1941, allo scoppio della
guerra, l’Urss disponeva di 20mila mezzi corazzati, tra cui due gioielli come
il T-34 e il KV. Inizialmente, però, per l’impreparazione e la confusione
diffuse tra i ranghi dei carristi il confronto con i panzer tedeschi fu un
disastro. Eppure le premesse del successivo miracolo, che portarono in alcuni
mesi le forze corazzate sovietiche ad avere la meglio sui leggendari carristi
avversari, c’erano già tutte. I corazzati sovietici, infatti, fin da subito
risultarono più potenti di quelli tedeschi, ma questi ultimi ebbero la meglio,
all’inizio, in virtù della superiorità tattica e di addestramento. Qualcosa di
simile accadde in campo aereonautico: nonostante i russi godessero di grandi
numeri e di buoni modelli di velivoli già nelle prime fasi della guerra,
l’aviazione di Mosca, al principio, non resse minimante il confronto con
l’abile e avanzata Luftwaffe. Nel tempo, però, non solo produsse enormi
quantità di aerei (già all’inizio del conflitto disponeva complessivamente di
ben 12mila velivoli, e ne costruì sempre di più) la anche innovazioni tecniche
che alla fine assicurarono ai sovietici il dominio dei cieli. Una produzione
industriale che fu possibile grazie al fatto che Mosca aveva spostato per tempo
la maggior parte delle fabbriche militari il più a est possibile, spesso al di
là degli Urali, per evitare che venissero colpite o, ancora peggio, che
cadessero nelle mani dei tedeschi. Gli alleati, inoltre, preoccupati di un
possibile crollo inviarono in Unione Sovietica aiuti: in Russia arrivò una quantità
immensa di materiali, anche se i sovietici in prima linea preferirono sempre
far affidamento sui mezzi di loro produzione. Ma ciò fu possibile perché nelle
retrovie erano disponibili enormi quantità di mezzi anglo-americani.
L’invasione della Russia. L’operazione Barbarossa –
l’invasione della Russia predisposta da Hitler – scattò all’alba del 22
giugno 1941. L’attacco si svolse contemporaneamente tre direzioni: verso il
Baltico e Lelingrado, verso Minsk, Smolensk e Mosca, e verso Kiev, il Volga e
il Caucaso. Le avanzate iniziali furono un grande successo, ma le immense
distese russe crearono presto seri problemi logistici ai tedeschi che si
attardarono anche a eliminare alcune enormi sacche di resistenza, per esempio
in Ucraina. A nord, a Lelingrado, i tedeschi decisero di fermarsi per
trasformare la loro azione in una guerra d’assedio che durò 900 giorni. Anche
di fronte a Mosca la Wehrmacht si fermò per riorganizzarsi, poi il 30
settembre venne lanciato l’attacco con l’Operazione Tifone. A sud invece vennero
conquistati importanti snodi e le forze tedesche arrivarono in Crimea alle
porte del Caucaso. Con il procedere dell’inverno le condizioni si fecero però
sempre più difficili per i tedeschi, e i russi iniziarono a contrattaccare,
conseguendo a Mosca una vittoria che fece retrocedere la Wehrmacht. Con
l’estate 1942 l’offensiva tedesca riprese soprattutto in direzione sud, verso
i pozzi petroliferi. Fu l’Operazione Blu, che ottenne successi tattici e
conquiste territoriali, ma fu fermata prima di conseguire appieno i suoi
obiettivi strategici. Fu in questa circostanza che i tedeschi raggiunsero
Stalingrado, ma non riuscirono a conquistarla. Fu così che l’inverno del 1942
vide la definitiva reazione sovietica, che dopo una strenua resistenza
ottenne la vittoria a Stalingrado (l’Operazione Urano dimostrò le grandi e
insospettate capacità offensive dei russi) e nel Caucaso, e poi a seguire
nonostante un fallimento a nord a Smolensk – nel febbraio 1943 i russi
ripresero Kursk e Char’kov. Su quest’ultimo fronte si svolse l’ultima grande
controffensiva tedesca, culminata nella grande battaglia di Kursk. Poi
l’inerzia della guerra fu definitivamente invertita. |
Stranieri e volontari. Fra i quattro milioni di soldati
dell’Operazione Barbarossa, accanto ai tedeschi c’erano romeni, ungheresi e
slovacchi. E altri contingenti arrivarono in seguito, a partire dagli
italiani e dai finlandesi. L’invasione della Russia fu portata avanti con
moltissimi soldati stranieri, da una parte perché la Germania in quel momento
controllava quasi tutta l’Europa e poteva arruolare nei territori occupati,
compresi quelli via via conquistati a Est, e dall’altra perché il carattere
di crociata anti-bolscevica (e anti-russa) attirava numerosi volontari
ideologici e combattenti di etnie e nazionalità da decenni ostili a Mosca. Di
questi soldati inquadrati nella Wehrmacht più di 200mila venivano dall’Europa
orientale. Arrivarono volontari anche da Paesi neutrali con la Spagna, la
Svezia e la Svizzera. Ci furono persino 50 britannici, nonché 1500 indiani e
anche islandesi, neozelandesi e calmucchi. Non mancarono 60mila russi (tra i
prigionieri dei tedeschi e quelli ostili al regime di Stalin), oltre a
migliaia di olandesi, belgi, francesi, norvegesi. Questi reparti da legioni
straniere furono trasformati in Divisioni delle SS distinte rispetto alle
altre (al posto del simbolo delle SS indossavano uno scudetto nazionale).
C’erano stranieri anche nell’Armata Rossa, oltre ai soldati delle tante
nazionalità di cui era composta l’Unione Sovietica. Il contributo più
significativo fu dato dai polacchi inquadrati nell’Armi Ludowa (che nel 1945
aveva 330mila militari in 15 divisioni di aviazione, artiglieria, unità del
genio e della cavalleria), ma c’erano anche romeni, jugoslavi, francesi (i
piloti dello squadrone aereo Normandie), cecoslovacchi e ungheresi. Nel 1945,
il numero totale di soldati stranieri inquadrati negli appositi reparti
dell’Armata Rossa ammontava a mezzo milione. La prima unità straniera
dell’esercito sovietico a combattere contro i nazisti, l’8 marzo 1943, fu il
primo Battaglione Cecoslovacchio Indipendente. |
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Armi e mezzi della Germania. |
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Walther P38 Tipo: pistola semiautomatica Peso: 978 g Lunghezza canna: 21, 6 cm Calibro: 9x19 mm parabellum
(alcuni modelli 7,65 x 21 mm parabellum) Gittata max: 1000 m Gittata utile: 100 m
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Maschinenpistole E40 Tipo: pistola mitragliatrice Peso: 3,79 kg Lunghezza: 833 mm (calcio esteso),
630 mm (calcio ripiegato) Lunghezza canna: 251 mm Calibro: 9 mm Munizioni: 9 x 19 mm parabellum Cadenza di tiro: 500 colpi al
minuto Tiro utile: 100 |
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Stielhandgranate M1924 Tipo:bomba a mano Peso: 595 gr di cui 170 di carica Diametro testata: 7 cm Lunghezza: 36,5 cm Gittata max: 36 m Gittata utile: 15 m. 15 CM nebelwerfer 41 Tipo: lanciarazzi multipla Peso: 1130 kg Lunghezza canna: 1,3 m Calibro: 150 mm Numero canne: 8 Gittata max: 1950-2200 m |
80 CM (E) Schwerer Gustav Lang
cannone Tipo: supercannone ferroviario a
lunga gittata Peso: 1334 tonnellate Lunghezza canna: 32,46 m Lunghezza: 47,3 m Calibro: 800 mm Cadenza di tiro: 1 colpo ogni
19-45 min. Gittata max: 37-47 km |
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Panzer III Tipo: carro media Equipaggio: 5 Peso: 19,5 t Lunghezza: 5,52 m Larghezza: 2,95 m Altezza: 2,50 m Velocità: 40 km/h Armamento: 1 cannone KwK 38 da 50
mm calibro L42 e due mitragliatrici MG 34 da 7,92 mm Corazzatura: frontale 50 mm,
laterale 30 mm, posteriore 50 mm |
Messerscmitt BF 109 Tipo: caccia Motore V12 Dailmer-Benz DB601Aa Lunghezza: 8,6 m Apertura alare: 9,8 m Velocità: 570 km/h Armamento: 4 mitragliatrici MG17
da 7,92 mm, un cannoncino MG17 da 7,92 mm, un cannoncino MGF da 20 mm |
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Armi e mezzi Russia. |
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Tokarev TT 33 Tipo: pistola semiautomatica Peso: 0,830 kg Lunghezza: 196 mm Canna: 116 mm Calibro: 7,62 mm Tiro utile: 50 m Alimentazione caricatore: 8 colpi |
PPS 42 Tipo: pistola mitragliatrice Peso: 2,95 kg Lunghezza: 641-907 mm Lunghezza canna: 273 mm Calibro: 7,62 mm Cadenza di tiro: 600-900 colpi al
minuto (ciclico), 100 colpi al minuto (effettivo) Tiro utile: 150 m |
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Ilyushin Il-2 Sturmovik Tipo: aereo d’attacco al suolo Equipaggio: 2 Lunghezza: 11,6 m Apertura alare: 14,70 m Peso: 4360 kg Motore: Mikulin AM-38F Velocità max: 452 km/h Armamento: 2 mitragliatrici ShKas
7,62 mm, 1 Berezin UB 12,7 mm, 2 cannoni Volkov-Yartsev VYa-23 23 mm, 200
bombe PTAB da 2,5 kg o 6 da 100 kg |
SVT-40 Tipo: fucile semiautomatico Peso: 3,95 kg Lunghezza: 1226 mm Lunghezza canna: 610 mm Calibro: 7,62 mm Gittata max: 13 km |
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7,62 MM M1939 F-22 USV Tipo: cannone da campagna Peso: 1470 kg Lunghezza: 5,95 m Lunghezza canna: 3,2 m Calibro: 76,2 mm Gittata max: 13 km |
PTRD-41 Tipo: fucile anticarro Peso: 17,3 kg Lunghezza: 2020 mm Lunghezza canna: 1350 mm Calibro: 14,5 mm Cadenza di tiro: 6/8 colpi al
minuto Tiro utile: 400 m Gittata max: 800 m |
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L’efficienza della Wehrmacht. L’esercito
tedesco, nel giugno 1941, era un’armata poderosa e temibile e soprattutto piena
di fiducia in sé stessa per le vittorie riportate. Dopo aver sottomesso ocn
relativa facilità gran parte dell’Europa, la Wehrmacht si impegnò in uno sforzo
gigantesco per piegare la Russia. Nell’Operazione Barbarossa i tedeschi
impiegarono 143 delle 216 divisioni di cui complessivamente disponevano
(comprese tutte le divisioni motorizzate) e 19 Panzerdivisionen su 21. La
Wehrmacht, forte dell’abilità tattica e dell’addestramento che aveva acquisito nelle
precedenti campagne, si scontrò inizialmente con truppe inferiori per qualità e
competenza, risultante in netta superiorità numerica sul campo di battaglia:
aveva un rapporto di 2 a 1 per quanto riguardava i soldati effettivamente
impiegati (sul fronte con la Germania l’Urss aveva disposto 170 divisioni su
300), di 1,5 a 1 per i carri armati, di 3 a 1 per gli aerei da guerra, e
disponeva di una leggera superiorità anche d’artiglieria. L’esercito
d’invasione, secondo la tradizione militare tedesca, fu strutturato su tre
Gruppi d’Armate: Nord (che doveva procedere verso Lelingrado), Centro (verso
Mosca), e Sud (verso il Don, il Volga e il Caucaso). Ognuno disponeva di
centinaia di migliaia di uomini e di migliaia di carri armati e veicoli: le
divisioni corazzate e motorizzate costituivano l’avanguardia, seguita dalle
divisioni di fanteria (ciascuna delle quali inquadrava circa 17mila uomini in
tre reggimenti di fanti, a loro volta composti da tre battaglioni con il
supporto di reparti di artiglieria e di controcarri, un reggimento di
artiglieria e diverse altre unità di supporto). La punta di diamante delle
forze tedesche erano i reparti di panzer, mentre un ruolo fondamentale lo
giocavano le truppe motorizzate che dovevano rapidamente penetrare nei varchi
aperti dai carristi. La fanteria dal canto suo era incentrata su mitraglieri e
lanciatori di bombe a mano, con un gra numero di fucilieri che agivano in
appoggio. Lo schieramento di terra godeva di un possente supporto tattico
aereo, dato che la dottrina dell’aviazione tedesca prediligeva l’impiego degli
aerei come strumenti sul campo di battaglia piuttosto che per bombardamenti
strategici. Per tutti questi motivi, l’urto iniziale tedesco fu devastante,
tanto da spingere la Wehrmacht molto all’interno del territorio nemico. Ma una
volta che l’irruenta avanzata fu arrestata (e le prime avvisaglie si ebbero già
quando i panzer iniziarono a distanziare la fanteria, e poi si trovarono a loro
volta a corto di rifornimenti), i rapporti di forza iniziarono a invertirsi,
prima di ogni altra cosa proprio sul piano numerico. Stalin, infatti, riuscì a
riorganizzare le truppe facendo affluire sempre più rinforzi anche dall’Asia. I
tedeschi, invece, per quanto si sforzassero di reclutare nuove truppe in tutta
Europa, fin dall’inverno 1941 videro avviarsi un processo di logoramento della
loro disponibilità complessive. Non a caso, proprio l’esperienza sul fronte
russo portò la Wehrmacht ad affrontare diverse riorganizzazione. Le divisioni
corazzate vennero via via ridimensionate nell’organico, riducendo a circa la
metà i carri armati che le costituivano, sebbene parallelamente cominciasse
l’introduzione di tank di maggior peso (i Panther e i Tiger). Nel 1942 vennero
riformate le unità motorizzate dando vita ai celebri Panzergrenadieren, una
fanteria meccanizzata le cui divisioni disponevano di sei battaglioni di
fanteria (di cui uno trasportato su semicingolati e il resto su autocarri), un
battaglione di carri armati (ma nella pratica ci si dovette spesso limitare a
caccia carri o cannoni d’assalto), unità di artiglieria trainata da camion o in
casi più rari semovente, più altri reparti di supporto. Fu quindi proprio sul
fronte orientale che l’armata tedesca affrontò la sua prova suprema e fu qui
che dimostrò ancora una volta e forse più che mai di essere una temibilissima
macchina da guerra. Ma allo stesso tempo si accorse presto di aver osato
troppo, dovendo fare i conti con i propri limiti strutturali e con un nemico
che per quanto colpito duramente fu sempre in grado di rialzarsi più forte e
numeroso di prima.
Duelli tra carri armati. Protagonisti assoluti del fronte
orientale furono i tank, impiegati a migliaia e per tutto il corso del
conflitto, come non era mai accaduto
in nessun altro teatro di guerra. Fu per rispondere alle esigenze del
fronte russo che i tecnici tedeschi e sovietici si impegnarono in una gara
per sviluppare sempre nuovi i modelli di carri armati, più efficienti e più
potenti. I migliori mezzi corazzati furono progettati e gettati nella mischia
in quegli scontri: dai possenti Panther e Tiger tedeschi, al solito KV4
sovietico, fino a quello che molti considerano il gioiello versatile e
affidabile, T34. Eccoli nei dettagli. |
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T34/85 Quando
comparve nel 1941, il T34 era il miglior carro armato del momento, con
velocità, corazzatura e armamento molto al di sopra degli standard
contemporanei, ma fu utilizzato da equipaggi impreparati e con tattiche
inadeguate e confuse. Costituì comunque una spiacevole sorpresa per i panzer
tedeschi che all’inizio dell’invasione della Russia ebbero vita facile. Anche
se fu rapidamente superato dal punto di vista della tecnologia e della
potenza, i sovietici non cessarono mai di apportare migliorie al loro mezzo
di punta e inoltra lo produssero in tal quantità da permettersi di sopportare
anche perdite ingenti. Era infatti facile da costruire e servivano 3mila ore
di lavoro contro le 55mila necessarie per un Panzer V Panther tedesco, e
riparare, era affidabile, veloce (raggiungeva i 55 chilometri orari su
strada, 15 in più del Panzer III o IV), manovrabile (i suoi cingoli larghi
gli permettevano di viaggiare facilmente fuoripista) e ben corazzato. A
differenza degli altri carri armati dello stesso periodo, montava un potente
cannone da 76,2 mm, e in un secondo tempo venne prodotta anche l’ancor più
temibile versione con bocca da fuoco da 85 mm. Nelle sue versioni il T34 fu
prodotto in 84mila esemplari e costituì la spina dorsale delle forze
corazzate sovietiche. Fu utilizzato anche da altre nazioni durante la Guerra
di Corea negli anni Cinquanta e nei conflitti arabo-israeliani dei decenni successivi.
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KV1 Il KV1 fu il principale carro pesante dell’Armata Rossa. Con la sua torretta singola, rappresentò l’abbandono da parte russa dei carri pesanti con torrente multiple sviluppati fino ad allora. La produzione sperimentale iniziò nel 1939, ma il suo primo impiego, quello stesso anno in Finlandia, non risultò all’altezza delle aspettative. Il KV1 andò comunque meglio degli altri prototipi impiegati sul campo, per cui si decise di continuare a svilupparlo cosa che portò ad avviare la produzione in serie apportando lacune migliorie. L’equipaggio di cinque uomini era formato da cinque uomini con un capocarro, un radio operatore, un cannoniere, un pilota e un servente. Con il progredire della guerra il progetto venne gradualmente migliorato. Il KV1B ricevette una corazza extra da 25-35 millimetri nella parte anteriore e sui fianchi dello scafo. La torretta passò dalla struttura essenzialmente laminata a quella interamente ricavata per fusione, aumentando lo spessore nel KV1C. Il cannone venne allungato, e nel 1943 il calibro 76,2 venne sostituito da cannoni da 85 millimetri (modello KV85). La versione KV15 era invece più leggera ma più veloce. Nel frattempo, fin dal 1940 era stata sviluppata la variante LV2 caratterizzata da una rande torretta cubica armata con un obi ce D10 da 152 mm. |
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Panzer V
Pahter. E’
considerato il miglior panzer di tutta la guerra, insieme al di sopra del suo
rivale diretto, il T34, delle cui caratteristiche i tedeschi tennero conto
per la progettazione del loro nuovo mezzo. A differenza del tank russo, però,
il suo limite stava nella complessità della costruzione, che sommata alle
difficoltà tedesche di rifornirsi di materie prime e di avere una elevata
produzione industriale, limitò a meno di 5mila gli esemplari prodotti. Il
Panzer V Panther (abbreviazione di Panzerkampfwagen V Panther) fu in servizio
dalla metà del 1943 fino alla fine del conflitto in Europa. Aveva una
eccellente combinazione di potenza di fuoco e protezione. Disponeva di un
cannone da 75 mm, di una corazza inclinata per garantire massima protezione e
peso contenuto, e di larghi cingoli con ampie ruote per una buona mobilità.
Fu schierato la prima volta nella Battaglia di Kursk, nel 1943, e da lì in
poi venne impiegato con successo su tutti i fronti. Furono sviluppate diverse
varianti: le principali furono la D, la G e una seconda versione della A.
l’equipaggio di 5 uomini era composto da un comandante, un cannoniere, un
servente, un pilota, un operatore radio/mitragliere. Alcuni Panther furono
tra i primi tank a essere dotati di un visore notturno a infrarossi per il
capocarro.
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Panzer VI
Tiger I e II. Il
Tiger è il panzer più celebre della Seconda guerra mondiale, in virtù della
sua imponenza e potenza. Due furono le versioni principali, in realtà
abbastanza diverse tra loro, in quanto il Tiger II, conosciuto anche come
Konigstiger (in tedesco “Tigre del Bengala”, ma spesso tradotto con l’inglese
King Tiger) era molto più grande della versione base. Il Tiger era un
progetto molto avanzato per l’epoca e divenne il terrore dei mezzi nemici su
tutti i fronti, anche perché il Tiger II con la corazzatura inclinata di
ultima generazione era praticamente invulnerabile al fuoco dei tank
avversari, e costituiva un ottimo strumento per resistere anche in condizione
di inferiorità numerica (per esempio sul fronte orientale il reparto di 4
Tiger 1/502 Aby eliminò 163 tank sovietici, di cui 32 in un solo giorno). Ma
c’erano anche dei limiti, a partire dalla sua complessità che rendeva
difficile alle stremate fabbriche tedesche avviare una produzione
numericamente significativa. Gravi problemi di approvvigionamento si
verificarono anche per la grande quantità di benzina necessaria ad alimentare
il suo potente motore. C’erano poi alcuni inconvenienti tecnici, come le
sospensioni che tendevano a bloccarsi per il fango e le pietre e la sua
lentezza. I Tiger vennero forniti soprattutto alle divisioni corazzate SS, ed
erano spesso spalmati di un cemento speciale chiamato Zimmerit che impediva
ai nemici di attaccare mine magnetiche sullo scafo.
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Le tattiche di
battaglia sul fronte orientale.
Sull’immenso fronte orientale la
tattica sconfinava nella strategia, essendo difficile da distinguere nettamente
lo svolgimento delle singole battaglie dal grande indirizzo della guerra. Il
teatro d’azione fu poi così vasto che si presentarono diversi scenari tattici
anche molto diversi fra loto dalle grandi offensive in profondità nelle ampie
distese di territorio, agli assedi con i combattimenti urbani casa per casa. Tre
furono gli schemi essenziali che in modo diverso i due comandi militari
applicarono: l’attacco decisivo (o Blitzkrieg), l’aggiornamento e la lotta
urbana.
La massima espressione delle
tattiche di attacco fu la celebre Guerra lampo tedesca, la Blitzkrieg, che
prevedeva l’impiego del Panzerkeil, ossia il cuneo di mezzi corazzati per
sfondare i punti deboli nemici e penetrare in profondità lo schieramento
avversario. Questo colpo di maglio aveva lo scopo di far crollare rapidamente
l’esercito nemico per arrivare a una veloce e vittoriosa conclusione dello
scontro bellico. Fu la Polonia, sul fronte occidentale e nei Balcani, e per
questo il Fuhrer volle applicarla anche in Russia, convito di sconfiggere il
nemico in pochi mesi entro il primo inverno di guerra, nel 1941. Egli infatti
era persuaso che l’Unione Sovietica fosse debole e fragile. “Dobbiamo solo
tirare un calcio alla porta e l’intera struttura, marcia, crollerà”, diceva. E
il calcio che voleva dare era davvero possente, sia per i numeri messi in capo
sia per l’approccio tattico delle divisioni tedesche. La Blitzkrieg (il vero
termine tedesco era Bewegugskrieg, guerra di movimento) si basava sull’uso
coordinato e intensivo dei migliori mezzi a disposizione. Una possente
artiglieria e un supporto aereo mirato (utilizzando soprattutto gli aerei da
attacco al suolo come gli Stukas, che puntavano alle forze nemiche più che
infrastrutture strategiche) avevano il compito di aprire la strada al cuneo
delle forze corazzate e motorizzate. Queste si schieravano con i panzer più
potenti davanti, seguiti dai carri medi e dall’artiglieria semovente, con in
coda la fanteria motorizzata. L’obiettivo tattico era quello di creare un varco
nel punto debole dello schieramento avversario, andando a minacciarne nodi
strategici e linee di rifornimento, senza soffermarsi a combattere contro tutte
le aree di territorio nelle mani dei nemici. A tale scopo l’esercito tedesco
aveva le sue truppe organizzate in divisioni specializzate, che concentravano i
carri armati nelle Panzerdivision e la fanteria autotrasportata nelle divisioni
meccanizzate dotate di veicoli blindanti e corazzati. L’impatto iniziale di
questa tattica fu devastante anche in Russia. Tali furono i successi che i
primi scontri fecero sembrare la Germania sul punto di ottenere un altro
trionfo lampo. D’altro canto, le tattiche contrapposte inizialmente dai
sovietici non erano assolutamente all’altezza del tipo di guerra che si stava
combattendo. L’Armata Rossa emergeva da una profonda crisi seguita alle purghe
staliniste e all’insuccesso della guerra con la Finlandia. Inoltre, Stalin
aveva predisposto lo schieramento difensivo al confine con la Germania con il
preciso scopo di non offrire alcuna provocazione a Hitler nella speranza che il
conflitto scoppiasse il più tardi possibile. I tedeschi – ben addestrati,
esperti e motivati – approfittarono di questi vantaggi: distrussero una buona
parte dell’aviazione sovietica mentre era ancora al suolo, conquistando il
controllo dei cieli. Colpirono il nemico nei suoi punti deboli: fecero strage
degli equipaggi carristi avversari, poco addestrati e mal coordinati, e
infierirono su una fanteria tanto numerosa quanto poco preparata.
Mitragliatrici contro artiglieria. Due tattiche specifiche utilizzate
sul Fronte orientale riguardano l’impiego di due tipologie di armi
differenti. Per la fanteria tedesca l’arma principe era la mitragliatrice,
perno di ogni squadra di soldati. Non a caso, durante il conflitto, ne
vennero sviluppati modelli modernissimi mentre si continuava a combattere con
fucili obsoleti. In effetti, i fucilieri venivano utilizzati solo come
ausiliari dei mitraglieri, per proteggerli. La mitragliatrice media se usata
in difesa aveva il ruolo di rompere l’attacco del nemico mentre in un assalto
doveva aprire la strada e accompagnare le truppe che avanzavano, andando a costituire un nucleo mobile di
fuoco. I mitraglieri erano addestrati a sparare in pochi secondi un’imponente
massa di proiettili, in modo da spezzare subito la resistenza nemica. Per
questa ragione, la mitragliatrice fu protagonista sia delle battaglie negli
spazi aperti sia nei conflitti urbani. Inoltre, i tedeschi puntavano su un
ampio utilizzo delle bombe a mano, che tra l’altro avevano il pregio di restare
efficienti anche nel freddo clima russo, a differenza delle armi da fuoco che
a volte gelavano. I sovietici, invece, si distinsero soprattutto per l’uso
dell’artiglieria che Stalin soprannominò “il dio della guerra”. Si è
calcolato che abbia provocato il 70% di perdite in combattimento ai tedeschi. I sovietici, nel
corso della guerra, come nessuno aveva mai fatto prima, istituirono intere
divisioni esclusivamente di artiglieria, strutturate su brigate con decine di canoni pesanti e obici. Si stima che i
russi arrivarono a schierare oltre
40mila pezzi durante la conquista di Berlino. Tra i diversi strumenti di
artiglieria, innovativi e tatticamente interessanti, furono lanciarazzi
famosi come i Katuscia che ebbero un grande impatto in battaglia: una delle
loro caratteristica era l’effetto devastante, in quanto i russi erano in
grado di saturare l’area bersaglio con molti razzi che esplodevano
contemporaneamente. |
I cecchini. Una guerra di movimento in vasti
spazi, con lo scontro di grandi masse spesso corazzate, non sembrava proprio
l’ideale per i tiratori scelti, che si erano affermati nelle trincee della
Prima guerra mondiale. Ma poi. Poi, proprio sul fronte orientale, i prolungati
confronti in aree urbane come Stalingrado e Leningrado (ma anche di tante
altre città in tutte le aree di combattimento) hanno fatto sì che i cecchini
assurgessero a un ruolo di primo piano tanto nell’esercito sovietico che in
quello tedesco. All’inizio della guerra l’Armata Rossa disponeva di pochi
cecchini, ma il loro numero aumentò rapidamente proprio nel corso del
confronto con i tedeschi a Stalingrado. I soldati più abili e coraggiosi
ricevevano un addestramento sul campo e un fucile con cannocchiale, e veniva data
loro “la licenza di caccia”. I cecchini si potevano avvalere di edifici in
rovina, cunicoli e fabbriche abbandonate, posizionandosi con accurata
mimetizzazione e lunghe e pazienti attese, nel tentativo di colpire bersagli
come ufficiali, carristi, serventi dell’artiglieria, tecnici delle
comunicazioni e cecchini nemici. I tiratori tedeschi e russi disponevano di
fucili selezionati, ma non ancora del tutto specializzati: tra i modelli con
le caratteristiche più adatte venivano scelti già in fabbrica quelli più
precisi, per fornirli ai tiratori insieme ad appositi strumenti telescopici.
Il fucile preferito dai russi il Mosin Nagant, anche se ne furono sviluppati
di più avanzati che venivano dati in premio ai soldati migliori. I tedeschi usavano
invece prevalentemente il Mauser K98k, una versione di precisione della
carabina delle truppe d’assalto. I più abili cecchini (e cecchine) tedeschi e
russi misero a segno centinaia di colpi, ma il record spetta a un finlandese,
Simo Haya, che durante la guerra d’inverno 1939-1940 uccise più di 700 russi,
grazie al fatto di riuscire a restare immobile nella neve per ore. |
La paralisi sovietica. C’era poi un altro
aspetto fondamentale in cui divergevano la mentalità tedesca da quella russa:
l’autonomia tattica degli ufficiali. I tedeschi da tempo aveva consolidato una
prassi secondo la quale i comandi superiori indicavano ai subordinati gli
obiettivi da raggiungere, lasciandoli libere di decidere il modo migliore per
farlo (Auftragstakitk. Ovvero la “tattica dell’incarico”). Questo garantiva
grande flessibilità e sviluppava lo spirito di iniziativa e lo sfruttamento
delle risorse migliori e più adeguate alle circostante. Al contrario,
nell’esercito sovietico regnava una certa paralisi, dovuta soprattutto al
terrore che ancora aleggiava per colpa delle epurazioni politiche che si erano
abbattute sull’Urss: di fatto ogni iniziativa era scoraggiata, regalando un
ulteriore vantaggio ai tedeschi. le prime tattiche difensive russe furono molto
lineari, limitandosi a opporre resistenza agli attacchi nemici e per di più con
uno schieramento spesso attacchi nemici e per di più con uno schieramento
spesso indebolito dall’indecisione che regnava sull’utilizzo dei carri armati:
in certi momenti, infatti, i sovietici distribuirono i tank lungo tutto il
fronte, come arma di supporto della fanteria, oppure li concentravano come
corpo corazzato a sé stante. Spesso i carri russi erano usati come avanguardia
posta a protezione delle ondate di fanti che venivano lanciate all’attacco
frontalmente.
Chiudere il nemico in una tenaglia. Il
corollario degli attacchi della Blitzkrieg era la tattica dell’aggiramento.
Sfondare uno o più punti del fronte aveva ancora più senso se era poi possibile
mettere in atto una manovra avvolgente con lo scopo di circondare le forze
avversarie e neutralizzarle. Una mossa messa in atto dai tedeschi continuamente
e su larga scala, che portò alla creazione di grandi sacche in cui furono
chiusi enormi contingenti nemici, i quali nella maggior parte dei casi si
arresero, tanto da permettere ai tedeschi di catturare in un colpo solo
centinaia di migliaia di prigionieri. I tedeschi furono in grado in molte
occasioni di applicare la strategia dell’accerchiamento, ma in alcuni casi non
ci riuscirono: nel 1941 a Mosca, per esempio, il generale Guderian fu a un
passo dall’accerchiare il capitale nemica, ma la resistenza e i rinforzi russi,
e le difficoltà che ormai avevano attanagliato le forze tedesche, lo
costrinsero a ritirarsi, e forse proprio in quel momento la sorte della guerra
cambiò. Nel frattempo i russi impararono a usare bene i concetti strategici che
fino ad allora erano stati usati con maestria dai nazisti. Riorganizzarono le
loro forze corazzate in armate specializzate capaci a loro volta di infliggere
duri colpi, tanto più che ormai avevano grande disponibilità di ottimi mezzi
quali i T-34, con equipaggi ormai forgiati dalla guerra. Furono quindi gli
stessi sovietici a iniziare ad applicare una tattica che a volte è stata
paragonata alla Blitzkrieg, con attacchi concentrati da parte dei tank. Gli
assalti sovietici però – anche grazie ai numeri di mezzi presenti – avvenivano
su un fronte più ampio rispetto ai cunei tedeschi e, infatti, di solito le aree
conquistate con queste offensive erano comunque più larghe che profonde. I
russi poi divennero presto maestri anche delle tattiche di aggiramento. Un
capolavoro lo compirono a Stalingrado, dove la lunga battaglia aveva reso la
città un cumolo di macerie. L’Armata Rossa colpì sui fianchi il nemico,
sbaragliando le truppe più deboli lungo il fronte e riuscendo a rendere
inoffensive le ancora temibili Panzerdivisionen tedesche. Chiusero così le
migliori truppe avversarie in una sacca, nella quale esse non ebbero scelta se
non quella di arrendersi o morire.
Scontri casa per casa. Stalingrado fu anche il
simbolo di un altro genere di conflitto, quello urbano. Esso fu la conseguenza
di una scelta strategica di fondo: i sovietici prima e i tedeschi poi, vista la
vastità del fronte, puntarono su un sistema di difesa per capisaldi,
concentrando le truppe nei nodi ritenuti strategici, dove applicare una
resistenza a oltranza. Si videro così furiosi combattimenti in alcune località:
Leningrado all’estremo nord e Sebastopoli in Crimea all’estremo sud furono
teatro di grandi assedi, il ritorno di una tattica antica (ma con una potenza
distruttiva infinitamente superiore) con l’artiglieria tedesca e i bombardieri
strategici bersagliare gli edifici in mano ai russi. Stalingrado invece fu lo
scenario di una guerra combattuta casa per casa, a volte con i russi a un piano
di un edificio e i tedeschi a un altro. Stalin e Hitler si intestardirono in
questa battaglia ed entrambi diedero ordine di prendere la città a ogni costo.
La difesa a oltranza russa, per quanto costosissima, era però avvantaggiata:
Mosca poteva continuamente alimentare la resistenza con rifornimenti e rinforzi
che raggiungevano la città da est. Al contrario, quando invece la VI Armata
tedesca fu accerchiata, la Germania non fu più in grado di aiutarla. Dopo aver
combattuto per mesi tra le macerie urbane, lottando per conquistare ogni metro,
in scontri che assomigliavano più alla guerriglia che alla battaglia campale,
con cecchini, nidi di mitragliatrici, mine e improvvisate trincee, i tedeschi,
infine, cedettero le armi ai russi.
Gli italiani in
Russia.
La spedizione in Unione
Sovietica fu la più grande e costosa delle imprese militari italiane durante la
Seconda guerra mondiale, soprattutto in termine di vite umane, considerando che
quasi la metà delle nostre perdite complessive durante la Seconda guerra
mondiale avvenne sul Fronte orientale. La Campagna di Russia – come altre in
precedenza – cominciò in un clima di condiscendenza, con l’idea più di cogliere
un risultato politico che andare a fare una guerra vera. Il ragionamento era
tanto semplice quanto sbagliato: mettersi in scia all’armata tedesca, che nel 1941
sembrava imbattibile, per poter partecipare a basso costo ai successi della
crociata anti-bolscevica sena lasciare a Hitler tutto il palcoscenico e la
gloria. Un modo di rifarsi rapidamente e a basso costo del fallimento in
Grecia. Non fu Hitler, infatti, a richiedere l’invio del contingente italiano,
che anzi non voleva, ma fu Mussolini a reclamare la propria parte per non resta
tagliato fuori. “La vostra decisione di prendere alla gola la Russia ha trovato
in Italia una adesione entusiastica”, scrisse il Duce al Fuhrer il 22 giugno
1941 dopo che questi gli aveva comunicato l’inizio dell’Operazione Barbarossa .
“In una guerra che assume questo carattere l’Italia non può rimanere assente,
vi ringrazio quindi di aver accolto la partecipazione di nostre forze terrestri
e aeree”. Più le prime che le seconde in realtà, perché in Russia una delle
cose che più mancò al contingente italiano fu proprio il supporto aereo. A
questo scopo Mussolini creò il CSIR (Corpo di spedizione italiano in Russia)
agli ordini di Giovanni Messe (1883-1968), da molti considerato il miglior
generale italiano del Secondo conflitto mondiale, che subentrò quasi
immediatamente a Francesco Zingales, che versava in cattive condizioni di
salute. Il Corpo era costituito da tre divisioni autotrasportabili (un termine
che risultò amaro, in quanto gli italiani scarseggiarono di mezzi di trasporto
e si mossero soprattutto a piedi) – Pasubio, Torino e 3a Divisione celebre
Principe Amedeo Duca d’Aosta – più altre unità tra cui la 63a Legione motorizzata
Tagliamento delle Camicie Nere e alcune squadriglie aeree. In totale il CSIR
disponeva di 62mila uomini, 83 aerei, 220 cannoni di calibro tra i 20 e i 105
mm, 92 cannoni anticarro da 47/32, 4600 animali da soma, sella e tiro, e 5500
automezzi. L’unica unità corazzata del CSIR era composta da 60 carri leggeri
L3/33 da 3 tonnellate (in confronto i tank sovietici arrivano anche a 50
tonnellate) inquadrata nella Celere. Il CSIR – schierato in Ucraina meridionale
nel settore operativo del Gruppo Armate Sud tedesco – nei primi mesi fu
impiegato soprattutto per inseguire i sovietici in ritirata e rastrellare le
retrovie con l’obiettivo di stanare i partigiani e le sacche di resistenza. Il
primo scontro a cui parteciparono gli italiani fu la Battaglia dei due fiumi,
tra Dnestr e il Bug, a metà agosto. A settembre tutto il corpo di spedizione
passò all’offensiva sul Dnepr, resistendo sotto una pioggia di fuoco ai
contrattachi sovietici che erano supportati da bombardamenti aerei e da un
intenso fuoco di artiglieria. Alla fine di quello stesso mese i diversi reparti
italiani si ricongiunsero nel villaggio di Petrikowka, concludendo
vittoriosamente la manovra, dopo aver distrutto 450 carri armati nemici e
catturato circa 10mila prigionieri, al costo di 90 morti e 200 feriti. In
ottobre cavalleria e bersaglieri guidarono l’avanzata fino alla città di
Stalino, la occuparono e vi impiantarono la base in cui trascorrere l’inverno,
non prima però di aver preso anche Rykovo e Gorlovka. Fu in quei giorni che si
svolse la Battaglia di Nikitovka, in cui un reggimento italiano fu accerchiato
dai fucilieri sovietici e perse centinaia di uomini. Dopo quella che era stata
un’avanzata di 200 km, si erano manifestati tutti i limiti logistici della
spedizione italiana, che non era attrezzata adeguatamente per il gelo russo e
non era in grado di garantire validi rifornimenti su distanze così enormi.
Ibuscenskij l’ultima carica. Due reggimenti di cavaleria, il
Savoia e i Lancieri di Novara, fecero parte della spedizione in Russia fin
dall’inizio, nell’estate 1941. Il loro primo contatto con il nemico avvenne
l’11 agosto. A settembre a Dnepropetowosk si verificò il loro primo
combattimento su larga scala. Agli squadroni di cavalleria era affidato il
compito della ricognizione, ma in molti casi i cavalleggeri dovettero
smontare e schierarsi nelle trincee per contrastare l’artiglieria russa. Il
17 ottobre il Savoia si impegnò nell’inseguimento dei nemici verso Stalino:
nei giorni successivi i cavalleggeri si distinsero per alcuni significativi
successi nel corso dell’avanzata, come la battaglia del Fiume Y. Con la
primavera del 1942 i reparti di cavalleria vennero riorganizzati nel
Raggruppamento autonomo cavalleria. Nell’agosto 1942 i Lancieri di Novara si
guadagnarono una medaglia d’oro al valor militare per gli scontri vittoriosi
nei dintorni di Jagodnij e di Bolschoj. In quello stesso mese era in corso una
controffensiva sovietica nell’ansa settentrionale del Don per alleggerire la
minaccia su Stalingrado. La notte tra il 23 e il 24 agosto a Isbuscenskij, i
soldati italiani si accorsero che alcuni reparti sovietici si erano portati a
ridosso del loro acquartieramenti. Al buio il Savoia Cavalleria si lanciò
alla carica e riuscì a travolgere i nemici. Solo in seguito si scoprì che 650
cavalleggeri italiani avevano avuto la meglio contro più di duemila soldati
siberiani. L’impresa non fu vana, perché in quell’occasione il fronte tenne,
e lo fece ancora per qualche settimana. Si trattò dell’ultima grande carica
di cavalleria dell’esercito italiano, che valse una medaglia d’oro allo
stendardo del reggimento. Proprio quel giorno il Savoia Cavalleria compiva
250 anni. |
Gli altri italiani in Russia. L’armata sul Don non fu l’unica
presenza italiana nella guerra contro l’Urss. Fu anzi lo stesso Hitler in
persona a chiedere a Mussolini alcuni reparti specializzati, divenuti famosi
e temuti dopo le imprese nel Mediterraneo: gli uomini della X Mas, con i loro
motoscafi, minisommergibili e commando acquatici. Essi vennero inviati sul
lago Ladoga, per fermare i rifornimenti a Leningrado assediata, e nel Mar
Nero, per contribuire all’assedio di Sebastopoli, in Crimea. Le missioni
italiane partirono nella primavera del 1942. Sul lago Ladoga venne costituita
la XII Squadriglia MAS, con 90 uomini e 4 motoscafi armati siluranti.
Trasferiti via terra cominciarono le operazioni navali il 25 giugno. In
quattro mesi, prima che il lago ghiacciasse. I MAS compirono 59 missioni e 17
scontri navali, affondando una cannoniera classe Bira, un cargo da 1300
tonnellate e danneggiando alcune motovedette e un convoglio russo,
costringendo inoltre i rifornimenti per Leningrado a cambiare rotta. Poi, nel
1943, i marinai furono richiamati in Italia. Analogamente, sul Mar Nero venne
costituita la IV Flottiglia MAS, articolata su 3 squadriglie con 10 MAS, 6
sommergibili tascabili CB, 5 motoscafi siluranti e 5 barchini esplosivi. Le
barche furono operative dal 4 giugno. Fu la IV MAS a impossessarsi del porto
di Balaklava, e tra le sue vittorie si conta il siluramento del moderno
incrociatore Molotov. In 15 mesi di attività, fino all’agosto 1943, i mezzi
italiani affondarono 3 navi da trasporto (più una quarta silurata da un MAS e
poi finita da un aereo) e 3 sommergibili sovietici. |
Stranieri d’Italia. Sul fronte russo, sotto le insegne
degli italiani, combatterono anche alcuni stranieri. Con i volontari dello
Stato indipendente della Croazia venne creata una brigata da inquadrare come
riserva di corpo d’armata aggregata al Regio Esercito in Russia. Il 26 luglio
1941 venne costituita la Brigata leggera motorizzata, formata da 1121 uomini
di cui 45 ufficiali e 67 sottoufficiali. Equipaggiamento e mezzi vennero
fornito dal Regio Esercito. Nell’aprile del 1942 l’unità venne inviata al
fronte come Legione Croata Autotrasportabile. Inserita nella 3a Divisione
Celere, ebbe il battesimo del fuoco l’11 maggior a Pervomajska, dove respinse
un attacco sovietico. In seguito continuò a distinguere per determinazione, e
raggiunse le rive del Donest. In dicembre fu circondata dai russi a Meskoff e
dopo tre giorni i pochi superstiti furono costretti alla resa. Secondo la
relazione ufficiale, della Legione Croata si salvarono solo due uomini, un
ufficiale e un soldato. C’erano poi i cosacchi russi. Durante i primi mesi del
1942, molti cosacchi ostili al bolscevismo si arresero volontariamente alle
truppe italiane. Da questi prigionieri venne costituito il Gruppo Squadroni
Cosacchi Campello, composto da circa trecento uomini, che nelle settimane
successive prese parte alle azioni di guerra, fino alla ritirata dell’ARMIR,
a cui parteciparono giungendo anche loro in Italiani tra i superstiti. |
Quelli che mancano all’appello. Dopo 75 anni in Russia si
continuano a trovare resti degli italiani caduti. È il della fossa comune di
Kirov, a 800 km da Mosca, dove sono stati rinvenuti migliaia di corpi, non
facilmente identificabili, probabilmente di prigionieri di guerra morti
durante i trasferimenti. Tra questi sono stati identificati due soldati
italiani, ma un’altra decina di militi ignoti sono probabilmente nostri
compatrioti. Sono decine di migliaia i dispersi italiani in Russia di cui dal
1943 non si è avuta più notizia. Molti saranno caduti durante quei feroci
combattimenti, ancora di più durante le estenuanti marce in condizioni
proibitive. È poi noto che decine di migliaia furono prigionieri dei
sovietici (almeno 70mila), e gran parte di loro morì di stenti nei campi di
prigionia (si stima 38mila). Secondo l’Unione nazionale italiana reduci di
Russia (UNIRR) i caduti e i dispersi furono circa 95mila, quindi un numero
discordante rispetto alle cifre ufficiali. Soldati dell'8ª Armata durante il trasferimento verso il fronte |
L’evoluzione dell’ARMIR. Alla fine di un rigido
inverno che aveva visto il contingente italiano impegnato in dure battaglie
difensive per frenare i contrattacchi russi, dall’Italia arrivarono rinforzi e
da luglio il corpo di spedizione fu trasformato nell’VIII Armata, nota come
ARMIR (Armata italiana in Russia). Fino ad allora il CSIR aveva subito 1600
morti, circa 400 dispersi e 5300 feriti senza contare i postumi da
congelamento. L’ARMIR, al comando di Italo Gariboldi, era composta dal II Corpo
d’Armata con le divisioni di fanteria Cosseria, Ravenna e Sforzesca, dal
Comando del Corpo d’armata Alpino con le divisioni Cuneense, Julia e
Tridentina. La divisione di fanteria Vicenza venne destinata alla sicurezza
delle retrovie. Si trattava di 230mila uomini. L’equipaggiamento di armi e
veicoli consisteva in 12mila automezzi, 4500 motomezzi, 25mila quadrupedi, 224
mitragliatrici da 20 mm, 28 cannoni da 65/17, 600 pezzi di artiglieria, 52
cannoni contraerei moderni da 75/32 del 201° Reggimento d’artiglieria
motorizzato e 54 cannoni anticarro da 75 forniti dai tedeschi. l’ARMIR fu
schierata sul fronte del Don per 270 km e supportò dall’esterno i tedeschi
nella grande battaglia di Stalingrado, stando all’ala sinistra. Quando i
sovietici sfondarono le difese delle truppe romene alleate dell’Asse e
accerchiarono i tedeschi in città, il fronte italiano si trovò terribilmente esposto.
A partire dal 16
dicembre 1942 una parte delle truppe fu travolta dall’offensiva russa
denominata più Piccolo Saturno e due Corpi d’armata furono messi in rotta, a
cui seguì una disordinata ritirata attraverso le gelide pianure russe. Identico
esito si verificò a gennaio del 1943, con una seconda offensiva sovietica che
stavolta obbligò al ripiegamento gli Alpini che fino ad allora avevano tenuto
le posizioni: è la drammatica ritirata rimasta impressa nell’immaginario
italiano. Il 17 gennaio la divisione alpina Tridentina, ancora in condizioni di
combattere, si mise alla testa delle colonne di fuggiaschi, nelle quali erano
confluiti anche molti sbandati ungheresi, romeni e persino tedeschi che erano
lontani dai loro reggimenti travolti dal nemico. Le divisioni Julia e Cuneense
si sacrificarono contro i carri armati sovietici per coprire il fianco
sinistro, e furono sgominate, così come la divisione di fanteria Vicenza. Fu
una ritirata attraverso centinaia di chilometri in condizioni climatiche
proibitive, con la neve alta e temperature che toccano i 40° gradi sotto zero,
con pochi mezzi di trasporto e vestiario insufficienti, mentre sovietici e
partigiani attaccavano senza sosta.
Giunti al villaggio di
Nikolajevka, che era il passaggio obbligato per uscire dalla sacca in cui i
sovietici stavano chiudendo l’ARMIR, il 26 gennaio 1943, in netta inferiorità
numerico e con un solo carro armato tedesco, gli Alpini della Tridentina
riuscirono nella disperata impresa di aprire una via di fuga, salvando così migliaia
di soldati. Il 30 gennaio i sopravvissuti raggiunsero Sebekino: per quelli che
ce l’avevano fatta il peggio era alle spalle. La Campagna di Russia si
concludeva però con un bilancio più che tragico: il 95% dell’equipaggiamento
era andato perso e le vittime italiane erano almeno 85mila. Il sogno di una
facile vittoria si era infranto.
Schede armi. |
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Mortaio da 81 mod. 35 Tipo: mortaio medio Peso di batteria: 59 kg Lunghezza: 1260 mm Lunghezza canna: 1150 mm Calibro: 81,4 mm Cadenza di tiro: 18-35 colpi/min Gittata: 3100 m |
Carcano 1891 Tipo: fucile Peso: 3,8 kg Lunghezza: 1285 mm Lunghezza canna: 780 mm Calibro: 6,5 mm Carcano Cadenza di tiro: 15 colpi al
minuto Gittata max: 3200 m |
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Moschetto automatico beretta mod.
38/a Tipo: fucile automatico (mitra) Peso: 4,8 kg Calibro: 9 mm Azionamento:
semiautomatico/automatico Alimentazione: serbatoio
caricatore da 10, 20, 30 o 40 colpi Cadenza di tiro: 550 colpi al
minuto |
Breda modello 1930 Tipo: mitragliatrice Peso: 10,80 kg Lunghezza: 1230 mm Lunghezza canna: 520 mm Calibro: 6,5 mm Cadenza di tiro: 475 colpi al
minuto Tiro utile: 800-900 m |
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Ansaldo Fiat L6/40 Tipo: carro armato leggero Equipaggio: 2 (pilota e armiere
capocarro) Lunghezza: 3,78 m Larghezza: 1,92 m Altezza: 2,03 m Peso: 6,8 t Velocità su strada: 42 km/h Armamento: 1 cannone automatico
Breda 20/65 mod. 1935 calibro 20 mm, 1 mitragliatrice Breda mod. 38 da 8 mm
coassiale al cannone. |
Cannone controcarro 47/32 mod. 35
elefantino Tipo: cannone controcarro Peso: 277 kg Lunghezza canna: 1680 m Altezza: 600 mm al ginocchiello Calibro: 47 mm Cadenza di tiro: 28 colpi al
minuto (granata da fanteria ad alto esplosivo HE). 12-14 colpi al minuto
(granata anticarro Effetto Pronto Heat) Gittata max: 7000 m |
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Armi e mezzi
del conflitto. Il fronte più
ampio e drammatico della Seconda guerra mondiale fu anche il teatro di
impiego di armi per l’epoca innovativa, o comunque capaci di lasciare un
segno nella storia militare. I tedeschi spiccarono per innovazione e sviluppo
tecnologico, ma anche l’Unione Sovietica mise in campo alcuni progetti
davvero importanti (oltre al carro armato T-34 si pensi all’introduzione del
lanciarazzi), anche se i russi diedero la priorità alla standardizzazione dei
progetti principali per potersi assicurare una produzione basta prima di
tutto sulla quantità. |
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Katiuscia Il
lanciarazzi sovietico BM (Bolevala Mashina, Macchina di combattimento) fu
presente fin dal 1941 su tutti i campi di battaglia del fronte orientale.
Marcano la lettera K di Komintern, venne presto sopranominato dai soldati
Katiuscia in onore della protagonista di una canzone in voga in quel periodo.
Per i tedeschi e i loro alleati invece il lanciarazzi era Scheda BM-13 Tipo:
lanciarazzi Peso: del
mezzo 7,2 tonnellate Lunghezza del
mezzo: 6 m Numero di
rotaie: 8 doppie Numero di
razzi: 16 Calibro: 132
mm Serventi: 6 Gittata: 8000
m
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Lavochkin La 7 Caccia
monomotore ad ala bassa sviluppata in Unione Sovietica nella seconda fase
della guerra. Molti lo considerano il miglior caccia da duelli aerei al
mondo. Era un’evoluzione del La-5 ma con materiali migliori, come la
struttura alare in lega di alluminio invece che in legno. Con le modifiche
apportate si rivelò più veloce del Focke-Wolfe Fw 190 A-8 e poteva superare
in cabrata e in varata sia l’Fw190, sia il Messerschmitt Bf 109G. Il La 7 fu
scelto come caccia da Ivan Nikitovic Kozedub, il più grande asse delle forze
alleate, con 62 vittorie riconosciute: fu l’unico pilota sovietico ad
abbattere un jet a reazione ME262 tedesco, e per errore abbatté due P-51
statunitensi. Scheda: tipo: caccia equipaggio: 1 lunghezza:
8,67 apertura
alare: 9,80 m peso: 2605 kg motore:
radiale Shvetsov ASh-82FN velocità max:
680 km in quota armamento: 2
cannoni ShVAK calibro 20 mm o 3 Berezin B20 calibro 200 mm, 200 kg di bombe. |
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PPSH-41 E’
una delle armi più rappresentative del soldato sovietico durante la Seconda
guerra mondiale, un mitra tra i più temuti di tutto il conflitto,
soprannominato dagli italiani Parabellum. Ad alta cadenza di fuoco, aveva
spesso un caratteristico caricatore a tamburo circolare che poteva ospitare
71 colpi, ben al di sopra della media dell’epoca.
Era considerato affidabile, versatile, potente, con l’unico limite di essere
però ingombrante. Fu una delle armi più usate di tutta la Seconda guerra
mondiale, con una produzione di oltre sei milioni di esemplari. Molte parti
erano ricavate per stampaggio alla pressa riducendo della metà i tempi di
lavorazione rispetto ad altri mitra, così che poteva essere realizzato in 7
ore di lavoro. Preciso fino a 100 metri ed efficace fino a 200, era
incredibilmente potente negli scontri ravvicinati in area urbana. Scheda: tipo: mitra
(ma venne formalmente definito pistola mitragliatrice) peso: 3,63 kg lunghezza: 843
mm lunghezza
canna: 269 mm calibro: 7,62
mm cadenza di
tiro: 1000 colpi al minuto tiro utile: 150-250
m |
Mosin-Nagant Fu
il fucile d’ordinanza della fanteria sovietica della Seconda guerra mondiale,
prodotto in quegli anni nella versione M1891/30 in 17 milioni di esemplari
(37 milioni in tutta la sua storia nelle diverse versioni). Ma è famoso soprattutto
per quei 330mila fucili selezionati in base alla qualità che servirono a
equipaggiare i numerosi e temuti tiratori scelti dell’Armata Rossa. Dotati di
mirino telescopico modello PU, con un ingrandimento di 3,5 volte, questi
fucili erano ritenuti quelli di maggior precisione dell’epoca e in più erano
considerati robusti, affidabili e facili da usare e pulire. Furono
protagonisti lungo tutto il fronte orientale e in particolare nelle feroci
battaglie all’interno delle città, dove i cecchini russi si guadagnarono
grande fama. La versione originaria di questo fucile risaliva al 1891 ed era
stata l’arma più comune per i fanti russi durante la Prima guerra mondiale.
Venne ammodernato negli anni Venti e Trenta (da qui la sigla 1891/30) e reso
più semplice e da costruire. Il Mosin-Nagant – considerando che risulta
ancora utilizzato per esempio nella guerra civile siriana – vanta 120 anni di
servizio, cosa che ne fa il fucile con il record di presenza in
combattimento. Scheda Tipo: fucile a
otturatore girevole-scorrevole Peso: 4 kg Lunghezza:
1,287 mm Lunghezza
canna: 730 mm Cadenza di
tiro: 10-12 al minuto Tiro utile:
500 m (750 m con ottica) |
|
Sturmgewegr44
(STG44) L’STG44
è considerato il capostipite di tutti i fucili d’assalto moderni. Due sono
stati i segreti di quest’arma. Per prima cosa le munizioni, concepita come
intermedie tra quelle corte delle pistole e quelle lunghe dei fucili, una
novità assoluta per l’epoca; il calibro 7,92x33 mm Kurz offriva una gittata
maggiore delle pistole-mitragliatrici e una potenza d’impatto comunque
sufficiente. Il secondo aspetto era la capacità di fuoco selettivo, cioè la
possibilità di scegliere tra fuoco singolo e automatico. Venne fornito
soprattutto alle truppe d’assalto e alle Waffen-SS. Ma il costo di produzione
e il tempo necessario per farlo impedirono alla Germania di produrre
quest’arma in quantità sufficienti a mutare l’esito della guerra. Per l’StG44
fu pensato lo Zielgerat 1229, detto Vampir, un primo visore a infrarossi, che
veniva montato sopra un’ottica (munita di appositi filtri) per illuminare il
bersaglio proiettando luce infrarossa. Scheda: Tipo: fucile
d’assalto Peso: 4,31 kg Lunghezza: 940
mm Lunghezza
canna: 419 mm Calibro: 7,92
mm Cadenza di
tiro: 550-600 colpi al minuto Tiro utile: 300 m automatico 600 m semiautomatico |
Mg 42 Per
la potenza e l’efficacia con cui falciava i nemici, l’MG42 venne
soprannominata la sega di Hitler. Per i tedeschi la mitragliatrice era il
cuore delle tattiche di fanteria, l’elemento fondamentale della squadra sia
che essa andasse all’assalto sia che dovesse difendere una posizione. Ogni
squadra di fanti, di cacciatori, di paracadutisti o di genieri d’assalto aveva
almeno una MG34 o una MG42. Quattro squadre formavano un plotone, e i plotoni
componevano la compagnia, che aveva a disposizione quattro ulteriori
mitragliatrici. L’MG42 poteva essere trasportata e usata da un solo uomo,
anche durante gli assalti, oppure poteva essere montata su un treppiedi
diventando una mitragliatrice pesante, che dava il meglio con sei serventi
(tre dei quali destinati al trasporto di materiali e munizioni), pur
bastandone due per essere pienamente operativa. Poteva essere alimentata sia
a nastro (da 50 o 250 colpi) che tramite caricatore a tamburo da 50 o 75
colpi. Una sola MG42 era in grado di fermare l’avanzata nemica, e l’arma fu
estremamente efficace sul fronte russo, dove i sovietici usavano la tattica
dell’attacco a ondate di uomini. Scheda: Tipo:
mitragliatrice Peso: 11,60 kg
con bipiede, l’eventuale treppiede va aggiunto Lunghezza:
1220 mm Lunghezza
canna: 533 mm Calibro: 7,92
mm Cadenza di
tiro: 1200 colpi minuto Tiro utile:
1800 m |
|
Panzerfaust. I
tedeschi riuscirono a inventare lo strumento adatto per fornire ai fanti
un’efficace arma contro-carro portatile. Si trattava del Panzerfaust o “Pugno
corazzato”, un lanciagranate portatile, monouso, che funzionava in realtà
come un piccolo cannone sena rinculo. A differenza di molte altre armi
tedesche di rilievo, il Panzerfaust era un’arma semplice e poco costosa,
basato semplicemente su un tubo di lancio per bomba a carica cava con un
congegno di scatto e uno di puntamento. La caratteristica è che sparava una
granata di calibro superiore alla larghezza della canna. Dopo l’uso il tubo
di lancio veniva gettato. Si rivelò in grado di perforare la corazza di ogni
tipo di carro armato, e risultò anche molto efficace contro edifici e bunker.
Il limite stava nella sua gittata corta che imponeva al soldato di
avvicinarsi molto al bersaglio. Ne vennero create tre versioni crescenti,
dette 30, 60 e 100 in base ai metri della gittata. Alla fine della guerra
molti reparti tedeschi erano armati solo di questo strumento. A esso si
ispirarono i sovietici per realizzare il celebre Rpg della guerra fredda. Scheda: tipo:
lanciagranate anticarro portatile peso: 6,25 kg lunghezza: 1
metro calibro: 149
mm tiro utile:
30-100 m secondo la versione |
Panzerjager
elefant Sul
fronte orientale i tedeschi avvertirono la necessità di produrre rapidamente
caccia carri pesanti in grado di montare il cannone da 88/71 Pak 43 (derivato
da un cannone contraereo ad altissime prestazioni ancora più potente della
bocca da fuoco del Tiger II), da contrapporre ai sovietici T-34 e KV. I
caccia carri e i cannoni semoventi, due realtà simili ma non identiche,
furono assai diffusi nella Seconda guerra mondiale, specialmente sul fronte
orientale. Si trattava di mezzi che montavano cannoni più imponenti per
mettere fuori uso i tank avversari, rinunciando parallelamente ad altri
utilizzi. Visivamente, una caratteristica diffusa era quella di non avere
torretta: il cannone era montato direttamente sullo scafo, sia per maggior
sostegno sia semplicemente per rendere più rapida ed economica la costruzione
del mezzo. Tra tutti i caccia carri il più possente fu quello costruito dallo
scafo del Tiger II, con un cannone da 88. Prima (quando cioè esordì al tempo
della battaglia di Kursk) venne chiamato Ferdinand, poi dopo alcune modifiche
prese il nome Elefant. Incapace di difendersi da solo, questo mezzo era però
micidiale sue usato dietro la prima linea, grazie alla sua eccellete
corazzatura frontale e al cannone devastante. Gli ultimi esemplari si
mostrarono in grado di tenere testa ai maggiori carri nemici anche durante la
battaglia di Berlino. Scheda: Tipo:
semovente cacciacarri Equipaggio: 6 Lunghezza:
8,14 m Larghezza:
3,38 m Altezza: 2.97
m Peso: 65 t
(Ferdinand) 70 g (Elefant) Velocità max:
30 km/h Armamento: 1
cannone KwK 43/2 L/71 da 8,8 cm, 1 MG34 su scafo da 7,92 mm solo su Elefant |
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10 battaglie del fronte orientale.
Dubno
23 giugno – 30 giugno 1941
Fu uno dei più violenti
scontri di carri armati e si verificò presso le località di Dubno, Brody, Rovno
e Luc’k, nelle regioni occidentali dell’Ucraina. Le Panzer-Divisionen del
Gruppo d’armate del Sud, supportate massicciamente dalla Luftwaffe, affrontarono
7 corpi meccanizzati sovietici numericamente superiori in quanto a mezzi. I
tank sovietici, a quell’epoca guidata da carristi inesperti e impreparati,
operarono una serie di contrattacchi per contenere l’avanzata tedesca, ma
furono neutralizzati dai panzer tedeschi, che dopo quattro giorni di scontri
furiosi ottennero il dominio del campo e si aprirono la strada verso Kiev.
Leningrado
8 settembre 1941 – 27 gennaio 1944
Fu uno degli assedi più
lunghi e feroci della storia, durato 28 mesi e portato avanti con bombardamenti
aerei e d’artiglieria. L’attacco a Leningrado costituiva una delle tre
direttive dell’Operazione Barbarossa. I tedeschi per conquistare Leningrado
costituirono l’Heeresgruppe del Nord, con 28 divisioni per un totale di 475mila
uomini. L’attacco fu però respinto e le forze tedesche assediarono la città. la
fame per i russi fu terribile: nel solo gennaio del 1942 morirono di stenti
10mila persone al giorno. Anche una flottiglia italiana della XII MAS partecipò
all’assedio, pattugliando il Lago Ladoga. I tedeschi non riuscirono comunque a
conquistare la città.
Mosca
30 settembre 1941 – 31 gennaio 1942
Hitler era convinto che
prendendo Mosca avrebbe portato a termine un’altra delle sue guerre lampo,
perché i sovietici si sarebbero arresi. Ma doveva farlo prima del
sopraggiungere dell’inverno. Si fronteggiarono circa 1,5 milioni di soldati, i
tedeschi riuscirono davvero a raggiungere le porte della città, ma i russi
opposero una tenace e leggendaria resistenza, e con scontri sanguinosissimi. I
sovietici persero 700mila uomini e le forze dell’Asse circa 250mila, riuscirono
alla fine a fermare e poi respingere l’offensiva nemica. Fu il primo scacco che
la Wehrmacht subiva dall’Armata Rossa dall’inizio della Campagna di Russia.
Sebastopoli
30 ottobre 1941 – 4 luglio 1942
Una possente
guarnigione dell’Armata Rossa era asserragliata nelle fortificazioni della base
navale di Sebastopoli, in Crimea, porto della flotta del Mar Nero. L’esercito
tedesco supportato da truppe alleate (soprattutto romene ma anche da una
flottiglia italiana) provò a prendere d’assalto di assediare la città.
seguirono una serie di falliti contrattacchi russi. Solo a luglio 1942 al
termine di violenti e sanguinosi combattimenti ravvicinati supportati da
attacchi aerei e dal fuoco dell’artiglieria pesante (la Wehrmacht qui utilizzò
i più grandi cannoni della storia moderna), i tedeschi riuscirono a conquistare
Sebastopoli.
Stalingrado
13 settembre 1942 – 2 febbraio 1943
Fu senz’altro uno dei
punti di svolta della guerra. Fu anche un braccio di ferro ideologico e
politico fra Hitler e Stalin, di cui la città sul Volga portava il nome. Fu una
delle più feroci battaglie in ambiente urbano. I due eserciti si contesero
strenuamente ogni metro. I tedeschi arrivarono a controllare quasi tutta la
città, fatta eccezione per una stretta fascia nella quale si concentrò la
resistenza sovietica, che andò avanti fino a quando l’Armata Rossa, dopo
essersi riorganizzata, con una manovra a tenaglia rovesciò completamente la
situazione, trasformando gli invasori tedeschi in assediati. La VI armata del
generale Paulus resistette per settimane in attesa dei rinforzi ma poi,
contravvenendo agli ordini di Hitler, si arrese. Furono coinvolti più di tre
milioni di soldati, i caduti furono due milioni.
Caucaso
luglio 1942 – febbraio 1943
Nel 1942 il Piano Blau
mirava a sottomettere l’intera regione caucasica, occupando i passi montani e
piombando sui porti e giacimenti petroliferi del Mar Nero. La prima parte
dell’operazione ottenne rapidi successi, con il raggiungimento del massiccio
dell’Elbrus. A metà agosto le divisioni alpine tedesche scalzarono i sovietici
dalle posizioni d’alta montagna aprendosi la strada verso l’obiettivo, distante
solo 40 chilometri, ma poi i russi furono capaci di bloccare gli invasori prima
che si riversassero sulle pianure verso il mare. Di fronte al contrattacco
sovietico, alle sconfitte e gli arretramenti sul resto del Fronte orientale,
nell’inverno 1942 i tedeschi cominciarono la ritirata anche da qui, fino ad
arrivare oltre il Don nel febbraio 1943
Charkov
19 febbraio – 23 marzo 1943
Per il suo valore
strategico la città di Charkov è stata teatro di 4 importanti battaglie durante
la Seconda guerra mondiale. La terza battaglia Charkov ha rappresentato
l’ultimo importante successo delle truppe tedesche sul fronte orientale. Il
merito va al generale Erich von Manstein, che manovrando abilmente le sue
colonne di mezzi corazzati attaccò i russi sui fianchi e nelle retrovie. Benché
le divisioni tedesche fossero sotto organico, fecero strage soprattutto tra i
convogli logistici nemici. Conquistarono Charkov dopo 5 giorni di
combattimenti. Il successo di von Manstein arrestò momentaneamente l’offensiva
sovietica.
Kursk
5 – 15 luglio 1943
Quella di Kursk fu la
più grande battaglia di mezzi corazzati della storia. La Germania tentò la sua
ultima grande controffensiva mettendo in campo tutto quello di cui ancora
disponeva. Furono schierati quasi un milione di tedeschi e due milioni di
russi, oltre 2mila panzer per la Germania e 4-5mil tank per l’Urss, più 2mila
aerei per parte. I tedeschi puntavano a colpire sui fianchi un grande cuneo che
si era formato con l’avanzata sovietica, per intrappolare una parte dell’Armata
Rossa. I russi, però, erano a conoscenza del piano nemico, grazie alle
informazioni di una spia, e si prepararono bene. Le manovre dei tedeschi
ottennero parziali successi, ma a costi elevatissimi, così alla fine furono
costretti a desistere.
Budapest
24 dicembre 1944 – 14 febbraio 1945
A Budapest le forze
tedesco-ungheresi opposero una strenua resistenza all’avanzata dell’Armata
Rossa. Un assalto alla capitale ungherese venne inizialmente respinto a
novembre, poi a Natale intorno alla città si strinse l’assedio sovietico.
Hitler continuò a mandare in rinforzo divisioni corazzate, deciso a non cedere.
Le nuove truppe misero in difficoltà i russi tra attacchi e contrattacchi, ma
alla fine la resistenza fu sopraffatta e a febbraio quanto restava delle truppe
tedesche fuggì precipitosamente. Con la caduta di Budapest era aperta la strada
per Vienna.
Berlino
16 aprile – 2 maggio 1945
L’ultimo atto della
guerra in Europa si consumò nella capitale tedesca. Il 16 aprile le forze russe
scatenarono una grande offensiva attraverso i fiumi Oder e Neisse, per puntare
all’accerchiamento di Berlino. Stalin arrivò a mettere in concorrenza fra loro
i due generali Zukov e Konev, su chi per primo fosse riuscito a conquistare la
città. L’accerchiamento fu completato il 24 aprile. I tedeschi offrirono l’ultima
strenua resistenza casa per casa, tanto che la battaglia (dall’esito scontato
viste le soverchianti forze di Mosca) costò comunque ai russi più di 350mila
caduti e la perdita di quasi 2mila carri armati e pezzi di artiglieria. La
capitolazione della capitale del Terzo Reich fu firmata il 2 maggio.
Una
incredibile vittoria grazie alla guerra patriottica.
A un certo punto della
guerra la possente armata tedesca che aveva travolto l’enorme schieramento
russo, arrivando alle porte di Mosca e Leningrado, iniziò a essere respinta.
Imponendo la resistenza a oltranza a Stalingrado, Hilter aveva rinunciato a
forze che gli avrebbero permesso di manovrare con più efficacia sul fronte
meridionale. Tra il 1942 e il 1943 l’esercito tedesco era ancora temibile e in
grado non solo di rispondere alle offensive dell’Armata Rossa, ma anche di
continuare a contrattaccare, come avvenne per esempio a Kursk. Dal canto loro,
dopo lo sgomento per gli esiti devastanti delle prime battaglie i sovietici si
erano riorganizzati, grazie anche all’idea di Stalin di trasformare quello che
all’inizio era un conflitto ideologico in un Grande guerra patriottica. Il
nazionalismo nel nome della Madre Russia permise di dimenticare i danni causati
dalle purghe comuniste e rinfrancò soldati e cittadini unendoli in un’unica
resistenza all’invasore. Allo stesso tempo i nuovi quadri militari erano stati
ormai forgiati dai primi mesi di combattimento e le industrie russe avevano
iniziato a spedire al fronte tonnellate di materiale e mezzi, a cui si univano
i rinforzi che giungevano dai territori asiatici e dalla coscrizione. Così,
dopo un momento di equilibrio, la bilancia si inclinò a favore dell’Armata
Rossa e le sue divisioni iniziarono a riversarsi a ovest travolgendo i tedeschi
e costringendoli a indietreggiare, non solo fino ai confini dell’Urss, ma
attraverso tutta l’Europa orientale e poi fino a Berlino. Dopo la vittoria a
Stalingrado i sovietici (che nella primavera 1943 crearono le “Armate carri” –
Tankovji Armija – formate in genere dau due “Corpi carri” e un “Corpo
meccanizzato” ed equipaggiate con un numero di carri variabile tra 400 e 1000)
avanzarono di slancio di 500 chilometri, e quasi contemporaneamente costrinsero
i tedeschi a lasciare il Caucaso. Il contrattacco tedesco a Kursk – che diede
vita alla più grande battaglia di carri armati della Storia – dimostrò che la
Wehrmacht era ancora vitale, ma anche che non era più in grado di conseguire i
propri obiettivi strategici. Così l’Armata Rossa ricominciò a macinare terreno
in Ucraina, e poi dopo una nuova offensiva generale si spinse a sud fino in
Romania e in Polonia, mentre nella regione centrale i russi ripresero Smolensk
e poi proseguirono un’avanzata più lenta ma inesorabile. A nord i combattimenti
furono decisamente più statici, ma tra gennaio e marzo 1944 i russi avevano
raggiunto l’Estonia. Nell’estate del 1944 divenne protagonista il Fronte
centrale, con i sovietici che lanciarono con più di 120 divisioni (oltre 2,5
milioni di soldati contro 800 mila tedeschi) la grande Operazione Bagration,
che portò alla distruzione del Gruppo d’armate tedesco Centro, indebolito dal
trasferimento di truppe in Francia per contrastare lo sbarco in Normandia.
Anche i russi pagarono un altissimo prezzo (si stimano quasi 800mila caduti e
la perdita di 3mila mezzi), ma conquistarono la Bielorussia e raggiunsero la
Polonia, riuscendo nell’impresa di isolare e circondare sul Baltico il Gruppo
di armate Nord della Wehrmacht, che da quel momento fu praticamente fuori
gioco. Potendo contare su numeri enormi e rimpiazzi continui, nonostante le
perdite elevatissime, i sovietici entrarono a Varsavia nel gennaio 1945, poi
presero Budapest a febbraio e Vienna ad aprile. Nel frattempo era cominciata
una specie di gara fra le truppe del generale Georgij Zukov, quelle del
generale Konstatin Rokossovkij e quelle del generale Ivan Konev, per essere i
primi ad arrivare a Berlino. I tre fronti sovietici contavano complessivamente
2,5 milioni di uomini, 6250 carri armate, 7500 aerei, 41600 pezzi di artiglieria
e mortai, 3255 lanciarazzi Katiuscia su autocarro e 95383 veicoli a motore (fra
cui molti prodotti negli USA).
La guerra nei cieli. Il Fronte orientale fu anche un immenso campo di battaglia per le due aviazioni nemiche, la Luftwaffe tedesca e la VVS sovietica. come per le forze di terra, all’inizio la superiorità della Germania fu devastante, per qualità e capacità, e persino per numeri tattici (cioè quelli schierati effettivamente in battaglia, benché nel complesso i numeri dell’aviazione sovietica furono fin dall’inizio nettamente superiori sulla carta). Hitler iniziò l’Operazione Barbarossa con tre Luftlotte (flotte aeree), per un totale di 3mila aerei. Si trattava in gran parte di aerei destinati al supporto tattico sul campo di battaglia, e lo stesso valeva per i sovietici, che disponevano di 10/12mila aeroplani. L’obiettivo dei due Comandi era soprattutto la conquista della superiorità aerea sul campo di battaglia in supporto alle truppe terrestri, a cui si aggiungevano limitate azioni dei bombardieri contro obiettivi strategici. L’esordio tedesco fu come sempre sfolgorante: il primo giorno i tedeschi colpirono sistematicamente tutti i campi di volo sovietici identificati distruggendo a terra 1500 aerei nemici. Nelle stesse ore altri 300 aerei furono abbattuti in aria. Ma giunti a Mosca e Leningrado il vantaggio tedesco scomparve per i rigori dell’inverno, che creava seri problemi operativi ai velivoli, nonché per l’arrivo costante e massiccio di nuovi aeroplani sovietici al fronte. La guerra aerea non assunse mai una vita propria rispetto ai combattimenti sul terreno, come invece accade con i bombardamenti strategici Alleati. Furono protagonisti soprattutto i caccia, con i loro duelli, e gli aerei da attacco al suolo come i sovietici II-2 che armati di razzi erano in grado di creare seri danni ai carri armati tedeschi. Un ruolo importante fu anche quello dei trasporti, vista l’immensità del fronte e le difficoltà di approvvigionare le truppe, spesso in posizioni isolate (Stalingrado cadde per il fallimento del ponte aereo della Luftwaffe, mentre alcune sacche russe ottennero le loro vittorie grazie ai costanti rifornimenti). Dal 1943 la superiorità numerica della VVS si fece sempre più schiacciante, con in media 10mila aeroplanisempre attivi e operativi, contro i 3mila dei tedeschi. gli enormi numeri sui cieli del Fronte orientale contribuirono a far sì che molti piloti raggiunsero lo status di “asso” registrando i record assoluti di vittorie nella storia dell’aviazione militare: al tedesco Erich “Bubi” Hartmann vengono attribuite ben 532 vittorie certificate, 345 delle quali contro aerei sovietici quasi tutti caccia. |
La guerra partigiana. La guerra partigiana all’inizio
dell’invasione tedesca era inimmaginabile. Molte popolazioni locali accolsero
i tedeschi come liberatori contro i russi e si unirono a loro. Gli stessi
russi erano molto provati dai difficili anni dello stalinismo. I primi
movimenti partigiani ebbero quindi carattere marginale e raramente ebbero
quindi carattere spontanei. Con il tempo però la situazione cambiò e il
contributo della resistenza dietro le linee tedesche divenne un elemento
fondamentale dell’apparato militare sovietico. Lo spietato comportamento dei
nazisti (che impiegarono un numero enorme di uomini non per combattere al
fronte ma per ripulire i territori dalle persone osteggiate dal regime) e il
nuovo carattere patriottico della guerra spinse una quantità incredibilmente
alta di persone a sostenere lo sforzo bellico dell’Armata Rossa. Questa a sua
volta si organizzò assumendosi in prima persona il compito di organizzare
nuclei partigiani, inviando molti agenti speciali dietro le linee tedesche. All’inizio
del 1943 si contavano ormai tra i 120 e i 150mila partigiani, strutturati in
gruppi di cento uomini, soprattutto in Ucraina, Bielorussia e Crimea. I loro
obiettivi principali erano le linee logisti della Wehrmacht, e poi strade,
ferrovie, ponti, depositi. Costringevano inoltre i tedeschi a guardarsi le
spalle e a distogliere ulteriori truppe dal fronte per difendere le
installazioni strategiche. |
Assalto alla Germania. L’offensiva per
prendere la Germania orientale e Berlino iniziò il 16 aprile con un assalto
alle linee tedesche lungo i fiumi Oder e Neisse. Dopo molti giorni di intensi
combattimenti l’Armata Rossa fece breccia nella difesa tedesca e il 24 aprile i
sovietici avevano completato l’accerchiamento della capitale del Reich. I russi
furono in grado di schierare uno accanto all’altro, senza protezione migliaia
di pezzi di artiglieria, grazie all’assoluto controllo dei cieli. nel frattempo
la Wehrmacht radunava tutte le sue forze residue per una resistenza ad
oltranza, che aveva il sapore della disperazione: le truppe erano ormai formate
soprattutto da giovanissimi e e da anziani (dal 1944 era stata creata la
“milizia popolare”, il Volkssturm, armate e addestrata in modo approssimativo e
costituita da uomini non precedentemente arruolabili, come i membri della
Hitlerjugend – l’organizzazione giovanile nazista – i disabili, i feriti, gli
anziani), nonché da volontari stranieri che sapevano di non poter contare sulla
clemenza dei vincitori. Molti combattenti non disponevano più neanche di divise
e un’arma molto comune era il Panzerfaust portatile, un lanciarazzi anticarro
usa e getta. Fu comunque una battaglia ferocissima, nella quale i tedeschi
vendettero cara la pelle, perché ormai combattevano per la propria
sopravvivenza. Si stima che nonostante l’inevitabilità del risultato,
complessivamente le operazioni a Berlino (dal 16 aprile all’8 maggio) costarono
all’Armata Rossa 361367 morti, dispersi e feriti, e 1997 fra carri armati e
cannoni distrutti: impossibile calcolare le perdite tedesche. Il 30 aprile i
russi erano ormai a poche centinaia di metri dal Palazzo della Cancelleria; in
quelle stesse ore Adolf Hitler, dopo un frettoloso matrimonio con Eva Braun, si
toglieva la vita.
La città si arrese ai
sovietici il 2 maggio, la resa della Germania agli Alleati venne firmata cinque
giorni dopo, il 7 maggio, mentre l’8 i sovietici pretesero una nuova capitolazione
a Berlino nel quartier generale di Zukov. La guerra era finita degli oltre 70
milioni di morti complessivi stimati a causa della Seconda guerra mondiale,
almeno 30 milioni si registrarono sul Fronte orientale, che a tutt’oggi si può
considerare il fronte di guerra più esteso di tutta la storia militare, con i
suoi 1600 chilometri. I sovietici persero circa 10 milioni di soldati e tra 10
e 16 milioni di civili, i tedeschi e i loro alleati italiani, rumeni, ungheresi
e slovacchi 5,2 milioni. Fu qualcosa di gigantesco: la Germania subì sul Fronte
orientale l’80% di tutte le perdite della guerra. Nella campagna di Russia i
tedeschi videro distrutti più di 42700 carri armati e cannoni d’assalto e più
di 150mila pezzi d’artiglieria, i russi addirittura 96500. L’Armata Rossa, che
coscrisse 35 milioni di soldati rivendicò l’annientamento di 507 divisioni
nemiche. Per quanto riguarda gli aeroplani, i sovietici persero 102600 aerei,
di cui 46100 in combattimento, mentre i tedeschi ne persero 75700, di cui
16mila in combattimento. Ma una differenza fondamentale è che la Germania venne
consumata da queste perdite in modo irreparabile, mentre l’Urss riuscì a
rigenerare sempre le proprie risorse grazie all’enorme disponibilità di persone
ma anche di produzione industriale: nel solo 1944 l’Urss produsse 30mila carri
armati, 40mila aerei e 122mila cannoni. Oltre al proprio territorio, Mosca
liberò da sola almeno metà Europa.
Come ai tempi di
Napoleone, il grande orso russo era stato sul punto di essere domato, ma poi le
immense risorse che lo sostenevano dalle retrovie furono in grado di
trasformare una quasi sconfitta in una vittoria non solo trionfale, ma anche
permanente, con l’effetto di regalare all’Unione Sovietica di Stalin uno status
di impero e di superpotenza mondiali quale mai Mosca aveva raggiunto prima: con
in mano lo scalpo di Hiltler, i sovietici si prepararono a dominare metà del
mondo.
Schede e armi
della Germania. |
Stug III Tipo:
caccia-carri e cannone d’assalto Equipaggio: 4 Lunghezza:
5,38 m Larghezza:
2,98 m Altezza: 1,95
m Peso: 19.6 t Velocità max:
40 km/h Armamento: 1
cannone 75 mm StuK 40L/48, 1 mitragliatrice 7,92 MG34 Corazzatura:
frontale 80 mm |
|
Focke-Wulff FW
190 Tipo: caccia Equipaggio: 1 Motore: un
radiale BMW 801D-2 Lunghezza: 8,95
m Apertura
alare: 10,51 m Velocità: 656
km/h Armamento: 2
mitragliatrici MG 131 da 13 mm, 4 cannoni MG 151 da 20 mm, una bomba da 500
kg. |
Flack 88 Tipo: cannone
anti-aereo e anti-caccia Peso: 5,15 in
batteria, 6.86 t in trasporto Lunghezza:
7,62 m Lunghezza
canna: 4,66 m Serventi 6-10 Calibro: 88 mm Gittata max: 14860
m Tiro utile:
8000 m Cadenza di
tiro: 8 proiettili (fino a un massimo di 15) al minuto |
|
8,8 CM
Raketenwerfer 43 puppchen Tipo:
lanciarazzi anticarro Peso: 143 kg Lunghezza:
2972 m Altezza: 0,899
m Calibro: 88 mm Tiro utile:
350 m Gittata
massima: 750 m |
Jagdpanzer V
Jagopanther Tipo:
semovente d’artiglieria Equipaggio: 5 Lunghezza:
9,87 m Larghezza:
3,07 m Altezza: 2,71
m Peso: 45500 kg Velocità su
strada: 55 km/h Armamento: 1
cannone 8,8 cm Pak 43.3 L/71. 1 mitragliatrice 7,92 mm MG 34 |
|
Schede armi e
mezzi Russia |
ISU-122 Tipo: semovente d’artiglieria Equipaggio: 5 Lunghezza: 9,85 m Larghezza: 3,07 m Peso:45,5 t Velocità max: 37 Armamento: 1 obice da 122 mm A-195, 1 mitragliatrice DShK da 12,7 mm |
|
IS-1 Tipo: carro
armato pesante Equipaggio: 4 Lunghezza:
8,32 m Larghezza:
3,07 Peso: 45,5 t Velocità max:
37 Armamento: 1
obice da 122 mm A-195 1
mitraglitrice DShK da 12,7 mm |
152 MM
M1909/30 Tipo: obice Peso: 2810 kg Lunghezza:
5,84 m Lunghezza
canna: 2,16 m Calibro: 152,4
mm Cadenza di
tiro: 5-6 colpi al minuto Tiro utile:
8850 m |
|
Yakovlev Yak 9 Tipo: caccia Equipaggio: 1 Lunghezza:
8,54 m Apertura
alare: 9,80 m Peso a vuoto:
2750 kg Motore: a
pistoni Kimov VK 107-A Armamento: 2
motragliatrici BS 12,7 mm. 1 cannone SHVAk 20 mm |
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Articolo in gran parte
pubblicato su Storie di guerre e guerrieri, autori vari, Sprea Editori n. 23 –
altri testi e immagini da Wikipedia.
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