Lo scandaloso amore fra la monaca Lucrezia Buti e il
frate-pittore Filippo Lippi.
Insegnò a Botticelli, stupì signori e principi e fu ammirato dai Medici,
Filippo Lippi insomma ebbe tante virtù, tranne quelle richieste dal saio col
quale obtorto collo dovette fare i conti. Oggi lo ricordiamo per i suoi meriti
artistici, ma nella Toscana del Quattrocento dove visse e lavorò lasciò il
segno anche per i pasticci giudiziari e le numerose turbolenze sentimentali. Ma
lo scandalo più gustoso di tutti fu anche quello che gli cambiò la vita ed
ebbe, incredibilmente, un lieto fine: il suo amore (im)possibile per ima bellissima
suora.
autoritratto Filippo Lippi
«Fu fra Philippo gratioso et ornato et artificioso sopra modo: valse molto nelle composizioni et varietà, nel colorire, nel rilievo, ne gli ornamenti d'ogni sorte, maxime o imitati dal vero o finti»
(Cristoforo Landino)
Fra Filippo di Tommaso Lippi (Firenze, 23 giugno 1406 – Spoleto, 9 ottobre 1469) è stato un pittore italiano.
Fu, con Beato Angelico e Domenico Veneziano, il principale pittore attivo a Firenze facente parte della generazione successiva a quella del Masaccio. Dopo un periodo iniziale, di stretta aderenza masaccesca, pur arricchita di spunti tratti dalla vita reale, come nelle opere coeve di Donatello e Luca della Robbia, Lippi si orientò gradualmente verso uno spettro più ampio di influenze, che comprendeva anche la pittura fiamminga.
In seguito il suo stile si sviluppò verso una predominanza della linea di contorno ritmica su tutti gli altri elementi, con figure snelle, in pose ricercate e dinamiche, su sfondi scorciati arditamente in profondità. Il suo stile, nell'età laurenziana, divenne predominante in area fiorentina, costituendo le basi su cui pittori come Botticelli cocrearono il proprio stile.
La Basilica del Carmine a Firenze.
INTRIGANTE. Nato
probabilmente a Firenze agli inizi del Quattrocento, Filippo proveniva da una
famiglia senza fortuna. La madre Antonia. Vedova di un macellaio, era talmente
povera da beneficiare di un’esenzione speciale delle tasse. Ancora bambino,
entrò nel Convento del Carmine di Firenze e nel 1421 – aveva allora circa 14
anni – professò i voti. Che sia stato lui a fare questa scelta è improbabile.
All’epoca erano i genitori a decidere la sorte dei figli: alcuni si destinavano
al matrimonio, altri (soprattutto i cadetti di entrambi i sessi) a Dio.
Appena arrivato in
convento Filippo si attaccò ai pennelli. Giorgio Vasari, nelle Vite de’ più
eccellenti pittori, scultori e architettori (1550, ampliate nel 1568) lo
descrive “fanciullo molto destro e
ingenioso nelle azzioni di mano, ma nella erudizione delle lettere grosso e
male atto ad imparare”. Insomma dato che lo studio proprio non gli andava
giù, i frati lo istruirono al mestiere più pratico di pittore. I soggetti di
Filippo erano soprattutto religiosi: dalle Madonne agli angeli, dai santi alle
scene di Annunciazione, il prete dimostrava di avere del talento. Nel Convento
del Carmine, in effetti, aveva incontrato Masaccio, il genio che aveva
rivoluzionato la prospettiva pittorica con il suo ciclo di affreschi sula vita
di san Pietro. Quello che mancava a Filippo, però, erano rigore e
organizzazione nel lavoro: era svogliato, si distraeva facilmente e il più
delle volte consegnava in ritardo le opere; spesso, inoltre, gli capitava di restare
senza soldi. Nel 1439 scrisse direttamente a Piero, il figlio maggiore del
signore di Firenze Cosimo de’ Medici, che era uno dei suoi protettori, per
battere cassa. In quanto poi ai sotterfugi, Filippo ne sapeva una più del
diavolo. Nel 1450, pur di non pagare il suo collaboratore Francesco del
Cervelliera, mise in atto una truffa. Quest’ultimo, infatti, lo chiamò in
giudizio perché non aveva ricevuto un compenso che gli spettava. Il monaco fece
allora una lettera a nome di Francesco, falsificandone la firma, in cui
dichiarava che il pagamento era già stato effettuato. L’affare finì male,
poiché entra,bi furono torturati – com’era abitudine quando si voleva far
parlare qualcuno – e, allo stremo delle forze, il Lippi confessò la sua
bravata.
INNAMORATO. Filippo aveva anche un debole per
le donne. E la cosa non era un segreto per nessuno. A tal proposito Vasari racconta
un episodio divertente, anche se non sappiamo se degno di fede: “Una volta, fra le altre Cosimo de’ Medici,
facendoli fare una opera, in casa sua lo rinchiuse perché fuori a perdere tempo
non andasse; ma egli statoci già due giorni, spinto dal furore amoroso una sera
con un paio di forbici fece alcune liste de’ lenzuoli del letto, e da una
finestra calatosi attese per moti giorni a’ suoi piaceri”. Un bel giorno
arrivò nella sua vita una donna che gli fece dimenticare tutte le altre. Si
chiamava Lucrezia Buti ed era nata a Firenze in una famiglia rispettabile. La
storia di Lucrezia non è molto diversa da quella di Filippo: probabilmente su
decisione dei genitori, nel 1454, assieme alla sorella Spinetta, si fece monaca
nel convento agostiniano di Santa Margherita a Prato. L’artista, che già
lavorava a un circo di affreschi nel Duomo di Prato, era stato nominato
cappellano di Santa Margherita. Quando nel 1456 ricevette l’incarico di
dipingere una tavola per l’altare del convento
(la Madonna della Cintola, oggi al Museo civico di Prato), chiese alle
monache di poter ritrarre il volto di Lucrezia nella figura di Santa
Margherita, “La qual cosa con molta
difficoltà gli concessero”, ricorda il Vasari. Tra una seduta di posa e
l’altra, tra il maturo Filippo e la ragazza – avevano trent’anni di differenza
– scoppiò la scintilla.
Salomè-Lucrezia Buti negli affreschi di Lippi a Prato
RIBELLE. I primi incontri furono segreti, ma ben
presto Filippo fu stanco di nascondersi e convinse Lucrezia a scappare con lui.
Durante la processione della Sacra Cintola (la cintura della Madonna, reliquia
preziosissima per gli abitanti di Prato), Lucrezia si mischiò tra la folla e
corse a casa dell’amato. Ma non rimasero soli a lungo: poco dopo furono
raggiunti da Spinetta, la sorella di Lucrezia, e da altre tre monache, che ne
avevano abbastanza della rigida vita del convento. Lo scandalo fu presto sulla
bocca di tutti e “le monache molto per
tal caso furono svergognate”, scrive ancora Vasari. Quel che è peggio è che
Lucrezia rimase incinta: partorì un bambino, Filippo (detto Filippino) che come
il padre diventerà pittore. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare,
episodi di questo genere non dovevano essere rari all’interno dei conventi,
dato che spesso i giovani abbracciavano la carriera ecclesiastica solo perché
obbligati.
Se per le suore di
Santa Margherita la fuga delle consorelle fu uno shock, i grandi del tempo si
fecero invece grosse risate. Giovanni, figlio di Cosimo de’ Medici, scrisse al
suo rappresentante a Napoli: “Che dello
errare di fra’ Filippo n’aviamo riso un pezzo”. Nel dicembre 1459, però
Lucrezia e le suore fuggite, forse divorate dai sensi di colpa oppure vittime
della pressione della comunità monastica, decisero di far ritorno in convento.
L’inversione di marcia fu di breve durata; nel giro di qualche mese caddero di
nuovo in tentazione e abbandonarono definitivamente il convento. Per Filippo e
Lucrezia si prospettava il lieto fine. Cosimo de’ Medici chiese infatti al papa
di proscioglierli dai voti, cosa che, sembra, fu concessa senza problemi. E a
quel punto iniziarono a vivere come una normale coppia ed ebbero anche un’altra
figlia, Alessandra.
La Sacra Cintola, chiamata anche Sacro Cingolo, è considerata la cintura della Madonna ed è la reliquia più preziosa di Prato, fulcro della religiosità cittadina. È custodita nell'omonima cappella del Duomo.
La Sacra Cintola è una sottile striscia (lunga 87 centimetri) di lana finissima di capra, di color verdolino, broccata in filo d'oro, gli estremi sono nascosti da una nappa su un lato e da una piegatura sul lato opposto (tenute da un nastrino in taffetà verde smeraldo), che la tradizione vuole che appartenesse alla Vergine Maria, che la diede a San Tommaso come prova della sua Assunzione in cielo.
Chiesa di Santa Margherita Prato
SCAPESTRATO. Malgrado ora avesse una famiglia
sulle spalle, Filippo non cambiò le sue cattive abitudini: anche negli ultimi
anni di vita ebbe fastidi con la giustizia per problemi di soldi. Morì nel
1469, lasciando Lucrezia da sola con due figli a carico. Fortunatamente per
lei, Filippino riuscì a rendersi subito indipendente: grazie alle ottime
lezioni del padre, fu accettato come apprendista nell’atelier di uno dei
migliori allievi che Filippo aveva avuto, Sandro Botticelli, e divenne nel giro
di poco tempo un grande artista. Sistemata anche la figlia con un matrimonio
vantaggioso, Lucrezia trascorse la vecchiaia a Prato, in una casetta che il
figlio le aveva comprato nella piazza principale. Fatto curioso, l’abitazione
si trovava proprio di fronte al Convento di Santa Margherita, quel monastero in
cui la sua vita, nel bene e nel male, era cambiata per sempre.
Articolo in gran parte
di Simone Zimbarti pubblicato su Focus Storia n, 140. Altri testi e foto da
Wikipedia.
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