Un secolo di battaglie
aeree.
La nascita
dell’aviazione militare.
La guerra in Libia,
all’inizio del Novecento, divenne il teatro di un modo inedito di combattere. E
i nostri piloti furono i protagonisti. Fu italiano il primo bombardamento
aereo.
Un articolo
sull’aviazione della Prima guerra è già stato pubblicato su questo blog con il
titolo assi dell’aviazione.
Erano
passati appena otto anni dal primo volo della storia, quello dei fratelli
Wright nel 1903 negli Stati Uniti, quando l’Italia per prima pensò di
utilizzare i nuovi mezzi aerei come arma. Era il 1911 e durante la guerra
contro i turchi in Libia, il nostro Paese schierò anche aerostati, 2 dirigibili
e alcuni aerei di fabbricazione straniera (Blériot, Farman, Nieuport e Etrich Taube, con motori da 50 o 75 cavalli).
Conosciuta come Flottiglia Aeroplani di Tripoli, era composta inizialmente da
11 piloti, 30 uomini di truppa con un sergente e 9 aeroplani. Il 23 ottobre il
capitano Carlo Maria Piazza fu l’autore della prima ricognizione tattica della
storia, dando il via a una routine che la squadra ripeteva ogni mattina per
avvistare i movimenti delle truppe turche. Durante uno di questi giri di
ricognizione, il tenente Giulio Gavotti eseguì il primo bombardamento da un
velivolo della storia, su di un accampamento turco ad Ain Zara, lanciando tre
bombe a mano. Le granate Cipelli avevano un diametro di 6 centimetri ed erano
rotonde. Lo stesso Gavotti descrive l’impresa in una lettera al padre: “Ho deciso di lanciare oggi delle bombe
dall’aeroplano. È la prima volta che si tenta un’impresa del genere e se riesco
sarò contento di essere il primo … Afferro la bomba con la mano destra, con i
denti strappo la chiavetta di sicurezza e butto la bomba fuori dall’ala. Riesco
a seguirla con l’occhio per pochi secondi poi scompare. Dopo un momento vedo
proprio in mezzo al piccolo attendamento una nuvola scura". Ne seguì
una controversia internazionale: la convenzione dell’Aia del 1899 infatti aveva
già vietato i bombardamenti dalle mongolfiere, ma l’Italia sostenne che questo
divieto non riguardava gli aerei. Durante la stessa guerra si registrò anche un
altro tragico primato: il 25 agosto 1912 il sottotenente Piero Manzini
precipitò con il suo aereo nel mare poco al largo di Tripoli, divenendo così il
primo pilota militare morto in azione. Di prime volte in quella spedizione
militare aerea se ne registrarono tante: il 15 dicembre 1911 ci fu il primo
fuoco di contraerea, quando dei cannoni turchi spararono contro l’aereo del
tenente Roberti; nel febbraio 1912 il capitano Piazza scattò dal suo velivolo
la prima foto aerea nella storia della ricognizione dal cielo; nel marzo 1912
Piazza e Gavotti effettuarono il primo volo notturno.
Il primo volo della storia.
12 secondi di durata, 9 metri
di quota, 36 metri di distanza percorsa. Era il mattino del 17 dicembre 1903
quando a Kill Devil Hill, presso Kitty Hawk negli Stati Uniti i fratelli
Wilbur e Orville Wright coompirono il primo volo a motore di una macchina più
pesante dell’aria. Il prototito si chiamava Flyer ed era pilotato da Orville,
dopo un precedente fallimento del fratello. Seguirono quello stesso giorno
altri tre voli, sempre più sicuri e prolungati fin oal record di 59 secondi
di volo per 260 metri.
Scheda: il Flyer dei fratelli
Wright
Categoria: aereo sperimentale
Equipaggio: 1
Motori: un 4 cilindri in linea
raffreddato ad acqua
Lunghezza: 6, 43 m
Apertura alare: 12,29 metri
Velocità: 48 km orari.
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L’aereo del record.
Con questo aereo nel
1909 Louise Blériot compì la prima traversata sul Canale della Manica. Lo
stesso modello fu usato due anni dopo da Carlio Maria Piazza per la prima
missione di ricognizione militare in Libia.
Scheda Blériot 11
Categoria: aereo sperimentale
Equipaggio: 1
Motore: Anzani a 3
cilindri raffreddato ad aria
Lunghezza 8.
Apertura alare: 7.8 m
Velocità: 58 km orari
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Giulio Dohuet, il profeta
dell’aria.
Aveva detto che la forza aerea
sarebbe stata molto importante in guerra, e per questo finì imprigionato.
Giulio Dohuet è considerato il profeta dell’aviazione militare. Già nel 1909
aveva equiparato il controllo del cielo a quello del mare. Poi durante la Prima
guerra mondiale, autorizzò Gianni Caproni a costruire dei bombardieri che
risultarono decisivi, ma per quell’iniziativa venne rimosso dall’incarico.
Poco dopo divennero noti alcuni suoi scritti privati in cui criticava l’uso
inadeguato dell’arma aerea da parte dei comandi italiani, e per questo venne
deferito alla corte marzia e imprigionato.
Riabilitato dall’evidente ruolo
giocato dall’aviazione durante la guerra, nel 1921 pubblicò il libro Il
dominio dell’aria, in cui sistematizzava la sua teoria secondo la quale la
superiorità aerea sarebbe risultata decisiva in battaglia. Le teorie di
Douhet prevedevano l’aeronautica come arma assoluta, che da sola, grazie al
bombardamento strategico, avrebbe garantito il controllo totale del campo di
battaglia.
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Gli assi dei cieli
durante la Grande Guerra.
Considerati cavalieri
moderni, i piloti che si fecero onore nel primo conflitto mondiale compirono
imprese sbalorditive con mezzi pionieristici, entrando a far parte della
leggenda.
Fu con la Grande guerra che anche il cielo divenne un campo di battaglia.
Per la prima volta una nuova dimensione venne aggiunta alla pratica bellica. In
un conflitto caratterizzato dal fango delle trincee, i duelli aerei avevano un
qualcosa di romantico, di ottocentesco, e il galateo regnava sovrano tra i
cavalieri dell’aria. Le trasformazioni che avvennero per la guerra aerea negli
anni tra il 1914 e il 1918 furono enormi. All’entrata del conflitto ne nazioni
non avevano ancora ben compreso il valore della forza aerea e i velivoli a
disposizione dei vari eserciti erano pochissimi: l’Italia era in possesso di un
centinaio di aerei, 91 piloti, 20 osservatori e 20 allievi piloti, la Francia
era entrata in guerra con meno di 140 apparecchi, e cifre non diverse valevano
per tutti gli altri Stati. Partendo da questi numeri si capisce lo sviluppo
gigantesco dell’aviazione in quegli anni, durante i quali furono costruiti
almeno 136 modelli di aerei militari. Nel complesso, in cinque anni vennero
fabbricati dai belligeranti quasi 200mila velivoli. Di questi, una grande
quantità andò persa in azione quasi i tre quarti. Circa duemila piloti
dell’aeronautica italiana perirono durante il conflitto. Non era facile il
mestiere di pilota in quell’epoca pioneristica: c’era ancora molto di artigianale
e in caso di problemi non c’erano vie di scampo, neanche il paracadute.
Ciononostante il fascino di combattimento aereo fu subito irresistibile.
Così si cominciò a registrare le vittorie conseguite e nacquero gli assi, cioè
coloro che avevano abbattuto almeno cinque avversari. All’inizio era difficile
arrivare a cinque vittorie, perché c’erano pochi aerei in circolazione, mentre
il 1918 fu un anno tragico per la quantità di piloti uccisi. La guerra portò a
un’esplosione di un’industria aeronautica e le crescenti capacità tecnologiche
permisero lo sviluppo di nuovi impieghi dei velivoli. All’inizio l’unico
utilizzo della forza aerea era quello della ricognizione, con voli lineari che
si limitavano ad osservare il terreno. Con l’aumentare del traffico aereo si
iniziò a cercare i velivoli avversari per abbatterli, e così prima i piloti e
poi gli apparecchi vennero armati. Nacquero i caccia. Per collocare sui
velivoli le mitragliatrici si dovettero superare due problemi: la capacità di
sostenere il peso aggiuntivo e la necessitò di assicurarsi che i colpi non
colpissero l’elica. Problema questo che si risolse definitivamente con il
meccanismo della sincronizzazione tra la mitragliatrice e pale dell’elica
inventato in Germania. il primo abbattimento della storia avvenne il 5 ottobre
1914, quando l’osservatore di un biposto francese colpì e fece schiantare al
suolo un aereo tedesco. Dal 1916 si verificarono rilevanti cambiamenti tattici:
gli aerei organizzati in squadriglie iniziarono a combattere in formazione.
Terza specialità per la quale furono costruiti appositi aerei fu il
bombardamento, che andò evolvendosi dal lancio di bombe a mano fino ad azioni
massicce che colpirono anche Londra, Parigi e Vienna. Grazie ai bombardieri
perfino i territori lontani dal fronte e le relative infrastrutture, oltre agli
abitanti civili non erano più al sicuro. Ma il maggior fascino era ancora
esercitato dai duelli aerei. Era l’inizio di una tragica gara che avrebbe
consegnato alla storia il nome di assi e cavalieri dell’aria come il Barone
Rosso e Francesco Baracca.
I migliori piloti stranieri.
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Billy Bishop, canadese al servizio
dell’impero britannico ottenne 72 vittorie. La maggior parte si concentrò in
brevi periodi: n ella primavera del 1918 ne ottenne 25 in 12 giorni
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Charles Nungesser, asso francese
accreditato di 43 vittorie. Era indomabile: nel 1916, dopo un incidente
aereo, tornò a volare in due mesi con le stampelle e continuò ad accumulare
ferite senza smettere di pilotare il suo caccia, tanto che nel 1917 c’era del
personale dedicato che lo portava di peso nell’abitacolo.
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Edward Mannock, è considerato il miglior
piloto da caccia dell’impero britannico. Gli sono stati riconosciuti 73
abbattimenti e rimane il pilota britannico con più vittorie.
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Edward Rickenbacker, fu il miglior asso
dell’aviazione statunitense, con 26 vittorie in un brevissimo tempo tutte
durante il 1918. Pilota di macchine da corsa, faticò a farsi accettare tra
gli aviatori per la carenza di preparazione accademica. Dal canto suo provò a
far passare l’idea che i piloti di auto sarebbero stati i più adatti al volo
perché già esperti di velocità. Compì missioni aeree anche durante la Seconda
guerra mondiale.
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Ernest Udet, fu il miglio asso tedesco dopo
il Barone Rosso. Riportò 62 vittorie, dalla prima ottenuta il 18 marzo 1916
fino ai venti avversari sconfitti nel 1918. Dopo aver diretto per un periodo
il Ministero dell’Aria della Germania nazista, colpito dal fallimento della
battaglia d’Inghilterra e in disaccordo con Goring, si uccise nel 1941.
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Godwin Brumoski fu il flagello del fronte
italiano, a bordo di un aereo dalla livrea rossa con l’insegna del teschio.
Fu il miglior asso dell’Impero austro-ungarico, con 35 vittorie confermate,
una in più di Francesco Baracca, ma le prime tre le aveva ottenute sul fronte
russo.
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Hermann Goring, prima di diventare erede
designato di Hitler, capo della Luftwaffe e responsabile economico del regime
nazista, durante la Grande guerra di cui fu l’ultimo comandante. Gli sono
riconosciute 22 vittorie, nel 1935 fondò la Luftwaffe.
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Manfred von Richthofen, il Barone Rosso,
l’Asso degli Assi, vantò 80 vittorie accreditate. Venne abbattuto da fuoco da
terra nella Somme, in Francia, pochi mesi prima della fina della guerra nel
1918 e pochi giorni prima di compiere 26 anni. A fine 1916 prese il comando
di una squadriglia di caccia che trasformò nel Circo volante, soprannome
dovuto ai vivaci colori degli aerei e all’abilità dei piloti. Tra i suoi
aerei spiccano l’Abatros D.III e soprattutto il celebre biplano Fokker.
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René Fonck fu il migliore degli assi
alleati, ottenendo 75 vittorie confermate. Lui però ne dichiarava almeno 127.
Entrò nell’aviazione francese nel febbraio 1915 e a bordo di un ricognitore
provocò il suo primo abbattimento di un aereo nemico senza nemmeno sparare.
Per ben due volte abbatté sei aerei nemici in un solo giorno.
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Werner Voss, tedesco, benché abbia ottenuto
solo 48 vittorie, è da molti considerato uno dei piloti più talentuosi di
tutta la guerra. La sua fine fu in linea
con la sua abilità e il suo coraggio: si trovò ad affrontare da solo
una squadriglia di sei aerei anglo-americani e, dopo 10 minuti di manovre,
colpì tutti i velivoli trovando però la morte.
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SOPWITH CAMEL.
Categoria: caccia
Equipaggio: 1
Motore: rotativo Clerger 9b a 9 cilindri.
Lunghezza: 5,7 metri
Apertura alare: 8,7 metri
Velocità: 182 km/h
Armamento: 2 mitragliatrici
Vickers da 7.7 mm.
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FOKKER DR.I TRIPLANO
Categoria: caccia
Equipaggio: 1
Motore: rotativo Le Rhone 9 cilindri
Lunghezza: 5,8 metri
Apertura alare: 7, 2 metri
Velocità: 165 km/h
Armamento: 2 mitragliatrici Spandau da 7,9 mm.
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NIEUPORT 17
Categoria: caccia
Equipaggio: 1
Motore; rotativo Le Rhone 9 cilindri
Lunghezza: 5.8 metri
Apertura alare: 8.2 metri
Velocità: 165 km/h
Armamento: 1 mitragliatrice Vickers 7,7 mm, fino a 8
razzi Le Prieur.
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Francesco Baracca.
Identikit di un eroe
di altri tempi.
L’asso degli assi
italiani abbatté 34 aerei nemici ottenendo riconoscimenti e gloria imperitura.
Il suo fu un esempio per tutti i compagni di volo.
Nel
cielo di Medeuzza, presso Gorizia, un caccia Nieuport 13 era alle prese con un
dello aereo: il velivolo alla fine riuscì a mettersi in coda a un ricognitore
austro-ungarico colpendolo fino al punto di costringerlo ad atterrare al di qua
delle linee italiane, consegnandosi prigioniero. Era il 7 aprile 1916 e il
pilota del caccia era Francesco Baracca. Quel giorno aveva conquistato non solo
la sua prima vittoria aerea, ma anche la prima in assoluto dell’aeronautica
italiana. Baracca, che per quell’azione ottenne una medaglia d’argento, una
volta a terra si recò a stringere la mano all’equipaggio avversario, gesto
tipico del suo spirito cavalleresco. “Miro
alla macchina, non agli uomini” usava ripetere. Baracca ancora oggi è
l’asso insuperato dell’aeronautica italiana, con i suoi 34 abbattimenti riconosciuti su una settantina
di combattimenti aerei. Neanche durante la Seconda guerra mondiale ci fu
qualcuno che riuscì a superarlo. Nato a Lugo di Romagna nel 1888, fu un giovane
ufficiale di cavalleria ma già nel 1912 – ispirato dalle imprese degli aviatori
della Guerra in Libia – passò in aviazione, conseguendo nella scuola di Reims,
in Francia, il brevetto di pilota n. 1037. La sua carriera fu rapida. In forza
alla 70° Squadriglia, dal 25 agosto 1915 compì inizialmente missioni di
pattugliamento lungo il fronte e, a poche settimane dalla prima vittoria,
conseguì le altre quattro missioni necessarie per diventare uno dei primi assi
dell’aviazione. Nella primavera del 1917 venne, infatti costituita la 91a
Squadriglia, che diverrà nota come la Squadriglia degli Assi. Al suo comando fu
posto proprio Francesco Baracca cui fu assegnato il privilegio di scegliersi i
compagni di volo. Selezionò i migliori (fra i quali Ruffo, Piccio, Ranza),
tutti ufficiali di cavalleria perfezionati nelle scuole più prestigiose, e
insieme conseguirono una serie impressionante di successi. Le sue vittorie e
quelle dei suoi colleghi non furono solo un vanto statistico: l’aviazione
italiana, infatti, durante la Prima guerra mondiale mantenne quasi sempre la superiorità
aerea sui nemici austro-ungarici, perdendola solo nella disfatta di Caporetto
(24 ottobre-12 novembre 1917). Ma già con la prima battaglia del Piave (13-26
novembre 1917) i velivoli italiani furono in grado di tornare a svolgere un
ruolo importante e di riconquistare la supremazia dei cieli. Tra loro ancora
una volta si distinse Francesco Baracca che compì numerose importanti azioni
sia a copertura della ritirata italiana sia contribuendo alla stabilizzazione
del fronte lungo la linea del celebre fiume e la preparazione del contrattacco.
Il 16 giugno 1918, durante la seconda battaglia del Piave, (detta anche del
Solstizio, con la quale gli italiani l’assalto finale alle linee austriache),
Baracca conseguì le sue vittorie n. 33 e 34.
Ma fu appena pochi
giorni dopo, sempre durante una di queste operazioni, che il pilota italiano
trovò la morte. La sua scomparsa è da alcuni punti di vista ancora un giallo.
Baracca, infatti, stava dando supporto alla fanteria, mitragliando i nemici a
meno di 150 metri di quota sul Colle Val dell’Acqua, presso il Montello, quando
fu attaccato cadendo con il velivolo in un bosco molto fitto. Era il 19 giugno
1918. Il suo corpo fu ritrovato solo una settimana dopo insieme al suo aereo
bruciato. Alla tempia presentava una ferita mortale, probabilmente era stato
colpito da terra da un cecchino o da un mitragliere austriaco, posizionato su
un campanile. Ci fu però anche un aereo austro-ungarico che rivendicò l’onore
mai documentato di aver abbattuto l’asso degli assi italiani. I funerali di
Baracca, a Quinto di Treviso, furono un evento e l’elogio funebre fu
pronunziato da Gabriele d’Annunzio.
La 91ª Squadriglia aeroplani da caccia, da sinistra:
serg. Mario D'Urso serg.Gaetano Aliperta ten. Gastone Novelli
ten. Cesare Magistrini
cap. Bartolomeo Costantini
cap. Fulco Ruffo di Calabria
col. Pier Ruggero Piccio
ten. Guido Keller
magg. Francesco Baracca
ten. Ferruccio Ranza
ten. Mario de Bernardi
ten. Adriano Bacula
serg. Guido Nardini
sott. Eduardo Olivero
ten. Cesare Magistrini
cap. Bartolomeo Costantini
cap. Fulco Ruffo di Calabria
col. Pier Ruggero Piccio
ten. Guido Keller
magg. Francesco Baracca
ten. Ferruccio Ranza
ten. Mario de Bernardi
ten. Adriano Bacula
serg. Guido Nardini
sott. Eduardo Olivero
Il cavallino rampante.
Lo stemma che fu usato per la
prima volta da una Ferrari nel 1932 è lo stesso cavallino rampante utilizzato
come simbolo personale da Francesco Baracca, ma con la coda all’insù e lo
sfondo giallo della città di Modena. Nel 1923 l’emblema fu offerto a Enzo
Ferrari dai genitori dell’asso dell’aviazione italiana. Il pilota lo aveva
scelto probabilmente in omaggio al suo reggimento di Cavalleria Piemonte
Reale che a sua volte risale al 1692. Secondo un’altra versione, il cavallino
richiama la città di Stoccarda ed era il simbolo del quinto aereo abbattuto
da Baracca
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Gli altri assi italiani.
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Silvio
Scaroni è stato il secondo asso dell’aviazione italiana, con 26 vittorie
confermate. In poco più di un anno rivendicò oltre trenta vittorie, finché
nel luglio 1918 venne abbattuto e costretto in ospedale fino alla fine della
guerra.
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Fulco
Ruffo di Calabria in 53 duelli aerei conquistò 20 abbattimenti e numerose
medaglie: una d’oro al valor miliare, due d’argento, quattro di bronzo. Alla
morte di Baracca gli subentrò al comando della Squadriglia degli Assi.
Abbattuto nell’ottobre 1918 oltre le linee austriache, riuscì a rientrare
nelle linee italiane.
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Ferruccio
Ranza ottenne la sua prima medaglia di bronzo quando ancora serviva come
ricognitore, completando una missione sotto il fuoco nemico. Nello stesso
1916, passato ai caccia, il 27 luglio ottenne il primo dei suoi 17
abbattimenti. Dopo l’8 settembre 1943 contribuì a fondare l’Aeronautica
Cobelligerante Italiana.
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Flavio
Torello Baracchini noto come il D’Artagnan dell’aria, è protagonista di un
piccolo giallo che ne cambia la posizione in classifica tra gli assi
italiani. Ufficialmente si trova infatti al quarto posto con 21 abbattimenti,
ma in realtà lo stesso bollettino ufficiale del generale Armando Diaz gliene
riconosceva 31; poi però per motivi burocratici (mancavano le foto) dieci
vennero considerati non adeguatamente documentati.
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Marziale
Cerutti, prima artigliere e poi aviatore sui ricognitori e in seguito sui
bombardieri, divenne pilota da caccia nel novembre 1916, accreditato di 17
vittorie aeree. Caratterizzò i suoi aerei con un asso di bastoni e le
iniziali MIR che stavano per Marziale Imperatore Romano. Malgrado i successi
terminò la Grande guerra con il grado di sergente, facendo poi carriera sotto
il fascismo.
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Pier
Luigi Piccio fu uno dei primi aviatori militari dell’Aeronautica italiana, di
cui nel dopoguerra divenne il capo di Stato maggiore. Pur avendo da subito
responsabilità di comando, conseguì sul campo 24 abbattimenti di aerei
nemici.
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L’aereo che amava di
più.
Con lo Spad S.XIII
Francesco Baracca conquistò le sue ultime vittorie. Prima aveva pilotato
soprattutto Nieuport 11 e 57 e SPAD VII. Il caccia monoposto biplano era
prodotto da una società francese e costruito su licenza in Italia dalla
Macchi. Era particolarmente robusto e dotato di un motore a 8 cilindri a V in
linea raffreddato ad acqua che costituiva un considerevole cambiamento rispetto
ai precedenti motori rotativi raffreddati ad aria e garantiva un notevole
incremento delle prestazioni. Le ali erano rivestite in tela e piuttosto
leggere, dal profilo insolitamente sottile, di maggiori dimensioni rispetto
ai modelli precedenti. Il suo punto di forza era l’attacco in picchiata,
seguito da recuperi con salite quasi verticali. Era instabile alle basse
velocità e poco adatto a piloti inesperti. Con una velocità di punta di 220
km/h in volo era tra gli apparecchi più rapidi. Montava due mitragliatrici
Vickers 303 sincronizzate con l’elica. Erano in asse con l’aereo e venivano
comandate direttamente dal pilota.
SPAD S. XIII
Categoria: caccia
Equipaggio: 1
Motore: Hispano
Suiza a 8 cilindri a V in linea raffreddato ad acqua.
Lunghezza: 6.3 m.
Apertura alare: 8,2
m.
Velocità: 220 km.
Armamento: due
mitragliatrici Vickers 303 sincronizzate con l’elica.
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Vincere con gli aerei
nella Seconda guerra mondiale.
Furono gli scontri nei
cieli a decidere le sorti del conflitto, grazie a innovazioni tecniche e a
decisioni strategiche cruciali.
Bombardamenti a
tappeto, duelli di caccia, sirene d’allarme, rifugi antiaerei, kamikaze,
portaerei. La morte dal cielo è stata sicuramente una delle caratteristiche
principali della Seconda guerra mondiale, se non addirittura l’elemento
fondamentale. Dalla Battaglia d’Inghilterra a Pearl Harbor, da Dresda a
Hiroshima, tanto le strategie operative quanto l’immaginario collettivo sono
stati profondamente segnati dalla guerra nell’aria. Per la prima volta nella
storia la superiorità aerea ha costituito l’elemento determinante nel
conflitto, e l’escalation nei cieli negli anni tra il 1939 e il 1945 non ha poi
avuto più pari nella storia fino ad oggi. mai più infatti si sono scontrate tra
loro potenze aeree così imponenti e tutto sommato, almeno in certe fasi,
equilibrate. La Luftwaffe tedesca, la Royal Air Force britannica, l’aviazione
americana e quella giapponese sono state protagoniste assolute dei teatri di
battaglia. oltre a titaniche sfide, quali la già citata Battaglia d’Inghilterra
e l’offensiva alleata in Europa, gli aerei giocarono un ruolo vitale nelle
operazioni di terra garantendo alle truppe mobilità, rifornimenti e appoggio di
fuoco. In Europa le campagne aeree sono state determinanti nel supporto tattico
durante le battaglie terrestri, con la massima espressione raggiunta con la
blitzgrieg tedesca, la guerra lampo basata su uno stretto collegamento
nell’impiego tattico di cacciabombardieri, velivoli corazzati e fanteria
meccanizzata.
Le
vittorie tedesche del 1939-1941 in Polonia, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi,
Francia, Jugoslavia, Grecia e Russia furono possibili grazie alla superiorità
aerea. Al con trario l’invasione della Gran Bretagna non ebbe luogo proprio a
causa della vittoria aerea britannica nella Battaglia d’Inghilterra, che fu uno
dei momenti cruciali della guerra, forse la svolta decisiva. Hitler aveva
pianificato di invadere l’isola, e vista l’inferiorità della marina tedesca
rispetto a quella britannica, lo sbarco doveva essere preceduto dal controllo
dei cieli della Manica da parte della Lutwaffe. Nel luglio 1940 prese così via
il titanico scontro fra due delle migliori aviazioni del mondo. La Royal Air
Force infatti era nata come forza aerea già alla fine della Prima guerra
mondiale, mentre la Luftwaffe costituiva il fiore all’occhiello (anche
ideologico) della propaganda tedesca. Il regime di Hitler aveva creato la sia
aviazione nel 1935 come sfida alla comunità internazionale che glielo vietava,
e i tedeschi avevano riversato su di essa tutto il meglio della progettistica e
dell’innovazione tecnologica. Gli aerei tedeschi, vittoriosi in Europa, dalla
Spagna alla Polonia, dovevano essere il simbolo dell’invincibilità nazista. “Per organizzazione, logistica,
addestramento, RAF e Luftwaffe sono state le prime grandi aviazioni.
L’aeronautica era l’arma più politicizzata, il gioiello del regime, e non a
caso Hermann Goring era il capo della Luftwaffe e al contempo il secondo di
Hitler. Ma questo divenne anche un problema: nel momento cruciale della guerra,
(come a Dunquerque, nella Battaglia d’Inghilterra, a Stalingrado, durante i bombardamenti
alleati) Goring promise sempre a Hitler risultati eclatanti, benché già i
tecnici tedeschi fossero scettici. Il Fuhrer però scelse sempre di credere a
Goring, e grosse sparate come ‘Lasciate a noi la Battaglia d’Inghilterra e
distruggeremo la RAF’ finirono in clamorosi fallimenti”, spiega Gustavo
Corni, professore di Storia Contemporanea. All’inizio della Battaglia
d’Inghilterra l’aviazione tedesca godeva di una significativa superiorità anche
numerica, e la loro tecnologia era eccellente, con ingegneristica avanzata,
motori eccezionali, capacità di trovare soluzioni che aggirassero il problema
delle carenze di materie prime-
“Probabilmente Hitler si aspettava
anche in Inghilterra una guerra breve e vittoriosa, e fu sorpreso dalla
resistenza britannica. La Raf in realtà poteva sfruttare diversi vantaggi.
Intanto combatteva sul proprio territorio, il che voleva dire contare sui radar
e sulla contraerea, ma anche dover imbarcare meno benzina, avere più autonomia,
poter atterrare se danneggiati. Poi disponeva di un maggior numero di equipaggi
ben addestrati. Inoltre i caccia inglesi, oltre a essere più maneggevoli, erano
soprattutto più riparabili: la maggior parte delle perdite di aerei infatti,
non avveniva per abbattimento, ma per danni che li rendevano inutilizzabili. D’altro
canto i tedeschi fecero la scelta strategica di concentrasi sui bombardieri di
media capacità e medio raggio, trascurando i grandi bombardieri che furono il
punto di forza delle campagne aeree anglo-americane degli anni successivi”
assicura Corni.
L’idea
tedesca di piegare la Gran Bretagna con i bombardamenti fu il primo esempio
dell’impiego strategico massiccio dell’aviazione, per provare a distruggere
l’apparato industriale del nemico, mettere fuori gioco le sue basi militari e
minare il morale della sua popolazione. I bombardamenti strategici, a tappeto,
restano una delle immagini più caratterizzanti del conflitto, quella che più ha
impattato sulla popolazione civile, tra sirene ululanti, rifugi, macerie e tante vittime. Il bombardamento strategico su
larga scala fa sì che si possa dire che il Secondo conflitto sia stato una
guerra industriale, sia per l’enorme sforzo produttivo di velivoli, sia per le
missioni dirette spesso proprio contro l’industria nemica. Non a caso, quando
nel 1943 Churchill, Roosevelt e De Gaulle pianificarono la campagna aerea
sull’Europa tedesca, misero come priorità proprio l’industria aeronautica e le
basi aeree nemiche. E l’importanza dell’elemento aereo è evidenziata dal fatto che persino le scelte
strategiche su quali isole attaccare
furono spesso determinate dalla necessità di avere adeguate basi di partenza per
i bombardieri, come nel caso delle Marianne, che furono invase dagli americani
nel 1944 al preciso scopo di mettere il Giappone nel raggio dei bombardieri
B29. Si può quindi affermare che, nonostante le epiche battaglia sul terreno e
le grandi imprese navali, la Seconda guerra mondiale fu in realtà
sostanzialmente decisa nei cieli.
Il radar.
Il radar (acronimo dell'inglese «radio detection and ranging», in italiano: "radiorilevamento e misurazione di distanza") è un sistema che utilizza onde elettromagnetiche appartenenti allo spettrodelle onde radio o microonde per il rilevamento e la determinazione (in un certo sistema di riferimento) della posizione (coordinate in distanza, altezza e azimuth) ed eventualmente della velocità di oggetti (bersagli, target) sia fissi che mobili, come aerei, navi, veicoli, formazioni atmosferiche o il suolo.
Il radar
(dall’inglese radio detection and ranging, cioè radio-rilevazione e misura
della distanza) fu la prima delle armi segrete che ebbero un ruolo decisivo
nella Seconda guerra mondiale. Strumento conosciuto a tutti i contendenti,
venne sottovalutato dalla Germania e invece valorizzato dalla Royal Air
Force. Fin dal 1935 i britannici lo sperimentarono riuscendo a individuare
l’avvicinarsi di un velivolo, anche se
in modo primordiale: gli impulsi, infatti non comparivano su un
monitor, ma su un oscilloscopio simile a un elettrocardiogramma. La cosa
comunque risultò determinante per permettere ai relativamente pochi caccia
britannici di intercettare e abbattere i bombardieri tedeschi, grazie alle 29
stazioni radar costruite sull’isola che da terra guidavano i piloti. Il radar
si rivelò lo strumento decisivo anche nel Pacifico: i giapponesi non erano
dotati mentre gli americani si.
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Dopo una serie di sconfitte a partire dal 1942 e
con un’inferiorità navale di 10 a 1, nell’ultima fase della guerra le forze
armate giapponesi decisero di ricorrere ai kamikaze, un termine che significa
vento divino, e che si riferiva alla tempesta che distrusse la flotta mongola
nel XIII secolo. I kamikaze utilizzarono diversi tipi di velivolo riempiti di
esplosivo per andarsi ad impattare contro le navi da guerra americane. I
caccia Zero con 250 chili di esplosivo, i bombardieri D4Y4 e Ki49 riempiti
con 800 chili di bombe, gli Ohka e i Tsurugi, che erano progettati come un
razzo pilotato, con 1200 chili di esplosivo. Le industrie giapponesi
disponevano di un buon numero di velivoli, ma i piloti cominciarono a
scarseggiare. Per questo motivo vennero reclutati dei giovanissimi cui veniva
fornito un addestramento minimo, decollo, pilotaggio e schianto sul
bersaglio, usando una delle due tattiche favorite per evitare i radar e la
contraerea: il volo radente l’acqua o la picchiata da oltre 6000 metri di
quota. I primi kamikaze furono impiegati nella battaglia di Leyte, nel 1944,
nelle Filippine. Durante la guerra morirono circa 4000 kamikaze, di cui il
14% aveva raggiunto il bersaglio, distruggendo una quarantina di navi e
uccidendo più di 5000 marinai anglo-americani.
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AEREI IN CAMPO.
Usa:
aerei prodotti 298.844
Aerei persi 53.000
Gran
Bretagna:
aerei prodotti 122.154
Aerei persi 35.000
Germania:
aerei prodotti 113.903
Aerei persi 79.000
Urss: aerei prodotti 99.500
Aerei persi 45.000
Giappone:
aerei prodotti 62.500
Aerei persi 35.000
Italia:
aerei prodotti 12.130
Aerei persi 7.500
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Hawker
Urricane (Gb)
Categoria:
caccia
Equipaggio:
1
Motore:
V12 Rolls-Royce Merlin XX
Lunghezza:
9,8 m.
Apertura
alare: 12,1 m.
Velocità:
544 km/h
Armamento:
da 8 a 12 mitragliatrici Browning da 7,7 mm, da 2 a 4 cannoncini da 20 mm. 2
bombe da 114 o 221 kg o 8 razzi
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Supermarine
Spitfire (Gb)
Categoria:
caccia
Equipaggio:
1
Motore:
Rolls-Royce Merlin V12
Lunghezza:
9,1 m.
Apertura
alare: 11,3 m.
Velocità:
575 km/h
Armamento:
2 cannoncini Hispano da 20 mm. 4 mitragliatrici Browning da 7,7 mm, 2 bombe
da 113 kg.
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Junkers
JU 87 Stuka (Germania)
Categoria:
caccia
Equipaggio:
2
Motore: V12 Junkers 211 Da
Lunghezza:
11 m.
Apertura
alare: 13,8 m.
Velocità:
400 km/h
Armamento:
3 mitragliatrici MG-17 da 7.9 mm, una MG15 da 7,9 mm, 500-1800 kg di
bombe
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Messerschmitt
Bf109 (Germania)
Il Messerschmitt Bf 109, fu un aereo da caccia monomotore, monoplano ad ala bassa progettato negli anni trenta dall'ing. Willy Messerschmitt, per conto dell'azienda aeronautica tedescaBayerische Flugzeugwerke AG e prodotto, oltre che dalla stessa e dalla Messerschmitt AG che gli successe, anche su licenza in alcune sue varianti dalla romena Industria Aeronautică Română (IAR) e dalla spagnola Hispano Aviación che lo commercializzò come Hispano Aviación HA-1109.
Categoria:
caccia
Equipaggio:
1
Motore: V12
Daimler-Benz
Lunghezza:
8,6 m.
Apertura
alare: 9,8 m.
Velocità:
570 km/h
Armamento: 4 mitragliatrici MG-17 da 7.9 mm, un cannoncino MGFF da 20 mm
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Mitsubishi
Agm Zero (Giappone)
Il Mitsubishi A6M era un caccia leggero in dotazione al Dai-Nippon Teikoku Kaigun Kōkū Hombu, il servizio aeronautico della Marina imperiale giapponese, dal 1940 al 1945. La designazione ufficiale si otteneva componendo la "A" per "aereo imbarcato", il "6" perché era il sesto modello costruito per la Marina Giapponese e la "M" iniziale del costruttore: la Mitsubishi. L'A6M veniva solitamente chiamato dagli Alleati con il nome "Zero", una denominazione a volte associata per errore anche ad altri aerei da caccia quali il Nakajima Ki-43. Oltre che Zero, il modello venne chiamato dagli statunitensi con altri soprannomi, quali "Zeke", "Hamp" e "Hap".
Categoria:
caccia imbarcato
Equipaggio:
1
Motore: radiale Nakajima NK1C Sakae 21 o 12
Lunghezza:
9,1 m.
Apertura
alare: 11 m.
Velocità:
557 km/h
Armamento:
2 cannoncini da 20 mm nelle ali, 2 da 7,7 mm in fusoliera, 2 bombe da 60 kg
sotto le ali, da 250 kg in caso di missione kamikaze.
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Boeing
B17 Flyning Fortress
Boeing B-17 Flying Fortress (conosciuto anche come Fortezza volante) era un bombardiere pesante quadrimotore sviluppato negli anni trenta impiegato principalmente dalla United States Army Air Forces nelle campagne di bombardamento strategico diurno contro bersagli tedeschi di tipo industriale, civile e militare durante il secondo conflitto mondiale. La 8th Air Force(Forza Aerea) di base in Inghilterra e la 15th Air Force di base in Italia si unirono al Bomber Command (comando bombardieri) della RAF nell'Operazione Pointblank, per assicurare la superiorità aerea sulle città, le fabbriche e i campi di battaglia nell'Europa occidentale. Questa operazione era un preparativo per lo sbarco in Normandia[4]. I B-17 parteciparono anche alle operazioni nel teatro del Pacifico della seconda guerra mondiale, dove condussero raid contro navi e basi aeree giapponesi.
Equipaggio:
10
Motore: 4 radiali Wright-1820
Lunghezza:
22,7 m.
Apertura
alare: 31,6 m.
Velocità:
486 km/h
Armamento: 3 mitragliatrici Browning M2 da 12,7 mm., 2000-3600 kg di
bombe.
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P51
Mustang (USA)
Il North American P-51 Mustang, prodotto a partire dal 1941, fu uno dei più versatili caccia statunitensi della seconda guerra mondiale. Fu schierato sia sul fronte del Pacifico che su quello Europeo per contrapporsi agli aerei della Luftwaffe. Fu impiegato prevalentemente come caccia di scorta alle formazioni di bombardieri Boeing B-17, ma anche come caccia bombardiere. Venne impiegato anche nella prima fase della guerra di Corea, nonostante fosse stato ormai superato dai primi aerei con motore a getto. In alcune forze aeree rimase in servizio fino ai primi anni ottanta. Progettato da Edgar Schmued[2], costruito e fatto volare in appena 117 giorni, il P-51 fu il progetto più importante della storia per un aereo da caccia.[2] Nelle ultime versioni sfiorò i limiti massimi raggiungibili da una macchina con motore a pistoni. Fu il prodotto di due tecnologie d'avanguardia: dell'industria aeronautica statunitense e dell'industria motoristica britannica.[3] Tra i pochi a non essere soddisfatti dell'aereo ci furono i sovietici. Il Mustang fu l'unico tipo di caccia che l'Urss rifiutò di acquisire con la legge Affitti & Prestiti. Dopo accurati test di volo, l'aeronautica sovietica (Voenno-Vozdushnye Sily - VVS) lo considerò inferiore ai contemporanei caccia sovietici e tedeschi e relegò gli esemplari acquisiti per i test nelle scuole di volo.[4] Ma altrove il Mustang fu accolto con favore: ne furono costruiti 15.586 esemplari che operarono (durante la seconda guerra mondiale) nelle forze aeree di Australia, Canada, Cina, Gran Bretagna (RAF), Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Stati Uniti (AAC/AAF), Sud Africa e Unione Sovietica.[5] Dopo il conflitto mondiale restò in servizio in molti paesi. Venne considerato come uno dei velivoli più aerodinamici della seconda guerra mondiale, soprattutto per il suo profilo laminare delle ali. Ancora oggi molti esemplari privati situati nei vari Musei volanti statunitensi sono in perfette condizioni di volo.[5]
Categoria:
caccia e caccia-bombardiere
Equipaggio:
1
Motore: V12
Packero
Lunghezza:
9 m.
Apertura
alare: 11,9 m.
Velocità:
703 km/h
Armamento:
6 mitragliatrici Browning da 12,7 mm, 2 bombe da 227 kg o 8 razzi aria terra
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I bombardamenti della Seconda guerra mondiale.
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Londra. Settembre 1940-maggio
1941
Inizia nell’agosto 1940 la
Battaglia d’Inghilterra. Churchill mandò alcuni bombardieri inglesi a colpire
in azione dimostrativa Berlino. Quell’episodio irritò Hitler e Goring al
punto di far loro cambiare strategia: la Lutftwaffe – che secondi i piani era
impegnata nell’eliminare le infrastrutture britanniche e la rivale Raf –
venne a quel punto concentrata sul bombardamento di Londra. Durante gli
attacchi, che si conclusero il 10 maggio 1941 Londra venne colpita
gravemente, con 20mila morti e forse un milione di edifici distrutti o
danneggiati. Ma alla fine i tedeschi dovettero rinunciare ai loro piani.
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Coventry 14-15 novembre 1940
Durante la Battaglia
d’Inghilterra, nella notte tra il 14 e il 15 novembre 1940, circa 500
bombardieri tedeschi presero di mira la città di Coventry sganciando sulla
città centinaia di tonnellate di bombe e circa 30mila spezzoni incendiari,
radendo al suolo almeno trequarti delle fabbriche e delle infrastrutture,
distruggendo oltre quattromila case e uccidendo 1236 civili. “Coventrizzare”
è diventato un termine utilizzato per indicare l’annientamento di una città.
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Pearl Harbor 7 dicembre 1941
L’evento più decisivo della
Seconda guerra mondiale fu un attacco aereo, quello di Pearl Harbor, nelle
isole Hawai, con il quale i giapponesi trascinarono gli Stati Uniti nel
conflitto. La missione dei 389 aerei giapponesi (bombardieri, bombardieri in
picchiata, aerosiluranti, e caccia Zero) decollati dalle sei portaerei
nipponiche (Akagi, Kaga, Shokaku, Zuikaku, Soryu e Hyriu) doveva essere
quella di cogliere di sorpresa e distruggere la flotta americana del
Pacifico. L’operazione riuscì a metà: il bombardamento giapponese fu un
successo, ma nei porti delle isole fortunosamente non erano presenti le tre
portaerei statunitensi Lexington, Saratoga e Enterprise. Gli americani
persero circa 2400 uomini; 18 navi furono colpite e gravemente danneggiate,
ma gran parte poté essere in seguito recuperata; quasi 200 aerei furono
distrutti, la maggior parte dei quali mentre erano a terra.
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Tokio 18 aprile 1942
Il Giappone nel 1942 era al
massimo della sua potenza, ma c’era da vendicare l’affronto di Pearl Harbor.
Per questo gli Stati Uniti cominciarono a lavorare su bombardieri capaci di
decollare da portaerei, e in effetti ci riuscirono progettando il Raid
Dolittle (dal nome del comandante Harold Dolittle) su Tokyo. Il 18 aprile 16
bombardieri B25 si staccarono dalla USS Hornet e grazie all’effetto sorpresa
intorno a mezzogiorno e mezza riuscirono a bombardare la capitale giapponese,
per poi atterrare in Cina.
Le rotte di attacco e di fuga del raid di Doolittle |
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Berlino novembre 1943-marzo
1944
Furono gli inglesi a compiere
le operazioni di bombardamento di Berlino. Esse erano parte della strategia
generale di colpire la Germania dal cielo per distruggerne le infrastrutture,
ma l’attacco alla capitale del Terzo Reich aveva anche importanti motivi
psicologici: voleva dimostrare che la sede di Hitler non era intoccabile, e
soprattutto voleva vendicare i bombardamenti tedeschi su Londra. In 16
incursioni aeree i britannici persero 500 velivoli e 2700 membri degli
equipaggi, con un tasso di abbattimento superiore alle loro altre operazioni.
Di contro i danni inflitti a Berlino furono proporzionalmente inferiori a
quelli sulle altre città tedesche, con vittime stimate tra 4 e 10mila e danni
ingenti, ma insufficienti da paralizzare la capitale.
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Bari
2 dicembre 1943 un articolo su questo evento lo trovate su questo blog qui
Per rendere inutilizzabile il porto di
Bari e danneggiare la flotta internazionale destinata all’afflusso di
rinforzi e rifornimenti per gli anglo-americani, 105 bombardieri Junkers 88
organizzati in tre squadriglie della Luftwaffe decollarono dal Nord Italia.
Il bombardamento massiccio venne trasformato in un’immane tragedia dalla
presenza di armi chimiche nel porto. Segretamente infatti la nave americana
Johm Harvey trasportava migliaia di bombe M47A1 all’iprite, che dovevano
essere tenute di riserva in caso di eventuale attacco chimico tedesco. Bari
venne soprannominata la Pearl Harbor italiana, con 17 navi affondate, una
ventina danneggiate e almeno mille morti.
Il porto visto da una postazione antiaerea dopo l'attacco |
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Dresda 14 febbraio 1945
Furono decine di migliaia le
vittime dell’attacco aereo alleato che rase al suolo Dresda all’alba del 14
febbraio 1945. Si è sempre parlato di circa 200mila morti ma una recente
indagine ha dato per accertato fra le 20 e le 30mila vittime. Secondo molti
esperti il vero motivo che portò gli anglo-americani a riservare a Dresda un
trattamento così devastante fu l’intento di dare il colpo di grazia al morale
dei teschi, anche a scapito della vita di tanti civili. Delle 3/4mila
tonnellate di bombe più della metà furono incendiare, il cui effetto
devastante fu decisivo nel radere al suolo la città.
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Hiroshima e Nagasaki 6 e 9
agosto 1945
Il fungo atomico, causato dalla bomba atomica "Fat Man" su Nagasaki, raggiunse i 18 km di altezza
Fu sempre alla forza aerea che
toccò il compito di condurre l’azione più clamorosa e devastante della
Seconda guerra mondiale: lo sgancio delle bombe atomiche. Fu l’unico utilizzo
di tale arma nella storia. Il 6 agosto 1945 tre bombardieri B29 statunitensi
volarono si Hiroshima senza incontrare resistenza. L’aereo Enola Gay, sganciò
la bomba Little Boy con 60 chili di uranio 235. La detonazione nucleare rase
al suolo gli edifici cittadini e uccise sul colpo quasi 100mila persone, e
quasi altrettante morirono nei giorni successivi per gli effetti di feriti e
radiazioni. Il 9 agosto due B29 decollarono per sganciare una seconda bomba
atomica su Kokura, ma poi le condizioni meteo suggerirono di deviare la
missione sul porto di Nagasaki. La città venne investita dall’esplosione di
Fat Man, una bomba atomica con 6,5 chili di plutonio 239. Le vittime furono circa 80mila. Il 15
agosto il Giappone si arrese.
Ricostruzione post-bellica di "Little Boy". |
Le
sfide della guerra fredda.
Anche
se non giunsero, per fortuna, a scontrarsi direttamente, le potenze americana e
sovietica vissero un confronto a distanza delle proprie forze.
Chi non ha visto
il film Top Gun che raccontava l’alta tensione che correva nella competizione
aerea fra americani e sovietici nella seconda metà del secolo scorso? La Guerra
fredda fu calda nei cieli. Ufficialmente le forze armate statunitensi e
sovietici non vennero mai in contatto diretto , ma fu proprio nell’aria che si
ebbero i confronti più significativi. “Durante
la guerra di Corea (1950-53), l’Urss fornì alla Cina alcune centinaia di Mig
15. Una recente scoperta degli storici è che essi furono in gran parte pilotati
da aviatori sovietici spediti da Stalin a fare esperienza operativa. Per molto
tempo quella presenza russa fu considerata una specie di leggenda, invece i
documenti hanno provato che davvero in quel conflitto ci fu un confronto armato
tra le aviazioni dei due blocchi. La Guerra di Corea fu una scuola per i piloti
americani e sovietici e per conoscere i rispettivi aerei e le tattiche. Peraltro
con il tempo si è visto che la versione americana sulla propria superiorità era
molto gonfiata. L’F86 americano era un ottimo velivolo, ma aveva un armamento
molto leggero rispetto al MIG15 sovietico, che per di più era robusto e poteva
contare sulle basi in Manciuria in cui poter tornare senza essere inseguito (per motivi politici gli americani non
vollero violare il suolo cinese). Questo fece sì che molti degli abbattimenti
dei Mig vantati dagli americani, in realtà non corrispondevano a danni
definitivi a velivoli nemici. Un salto di qualità importante l’F86 lo fece
quando fu munito di un piccolo radar sul muso, che aiutava io pilota con un
puntamento automatico con tiro assistito”, spiega Mirko Molteni autore del
saggio Un secolo di battaglie aeree edito da Odoya. Alla fine della guerra il
confronto tra le due scuole aviatorie non aveva avuto né vinti né vincitori,
come la guerra stessa. Dopo che gli anni Cinquanta e Sessanta portarono novità
tecnologiche rilevanti, come motori a jet e missili aria-aria, la Guerra del
Vietnam (1965-75) costituì il secondo grande confronto fra le due superpotenze.
Ma in questo caso a pilotare gli aerei di fabbricazione russa erano i
nordvietnamiti, seppur addestrati in Unione Sovietica. Gli americani in quel
famigerato conflitto ebbero brutte sorprese non solo non solo nella giungla ma
anche nei cieli. “I Mig 17 e i Mig 21
vietnamiti riuscirono spesso a mettere in crisi gli americani e a ottenere
molte vittorie. I nordvietnamiti applicarono anche in aria la tattica della
guerriglia, con piccoli attacchi a sorprese delle formazioni americane: si
avvicinavano a bassa quota, spuntavano in mezzo alle formazioni, sparavano con
i cannoncini, scappavano. Al contrario i piloti americani avevano iniziato a
fare troppo affidamento sui missili aria-aria, disabituandosi al combattimento
ravvicinato. Addirittura sugli aerei si era cominciato a togliere le armi fisse
di bordo, come le mitragliatrici. L’F4 Phantom, velivolo simbolo della potenza
aerea americana degli anni Sessanta e Settanta è di per sé più prestante dei
Mig 21, venne progettato fin dall’inizio solo con armamento missilistico. Fu
per l’insufficienza nel combattimento manovrato dimostrata in Vietnam che venne
creata la scuola di Top Gun resa celebre dal film con Tom Cruise” afferma
Molteni. Per il resto, il confronto fra gli aerei delle potenze rivali
avvennero soprattutto con guerre combattute da altri. Per esempio India e
Pakistan si scontrarono nel 1965 e nel 1971 schierando aerei sovietici e
americani, come i Mig 21 per l’India e gli F104 Starfighter per il Pakistan,
scontri nei quali “la maneggevolezza dei
Mig 21 si dimostrò un’arma migliore rispetto alla velocità degli F104, nati
come intercettori di bombardieri e poco adatti al ruolo di caccia”,
prosegue Molteni.
Nelle
guerre arabo-israeliane (1948-1956-1967 e 1973) le aviazioni utilizzarono molti
aerei francesi e britannici e per gli israeliani giocò un ruolo importante l’F4
con il quale vennero distrutti 116 velivoli arabi. Ma il cielo della Guerra
Fredda non era solcato solo da caccia in cerca di sporadici duelli. Un ruolo
importante in quegli anni lo ebbero gli aerei spia. “Tra americani e russi ci fu una radicale diversità di approccio. Gli
Stati Uniti svilupparono aerei come il Lockeed U2, capace di sorvolare ad
altissima quota (23mila metri) il territorio russo sorvegliandone i progressi
industriali e tecnologici. Furono gli aerei spia di questo tipo a documentare e
a scovare le basi russe a Cuba che furono all’origine della crisi del 1962.
Allo stesso tempo, quando nel maggio del 1960 venne abbattuto sul suolo russo
l’U2 del tenente Gary Powers, che fu catturato, ne seguì una crisi diplomatica
che mise a repentaglio ogni tentativo di distensione. I sovietici, invece,
puntarono di più sui grossi ricognitori oceanici di lungo raggio, bombardieri
strategici (come i Tupolev Tu95 con autonomia di 15mila chilometri) trasformati
in modo da intercettare il traffico radiotelevisivo dell’avversario senza
violare lo spazio aereo nemico”, conclude Molteni. Oggi che gran parte del
monitoraggio è affidato ai satelliti, il presidente russo Putin ha ripreso i
voli di questi bombardieri strategici, considerati ancora utili.
Mig 21
Categoria: caccia
Equipaggio: 1
Motore: turbomotore Tumansky
Lunghezza: 13,46 m
Apertura alare: 7,15 m
Velocità: 2000 km orari
Armamento: 2 cannoni da 30 mm, 1200 kg di bombe o
missili
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Mig 15
Categoria: caccia
Equipaggio: 1
Motore: turbo jet Klimov VK/1FA
Lunghezza: 11,3 m
Apertura alare: 9,6 m
Velocità: 1074 km orari
Armamento: 1 cannoncino da 37 mm, 2 cannoncini da
23 mm, bombe o razzi non guidati
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F86A Sabre
Categoria: caccia
Equipaggio: 1
Motore: turbo jet j47-GE-13
Lunghezza: 11,2 m
Apertura alare: 11,3 m
Velocità: 1086 km orari
Armamento: 6 mitragliatrici da 12,7 mm, 2 bombe da
454 kg
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F4 Phantom
Categoria: caccia
Equipaggio: 2
Motore: 2 turboreattori General
Lunghezza: 19,2 m
Apertura alare: 11,70 m
Velocità: 1450 km orari
Armamento: fino a 8500 kg in cannoncini, bome,
missili aria-aria e aria-superficie
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U2
Categoria: ricognitore aereo spia
Equipaggio: 1
Motore: turboreattore Pratt & Whitney J57-P-13
Lunghezza: 15,11m
Apertura alare: 24,38 m
Velocità: 804 km orari
Armamento: sensori spia
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Articolo
in gran parte pubblicato su Storie di guerre e guerrieri antology extra n. 1
altri testi e foto da Wikipedia
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