i mobili nell’antica Roma: i letti fra vizio e riposo.
Non erano mobili pensati soltanto per dormire o riposare, ma anche per studiare, intrattenersi con gli ospiti, oppure sdraiarsi a mangiare, durante i fastosi e interminabili banchetti dell’Urbe.
riproduzione di un triclinium
Il letto era certamente l’arredo più comune nelle case romane, e a volte poteva essere addirittura il solo. In ogni caso, i Romani dormivano (di notte, di giorno e durante le ore di riposo pomeridiane), mangiavano, ricevevano gli ospiti, scrivevano e leggevano. Naturalmente si trattava di tanti letti diversi, pensati appositamente per ciascuno scopo, e diversi anche in base al ceto e al censo dei loro possessori. Il popolo, in genere, si accontentava di un letto di mattoni, attaccato al muro e ricoperto con un pagliericcio, mentre le classi più agiate avevano un numero variabile di letti, a secondo dell’uso che ne facevano, e si trattava assai spesso di mobili estremamente lussuosi.
triclinium
Un nido domestico. C’era, come oggi, il letto singolo, a una piazza chiamato lectus cubicularis, su cui si usava dormire, riposare o anche studiare (in tal caso, era definiti lectus lucubratorius); c’era il letto matrimoniale, a due piazze, chiamato lectus genailis, destinato alla consumazione del matrimonio e alla procreazione; c’era poi il triclinio (triclinium), letto a tre posti, pensato per la stanza da pranzo, su cui ci si sdraiava a banchettare. Dai triclini furono poi ideati anche pomposi letti a sei posti, messi in mostra da chi voleva rendere evidente la propria ricchezza e il fasto della sua casa. Tutti questi letti potevano esser fabbricati con diversi materiali: il più usato era naturalmente il legno, ma non mancavano i letti di bronzo. Il legno veniva scolpito e lavorato, per conferirgli l’aspetto più ricco possibile: allo scopo, oltre a legni robusti come la quercia, l’acero o il cipresso, venivano utilizzate anche essenze esotiche, dalle nervature ondulate e dai riflessi cangianti, che ricordavano il piumaggio e davano l’impressione di letti multicolori che, per questo motivo, venivano chiamati lecti pavonini. Infine, esistevano letti dai telai compositi, con la cornice di legno e i piedi in bronzo, oppure la cornice di bronzo e i piedi in avorio. Tutti questi materiali, a loro volta, potevano subire lavorazioni diverse, per esempio, era decorato con oro e argento, e il legno abbellito con intarsi in tartaruga. Letti differenti avevano anche usi differenti. Il lectus genialis, cioè il talamo nuziale, era a due piazze e vi veniva condotta la sposa il giorno delle nozze. Lo sposo la prendeva in braccio, in modo che non toccasse la soglia di casa con il piede sinistro, atto ritenuto infausto. Si trattava, si trattava, si può dire, di un letto “da cerimonia”: a volte. dopo avervi consumato la prima notte di nozze, le matrone lo facevano spostare nell’atrio della domus e, assise su di esse come su un trono, dirigevano le attività domestiche. In questo caso, prendeva il nome di lectus ad versus, poiché veniva sistemato di fronte all’ingresso della casa. Il letto nuziale era piuttosto alto, e per salirvi erano necessari sgabelli o una bassa scaletta. Bisogna dire che, in genere, gli sposi romani preferivano letti singoli, anche se dormivano nella stessa stanza, a volte disposte a L.
Dal letto alla stanza. Dal triclinio prese nome il locale della domus in cui veniva servito il pranzo. Attorno al tavolo centrale erano posti i tre letti, chiamati, in ordine di importanza, summus, medius e imus. Il pranzo era un vero rito per i Romani ricchi e durava dal primo pomeriggio fino a notte inoltrata. I commensali prendevano posto sui letti in modo tale da evidenziare la loro importanza, che cresceva man mano che ci si avvicinava al padrone di casa. Le pareti e i pavimenti del triclinio erano decorate con mosaici e affreschi, che spesso rappresentavano Dionisio, il dio dell’ebbrezza, o Venere, la dea del piacere. Le case dei patrizi avevano in genere due triclini, ma non erano rare le domus che ne ospitavano addirittura quattro o cinque. In questi casi, il cosiddetto triclinus maius (triclino maggiore) veniva utilizzato per le feste con molti invitati. Spesso, durante i banchetti, nelle sale da pranzo si svolgevano anche spettacoli di mimi e giocolieri per divertire gli ospiti. |
Studiare e mangiare. Il lectus cubicularis, cioè il lettino singolo, assomigliava a un divano. Chiuso su tre lati da una spalliera, che serviva anche a contenere il materasso, di norma si trovava nella stanza da letto, chiamata cubiculum perché aveva la forma di un piccolo cubo privo di finestre e riceveva aria e luce esclusivamente dalla stanza adiacente. Per questo motivo, la porta consisteva spesso in una semplice tenda. La spalliera poteva essere di legno verniciato, oppure rivestito con un’imbottitura, ma esistevano anche spalliere in vimini intrecciato. Non era raro l’uso di un modello ancora più semplice, senza spalliere. Entrambi questi letti singoli erano basi, dalle strutture leggere e con un materasso (il torus) non troppo spesso, ma riccamente foderato di belle stoffe colorate. Imbottito di fieno, paglia, foglie secche, lana o piume, in origine veniva coperto con una pelle di capra o di pecora, poi sostituita da lenzuola e coperte. La struttura che reggeva il materasso era formata da stanghe di legno o da strisce di cuoio. Affine al lectus cubicularis era il lectus lucubratorius, su cui ci si stendeva per studiare. Non aveva spalliere ed era più corto di quello usato per dormire (in genere, tutti i letti romani erano più corti di quelli a cui siamo abituati, in ragione della statura media dell’epoca, che era di circa 165 cm per gli uomini e meno di 160 cm per le donne), ma dava comunque la possibilità di discendersi; inoltre, offriva spazio per appoggiare tavolette da scrittura, libri e altri materiali.
Un discorso a parte merita il triclinio, cioè il letto su cui ci si sdraiava per mangiare. Naturalmente non si trovava in tutte le case, ma soltanto in quelle dei ricchi, in grado di offrire sontuosi e spettacolari banchetti che potevano durare per intere giornate. Il triclinio ospitava, di norma, tre persone sdraiate, a volte semplicemente due oppure addirittura sei, nel caso dei maestosi triclini doppi. Esistevano anche quelli ‘singoli’, che potevano comunque ospitare un paio di persone semisdraiate. Creati per fare sfoggio di ricchezza e potere, erano colorati, intarsiati e riccamente decorati, con frange, nastri e nappe. Costruiti in legno e bronzo, con inserti in argento, madreperla, avorio e pietre dure o preziose, presentavano anche parti dorate. Molto spesso, tra le decorazioni spiccavano teste o figure intere di animali reali e fantastici, oppure statuette di amorini. I letti triclinari erano in genere disposti i tavolinetti su cui venivano servite le portate.
Abitualmente si trovavano all’intero della domus, ma quando il clima lo consentiva, soprattutto in giornate particolarmente calde, erano disposti in giardino, sotto un pergolato o una tettoia. Non era raro che nei giardini esistessero anche letti triclinari in mattoni, su cui venivano stesi materassi e stoffe.
Articolo di Mario Santoni pubblicato su Civiltà Romana n, 3 – altri testi e immagini da wikipedia.
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