giovedì 7 maggio 2020

Casanova, 007 da Trieste con furore.

Casanova, 007 da Trieste con furore.

Casanova, tra le sue mille maschere, indossò anche quella di agente segreto nella Trieste asburgica, ma non si rivelò proprio un uomo d’azione. Anzi…


Presunto ritratto di Giacomo Casanova, attribuito a Francesco Narici, e in passato ad Anton Raphael Mengs o al suo allievo Giovanni Battista Casanova (fratello di Giacomo).[19]

 

La Repubblica di Venezia, già dal ‘300, vantava una capillare agenzia di intelligence per guardarsi dai nemici esterni, ma soprattutto da quelli interni. Il più affascinante protagonista di questa rete di spionaggio fu il cavaliere di Seingalt, al secolo Giacomo Casanova, un personaggio che non aveva niente da invidiare ( se non i gadget) ai moderni 007, ma riuscì a fallire persino nella semplice missione di sorvegliare un tranquillo gruppo di frati. Alto, aitante (anche se bruttino), spericolato, con uno stuolo di belle donne sempre al suo fianco, il nostro libertino per antonomasia sicuramente non è entrato nel mito per la sua abilità di spia, ma piuttosto per le sue doti di seduttore. Eppure ebbe una carriera, anche se non memorabile, di informatore per la Serenissima.

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Uno scapestrato giramondo.

Illustrazione da Storia della mia fuga

Per essere un veneziano doc, Giacomo Casanova non trascorse molto tempo nella sua città natale. Nacque in Calle della Commedia (ora Calle Malpiero) nel 1725 ma. Ancora ragazzino, si ritrovò a Roma, segretario del cardinale Troiano Acquaviva d’Aragona. nel 1750 andò in Francia, a Lione, dove entrò nella massoneria. E dopo aver visitato Dresda, Praga e Vienna tornò a Venezia.

SEMPRE IN FUGA. Nel 1756 fuggì dai Piombi e iniziò a girovagare per l’Europa dove diventò una specie di eroe raccontando la vicenda della sua evasione. Poi, nel 1774, fece rientro nella Serenissima e vi rimase per otto anni. Nel 1782fu costretto nuovamente a fuggire in seguito a uno scandalo suscitato da un libello in cui calunniava un patrizio. Girò l’Europa per tre anni senza un soldo in tasca, finché nel 1785 il conte Jospeh-Charles Emannuel di Waldstein lo nominò bibliotecario del suo castello a Dux, in Boemia (oggi Duchcov, in Repubblica ceca). Lì rimase fino al 1798, anno della sua morte.

 

Patriottismo forzato. Il 31 ottobre1772, il console veneziano Marco Monti annunciò l’arrivo a Trieste di Casanova, uno dei personaggi più chiacchierati dei salotti settecenteschi. Ma cosa ci face li? Non poteva tornare nella sia Venezia, perché il 1° novembre 1756 era riuscito a fuggire dai Piombi, il carcere nel sottoetto di Palazzo Ducale. L’evasione (avvenuta un anno e mezzo dopo l’arresto) attraverso i tetti (secondo il suo racconto, in realtà probabilmente corrompendo una guardia) fece molto scalpore e gli regalò una certa fama, ma lo costrinse a lasciare in tutta fretta l’Italia. Proprio nella speranza di far rientro in patria, l’ex galeotto riparò nella vicina Trieste, dove accettò di arruolarsi tra gli 007 della Serenissima.

Il galante avventuriero non era nuovo a questo ruolo. Nel 1763 si era già messo al soldo dei francesi, così nel 1772, nella speranza che venisse revocato il bando emesso nei suoi confronti, vestì nuovamente i panni di agente segreto, questa volta impegnato in quello che oggi definiremmo spionaggio industriale.

 

Stai serena. La Repubblica di Venezia aveva considerato l’Adriatico un proprio dominio esclusivo e finché aveva potuto, aveva cercato d’impedire alle navi da guerra straniere di solcarlo, nonché imposto di far transitare i traffici commerciali attraverso il porto lagunare. Per questo motivo Trieste, caduta in mano agli Asburgo nel 1382, non si era mai sollevata dal rango di un borgo di saline (neanche di pescatori: i triestini non andavano per mare). Dal 1719 però cambiò tutto: Venezia orma non era che l’ombra della potenza di un tempo e l’imperatore Carlo VI concesse a Trieste il privilegio di porto franco, facendone il primo porto d’Austria. Da quel momento la città cominciò una corsa che la porterà al record di traffici di inizio Novecento. Maria Teresa d’Austria (1717-1780) ne mutò anche il volto urbanistico, costruendo sulle ex saline la nuova città, quella che ancor oggi si chiama Borgo Teresiano. Ecco perché i veneziani erano così preoccupati di veder sorgere un porto concorrente a sole 58 miglia nautiche di distanza, tanto da considerare Trieste una “sorvegliata speciale”. In quest’intricato contesto s’inserisce l’affaire Casanova. Il brillante libertino stava tentando - ,il tutto per tutto di farsi perdonare dagli Inquisitori di Stato l’evasione, così su consiglio di un patrizio veneziano, Pietro Zaguri, si trasferì a Trieste e accettò di arruolarsi tra gli 007 della Serenissima. Documenti ufficiali non ce ne sono, ma gli indizi sono molti. Zaguri si recò a Trieste per incontrare di persona Casanova: oggi sembra una banalità, ma nel 1772, il viaggio Venezia-Trieste non lo era affatto soprattutto per un patrizio che non poteva lasciare la Repubblica senza ottenere un permesso speciale. “Sono venuto a trovarla, sebbene la mia carica di avocador mi proibisca per legge, di allontanarmi dalla capitale.”, affermava Zaguri. Ma davvero il patrizio aveva corso il rischio di lasciare la Serenissima di nascosto? Più probabile che si fosse imbarcato per il porto asburgico con l’incarico di fare del cavaliere di Seingalt un informatore. Zaguri presentò Giacomo Casanova al console di Venezia, Marco Monti, lo introdusse nella migliore società triestina e lo portò dal barone Pietro Pittoni, capo della polizia asburgica. Ma non solo. “Pranzai, dunque, con Zaguri in casa del console, insieme a una numerosa compagnia, e il giorno successivo in casa del governatore. Da quel momento il fatto di aver ricevuto la visita di un avocado veneziano mi conferì un prestigio straordinario. Ormai nessuno poteva più guardarmi come un esiliato”, annota Casanova nella ‘Storia della mia vita’. A questo punto l’avventuriero cominciò a mandare relazioni a Venezia, tramite il console Monti.

 Facciata della chiesa e dell'annesso ospizio dei RR.PP. Mechitaristi di Trieste.jpg

Chiesa dei mechitaristi armeni

 

Un libertino da manuale?

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Il suo nome è sinonimo di sciupa femmine. Ma la vita del tombeur veneziano fu anche altro…

La categoria degli avventurieri era ben nutrita nel Settecento. Quel che contraddisse Casanova è di essersi raccontato in un libro, ‘Storia della mia vita’, che ha avuto uno straordinario successo. Il grande seduttore, infatti, per guadagnarsi da vivere faceva anche lo scrittore, usando per lo più il francese, che gli consentiva di riscuotere incassi migliori.

ATTIVITA’ COLLATERALI. Massone, mago, giocatore d’azzardo, anche in questo caso Casanova era un figlio del suo tempo che non trascurava alcuna attività gli consentisse di ottenere denaro. Si dedicò per mesi alla marchesa d’Urfé, eccentrica vedova parigina, seguace dell’occulto, convincendola di averla messa in contatto con l’aldilà: usando l’accortezza di non chiederle mai denaro ma soltanto costose pietre preziose “per formare costellazioni”. Sempre a Parigi sedusse l’anglo-veneziana Giustiniana Wynne, convincendola che per curarsi fosse necessario inserire nel corpo una sostanza medicamentosa. Come questo inserimento sia avvenuto, trattandosi di Casanova, è facilmente intuibile.

A CONTI FATTI. Il suo rapporto con l’altro sesso è diventato proverbiale. Il più importante biografo casanoviano, lo scrittore Piero Chiara, si è dato la briga di contare le donne nominate nella ‘storia della mia vita’,arrivando a 116. Considerando che Giacomo ebbe il suo primo rapporto competo al 18 anni e che nei 13 anni di triste isolamento al Dux deve avere avuto nei quattro decenni di vita sessuale attiva ha totalizzato una madia di circa tre donne all’anno. Da un Casanova ci si potrebbe aspettare di meglio.

 

Spionaggio industriale. La missione più importante di Casanova non era certo una mission impossibile: doveva tenere d’occhio i padri mechitaristi armeni fuggiti a Trieste dall’isola di San Lazzaro, nella laguna veneziana, dopo un litigio con l’abate. La Serenissima temeva, a ragione, che gli armeni scissionisti intendessero mettere in piedi a Trieste una tipografia rivale di quella che già operava a Venezia (e che continuerà a stampare libri in armeno fino alla dissoluzione dell’Unione sovietica e alla nascita della Repubblica d’Armenia nel 1990). Giacomo Casanova non si limitò solo a mandare “riferte” (relazioni) agli Inquisitori di Stato, ma cercò anche di impedire che la tipografia venisse operativa.

Il nostro agente a Trieste intendeva fare pressioni sul vescovo attraverso il vicario incaricato dei rapporti con la confinante Serenissima, Girolamo Agapito, che “è veneziano e ha il core veneziano” affinché “si induca a persuadere il vescovo a inibir loro ogni sacra amministrazione”.  A questo punto Casanova perfettamente calato nella parte di informatore, scriveva al console Monti: “Una delle mie maggiori premure debba essere quella che non si arrivi mai in questa città a penetrare che io sono un suo secreto agente”. Mettendo, come un dilettante, il suo ruolo top secret anche per iscritto.

 

Magri risultati. I suoi sforzi non portarono a nulla di concreto. Tra luglio e agosto gli armeni amministravano i sacramenti e si muovevano liberamente nella città di Trieste. Il vescovo, che all’inizio non li vedeva di buon occhio, cambiò idea una volta saputo del favore con cui i tipografi armeni erano visti dalla corte di Vienna, tanto che “bramavasi dalla stessa imperatrice che potessero qui stabilirsi.”. tuttavia, il 3 settembre 1774, gli inquisitori firmarono il tanto sospirato salvacondotto che permetteva all’avventuriero di rientrare a Venezia. Le relazioni sui padri armeni erano stati determinanti per far pendere la bilance dalla parte di Casanova, anche se la tipografia continuò a lavorare tranquillamente. Tanto che, nel maggio 1775, stampava proclami bilingui in italiano e armeno per salutare l’imperatore Giuseppe II in visita a Trieste.

 

Articolo di Alessandro Marzo Magno pubblicato su Focus Storia del mese dicembre 2018 n. 146

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