I gulag: l’inferno
sovietico in 4 parole.
Con l’aiuto di un
esperto di Storia Contemporanea della Russia rievochiamo, in quattro parole
russe, tutto l’orrore del sistema Gulag: i campi di concentramento sovietici in
cui ogni arbitrio era concesso ai carnefici che dovevano punire gli oppositori
al regime staliniano.
Dal 7 aprile 1935, il
decreto firmato da Kalinin, Molotov e Akulov abrogava l’art. 8 del Codice
penale a dodici anni l’età in cui un minore poteva essere detenuto. Inoltre, la
gran parte degli organi, magari proprio in seguito alla deportazione dei
genitori, finiva nei gulag.
Gulag (pron. [gu'lag]; in russo: ГУЛаг - Главное управление исправительно-трудовых лагерей? , "Glavnoe upravlenie ispravitelno-trudovych lagerej", "Direzione principale dei campi di lavoro correttivi"[1] - spesso scritto GULag) è stato il ramo della polizia politica dell'URSS che costituì il sistema penale dei campi di lavoro forzato. Benché questi campi fossero stati pensati per la generalità dei criminali, il sistema è noto soprattutto come mezzo di repressione degli oppositori politici dell'Unione Sovietica.
Il tasso di mortalità nei lager sovietici nell'anno prebellico era tra il 3 e il 7%, durante la guerra raggiunse il 17%, viste le scarse condizioni di vita, e negli anni del dopoguerra tra lo 0,4 e l'1,2%[2].
“GLAVNOE UPRAVLENIE LAGERJ” DIREZIONE GENERALE DEI CAMPI.
Da cui Gulag secondo
Anne Applebaum, autrice di “Gulag a history” (2003), il termine, introdotto a
partire dal 1930, indica l’intero sistema sovietico di lavoro forzato, in tutte
le sue forme e varianti. E in senso più ampio, lo stesso sistema repressivo
sovietico, l’insieme delle procedure che un tempo i detenuti chiamavano
tritacarne: arresti, interrogatori, trasferimento in carri bestiame, lavoro
coatto, il tutto nel gelo della Siberia. Una spietata persecuzione: distruzione
di famiglie, anni trascorsi in esilio, morti precoci e inutili. Una pagina
orrenda nella storia dell’Unione Sovietica. Una pagina da rileggere, perché
l’influenza politica, il peso militare dell’Urss sul mondo Occidentale (fino al
1991) e la tardiva reperibilità di fonti autorevoli per la ricerca hanno a
lungo ostacolato la conoscenza diffusa di quanto accaduto.
Non c’è stato un
processo di Norimberga per i dirigenti comunisti responsabili, e molto tempo,
troppo, è trascorso prima che si sapesse dei corpi sepolti in quelle lande
sperdute (nei campi nella regione lungo il fiume Kolyma, per esempio) o delle
migliaia di individui deportati nelle steppe del Kazakistan (specie nella
regione di Karaganda). Una realtà sconosciuta, tanto che Hollywood non ha
ancora prodotto un solo film sui Gulag. E ce ne sarebbero di storie da
raccontare!
Veduta del campo di lavoro correttivo Yagrinsky, nei pressi di Severodvinsk
KONZLAGER. CAMPO DI CONCENTRAMENTO. Il
termine venne usato per la prima volta nel 1918, nel pieno della Guerra civile
tra i rivoluzionari rossi, che avevano preso il potere prima condotti da Leone
Trozkij e poi da Vladimir Lenin, e i controrivoluzionari bianchi. Furono
riconverte vecchie strutture, costruiti nuovi insediamenti per concentrare i
nemici di classe (borghesi, ex nobili, sacerdoti, intellettuali, socialisti non
bolscevichi). Esistevano luoghi di confino per il lavoro forzato anche prima,
nella Russia zarista, a cui ispirarsi. E modelli di riferimento più recenti si
trovavano in Sudafrica, dove gli inglesi, a cavallo del secolo, avevano
rinchiuso i combattenti boeri e coloro che li sostenevano. Ma i bolse vichi
andarono oltre, in base al principio che anche in assenza di prove fosse
necessario rinchiudere i soggetto sospetti. Alla fine del 1919 furono
registrati 21 campi in piena attività, un anno dopo 107 (non si conosce il
numero complessivo dei detenuti). Il tutto, dagli arresti alla gestione dei
prigionieri, venne affidato alla Ceka, la temuta polizia segreta: poi
riorganizzata, via via sotto gli apparati di Gpu, Ogpu, Nkvd, e infine Mvd e
Kgb.
Col tempo, da un
complesso carcerario per politici, inizialmente parallelo rispetto a quello dei
comuni criminali, si passò alla gestione di un immenso sistema penale
disseminato per l’intera Unione Sovietica, in centinaia di siti: dalle regioni
Nordoccidentali fino ai territori posti al di là dei monti Urali, anche in
prossimità del Circolo polare artico.
Tre furono i momenti di
maggior afflusso nei campi: 1) gli anni della collettivizzazione agricola (1929-1933),
quando i kulaki, i contadini proprietari di terra, vennero rastrellati in
massa; 2) gli anni del Terrore staliniano (1937-1938), quando arresti
indiscriminati coinvolsero anche membri del partito comunista sospettati di
dissenso e semplici cittadini; 3) gli anni successivi alla Seconda guerra
mondiale (dal 19459, quando le deportazioni colpirono prima soldati e cittadini
sovietici liberati dal dominio tedesco e accusati di cooperazione con il nemico
e poi le popolazioni dell’Est Europa finite sotto il gioco dell’Urss (polacchi,
cechi, ucraini, romeni, lettoni, estoni, lituani).
ZAKLJUCENNYJ. PRIGIONIERO. In forma colloquiale,
abbreviato in zek. Un individuo poteva essere arrestato per quello che era e
non per quello che aveva fatto, e diventava uno zek. I prigionieri politici,
quelli colpiti dall’articolo 58 del codice penale sovietico (introdotto nel
1927 per punire i reati controrivoluzionari), non furono mai più di un quarto o
un terzo del totale. La maggior parte degli internati nel Gulag erano infatti
criminali. Non solo ladri e assassini, però: criminali si poteva essere per una
barzelletta sul partito, per aver nascosto o commerciato del cibo, per un
ritardo di troppo sul posto del lavoro, per delazione di un vicino di casa. Le
pene inflitte arrivavano fino a 25 anni. Centinaia di migliaia di innocenti
furono prelevati, interrogati e sommariamente condannati. Le donne, che
costituirono una minoranza (il 22% dei prigionieri nel 1948, il 17% nel 1952),
e che formalmente risiedevano in zone separate del campo, non erano meno
sfruttate degli uomini e non solo per il lavoro forzato: alle più belle
capitava di peggio: potevano subire violenze sessuali da parte delle guardie, o
da parte dei criminali maschi, che eludevano senza difficoltà la separazione
dei sessi. Alcune impazzivano, altre accondiscendevano, pur di procurarsi un
miglior trattamento. Tutte assistevano impotenti alla morte dei propri figli:
deportati con i genitori, malamente accuditi negli asili dei Gulag o
addirittura, se grandi abbastanza gettati in mezzo agli uomini, molti dei quali
erano violenti e depravati.
A differenza dei lager
nazisti, i Gulag non erano concepiti per sterminare. Se all’inizio i campi
servivano per rieducare, in vista del reinserimento nella gloriosa società
socialista, presto il bisogno di manodopera a basso costo per le infrastrutture
da costruire e di risorse naturali da estrarre – necessarie per i colossali
piani di industrializzazione di Stalin) fecero dei Gulag un’infernale macchina
economica. Allo scopo punitivo, quindi, si sovrappose quello produttivo. “Il Gulag sovietico fu uno straordinario
strumento di coercizione e di terrore. La pena non terminava con la durissima
detenzione, ma ad essa venivano affiancati i lavori forzati, le sevizie delle
guardie e dei criminali comuni nei confronti dei prigionieri politici e
l’assoluto arbitrio del potere sovietico che poteva far sì che, scontata una
condanna definitiva se ne aggiungesse subito un’altra con qualsiasi pretesto o
che a questa subentrasse l’esecuzione capitale (gli inutili andavano eliminati
per far posto ai nuovi arrivi). Di sicuro il sistema concentrazionario
sovietico divenne un ingranaggio fondamentale nel sistema di potere anche ai
tempi di Lenin, ma soprattutto negli anni del potere ai tempi di Stalin. Con le
dovute differenze e proporzioni penso si possa parlare di un sistema
schiavistico vero e proprio”, spiega Alberto Basciani, che insegna storia
della Russia sovietica e post sovietica all’Università di Roma Tre. Il tasso di
mortalità degli zek – per fame, per malattia, per violenze subite – era
altissimo nei primi mesi di permanenza. Stipate in baracche sovraffollate,
lavoravano fino a 14/15 ore quotidiane: nei boschi, nelle miniere, in distese
ghiacciate, anche sotto i 50 gradi. Le esigue razioni di cibo erano dosate in
relazione alle quote produttive che ogni detenuto, ogni giorno, era tenuto a
rispettare: quote produttive proibitive. Pur di sottrasse a quell’incubo senza
scampo, molti cercavano di ferirsi, mutilarsi, alcuni di suicidarsi (se
scoperti venivano torturati, essendo il suicidio ritenuto una forma di
evasione). Pochi fuggivano: perché la fuga in quei luoghi equivaleva a una
morte peggiore di un colpo di fucile. Altri, controllando i propri compagni,
instauravano forme di collaborazione con i carcerieri: pur di mitigare
quell’inferno si trasformavano in vili delatori.
Gli zek erano tenuti in vita nella misura in
cui si rendevano utili: la prospettiva di nuove ondate di arresti da cui trarre
nuova forza lavoro poteva portare a esecuzioni di massa per sbarazzarsi degli
elementi diventati poco produttivi e liberare spazio per i nuovi arrivi.
Durante la Seconda guerra mondiale, con l’invasione dei nazisti che colse di
sorpresa l’URSS, in migliaia vennero arruolati nell’esercito per necessità;
decine di migliaia morirono invece nei campi: fucilati, affamati, abbandonati a
se stessi.
Prigionieri impiegati nella costruzione del Belomorkanal
Il gulag nei numeri.
Numero di prigionieri[modifica | modifica wikitesto] |
Il numero di prigionieri crebbe abbastanza gradualmente dal 1930 (176.000) al 1934 (510.307), e poi più rapidamente fino all'impennata del 1938 legata alle purghe (1.881.570), per diminuire durante la seconda guerra mondiale a causa dei reclutamenti nell'esercito (1.179.819 nel 1944). Nel 1945 tornò a crescere fino al 1950, raggiungendo il valore massimo (circa 2.500.000) che rimase pressappoco costante fino al 1953.
1930 | 179.000 | 1936 | 1.296.494 | 1942 | 1.777.043 | 1948 | 2.199.535 |
1931 | 212.000 | 1937 | 1.196.369 | 1943 | 1.484.182 | 1949 | 2.356.685 |
1932 | 268.700 | 1938 | 1.881.570 | 1944 | 1.179.819 | 1950 | 2.561.351 |
1933 | 334.300 | 1939 | 1.672.438 | 1945 | 1.460.677 | 1951 | 2.525.146 |
1934 | 510.307 | 1940 | 1.659.992 | 1946 | 1.703.095 | 1952 | 2.504.514 |
1935 | 965.742 | 1941 | 1.929.729 | 1947 | 1.721.543 | 1953 | 2.468.524 |
Anche se non esistono stime
precise per alcuni anni (in particolare i Venti), e non ci si renderà mai
conto delle migliaia di decessi non riportati dai registri sovietici, dopo il
crollo dell’Urss gli storici hanno lavorato sui numeri di detenuti e
deceduti. Non essendo previste condanne permanenti, fu un flusso continuo di
arresti, rilasci, nuovi arresti. L’anno di massima concentrazione fu il 1950,
con 2,5 milioni di prigionieri. Prudenti ricostruzioni, riferiscono di 18
milioni di individui transitati nei Gulag tra il 1929 e il 1953 (senza
contare i detenuti con regolari penitenziari delle città sovietiche). Nello
stesso periodo i morti sarebbero stati almeno 2,7 milioni.
|
OTTEPEL. DISGELO. Il Disgelo,
storicamente fu il periodo kruscioviano, che va dalla morte di Stalin nel 1953
e la successiva denuncia di Krusciov dei crimini dello stalinismo, nel XX
congresso del Partito comunista (1956), e la rimozione dello stesso Krusciov
dalla carica di Primo segretario (1964). Fu anche il periodo nel quale i Gulag,
per come si era sviluppato, cessò di esistere: “Fino alla destalinizzazione poco si sapeva del sistema
concentrazionario sovietico, e anche in Urss la popolazione preferiva non
parlarne, del resto non era rao che anche i parenti dei deportati vivessero nel
terrore e preferissero non parlare della fine dei familiari scomparsi; il
Gulag, però, era diventato sempre più difficile da gestire, anche a causa di
due nuove categorie di deportati: i detenuti di guerra sovietici liberati dai
campi di prigionia nazisti e considerati dal regime traditori; e le comunità
etniche non russe deportate; l’innesto dei nuovi prigionieri accanto ai vecchi
reclusi (politici e comuni) fece dei campi di concentramento un apparato enorme
e sempre meno controllabile, con centinaia di rivolte sanguinose. Alla morte di
Stalin, erano un grande problema per le autorità sovietiche”, spiega
Basciani.
Venuto meno lo spietato
pugno di ferro del dittatore, gli zel si organizzarono, protestarono e le loro
rivendicazioni furono in parte accolte. Fu inoltre riconosciuto che i campi
erano un’impresa in perdita: gli ingenti costi dell’enorme apparato repressivo
non giustificavano più i livelli di produzione costantemente in calo. Dal 1953
venne quindi alleggerito il regime di vita dei prigionieri, le prime amnistie
liberarono i non politici, o politici con condanne inferiore ai 5 anni. Nel
solo 1957, mentre si smantellavano alcuni dei campi più grandi, furono
riabilitati 617mila zek. E infine, nel
1960, un’ordinanza del Ministero degli affari interni soppresse la Direzione
generale dei campi, cancellando l’articolo 58. Il lavoro coatto smise così di
essere al servizio dell’economia.
Al tempo stesso, però,
il sistema giudiziario non subì sostanziali cambiamenti: giudici politicizzati,
guardie carcerarie violente, celle inadeguate continuarono a caratterizzare
l’Urss. I detenuti liberati e tornati alle loro case furono in molti casi
vittime di discriminazione. Per di più, colonie di lavoro, cioè luoghi non
ordinari di detenzione dove relegare individui sgraditi, non scomparvero del
tutto. Il codice penale del 1961 introdusse infatti l’articolo 70 che puniva
l’agitazione e la propaganda antisovietica. Dopo il Disgelo vi fu una svolta:
oltre che il numero drasticamente ridotto, cambiò la natura dei prigionieri
politici, non più innocenti arbitrariamente arrestate ma dissidenti consapevoli
di esserlo, pronti a denunciare – attraverso reti di sodali, o con l’uso della
stampa clandestina e supportati dall’opinione pubblica internazionale – gli
arbitri e le violenze. E così. Finalmente, negli anni Sessanta e Settanta il
mondo prese drammaticamente coscienza del sistema Gulag. Il disfacimento
dell’apparato si completò negli anni Ottanta; l’ultimo campo russo, il Perm-36
, residuo dell’epoca staliniana chiuse nel 1987.
Infine, nel 1991, il
nuovo Parlamento Russo approvò una Dichiarazione dei diritti e delle libertà
dell’individuo che formalmente sancì la legittimità, per i cittadini, di
dissentire dal governo. Riaffiorarono allora voci di uomini che dell’esperienza
del Gulag, del clima degli anni peggiori, portavano ancora addosso i segni.
Quel clima fu rievocato da un frase diffusa nei campi, che Anne Applebaum
riporta sul suo libro: “Chi non c’è stato
avrà il suo turno, chi c’è stato non lo dimenticherà mai”.
Articolo in gran parte
di Simone Cosimelli, scrittore e ricercatore storico pubblicato su BBC History
del mese di settembre 2018. Altri testi e articoli da wikipedia.
Uno dei regimi più sanguinari del secolo scorso.
RispondiElimina