venerdì 15 maggio 2020

Marziale poeta dell’eros.

Marziale poeta dell’eros.

Nella Roma del primo impero, Marziale fu una sorta di fustigatore dei costumi. Non era un moralista, ma un uomo di tale genio da riuscire a trasformare anche la volgarità in arte.

 

Profilo di Marco Valerio Marziale.

Donne viziose, uomini in cerca di facili soddisfazioni, rapporti promiscui, amanti più o meno stagionati, volgari arricchiti, sberleffi pungenti se non addirittura crudeli. Sono questi alcuni dei temi della poesia di Publio Valerio Marziale, una delle penne più sferzanti dell’epoca imperiale, attivo durante il I secolo d.C. e la cui memoria si è tramandata a lungo nei secoli successivi, tanto da essere conosciuta anche in epoca medievale: un codice contenente il liber de spectaculis e i primi dieci libri degli Epigrammi (Epigrammata) fu scoperto, atto al 1360, nella biblioteca di Montecassino da Giovanni Boccaccio, l’autore del Decameron, che fece conoscere il salace poeta latino anche a Francesco Petrarca.

 

I resti del foro di Bilbilis, patria del poeta, come si presentano oggi.

Spagna-Roma e ritorno. Marziale nacque a Bilbilis (probabilmente l’attuale Cerro de Bambola, presso Calatayud), in Spagna, il 1° marzo del 38 o del 41 d.C. La cittadina, inerpicata su una collina brulla, era famosa all’epoca per l’allevamento dei cavalli e per le fabbriche d’armi, che sfruttavano, per la lavorazione dei metalli, le acque del Salone, il fiume che scorre ai piedi del colle. I genitori di Marziale, Frontone e Flaccilla, erano benestanti e lo avviarono a buoni studi. Ricevette la prima istruzione in Spagna, educato da grammatici e retori. Nel 64, anno del Grande incendio di Roma, Marziale decise di raggiungere l’Urbe in cerca di fortuna. Nella capitale, prese contatto con personalità provenienti dalla Spagna, fra cui Seneca (il filosofo che era precettore di Nerone) e il poeta Lucano, entrambi nati a Cordova. Grazie ai due, si legò a personaggi potenti, come Gaio Calpurnio Pisone e Gaio Memmio Regolo. Purtroppo, una congiura ordita da Pisone ai danni di Nerone provocò, nel ’65, la feroce reazione dell’imperatore, che fece uccidere molti degli anici di Marziale. L’unico appoggio che gli rimase fu Polla Argentaria, vedova di Lucano (costretto al suicidio da Nerone). Per il poeta ebbe inizio la difficile vita del cliente, cioè libero cittadino costretto ad adempiere a una serie di obblighi nei confronti di un patronus, che ne ripagava i servizi garantendogli un donativo in cibo o in denaro. Nello stesso periodo, cominciò a vivere in un cubiculum al terzo piano di un’insula sul Quirinale e allacciò un rapporto di clientela con la famiglia del Flavii (che risiedevano sul medesimo colle), destinato a divenire fondamentale dopo l’ascesa al trono di Vespasiano, nel 69. Fu in quel periodo, probabilmente su richiesta dello stesso Vespasiano, che Marziale scrisse le sue prime poesie, i cosiddetti apophoreta, biglietti d’accompagnamento ai doni da offrire agli ospiti in occasione di feste e banchetti. Nell’80, per i giochi inaugurali dell’anfiteatro Flavio (il Colosseo), pubblicò il suo primo libro di epigrammi, il Liber de spectaculis, che gli diede fama. Come beneficio, l’imperatore Tito, figlio e successore di Vespasiano, gli concesso lo ius trium liberorum, che prevedeva una  serie di privilegi per chi avesse almeno tre figli. Marziale non era sposato, ma i privilegi gli furono concessi anche in seguito, assieme alla carica di tribuno militare e al rango equestre. Pubblicò in successione, con alterno successo, i primi quattro libri di epigrammi. Per breve tempo si trasferì al Forum Cornelii (Imoli), ospite di un amico, per tornare poco dopo a Roma, dove nel frattempo, con il principato di Traiano, il clima si era fatto più austero e poco adatto alla sua poesia sarcastica e ironica. In ogni caso, negli anni successivi, Marziale scrisse altri otto libri di versi. Nel 98, intanto, era tornato nella città natale, in Spagna, dove una ricca vedova sua amministratrice, una certa Marcella, gli aveva donato una casa e un podere. Nel 102, pubblicò il suo dodicesimo libro di epigrammi, per poi spegnersi, a 64 anni, nel 104.


L'anfiteatro Flavio, inaugurato nell'80 dall'imperatore Tito.

 

La penna acuminata di una mente diabolica.

(LA)

«Omnis Caesareo cedit labor Amphitheatro,
unum pro cunctis fama loquetur opus.» 

(Liber de spectaculis, 1)


Epigrammata, edizione del 1490.

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

  • "Liber de spectaculis" (giunto incompleto). Registra in 33 epigrammi gli spettacoli che furono tenuti per celebrare l'inaugurazione dell'anfiteatro Flavio (conosciuto in seguito come il "Colosseo") nell'anno 80 in pieno centro a Roma; celebra ed esalta la magnificenza dell'opera ed il suo autore, l'imperatore romano Tito (imperatore romano). Questo lavoro gli guadagnò l'ammissione all'ordine equestre e una piccola pensione. La mitologia classica è qui ancora molto presente.
  • "Libri I-XII", composti tra l'86 e il 97 (il XII nel 102, due anni prima della morte, dopo essersi ritirato a vita privata) e per lo più destinati a chi assisteva alle feste primaverili dedicate alla Dea Flora (divinità). Qui troviamo epigrammi di tutti i tipi, dai carmi celebrativi ed encomiastici a quelli maggiormente descrittivi, agli epigrammi funerari e di riflessione personale, con temi prevalentemente sessuali che seguono il filone erotico: vi si possono trovare domande per ottenere aiuti finanziari, scene di strada, ritratti umani, descrizioni di oggetti e luoghi, insulti e rimproveri.
Deride e prende di mira praticamente tutte le classi sociali ma innanzitutto gli strati più popolari, dal ricco ma stupido al vecchio che pretende d'esser ancor giovane alla matrona ipocrita che dietro un'apparenza di castità cela tutta la lussuria di cui può esser capace una donna; ma anche medici incompetenti, pseudo poeti senza alcun talento, ragazzini carini e vanesi, zitelle appassite e gente corrotta della più svariata specie e provenienza.
Ma è soprattutto nel Liber XII che Marziale dimostra più vistosamente che è affetto da solitudine, lontano da Roma, e se ne rammarica.
  • "Xenia" e "Apophoreta", indicanti i doni da inviare ai conoscenti ed agli amici e i bigliettini poetici che li accompagnano. I primi sono 124 epigrammi composti da un solo distico, i secondi 223 epigrammi. Entrambi sono con tutta probabilità stati composti su commissione attorno all'84-85.


(IT)

«Tutti i monumenti restano inferiori all'anfiteatro di Cesare: la fama celebrerà questo solo per tutti.[10]»



Diaulo era  chirurgo, ora è becchino:

in ogni sua impresa trovi gente distesa

(libro I, epigramma 30)

Hai il membro grossi, Papilio, come il naso

Perché tu possa, quando è duro, annusarlo

(libro VI, epigramma 36)

L’orecchio di Mario ti lamenti che puzza, Nestore, ma è colpa tua, che ci vai cianciando dentro

(libro III, epigramma 28)

Chiedi perché tanti eunuchi frequenta la tua Gella, Pannichio? Vuole scopare, non restare incinta

(libro VI, epigramma 67)

Da un occhio solo piange sempre Filenide.

Com’è possibile? Semplice è orba

(libro IV, epigramma 65)

Perché non ti mando i miei libri, Pantiliano?

Perché non voglio ricevere i tuoi

(libro VII, epigramma 3)

Taide ha i denti neri, Leconia bianchissimi.

Ragione? Questa li ha finti, l’altra veri

(libro V, epigramma 43)

Se odi applausi in quale bagno, Flacco.

È perché si ammira di Marone il ‘pacco’

(libro IX, epigramma 33)

Ti dici bella, Bassa, e pure vergine

Ma chi lo dice, quasi mai lo è

(libro V, epigramma 45)

Ti invitano a cene tutti i sodomiti, caro Febo

Chi mangia grazie al membro, non è tipo per me

(libro IX, epigramma 63)

 

Vespasiano, il primo imperatore della dinastia flavia con cui Marziale con tutta probabilità instaurò un rapporto di clientela.

 

La vita in versi. Fu proprio grazie alla sua arte che l’epigramma, forma poetica già sperimentata da altri autori, divenne un vero genere letterario (prima era piuttosto un passatempo divertente o un modo per veicolare polemiche politiche). La maestria di Marziale fu quella di fissare in pochi o pochissimi versi l’impressione di un attimo, i fatti minimi della vita quotidiana, i caratteri salienti di un personaggio, sempre riuscendo, però, a passare dal particolare al generale, creando così una galleria di soggetti universali. I temi della sua poesia sono leggeri e vengono sono leggeri e vengono affrontati con le armi della satira e della parodia. L’erotismo, che è uno dei suoi argomenti preferiti, sfocia a volte nella pornografia, ma non manca l’attenzione al bel vivere o alla morte, trattata sempre con delicatezza e la dovuta pietas. Marziale è un osservatore spietato e puntiglioso del mondo, spesso aggressivo ma mai astioso, e i suoi versi ci restituiscono un quadro vivo e realistico della società romana della sua epoca, popolata di sciocchi, invidiosi, speculatori, ghiotti, approfittatori, parassiti, rozzi arricchiti, prostitute, omosessuali attivi e passivi, adulteri e untuosi adulatori. Per rendere questi personaggi universali, Marziale ne accentua le caratteristiche particolari, le porta all’estremo limite, enfatizzando i difetti fisici o quelli caratteriali, trasformando i protagonisti dei suoi versi in maschere comiche. Tuttavia, non è un moralista, e se lo è, lo è suo malgrado. Non vuole insegnare agli altri come comportarsi, non ha un sistema etico di riferimento (a parte quello personale), ma si diverte a osservare il prossimo e a metterne in luce le assurdità,, i comportamenti bizzarri e contradditori. Non è mai indignato o scandalizzato da un gesto, ma solamente dalla persona che lo compie, che si diverte a deridere con il suo sorriso beffardo ma anche malinconico, perché dietro molte bizzarrie vede, da autentico poeta, lo scorrere inesorabile del tempo e il desiderio dell’uomo di fermarlo. Il suo linguaggio passa dal raffinato al plebeo, al letterario al colloquiale, con una libertà assoluta, perché l’unico scopo della sua poesia è arrivare a descrivere le cose nel modo più vivo e realistico possibile. Dopo la morte di Marziale, così Plinio il Giovane scrisse di lui: “Era un uomo ingegnoso, acuto e pungente, che aveva nello scrivere moltissimo di sale e di fiele, e non meno di sincerità”. Forse la più bella definizione che un poeta possa desiderare.

 

Articolo di Stefano Bandera pubblicato su Civiltà Romana n. 3 – altri testi e immagini da Wikipedia.


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