venerdì 20 marzo 2020

Donne al lavoro nel Medioevo


Donne al lavoro nel Medioevo
Al contrario di quanto si potrebbe credere, nel Medioevo erano molte le donne che lavoravano.


Preparazione collettiva del formaggio in un casolare (XIV secolo). 
Non solo tessitrici e filatrici casalinghe o, al massimo, aiutanti nelle botteghe dei mariti. Nel Medioevo le donne venivano impiegate in tutti i possibili settori, compresi l’edilizia, le miniere e le saline. Vi erano imprenditrici che si autofinanziavano con propri capitali ottenuti dalla vendita di abiti e gioielli. Alcune donne col proprio col proprio lavoro riuscivano a mantenere sé stesse e i propri familiari in difficoltà, o a saldare i debiti dei mariti in un momento in cui le retribuzioni erano commisurate alle capacità e quindi non dipendenti dal genere. Dal canto loro le nobildonne erano impegnate nelle attività più varie: dall’organizzazione di laboratori per il ricamo, alla gestione di miniere, alla direzione di opere di bonifica, all’impianto di caseifici, fino alla gestione di miniere, alla direzione di opere di bonifica, all’impianto di caseifici, fino alla gestione di alberghi. Lucrezia Borgia, ad esempio, era un’abilissima imprenditrice agricola impegnata in lavori di bonifica e in svariate attività, tra cui la produzione di mozzarelle di bufala (di cui tra l’altro era golosa). Non raramente finanziava i suoi affari vendendo i propri gioielli: sacrificando una catena d’oro costruì l’argine di un fiume. Analogamente la madre di Lucrezia, Vanozza Cattanei, con la vendita dei propri monili sovvenzionò la ristrutturazione di un albergo nel centro di Roma, garantendosi in tal modo una cospicua rendita.

Battuta di caccia: le donne al centro stanno tirando una freccia con l'arco, quella a sinistra suona un olifante per guidare le cacciatrici verso la preda (1407-09 circa).

Salari personalizzati.
Nel Medioevo i salari erano determinati dalla resa, indipendentemente dal genere. Nei lavori di precisione in cui rendevano maggiormente, le donne prendevano più degli uomini, come in Francia nel ‘300 chi rivestiva l’interno delle armature, e nel ‘500 le fabbricanti di passamanerie d’oro.

Donne al lavoro dentro casa. Immagine tratta dai Tacuina sanitatis (XIV secolo).

Donne e corporazioni, un rapporto difficile.
Contrariamente a quanto si pensa, nel Medioevo erano le corporazioni a rifiutare l’accesso alle donne, ma succedeva il contrario. Motivi di carattere economico, o di tutela della collettività, portavano – solo quando strettamente necessario – le istituzioni cittadine e le associazioni professionali a esigere che anche le donne fossero sottoposte alla giurisdizione corporativa in cui esse non avevano alcun interesse a entrare. Preferivano infatti organizzarsi da sole, cosa che consentiva loro di lavorare in nero, evitando le tasse e di non avere obblighi di alcun tipo. Questo scatenava a volte liti feroci con la corporazione: ad esempio nel 1306 le autorità cittadine e corporative veneziane si misero a cercare casa per casa le sarte, per obbligarle a pagare le tasse e a lavorare nel rispetto dei regolamenti.

Una donna al lavoro in una piantagione insieme ad un uomo.

Settori femminilizzati. Nonostante la sua capillare diffusione c’erano settori, come quello tessile, in cui il lavoro femminile prevaleva, dando vita a manifatture ben organizzate gestite di donne. Persino per la filature della lana, ritenuta tradizionalmente un’occupazione di basso profilo svolta a domicilio, esistevano delle professioniste, proprietarie della materia prima, che agivano autonomamente: a Barcellona alla fine del trecento alcune di loro davano vita a piccole aziende in cui assumevano apprendiste e giungevano a commercializzare direttamente il prodotto, vendendolo al mercato settimanale sulla piazza cittadina.
Tre settori esclusivamente femminili erano caratterizzati da notevoli e autonome capacità organizzative: le fasi preliminari alla trattura (che include l’avvolgimento del filo sul rocchetto); la filatura dell’oro; la confezione di veli e cuffie o di acconciature di seta e di cotone. Articoli, questi ultimi, destinati alle donne e che richiedevano un gusto prettamente femminile nell’ideazione. Perciò in tutta Europa veniva lasciata loro la gestione dell’intero ciclo produttivo (dalla realizzazione dei modelli, alla tessitura e alla commercializzazione), compreso il conferimento del capitale necessario ad avviare l’attività. Donne imprenditrici dotate di propri capitali commissionavano ad altre donne che lavoravano a domicilio (spesso, a loro volta, con delle apprendiste), la tessitura dei manufatti. Nella maggior parte delle attività spicca il massiccio coinvolgimento delle nobildonne come finanziatrici e come imprenditrici: nella Venezia d’inizio cinquecento le aristocratiche avevano fatto un business persino di un’attività prettamente casalinga con la confezione dei merletti intuendo la possibilità di successo di un prodotto raffinato ma di semplice manutenzione.
Molte di loro, poi, come mercantesse pubbliche, controllavano tutto il ciclo di lavorazione dell’oro filato (durante il XIV e il XV secolo) è il caso della “mercantessa” Pasqua Zantani, in carriera per trent’anni all’inizio del quattrocento; oppure partecipavano in prima persona a società commerciali per l’esportazione dei tessuti in tutta Europa. Altre operavano nella nascente arte della stampa (fino al XV secolo) firmando come editrici le pubblicazioni, come la nobildonna greca Anna Notaras, che aprì una tipografia a Venezia all’inizio del cinquecento per diffondere nella città lagunare la cultura della madrepatria. Altre ancora, soprattutto a Roma (come Vanozza Cattanel), erano attivamente impegnate nella gestione di alberghi e locande, vere miniere d'oro negli anni santi, oppure armavano navi (a Marsiglia nel trecento e nel quattrocento) e assoldavano pescatori per cercare il corallo nel mare della Sardegna, che facevano poi lavorare in perle da manodopera femminile alle loro dipendenze.

Aspetti di vita quorìtidiana femminile; la lavorazione del lino (Tacuina sanitatis, XIV secolo).


Le vie di finanziamento.
Per le donne di ogni ceto sociale la prassi abituale per mettersi in affari era quella di autofinanziarsi con la propria dote, o con la vendita di abiti e monili preziosi. Talvolta le donne utilizzavano i propri capitali, anziché in prima persona, per finanziare operazioni di microcredito, soprattutto a favore di aziende femminili. L’usanza era tanto diffusa che, tra il trecento e il cinquecento ovunque (da Roma, alla Germania, alla Spagna) esistevano apposite figure professionali, le “imperatrici”, dotate delle competenze tecniche necessarie a valutare i preziosi che altre donne cedevano in pegno, per ottenere somme da investire in attività manifatturiere.

Edilizia e miniere. Le donne medievali erano attivissime anche in attività molto faticose, nell’edilizia e nelle miniere: a Siena e a Pavia scavavano acquedotti e canali (dei 640 lavoratori reclutati nel 1474 a Pavia 284 erano donne, tra cui anche alcune bambine). Nel XIV e XV secolo in Francia e in Spagna le donne partecipavano come manovalanza alla costruzione delle cattedrali mentre a Messina nel XIII secolo avevano costruito le mura cittadine.
In Francia le donne occupavano un ruolo importante soprattutto nelle miniere di sale. In quelle di Salins (Jura), tra il quattrocento e il seicento le operaie svolgevano compiti di primaria importanza come maestranze specializzate, occupando ruoli chiave all’interno del contesto produttivo, con incarichi di fiducia tramandati di madre in figlia. Nelle loro mani si trovava la maggior parte dell’attività, e godevano (alla pari degli uomini), di indennizzi in caso d’infortuni o di malattia, e di una pensione d’invalidità o di vecchia accordata dal consiglio direttivo della salina, su richiesta dell’interessata che avesse lavorato a lungo (38-40 anni) e fosse ormai troppo debole e anziana o impossibilitata a lavorare.
Così, nel 1476, un’operaia ormai attempata che lavorava da 38 anni chiese e ottenne la pensione settimanale che “era consuetudine assegnare ai lavoratori della salina”, come raccontano i documenti amministrative delle miniere. E come lei molte altre sessantenni che lavoravano da una ventina di anni. Non tutte chiedevano però la pensione: secondo gli stessi documenti alla fine del quattrocento un’operaia di 80 anni lavorava ancora insieme alla figlia. Sorprendente poi la longevità delle impiegate nelle saline: alcune raggiungevano i 110 anni, e non si trattava di casi isolati. Neppure in questo settore mancava l’imprenditoria femminile: a Milano, ai primi del cinquecento, alcune fornaci che rifornivano di laterizi i cantieri delle principali costruzioni civili e religiose erano di proprietà e gestite da donne; a Gaeta, tra il 1449 e il 1453, con le proprie imbarcazioni un’imprenditrice riforniva di materiale da costruzione il cantiere reale del castello, come rivelano i libri mastri. Nel Lazio, negli anni novanta del quattrocento la nobildonna romana Cristofora Margani, vedova del mercante pisano Alfonso Gaetani ed erede delle importantissime miniere di allume di Tolfa (Civitavecchia), gestiva in prima persona l’attività occupandosi delle relazioni con i minatori, dei rapporti con il mondo mercantile e della consegna dell’allume alla Camera apostolica. Era cioè il fulcro di un universo in cui confluivano forze ecnomico-sociali diverse. In tutta l’Europa medievale, insomma, i documenti dimostrano uno straordinario brulicare di attività femminili del tutto impensate.

Articolo in gran parte di Maria Paola Zanoboni pubblicato su Storica National Geographic di gennaio 2019

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