Marziale poeta
dell’eros.
Nella Roma del primo
impero, Marziale fu una sorta di fustigatore dei costumi. Non era un moralista,
ma un uomo di tale genio da riuscire a trasformare anche la volgarità in arte.
Profilo di Marco Valerio Marziale.
Donne
viziose, uomini in cerca di facili soddisfazioni, rapporti promiscui, amanti
più o meno stagionati, volgari arricchiti, sberleffi pungenti se non
addirittura crudeli. Sono questi alcuni dei temi della poesia di Publio Valerio
Marziale, una delle penne più sferzanti dell’epoca imperiale, attivo durante il
I secolo d.C. e la cui memoria si è tramandata a lungo nei secoli successivi,
tanto da essere conosciuta anche in epoca medievale: un codice contenente il
liber de spectaculis e i primi dieci libri degli Epigrammi (Epigrammata) fu
scoperto, atto al 1360, nella biblioteca di Montecassino da Giovanni Boccaccio,
l’autore del Decameron, che fece conoscere il salace poeta latino anche a
Francesco Petrarca.
Spagna-Roma e ritorno. Marziale nacque a
Bilbilis (probabilmente l’attuale Cerro de Bambola, presso Calatayud), in
Spagna, il 1° marzo del 38 o del 41 d.C. La cittadina, inerpicata su una
collina brulla, era famosa all’epoca per l’allevamento dei cavalli e per le
fabbriche d’armi, che sfruttavano, per la lavorazione dei metalli, le acque del
Salone, il fiume che scorre ai piedi del colle. I genitori di Marziale,
Frontone e Flaccilla, erano benestanti e lo avviarono a buoni studi. Ricevette
la prima istruzione in Spagna, educato da grammatici e retori. Nel 64, anno del
Grande incendio di Roma, Marziale decise di raggiungere l’Urbe in cerca di
fortuna. Nella capitale, prese contatto con personalità provenienti dalla
Spagna, fra cui Seneca (il filosofo che era precettore di Nerone) e il poeta
Lucano, entrambi nati a Cordova. Grazie ai due, si legò a personaggi potenti,
come Gaio Calpurnio Pisone e Gaio Memmio Regolo. Purtroppo, una congiura ordita
da Pisone ai danni di Nerone provocò, nel ’65, la feroce reazione
dell’imperatore, che fece uccidere molti degli anici di Marziale. L’unico
appoggio che gli rimase fu Polla Argentaria, vedova di Lucano (costretto al
suicidio da Nerone). Per il poeta ebbe inizio la difficile vita del cliente,
cioè libero cittadino costretto ad adempiere a una serie di obblighi nei confronti
di un patronus, che ne ripagava i servizi garantendogli un donativo in cibo o
in denaro. Nello stesso periodo, cominciò a vivere in un cubiculum al terzo
piano di un’insula sul Quirinale e allacciò un rapporto di clientela con la
famiglia del Flavii (che risiedevano sul medesimo colle), destinato a divenire
fondamentale dopo l’ascesa al trono di Vespasiano, nel 69. Fu in quel periodo,
probabilmente su richiesta dello stesso Vespasiano, che Marziale scrisse le sue
prime poesie, i cosiddetti apophoreta, biglietti d’accompagnamento ai doni da
offrire agli ospiti in occasione di feste e banchetti. Nell’80, per i giochi
inaugurali dell’anfiteatro Flavio (il Colosseo), pubblicò il suo primo libro di
epigrammi, il Liber de spectaculis, che gli diede fama. Come beneficio,
l’imperatore Tito, figlio e successore di Vespasiano, gli concesso lo ius trium
liberorum, che prevedeva una serie di
privilegi per chi avesse almeno tre figli. Marziale non era sposato, ma i
privilegi gli furono concessi anche in seguito, assieme alla carica di tribuno
militare e al rango equestre. Pubblicò in successione, con alterno successo, i
primi quattro libri di epigrammi. Per breve tempo si trasferì al Forum Cornelii
(Imoli), ospite di un amico, per tornare poco dopo a Roma, dove nel frattempo,
con il principato di Traiano, il clima si era fatto più austero e poco adatto
alla sua poesia sarcastica e ironica. In ogni caso, negli anni successivi,
Marziale scrisse altri otto libri di versi. Nel 98, intanto, era tornato nella
città natale, in Spagna, dove una ricca vedova sua amministratrice, una certa
Marcella, gli aveva donato una casa e un podere. Nel 102, pubblicò il suo
dodicesimo libro di epigrammi, per poi spegnersi, a 64 anni, nel 104.
L'anfiteatro Flavio, inaugurato nell'80 dall'imperatore Tito.
La penna acuminata di una mente
diabolica.
|
La vita in versi. Fu proprio grazie alla
sua arte che l’epigramma, forma poetica già sperimentata da altri autori,
divenne un vero genere letterario (prima era piuttosto un passatempo divertente
o un modo per veicolare polemiche politiche). La maestria di Marziale fu quella
di fissare in pochi o pochissimi versi l’impressione di un attimo, i fatti
minimi della vita quotidiana, i caratteri salienti di un personaggio, sempre riuscendo,
però, a passare dal particolare al generale, creando così una galleria di
soggetti universali. I temi della sua poesia sono leggeri e vengono sono
leggeri e vengono affrontati con le armi della satira e della parodia.
L’erotismo, che è uno dei suoi argomenti preferiti, sfocia a volte nella
pornografia, ma non manca l’attenzione al bel vivere o alla morte, trattata
sempre con delicatezza e la dovuta pietas. Marziale è un osservatore spietato e
puntiglioso del mondo, spesso aggressivo ma mai astioso, e i suoi versi ci
restituiscono un quadro vivo e realistico della società romana della sua epoca,
popolata di sciocchi, invidiosi, speculatori, ghiotti, approfittatori,
parassiti, rozzi arricchiti, prostitute, omosessuali attivi e passivi, adulteri
e untuosi adulatori. Per rendere questi personaggi universali, Marziale ne
accentua le caratteristiche particolari, le porta all’estremo limite,
enfatizzando i difetti fisici o quelli caratteriali, trasformando i
protagonisti dei suoi versi in maschere comiche. Tuttavia, non è un moralista,
e se lo è, lo è suo malgrado. Non vuole insegnare agli altri come comportarsi,
non ha un sistema etico di riferimento (a parte quello personale), ma si
diverte a osservare il prossimo e a metterne in luce le assurdità,, i comportamenti
bizzarri e contradditori. Non è mai indignato o scandalizzato da un gesto, ma
solamente dalla persona che lo compie, che si diverte a deridere con il suo
sorriso beffardo ma anche malinconico, perché dietro molte bizzarrie vede, da
autentico poeta, lo scorrere inesorabile del tempo e il desiderio dell’uomo di
fermarlo. Il suo linguaggio passa dal raffinato al plebeo, al letterario al
colloquiale, con una libertà assoluta, perché l’unico scopo della sua poesia è
arrivare a descrivere le cose nel modo più vivo e realistico possibile. Dopo la
morte di Marziale, così Plinio il Giovane scrisse di lui: “Era un uomo
ingegnoso, acuto e pungente, che aveva nello scrivere moltissimo di sale e di
fiele, e non meno di sincerità”. Forse la più bella definizione che un poeta
possa desiderare.
Articolo di Stefano
Bandera pubblicato su Civiltà Romana n. 3 – altri testi e immagini da
Wikipedia.
Nessun commento:
Posta un commento