venerdì 28 dicembre 2018

La terra vista dai Greci.


La terra vista dai Greci.
I primi filosofi greci elaborarono varie teorie sulla forma della terra e la sua posizione nell’universo. Anassimandro la immaginava come un cilindro sospeso nel vuoto, i pitagorici sostenevano fosse sferica e Aristarco che ruotasse intorno al sole.

Atlante regge il mondo

“Il cielo si muove come una sfera, secondo la nostra percezione, ha forma sferica in ogni sua parte; è al centro della sfera celeste e in rapporto a essa è un punto”. Queste parole del geografo alessandrino Claudio Tolomeo, tratte dall’Almagesto, riassumono la concezione della terra e del mondo che si era affermata tra gli astronomi greci verso la metà del II secolo d.C. Secondo questo modello, che sarebbe rimasto praticamente immutato per tutto il Medioevo, la terra era un corpo sferico situato al centro dell’universo.
Alcune centinaia di anni prima, i greci avevano una visione del mondo molto diversa. Nei poemi omerici, per esempio, si trova un’immagine poetica del cosmo, in cui “il Sole, infaticabile, la Luna e la volta celeste coronata di stelle sormontavano la Terra piatta, e questa era circondata dal fiume Oceano”. Esisteva inoltre un misterioso spazio sotterraneo “l’oscura dimora di Ade”, il dio degli inferi, che nel racconto omerico Odisseo raggiungeva dopo aver attraversato “l’Oceano dai vortici profondi” e una piccola spiaggia delimitata dai boschi sacri a Persefone. Il passaggio da una visione poetica e religiosa dell’universo a una concezione scientifica e matematica, aperta all’osservazione dei fatti e interessata alla loro spiegazione, rappresenta una delle più brillanti avventure intellettuali intraprese dai greci.


Planisfero di Tolomeo, ricostituito dalla Geographiatolemaica (circa 150 d.C.) nel XV secolo, che mostra la "Sinae" (Cina) all'estrema destra, oltre l'isola di "Taprobane" (Sri Lanka, più grande del normale) e l'"Aurea Chersonesus" (penisola del Sud-Est asiatico).

Dettaglio dell'Est e del Sud-est asiatico nel planisfero di Tolomeo. Golfo del Gange (Golfo del Bengala) a sinistra; penisola asiatica del Sud-Est nel centro; Mar Cinese meridionale a destra, con la "Sinae" (Cina).

LE PRIME TEORIE. In quest’epoca svolsero un ruolo particolarmente attivo i filosofi presocratici, ovvero quei pensatori vissuti fra il VI e il V secolo a.C., per lo più nella Ionia, un’antica regione costiera dell’Asia Minore. Le loro ipotesi sembrano a volte contraddirsi l’un l’altra, ed essere animate da una volontà di confutare le dottrine già esistenti. Ma questo non toglie valore ai loro contributi: anzi, l’attitudine dialettica era uno strumento per perfezionare le teorie precedenti e correggerne gli errori.
Il primo filosofo, Talete di Mileto, affermò nel VI secolo a.C., che la terra galleggiava sull’acqua “come un pezzo di legno”. La sua idea non si discostava troppo dalle concezioni di egizi e babilonesi né dalla visione biblica e sarebbe passata inosservata se a Talete non fossero stati attribuiti anche altri importanti risultati scientifici, come una previsione di un’eclissi di sole nel 585 a.C., o il teorema matematico che porta il suo nome. Sicuramente la sua teoria aveva un punto debole, ovvero quella di ritenere che la terra avesse bisogno di una base su cui appoggiarsi, perché questo generava un problema logico senza soluzione: se la terra è sostenuta dall’acqua, su cosa si regge a sua volta l’acqua? Analoghe difficoltà presentavano le posizioni di vari filosofi del periodo, come quella di Anassimene, secondo cui la terra appoggiava sull’aria, o di Senofane, che pensava si estendesse all’infinito verso il basso. Fu Anassimandro di Mileto, discepolo di Talete e tra i più originali di questi primi pensatori, a superare il problema del punto d’appoggio sostenendo che la terra era sospesa al centro dell’universo, immobile ed in equilibrio in virtù della sua equidistanza dagli altri corpi celesti.  Secondo Anassimandro, la terra aveva forma di una colonna (o meglio, del tamburo di una colonna di pietra), la cui altezza era un terzo del diametro. Gli esseri umani vivevano sulla faccia superiore di questo disco. Il filosofo di Mileto riteneva che il cosmo si fosse sviluppato dalla rottura di una sorta di involucro, creato dal rapporto tra caldo e freddo; un evento che aveva dato origine al sole, alla luna e alle stelle. Fu pure il primo a tentare una stima delle dimensioni dei corpi celesti. Per Anassimandro il sole e la luna sono due enormi anelli, il primo grande 28 volte la terra, il secondo 19.
Il suo allievo Anassimene riteneva invece che la terra fosse piatta e racchiusa dalla cupola celeste. Fu lui a concepire per primo il cielo come una semisfera di cristallo su cui erano incastonate le stelle.

Pitagora mette ordine.
Copia romana del I secolo a.C. di originale greco conservata nei Musei Capitolini di Roma
Pitagora (in greco anticoΠυθαγòραςPythagòrasSamo, tra il 580 a.C. e il 570 a.C. – Metaponto495 a.C. circa) è stato un filosofo greco antico. Fu matematicotaumaturgoastronomoscienziatopolitico e fondatore a Crotone di una delle più importanti scuole di pensiero dell'umanità, che prese da lui stesso il suo nome: la Scuola pitagorica.

Viene ricordato come fondatore storico della scuola a lui intitolata, nel cui ambito si svilupparono molte conoscenze, in particolare quelle matematiche e le sue applicazioni come il noto teorema di Pitagora. Il suo pensiero ha avuto enorme importanza per lo sviluppo della scienza occidentale, perché ha intuito per primo l'efficacia della matematica per descrivere il mondo[1]. Le sue dottrine segnerebbero la nascita di una riflessione improntata all'amore per la conoscenza.

 


Il contributo di Pitagora allo sviluppo dell’astronomia greca fu fondamentale, anche se è difficile dire con esattezza quali teorie fossero sue e quali dei suoi discepoli. Il maestro infatti non lasciò nulla di scritto e i suoi seguaci tendevano attribuirgli qualsiasi idea. Fu il primo a definire cosmo (dal greco kosmos, ordine) il cielo, un’assoluta novità rispetto alla posizione di Anassimandro, che aveva posto al centro delle sue riflessioni il concetto di infinito (apieron).
L’ipotesi pitagorica sulla forma della terra portò alla  nascita della geometria sferica, permise di effettuare importanti progressi nello studio delle costellazioni e di predire i movimenti dei pianeti con una precisione che sarebbe rimasta insuperata fino all’invenzione del telescopio.

La scuola pitagorica. Poi arrivò Pitagora, il sapiente di Samo, fondatore di un’influente scuola filosofica. I pitagorici ripresero due principi dai loro predecessori: da Anassimandoro la concezione della terra come una superficie tondeggiante e da Anassimene l’idea del cielo come una cupola di cristallo punteggiata di stelle fisse.
Per i pitagorici l’universo era una sfera che ruotava attorno a un asse, il cui polo visibile era situato nell’Orsa minore – una costellazione visibile tutto l’anno. Pitagora pensava inoltre che la terra fosse al centro dell’universo e avesse anch’essa forma sferica. Non sappiamo bene come giunse a questa conclusione: alcuni ritengono che l’idea della sfericità gli venne osservando l’ombra ricurva che la terra proietta sulla luna durante le fasi delle eclissi secondo altri Pitagora estese l’immagine del cielo sferico anche agli altri oggetti astronomici. C’è infine chi pensa che il filosofo si limitò a sviluppare un argomento matematico estetico, in quando considerava la sfera come la più bella delle forme geometriche. A partire dall’osservazione del cosmo, i pitagorici svilupparono dei modelli astronomici particolarmente elaborati, anche se i loro ragionamenti non erano sempre esenti da pregiudizi. Filolao (nato a metà del V secolo a.C. secondo Diogene a Crotone) affermava per esempio che la terra e gli astri giravano attorno a un fuoco centrale, il cosiddetto trono di Zeus. Sosteneva inoltre l’esistenza di un pianeta uguale al nostro ma sempre nascosto dal sole, l’antiterra. Forse si trattava di un espediente per far si che i corpi celesti fossero dieci, un numero ritenuto perfetto dai pitagorici.

L’universo secondo i greci.

Hestia, Terra e Antiterra nel modello pitagorico dell'universo

Pur non rappresentando la teoria di nessun autore greco in particolare, la visione del cosmo dei primi filosofi presocratici era la seguente: la massa terrestre sembra galleggiare sulle acque ed è circondata dagli abissi dell’oceano.  I continenti sono distribuiti attorno al Mediterraneo, in accordo con le osservazioni dei navigatori greci dell’epoca. Il mondo è racchiuso da un firmamento sferico sul quale scorrono il sole, la luna e le stelle. In questa fase del pensiero astronomico si riteneva che l’universo fosse limitato e di dimensioni ridotte. Anassimandro sarà il primo a concepire l’idea di un universo infinito.
Il mondo secondo Anassimandro.

Mosaico del III secolo proveniente da Treviri che ritrae Anassimandro mentre regge una meridiana

Si conosce poco della sua vita: Diogene Laerzio[2], dopo averlo detto di Mileto e figlio di un Prassiade, riferisce l'apparentemente insignificante aneddoto secondo il quale, mentre cantava, sarebbe stato deriso da alcuni bambini, esclamando allora: «Bisognerà cantare meglio, per via dei bambini»: episodio che indicherebbe la necessità di far ben comprendere agli ingenui le verità da lui conosciute.
Lo storico greco sostiene che egli avrebbe preparato un'esposizione delle proprie dottrine e, citando la Cronologia di Apollodoro di Atene[3], afferma che nel secondo anno della 58ª Olimpiade (547 a.C.) Anassimandro avrebbe avuto 64 anni e sarebbe morto poco dopo.[2]
La tarda Suda, intorno al X secolo d.C., gli attribuisce le opere Sulla naturaIl giro della terraSulle stelle fisseLa sfera e «alcune altre», lo dichiara discepolo e parente di Talete e ne fa lo scopritore degli equinozi, dei solstizi e degli "orologi"[4], una notizia forse ricavata dalla Praeparatio evangelica[5] di Eusebio di Cesarea, secondo la quale Anassimandro: «per primo costruì degli gnomoni per conoscere le rivoluzioni del sole, il tempo, le stagioni e gli equinozi». Nella Varia historia di Eliano[6] si riporta che Anassimandro avrebbe guidato i Milesi alla fondazione della nuova colonia di Apollonia.

Cicerone[7], dal canto suo, afferma che «i Lacedemoni furono avvertiti da Anassimandro, lo studioso della natura, di lasciare la città e le case, vegliando in armi sui campi, perché era imminente un terremoto; dopo questo evento la città rimase del tutto distrutta e venne giù dal monte Taigeto una massa rocciosa della grandezza della poppa di una nave».
Nella prima metà del VI secolo a.C., Anassimandro elaborò una teoria della struttura dell’universo che aspirava a essere puramente razionale e non basata su racconti mitologici. La terra, di forma cilindrica, era circondata da una sfera di stelle e da due enormi anelli cavi e pieni di fuoco, su cui si aprivano due fessure dalle quali fuoriuscivano la luce solare e lunare.

IL FILOSOFO DELL’INFINITO. Anassimandro  visse a Mileto, in Asia minore, tra il 610 a.C. e il 545 a.C. circa. Sosteneva che il mondo fosse nato dall’infinito, l’aperion, tramite un movimento che aveva prodotto la separazione delle qualità opposte, come il caldo e il freddo. L’universo però, non sarebbe durato eternamente, ma un giorno si sarebbe dissolto nell’aperion, dal quale poi, sarebbero sorti nuovi mondi.  La terra è circondata da un gigantesco anello pieno di fuoco, con un diametro 27 volte quello terreste. La luce solare visibile dalla terra fuoriesce da una piccola fessura. Attorno al nostro pianeta c’è anche un secondo anello cavo. Le fasi lunari dipendono dalla maggiore o minore aperture dell’orifizio che lascia trapelare la luce interna dell’anello. Le eclissi si verificano quando la fessura è completamente chiusa. 

IL GENIO DI ARCHIMEDE. Nel V secolo a.C., arrivarono in Grecia le osservazioni effettuate dai babilonesi, molto più numerose e precise rispetto a quelle degli astronomi locali. Tali novità, in unione con i progressi nello studio della geometria sferica, accelerò il ritmo delle scoperte e permise sia di perfezionare le ipotesi sia di elaborare nuove teorie. Nel frattempo fecero la loro comparsa i primi trattati di matematica e astronomia. A metà del IV secolo a.C. Aristotele riprese l’idea che la terra fosse una sfera di non grandi dimensioni. Nel III secolo a.C., poi la cultura greca sviluppò notevolmente la sua comprensione della terra e del cosmo. Ne sono una prova le parole che il ,dedicata al figlio del tiranno Gerone II di Siracusa: “Ora sai bene che molti astronomi considerano il cosmo una sfera al cui centro c’è la terra, e di raggio uguale alla retta congiungente il centro del sole con il centro della terra, e ciò è quanto hai appreso dagli astronomi”. Archimede si riferiva in questo scritto alle teorie rivoluzionarie di Aristarco di Samo, uno scienziato della Jonia vissuto alcune decine di anni prima, che aveva ipotizzato un modello di universo in cui la terra e il resto dei pianeti girano attorno al sole. “Aristarco di Samo, scrive Archimede, ha esposto nei suoi libri alcune tesi secondo le quali (…) le stelle fisse e il sole sono immobili, mentre la Terra si muovi lungo una circonferenza al cui centro si trova il Sole”. Secondo Plutarco, l’astronomo ionico sosteneva anche che la terra ruotava attorno al suo asse. Nel suo trattato Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna, Aristarco tentò di calcolare la grandezza del cosmo, a partire da alcune osservazioni astronomiche, in particolare dalle eclissi lunari, e tramite calcoli geometrici, le distanze fra la terra e il sole era fra le 18 e le 20 volte quella tra la terra e la luna. In realtà il rapporto tra le distanze medie è di circa 400, ma il grande merito di Aristarco fu quello di attribuire all’universo un’estensione molto maggiore rispetto a quanto si riteneva fino ad allora. Nel III secolo a.C. si era quindi imposta l’idea secondo cui i corpi celesti si muovono circolarmente attorno a un centro. L’unico oggetto di dibattito era se la posizione centrale fosse occupata dalla terra o dal sole. Sfortunatamente la visionario eliocentrica di Aristarco cadde nell’oblio (Archimede fu uno dei pochi a ricordarla nel passo citato). Secondo quanto riferisce Plutarco, lo stoico Cleante arrivò ad accusare l’astronomo di empietà “per aver turbato il centro dell’universo” cioè di aver ritenuto che la terra era in movimento.
Gli scienziati di epoca ellenica e romana preferirono adottare il modello di universo geocentrico, che sarebbe poi giunto fino al Medioevo grazie all’Almagesto di Tolomeo, provocando una lunga stasi dell’astronomia occidentale. Successivamente sarebbero state le ipotesi di Copernico, l’Aristarco della modernità, e le osservazioni fatte da Galileo con il suo telescopio, a rinnovare l’immagine del cosmo e a inaugurare una nuova fase di progresso scientifico.


Aristarco di Samo rappresentato in un dipinto seicentesco
Nato a Samo, una delle maggiori isole in prossimità della costa della Ionia, studiò ad Alessandria, dove ebbe come maestro Stratone di Lampsaco.
Per le sue teorie si diceva che meritasse la condanna per empietà, come riporta Giacomo Leopardi nella sua Storia dell'astronomia:
«Altro astronomo greco fu Aristarco, vissuto, come credesi, verso il 264 avanti Gesù Cristo, benché considerevolmente più antico lo facciano il Fromondo e il Simmler presso il Vossio, ripresi però dal Fabricio. Di lui fecer menzione Vitruvio, Tolomeo e Varrone presso Gellio nel quale, in luogo di Aristide Samio, è da leggersi Aristarco. Egli determinò la distanza del Sole dalla Terra, che egli credé 19 volte maggiore di quella della Terra medesima dalla Luna e trovò la distanza della Terra dalla Luna, di 56 semidiametri del nostro globo. Credette che il diametro del sole fosse non più che 6 o 7 volte maggiore di quello della Terra e che quello della Luna fosse circa un terzo di quello della Terra medesima. Fu dogma di Aristarco il moto della Terra, ed egli, per tale opinione, reputossi da Cleante reo di empietà, quasi avesse turbato il riposo dei Lari e di Vesta. Sembra che Plutarco asserisca essere stato Cleante e non Aristarco il fautore del moto della Terra, così leggesi nel suo libro de facie in orbe Lunae


Archimede di Siracusa (in greco antico: Ἀρχιμήδης, Archimédēs; Siracusa, 287 a.C. circa – Siracusa, 212 a.C.[1]) è stato un matematico, fisico e inventore siracusano, siceliota.
Considerato come uno dei più grandi scienziati e matematici della storia, i contributi di Archimede spaziano dalla geometria all'idrostatica, dall'ottica alla meccanica. Fu in grado di calcolare la superficie e il volume della sfera e intuì le leggi che regolano il galleggiamento dei corpi. In campo ingegneristico, Archimede scoprì e sfruttò i principi di funzionamento delle leve e il suo stesso nome è associato a numerose macchine e dispositivi, come la vite di Archimede, a dimostrazione della sua capacità inventiva. Circondate ancora da un alone di mistero sono invece le macchine da guerra che Archimede avrebbe preparato per difendere Siracusa dall'assedio romano.
La vita di Archimede è ricordata attraverso numerosi aneddoti, talvolta di origine incerta, che hanno contribuito a costruire la figura dello scienziato nella mente collettiva. Ad esempio, è rimasta celebre nei secoli l'esclamazione hèureka! (εὕρηκα! - ho trovato!) a lui attribuita dopo la scoperta del principio che porta il suo nome.


Le dimensioni della Terra.
Eratostene di Cirene


La prima misurazione scientifica della circonferenza terrestre si deve a Eratostene di Cirene. Vissuto ad Alessandria nel III secolo a.C. Eratostene misurò la differenza nell’inclinazione dei raggi solari tra le due città, Alessandria e Siene (l’odierna Assuan, in Egitto), situate sullo stesso meridiano a circa 800 chilometri di distanza l’una dall’altra, e concluse che era di 7 gradi. Quindi effettuò una semplice proporzione e arrivò alla conclusione che la circonferenza terrestre era di 252mila stadi. Se lo stadio utilizza era quello attico, lungo 174, 125 metri, allora si sbagliò di pochissimo, perché il suo risultato finale (43.879 km.) sarebbe appena un 9,6 percento in più della misura corretta (40.075 km)


La carta del mondo di Eratostene.

Articolo in gran parte di Paloma Ortiz, Filologa pubblicato su Storica National Geographic del mese di settembre 2018 altri testi e foto da wikipedia


1 commento:


  1. Giovanni Cafaro Prove della sfericità della terra

    (161) Ingens hic pugna litterarum contraque vulgi, circumfundi terrae undique homines conversisque inter se pedibus stare, et cunctis similem esse verticem, simili modo e quacumque parte media calcari, illo quaerente, cur non decidant contra siti, tamquam non ratio praesto sit, ut nos non decidere mirentur illi. Intervenit sententia quamvis indocili probabilis turbae, inaequali globo, ut si sit figura pineae nucis, nihilo minus terram undique incoli. (162) Sed quid hoc refert, alio miraculo exoriente, pendere ipsam ac non cadere nobiscum, ceu spiritus vis, mundo praesertim inclusi, dubia sit, aut possit cadere, natura repugnante et quo cadat negante. Nam sicut ignium sedes non est nisi in ignibus, aquarum nisi in aquis, spiritus nisi in spiritu, sic terrae, arcentibus cunctis, nisi in se locus non est. Globum tamen effici mirum est in tanta planitie maris camporumque. Cui sententiae adest Dicaearchus, vir in primis eruditus, regum cura permensus montes, ex quibus altissimum prodidit Pelium MCCL passuum ratione perpendiculi, nullam esse eam portionem universae rotunditatis colligens. Mihi incerta haec videtur coniectatio, haud ignaro quosdam Alpium vertices longo tractu nec breviore quinquaginta milium passuum adsurgere.

    Grande qui è la disputa degli studiosi e, contro di essi, del volgo, cioè che gli uomini siano sparsi attorno alla terra dovunque e che si trovino coi piedi invertiti tra loro, e che per tutti il vertice sia lo stesso, che sia raggiunto con la stessa distanza da tutte le regioni poste al centro, chiedendo il secondo, perché quelli che si collocano all’estremità opposta non precipitino, così come non ci sia una ragione, di facile comprensione, che quelli non precipitino su di noi. Si diffuse una diceria, sebbene fosse plausibile per la folla irrequieta, che, col globo asimmetrico, come se fosse una riproduzione della pigna dell’albero di noce, non di meno la terra sarebbe abitata dovunque. Ma a che cosa si rifà questa diceria, se non che, generandosi un altro prodigio, la stessa rimanga sospesa e non precipiti assieme a noi, come se vi fosse la presunta forza di uno spirito, racchiuso in particolare all’interno del mondo, per contro essa potrebbe cadere, a meno che la natura non lo permetta e non consenta l’esistenza di un luogo dove cada. Infatti così come non vi è una sede delle fiamme a meno che all’interno delle fiamme, una delle acque a meno che all’interno delle acque, una dello spirito a meno che nello spirito, così quella della terra, respingendola tutte le sedi, non esiste a meno che all’interno di essa stessa. Tuttavia è sorprendente che il globo si sviluppi in una così grande distesa di mare e di pianure. A tale parere si attiene Dicearco, uomo innanzitutto erudito, che ha misurato per conto dei re i monti, fra i quali più alto emerse il Pelio, per una misura di 1250 passi in linea verticale, concludendo che poco contribuisse quella regione alla sfericità globale. A me sembra dubbia questa congettura, non essendo all’oscuro del fatto che alcune vette delle Alpi si innalzino per un tragitto che è lungo e non più breve di 50.000 passi.

    Plinio il Vecchio.

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