martedì 11 dicembre 2018

Lo spionaggio nell’antica Roma.


Lo spionaggio nell’antica Roma.
L’arte della guerra diventò scientifica con la nascita dei servizi d’informazione, inventati da Annibale. I Romani, però, impararono presto e ai tempi di Cesare lo spionaggio divenne metodo.


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Pretoriani del II secolo, da un bassorilievo (oggi presso il Pergamonmuseum di Berlino)
a Roma, l'arte dello spionaggio divenne scientifica all'epoca di Cesare. spesso le spie si muovevano in abiti civili e, se necessario, portavano armi leggere come il pugio (foto sotto)
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Negli imperi orientali il ricorso allo spionaggio era abbastanza frequente, mentre Atene e Roma non avevano lo stesso interesse, forse per le diverse origini storiche e le finalità politiche che differenziarono i regni dell’Est dai regimi repubblicani dell’Ovest. Egizi, Assiri, Babilonesi e Persiani utilizzarono tutti gli strumenti a loro disposizione (spionaggio compreso) per alimentare le proprie mire espansionistiche e difendere le dinastie regnanti. Atene e Roma repubblicane, invece, si svilupparono a partire da piccole città-stato, gelose della propria indipendenza e autonomia decisionale, quindi meno protese verso l’esterno. Per lungo tempo, l’attività di intelligence, sia nelle città greche sia nell’Urbe (impegnata con le prime conquiste), si limitò alla semplice ricognizione del territorio o alla raccolta di notizie utili alle campagne militari.
Anche le tattiche militari erano diverse. Se Assiri e Persiani privilegiavano la guerra di movimento, i Greci facevano affidamento sulla fanteria pesante. Gli opliti (fanti massicciamente armati e ben protetti) avanzavano a passo cadenzato, stretti l’uno all’altro, contro una massa di nemici organizzati allo stesso modo. Il gruppo più numeroso e compatto faceva indietreggiare l’altro, ipotecando la vittoria. In un contesto fatto di spirito di corpo, pesantezza di armamento e forza pura, c’era poco spazio per pratiche di spionaggio e controspionaggio, per trucchi e trappole. Anche i Romani, all’inizio della loro avventura storica, che li vide trasformarsi da contadini nei migliori guerrieri dell’antichità, davano la priorità alla forza collettiva e all’impeto irresistibile dei centurioni, mentre si mostravano restii alla frode negli scontri diretti.

LA LEZIONE DI ANNIBALE. Fu con Giulio Cesare che capirono l’importanza dello spionaggio, non solo per esigenze militari, ma anche per il controllo della situazione interna, dando origine alle prime forme di polizia politica. Che i Romani non avessero inizialmente una mentalità di intelligence lo si capisce dal celebre episodio delle oche del Capidoglio. Nel 390 a.C., i Galli di Brenno assediarono l’Urbe e tutta la popolazione si rifugiò sul colle del Campidoglio, ultimo bastione di resistenza. Una notte, i barbari tentarono di sorprendere i Romani nel sonno, ma il forte starnazzare delle oche svegliò i difensori che, venuto meno l’elemento sorpresa sul quale contavano gli assalitori, riuscirono a respingere l’attacco. Leggenda o realtà che sia, l’episodio mostra che la trasformazione dei Romani in puri combattenti non era ancora avvenuta. Come spiegare, altrimenti, che non avessero previsto una rete di sentinelle o un turno di guardia in una situazione di così evidente pericolo? Come non aver cercato di ottenere qualche notizia preventiva sulle intenzioni del nemico alle porte?
I Romani cominciarono ad apprezzare le tecniche dello spionaggio grazie al loro peggior nemico: l’uomo che fu sul punto di conquistare Roma: Annibale. Il cartaginese si era trovato più volte sull’orlo del trionfo perché disponeva di informazioni geografiche, topografiche e militari (assai difficili da procurarsi in quell’epoca) che solo un’efficiente rete di spie, sparse nella penisola, poteva fornire. In effetti, fin da quando si trovava in Spagna, in attesa di partire alla conquista di Roma, Annibale aveva creato un’organizzazione spionistica che gli fornì informazioni dall’Italia. Un sistema fatto anche di travestimenti, contraffazioni di documenti, linguaggi cifrati, spedizioni protette, ecc… Tutto questo mancava ancora ai Romani, i cui generali, tuttavia, appresero la lezione di Annibale. Scipione l’Africano, da cui il punico fu sconfitto fu il primo a trarre fruttuosi insegnamenti dalle tecniche spionistiche da Annibale. Ma solo con Cesare il ricorso allo spionaggio e all’intelligence divenne sistematico. Con lui la raccolta preventiva d’informazioni divenne imprescindibile per lo svolgimento delle operazioni militari. Con il tempo, il servizio si consolidò e con il tempo gli agenti segreti si fecero professionali. Ce lo racconta chiaramente Svetonio, a proposito dell’invasione della Britannia, tra il 55 e il 54 a.C. Scrive il grande storico romano: “Durante le sue spedizioni non era mai chiaro se Cesare avesse successo a causa della sua prudenza o della sua temerarietà. Mai, in verità, condusse il suo esercito in strade potenzialmente pericolose senza aver prima esaminato la disposizione dei luoghi, e lo trasportò in Britannia solo dopo aver studiato i porti, la navigazione, i mezzi per sbarcare nell’isola”. In effetti ogni movimento delle truppe di Cesare era preceduto da una meticolosa preparazione ricognitiva, logistica e militare, che teneva conto anche delle notizie raccolte sui luoghi di destinazione, sui popoli da sottomettere e sulle loro tecniche di guerra. Così avvenne anche per l’invasione delle isole britanniche, quando Cesare incaricò Caio Voluseno di una vera e propria missione di spionaggio.

La lezione di Onosandro.

Molto tempo dopo la morte di Cesare, il comandante di origine greca Onosandro scrisse a proposito delle tecniche di spionaggio parole straordinariamente attuali: “Normalmente le spie vanno condannate a morte. Ma se l’esercito è in buono stato e superiore a quello del nemico, esse possono essere graziate, risparmiate e rimandate indietro non senza aver fatto loro osservare la consistenza e l’organizzazione delle truppe”. Visione quanto mai moderna dell’uso strumentale e finalizzato dell’informazione.
Onosandro, d’altra parte, si pose il problema di come trattare le spie anche da un opposto angolo visuale: “Il generale prudente diffida del transfuga nemico, di chi si offre di svelare segreti importanti; il generale intelligente deve tuttavia ben valutare le circostanze riferite e, se le considera probabili, deve assicurarsene di persona, portare la spia con sé, piedi e polsi legati, e  promettendogli la liberazione se ha detto la verità o il supplizio se ha mentito”. Un generale della Seconda guerra mondiale non avrebbe parlato diversamente.  
I travestimenti di Annibale.

Figlio di Amilcare Barca, uno dei più illustri generali cartaginesi, Annibale successe al padre nel 221 a.C., a 26 anni. Particolarmente portato per l’arte degli artifici e degli inganni, il giovane comandante utilizzava spesso parrucche e travestimenti, che gli consentivano di spostarsi da un campo all’altro senza essere riconosciuto, per sondare il morale dei soldati e prevenire eventuali sedizioni. Prima dell’offensiva contro Roma, Annibale disseminò in Italia spie di vario genere che gli davano notizie sulla situazione del Paese che era sul punto di invadere.
Era così ben informato sul piano militare, geografico e topografico che riuscì a evitare di scontrarsi con l’armata romana del Rodano, a evitare le truppe sbarcate a Marsiglia al suo inseguimento e ad attraversare le Alpi con 26mila uomini e 37 elefanti, quando la neve aveva già cominciato a imbiancarne le cime. La sua abilità nelle tecniche di spionaggio era tale che riusciva a comunicare con i suoi alleati persino nelle città controllate da Roma.

Frumentarii
081 Conrad Cichorius, Die Reliefs der Traianssäule, Tafel LXXXI.jpg
Alcuni frumentarii si occupano degli approvvigionamenti, mietendo il grano (Colonna di Traiano, rilievo n.81)
Descrizione generale
AttivaEtà repubblicana e imperiale
NazioneCiviltà romana
Tipotruppe scelte dell'esercito romano
Guarnigione/QGCastra peregrina[1]
DecorazioniDona militaria
Voci su unità militari presenti su Wikipedia
frumentarii o mensores frumentarii[2] o mensores tritici[3] (latino) erano soldati specializzati dell'esercito romano. A partire dall'impero di Adriano vennero ad assumere il ruolo di "corrieri" o di agenti della polizia segreta.
L’INTELLIGENCE DIVENTA PROFESSIONE. Dopo aver raccolto informazioni presso i mercanti che dal Nord della Gallia erano soliti recarsi oltre Manica, Voluseno osservò attentamente le coste nemiche da una nave (non avendo potuto sbarcare), probabilmente nell’attuale regione del Kent. Dopodiché, riferì a Cesare le informazioni raccolte e il frutto delle sue osservazioni, che si rivelarono molto utili per le operazioni militari. Del resto, una delle principali ragioni della vittoria di Cesare sui Galli, qualche anno dopo, fu proprio la mancanza di ogni attività di informazione preventiva da parte di Vercingetorige. Lo dimostra l’esito della celebre battaglia di Alesia nel 52 a.C., in cui le truppe galliche, giunte in aiuto della città assediata dai Romani, si gettarono sul nemico sena aver svolto alcuna attività ricognitiva, trovandosi subito in difficoltà. In caso contrario avrebbero contrastato Cesare, per non farsi prendere a tenaglia dalla doppi minaccia costituita dalle truppe di Vercingetorice in procinto di uscire dalla città e da quelle di Commio, in arrivo, aveva fatto costruire due linee difensive, una rivolta verso l’interno (cioè verso Alesia) e un’altra verso l’esterno, per fermare le truppe di rinforzo. Se i Galli avessero praticato un minimo di spionaggio, avrebbero capito che i Romani erano in grado di combattere su due fronti per impedire il ricongiungimento degli eserciti nemici. Di conseguenza, avrebbero cambiato la loro strategia e forse Alesia non sarebbe caduta, le porte della Gallia sarebbero rimaste chiuse alle legioni romane e la Storia avrebbe avuto un altro corso. I Romani, dunque, erano sempre più convinti dell’utilità dello spionaggio, e con il tempo l’attività d’informazione divenne altamente professionale. I frumentariik intermediari e commercianti preposti all’approvvigionamento delle truppe, furono spesso incaricati, proprio per i contatti che intrattenevano con potenziali fonti sensibili, di raccogliere informazioni utili sul piano militare, economico, tattico e strategico. Inevitabilmente finirono per sostituire gli speculatores, le avanguardie delle truppe in movimento, che svolgevano compiti di limitata ricognizione sul campo. Avvenne così una vera e propria mutazione professionale. Da intermediari commerciali, i frumentarii si trasformarono in agenti segreti. Le loro reti di spionaggio funzionavano così bene che essi divennero anche agenti del controspionaggio interno, una sorta di polizia politica resa a combatterla sovversione interna fin dal suo primo manifestarsi. Con il passare del tempo, tuttavia, divennero protagonisti di eccessi di potere e di derive legate alla loro ampia autonomia. La loro immagine si degradò, la popolazione cominciò a temerne gli interventi, il loro semplice apparire divenne sinonimo di terrore: erano una sorta di Gestapo dell’epoca, tanto che il loro corpo fu soppresso nell’ambito delle grandiose riforme promosse da Diocleziano (284-305 d.C.). Questo non perché l’imperatore non volesse più far ricorso ai servizi segreti, ma perché intendeva istituzionalizzarli, inserirli nelle strutture dello Stato, renderli conformiaglia altri organi del potere e controllarli meglio.

Parole di Roma: Exploratores.
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explorator a cavallo
Si chiamavano così i soldati romani che, a differenza degli speculatore (che erano per lo più osservatori isolati per diventare poi anche guardie del corpo dell’imperatore e messaggeri), facevano parte di un distaccamento guidato da un centurione.
Avevano il compito di andare in ricognizione per conoscere la posizione del nemico, la sua forza, le vie e il luogo più adatto per la posa dell’accampamento. Fino all’epoca imperiale non furono corpi speciali, ma solo soldati tratti da ogni legione (secondo Igino, 200 uomini ogni tre legioni). Dal II secolo d.C. furono corpi speciali dell’esercito. Si ha notizia di corpi di esploratori in Britannia, Germania, Mauritania e sul Danubio (in Serbia). Il loro lavoro richiedeva spesso l’uso di abiti civili, per cui potevano, a tutti gli effetti, essere considerati spie.  
 
Una ricostruzione di scitala
La scitala o scitale (in greco anticoσκυτάληskytàlē, "bastone") è considerato tradizionalmente un messaggio cifrato e segreto che veniva inviato dagli efori, i cinque supremi magistrati di Sparta, ai generali e ai navarchi impegnati nelle spedizioni militari.[1] Si tratta di uno dei più antichi metodi di crittografia per trasposizione conosciuti: il meccanismo di codifica permetteva, nel caso la scitala fosse stata intercettata dal nemico, di mantenere segreto il contenuto del messaggio e, nello stesso tempo, consentiva al ricevente di verificarne l'autenticità, in quanto solo chi era dotato di una bacchetta identica a quella utilizzata dal mittente per preparare la scitala, poteva decifrare e leggere il messaggio.[2]
Alcuni studiosi moderni hanno però messo in dubbio l'uso crittografico della scitala, sostenendo che fosse invece usata come un sistema di comunicazione non cifrato.[3]

I PRECURSORI DEI MODERNI 007. In tal modo Diocleziano istituì un nuovo dipartimento dell’amministrazione imperiale, una struttura permanente al servizio degli interessi nazionali costituita da individui efficienti, affidabili e inquadrati chiamati agentes in rebus. Veri agenti di intelligence incaricati della protezione interna ed esterna dell’impero, con modalità operative non dissimili a quelli dell’attuale Cia.
Successivamente venne perfezionata la sorveglianza delle frontiere, dove furono inviate truppe appositamente addestrate per l’attività di spionaggio. Tra queste c’erano i procursatores, soldati d’avanguardia per ricognizioni a breve raggio, e gli exploratores, addestrati a più ampie ricognizioni in territorio nemico: uno spionaggio di tipo strategico, ma anche politico, per consentire ai capi militari di avere una visione generale della situazione prima di una guerra o di una campagna militare. Con l’inizio della decadenza dell’impero, le truppe di frontiera si scontravano sempre più frequentemente con le popolazioni barbare del Nord, desiderose di impossessarsi delle ricchezze di Roma. Aumentò, di conseguenza, la richiesta di uomini per integrare i ranghi delle armate sottoposte al primo impatto degli invasori. In mancanza di effettivi e data l’urgenza delle richieste, si decise di ricorrere al reclutamento anche di barbari (solitamente ottimi combattenti). Furono ingaggiate intere tribù, nella convinzione che quello fosse il modo più appropriato per assicurarne un inserimento graduale e senza traumi nella struttura militare dell’impero. Fu un errore, perché i combattenti barbari finirono per sentirsi legati solo ai rispettivi capitribù, che assunsero uno status e un’autonomia decisionale eccessivi. Con il tempo, questo mise in crisi tutto il sistema militare romano, tanto che le tribù, consapevoli della loro forza e della loro compattezza, decisero di spartirsi il bottino, causando il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, la cui caduta nel 476 a.C., provocò la scomparsa di molte istituzioni, compresi gli apparati di spionaggio e controspionaggio. Questi, che avevano ormai raggiunto un notevole livello di efficienza, continueranno però a esistere nell’Impero Romano d’Oriente, dove la nobile arte della guerra rimarrà per secoli nettamente superiore a quella dei popoli barbarici.

Articolo in gran parte di Domenico Vecchioni, pubblicato su Civiltà Romana n. 1 – altri testi e foto da Wikipedia.   

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