lunedì 10 dicembre 2018

La guerra finisce a Stalingrado.


La guerra finisce a Stalingrado.
Una serie di errori strategici, sia da parte sovietica che da tedesca, diedero il via alla battaglia più decisiva della Seconda guerra mondiale. Alla fine, fu la capacità di Hitler di trasformare una sconfitta in un disastro irrimediabile.



Nelle prime settimane del 1942, a poco più di sei mesi dall’avvio dell’operazione Barbarossa, Hitler e l’alto comando della Wermacht erano costretti a chiudere gli occhi sulla portata del suo fallimento. L’invasione dell’Urss era stato un azzardo mal calcolato: sbagliata la valutazione delle sue esigenze logistiche, in particolare sui consumi di carburante, sottovalutata la forza dell’Armata Rossa, nonostante i clamorosi successi iniziali, drammaticamente incompleto lo stesso piano dell’operazione, che non aveva previsto alcuna considerazione nel caso che la resistenza russa fosse riuscita a prolungare i combattimenti oltre il mese di novembre, fino al sopraggiungere dei rigori invernali. Le perdite tedesche ammontavano già a più di un terzo dei 3 milioni di uomini e a circa i due terzi dei 7000 mezzi corazzati e blindati che avevano attraversato il confine dell’Unione Sovietica. Persino peggiore la situazione per quanto riguarda l’apparato logistico, decisivo in un terreno difficile come quello russo: solo un veicolo a motore su sei era ancora funzionante e solo un cavallo su tre era ancora in vita.
L’Armata Rossa, nonostante avesse subito immani perdite, rimaneva il più grande esercito del mondo. A  peggiorare le cose, la Germania era contemporaneamente in guerra contro la Gran Bretagna, il più grande impero del mondo, e da dicembre 1941 anche contro gli Stati Uniti, di gran lunga la prima potenza economica del mondo. Sotto il peso di queste forze combinate di portata planetaria, la Germania avrebbe finito inevitabilmente per schiantarsi. In questa lotta contro il tempo, l’unica opzione disponibile era tentare un ultimo azzardo, concentrando le forze disponibili proprio contro l’Unione Sovietica, l’avversario più pericoloso. Con la Russia fuori gioco e le sue risorse in mano tedesca, la Germania avrebbe riequilibrato almeno parzialmente i rapporti di forze con i suoi nemici a Occidente, garantendosi la prospettiva di poter affrontare una guerra di lungo periodo.


Battaglia di Stalingrado
parte del fronte orientale della seconda guerra mondiale
Bundesarchiv Bild 183-R76619, Russland, Kesselschlacht Stalingrad.jpg
Gennaio 1943: soldati sovietici snidano gli ultimi tedeschi tra le macerie di Stalingrado.
Data17 luglio 1942 - 2 febbraio 1943
LuogoStalingrado e regione tra il Don e il Volga, Unione Sovietica
EsitoDecisiva vittoria sovietica
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
1 500 000 uomini (forze complessive dell'Asse).[1]
circa 1 500 mezzi corazzati[2]
1 800 000 uomini.[3]
3 512 carri armati[4]
Perdite
oltre 1 milione di perdite totali tra morti, dispersi e prigionieri.[5][6]
100 000 rumeni e 40 000 italiani morti nella ritirata[7]
185 000 tedeschi morti nell'accerchiamento[8]
circa 400 000 prigionieri (150 000 tedeschi, 50 000 italiani, 60 000 ungheresi e 140 000 rumeni)[5]
circa 1 100 carri armati[9]
tra 580 e 640 aerei[10]
478 000 soldati morti e dispersi[11]
650 000 feriti[11]
2 915 carri perduti nel periodo novembre 1942-febbraio 1943[11]
706 aerei perduti nel periodo novembre 1942-febbraio 1943[11]
Voci di battaglie presenti su Wikipedia
Con il termine battaglia di Stalingrado (in russoСталинградская битва?traslitteratoStalingradskaja bitva, in tedescoSchlacht von Stalingrad) si intendono i duri combattimenti svoltisi durante la seconda guerra mondiale che, tra l'estate del 1942 e il 2 febbraio 1943, opposero i soldati dell'Armata Rossa alle forze tedescheitalianerumeneed ungheresi per il controllo della regione strategica tra il Don e il Volga e dell'importante centro politico ed economico di Stalingrado (oggi Volgograd), sul fronte orientale.
La battaglia, iniziata con l'avanzata delle truppe dell'Asse fino al Don e al Volga, ebbe termine, dopo una serie di fasi drammatiche e sanguinose, con l'annientamento della 6ª Armata tedesca rimasta circondata a Stalingrado e con la distruzione di gran parte delle altre forze germaniche e dell'Asse impegnate nell'area strategica meridionale del fronte orientale.
Questa lunga e gigantesca battaglia, definita da alcuni storici come "la più importante di tutta la Seconda guerra mondiale",[12] segnò la prima grande sconfitta politico-militare della Germania nazista e dei suoi alleati e satelliti, nonché l'inizio dell'avanzata sovietica verso ovest che sarebbe terminata due anni dopo con la conquista del palazzo del Reichstag e il suicidio di Hitler nel bunker della Cancelleria durante la battaglia di Berlino.[13]

Operazione Blu[modifica | modifica wikitesto]

Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: operazione Barbarossaseconda battaglia di Char'kov e operazione Blu.
L'avanzata tedesca durante l'operazione Blu, dal maggio al novembre 1942
Nella primavera del 1942 Adolf Hitler era fermamente deciso a riprendere l'iniziativa sul fronte orientale dopo il brusco fallimento della battaglia di Mosca a causa della controffensiva dell'Armata Rossa durante il rigido inverno russo.[14] Freddo, ghiaccio e neve, uniti ai potenti e inaspettati contrattacchi sovietici, avevano notevolmente indebolito la Wehrmacht che, pur mantenendo la sua coesione e avendo evitato una rotta "napoleonica" (secondo Hitler grazie alla sua risolutezza e alla sua decisione di ordinare la resistenza sul posto alle truppe), non disponeva più delle forze sufficienti a sferrare una nuova offensiva generale paragonabile all'operazione Barbarossadell'estate precedente.[15]


Una città simbolo.
Le caratteristiche della città, con le sue enormi fabbriche e i densi insediamenti abitativi, si rivelarono un ostacolo insormontabile all’efficace coordinamento di corazzati, artiglieria, aerei e fanteria che erano al centro delle tattiche della Wehrmacht. La città si allungava per 40 km., seguendo la riva occidentale del Volga, qui largo oltre 1600 metri. I quartieri settentrionali della città erano dominati da grandi opifici: la fabbrica di trattori Dzerzhinsky, la fabbrica di cannoni Barricate Rosse, l’acciaieria Ottobre Rosso, e altre ancora formavano praticamente un’unica posizione fortificato interconnessa, che sarebbe stata protagonista degli intensi e sanguinosi combattimenti ravvicinati dei mesi a venire. L’estremità meridionale della città, costituita dai sobborghi di Minina e Yelshanka, era divisa dal resto della città dal fiume Tsaritsa, un affluente del Volga a sud della principale stazione ferroviaria di Stalingrado. Si suppone, inoltre, che Hitler si sia incaponito nel voler vincere a tutti i costi la battaglia anche per il nome che portava: voleva distruggere la città di Stalin, conscio del grande valore propagandistico che una tale operazione avrebbe avuto.  

IL FUMOSO PIANO TEDESCO. Nella direttiva del Fuhrer n. 41 del 5 aprile 1942, Hitler formalizzò questa nuova offensiva denominandola operazione Blu: la conquista del Caucaso e, oltre la catena montuosa anche della Transcaucasia, le regioni dalle quali l’Unione Sovietica ricava il 90% della propria produzione petrolifera e molte altre preziose materie prime. Il piano prevedeva, in primavera, la ripresa dell’offensiva da parte dell’intero Gruppo di Armate del Sud, il cui fronte correva a settentrione da Orel, scendendo fino al mare d’Azov. Nella prima fase, una serie di battaglie di accerchiamento avrebbero dovuto annichilire, una dopo l’altra, le formazioni sovietiche a Ovest del fiume Don, fino all’obiettivo di stabilizzare, in una seconda fase, il fianco sinistro del Gruppo di Armate del Sud. Tutto ciò raggiungendo, ma senza conquistare, Stalingrado per permettere alle truppe tedesche l’attraversamento del braccio meridionale del Don, dando via alla fase decisiva e conclusiva del piano, ossia l’avanzata in profondità del Caucaso. Era anche previsto, ma solo come obiettivo secondario, l’attraversamento del Volga a settentrione di Stalingrado per lanciare future offensive. Più che la pianificazione di un’operazione militare di ampia portata, il piano Blu era una pura indicazione strategica, che confidava, per la sua realizzazione, nella sapienza tattica dei generali e delle truppe tedesche. Mancava una precisa visione complessiva delle operazioni, e in ciò il piano soffriva degli stessi difetti dell’operazione Barbarossa. Ed era, come molti alti ufficiali tedeschi intuirono subito, destinato a incontrare lo stesso infausto destino.

L'avanzata tedesca verso il Volga(luglio-settembre 1942)

Non un passo indietro.

Francobollo sovietico con la frase "Non un passo indietro"
in russo (ne shagu nazad)
L'Ordine numero 227 è un ordine emesso da Stalin, il 28 luglio 1942. Esso decretava che tutti i membri dell'Armata Rossa che si fossero ritirati o avessero altrimenti lasciato le loro posizioni senza averne ricevuto l'ordine, sarebbero stati inseriti in un "battaglione di disciplina". È conosciuto anche come l'ordine "Non un passo indietro!"[1] (Ни шагу назад!).
La direttiva n. 227 emanata da Stalin il 27 luglio 1942 ordinava tassativamente agli uomini e alle donne dell’Armata Rossa di non cedere al nemico un solo metro del territorio russo. Un comandante che si assumeva la responsabilità di far arretrare i suoi uomini doveva dimostrare di aver avuto ottime ragioni per farlo, e spesso non era nemmeno sufficiente di fronte agli spietati tribunali di guerra. I russi dimostrarono tuttavia una tenacia incrollabile e il recente accesso agli archivi sovietici ha sfatato il mito delle fucilazioni sul posto di masse di disertori. Per decenni si è ritenuto che ammontassero tra i 13 e i 14mila i codardi giustiziati dai commissari politici per aver abbandonato il combattimento, ma oggi gli storici hanno ridimensionato quella cifra a circa 300. Nikita Crushev, destinato a succedere a Stalin, ebbe un ruolo di primo piano nell’attuazione della direttiva per la difesa a oltranza di Stalingrado.


L’OSTINAZIONE DI STALIN. In campo sovietico, però, il clima all’interno della Stavka  (il comando supremo militare sovietico) non era migliore. Stalin accentrava su di sé ogni decisione strategica e, com’era già accaduto nella primavera dell’anno precedente, ossia nelle fasi iniziali dell’operazione Barbarossa, ciò si sarebbe rivelato di grande svantaggio per i suoi generali. Convinto, come per altro l’intera Stavka, che la prossima offensiva di Hitler si sarebbe scatenata sul fronte centrale contro Mosca, era incerto tra due opzioni opposte: una decisamente difensiva, che puntava al logoramento delle forze tedesche; un’altra marcatamente offensiva, con la quale intendeva strappare ai tedeschi l’iniziativa, riconquistando i territori perduti. Entrambi avevano punti di forza e di debolezza, ma erano almeno scelte precise e chiare. Invece Stalin optò per una via di mezzo: nessuna grande offensiva, ma limitati contrattacchi di disturbo locali. In questo modo, però, l’iniziativa sarebbe rimasta in mano tedesche e le forze sovietiche non avrebbero raggiunto una massa tale da risultare efficaci, agevolando al contrario la Wermacht il compito di sconfiggerle poco alla volta.
Un attacco contro Mosca era certamente l’opzione più logica per una ripresa delle operazioni tedesche, ma in questo frangente l’irrazionalità militare di Hitler colse completamente di sorpresa l’Armata Rossa e le prime fasi dell’operazione Blu, iniziate il 28 giugno ebbero un successo oltre ogni immaginazione. Sconvolto dalle perdite subite e dal fallimento dei timidi contrattacchi previsti dalla sua impostazione strategica. Stalin credette di rimediare emanando il 27 luglio, la direttiva 227: non un passo indietro. Un ordine tassativo di resistenza a oltranza sulle proprie posizioni, quando invece una ritirata strategica avrebbe consentito alla sue forze di sottrarsi all’accerchiamento e al conseguente annientamento da parte dei tedeschi. La direttiva 227 sarebbe stata applicata alla lettera durante la battaglia di Stalingrado, ma in questo caso con ben diversa motivazione strategica.




Stalingrado, la "città fatale" sulle rive del Volga


Vasily Zaytsev, il tiratore scelto.
Vasili Záitsev.jpg

Vasily Zaytsev era in servizio nella Marina, quando si offrì volontario per combattere a Stalingrado, divenendo il più letale cecchino dell’Armata Rossa, accreditato di ben 225 uccisioni. Con le sue memorie, libri come il Nemico alle porte di William Craig, e il film omonimo che ne ha ricavato Jean-Jacques Armand, acquisì fama internazionale. Il suo epico duello con il maggiore tedesco Erwin Konig, capo istruttore della Scuola tiratori scelti di Berlino, costituisce il fulcro drammatico dei suoi ricordi e delle opere che ne sono derivate.
Purtroppo, però, l’episodio è molto probabilmente inventato a posteriore dalla propaganda sovietica: non risulta infatti alcuna traccia di un maggiore Erwin Konig nella Wehrmacht, né esisteva a Berlino una Scuola per tiratori scelti. Nemmeno sono stati ritrovati negli archivi sovietici i documenti personali di Konig che Zaytsev avrebbe sottratto al cadavere della sua vittima, e lo stesso racconto dello scontro è molto lacunoso e contradditorio. Gli archivi sovietici, invece, hanno rivelato che a causa dell’enorme stress subito durante la battaglia, Zaytsev soffrì per il resto della sua vita di violenti incontenibili tremori.  

UNA DECISIONE FATALE. Il piano Blu stava avendo successo, perfino troppo. Hitler ritenne che i sovietici gli avessero fornito su piatto d’argento l’occasione di osare l’inosabile, giocando il tutto per tutto in un ultimo colpo che portasse a una rapida e contemporanea realizzazione di entrambi gli obbiettivi del piano e quindi alla vittoria della Germania: non solo al conquista del Caucaso, ma anche lo sfondamento della linea del Volga, fino a quel momento ritenuta non indispensabile. Il Fuhrer vedeva le proprie riserve di carburante e munizioni assottigliarsi di giorno in giorno e l’opportunità di precipitare la conclusione del conflitto con un azzardo ebbe su di lui un fascino irresistibile. Una nuova direttiva di Hitler, la n. 45 del 23 luglio 1942, stabilì così la divisione del Gruppo armate del Sud in due gruppi più piccoli: il primo ancora diretto verso il Caucaso, con un’operazione denominata Edelweiss, il secondo avviato verso il Volga e Stalingrado con l’operazione Fischreiher. Nessuno tra gli alti ufficiali della Wehrmacht osò opporsi pubblicamente a una decisione così assurda e destinata inevitabilmente a portare al fallimento il piano Blu, perché in questo modo si divideva in due e in direzioni divergenti la già precaria linea logistica del Gruppo Armate del Sud: è possibile che il solo Franz Halder, capo di stato maggiore dell’esercito, abbia protestato, evidenziando non solo il pericolo di separare il gruppo di Armate del Sud in due elementi lontani tra loro e incapaci di un’azione coordinata ma anche l’informazione allarmante giunta dai Servizi segreti: oltre il fiume Volga, i sovietici avevano una riserva composta da ben 1,5 milioni di uomini pronti a intervenire.

Vasilij Ivanovič Čujkov, l'ostinato difensore di Stalingrado (in primo piano a destra), insieme ai suoi ufficiali durante la battaglia

La resa tedesca.

Friedrich Paulus
Bundesarchiv Bild 183-B24575, Friedrich Paulus.jpg
Friedrich Wilhelm Ernst Paulus23 settembre 1890 – 1º febbraio 1957
(66 anni)Nato aBreitenauMorto aDresdaDati militariPaese servitoGermania Impero Tedesco
Germania Repubblica di Weimar
GermaniaTerzo ReichForza armataKaiserstandarte.svg Deutsches Heer
War Ensign of Germany (1921-1933).svg Reichswehr
War ensign of Germany (1938–1945).svg WehrmachtArmaHeerCorpoPanzertruppenAnni di servizio1910-1943GradoFeldmarescialloGuerrePrima guerra mondiale
Seconda guerra mondialeCampagneCampagna di Polonia 
Campagna di Francia 
Operazione BarbarossaBattaglieSeconda battaglia di Char'kov
Operazione Blu
Operazione Fischreiher
Battaglia di Stalingrado
Operazione AnelloComandante diCapo di Stato maggiore 10ª Armata
Capo di Stato maggiore 6ª Armata
capo Ufficio operazioni del Oberkommando des Heeres
6ª ArmataDecorazioniCroce di Cavaliere della Croce di Ferro con Foglie di querciavoci di militari presenti su WikipediaManuale
Friedrich Wilhelm Ernst Paulus (Breitenau23 settembre 1890 – Dresda1º febbraio 1957) è stato un generale tedescofeldmaresciallo durante la seconda guerra mondiale.
Dopo una brillante carriera principalmente nello stato maggiore generale della Wehrmacht, alla fine del 1941 ricevette il comando della 6ª Armata, la più grande e potente armata tedesca, che condusse inizialmente con successo durante l'offensiva estiva del 1942 sul fronte orientale. A partire dal settembre 1942 dovette affrontare la logorante e cruenta battaglia di Stalingrado e non riuscì a sopraffare la resistenza dell'Armata Rossa. Sorpreso dalla controffensiva sovietica del novembre 1942, rimase accerchiato con la sua armata nella sacca di Stalingrado; dopo una lunga e tenace resistenza senza adeguati rifornimenti e in pieno inverno, la 6ª Armata venne completamente distrutta. Paulus si arrese con il suo stato maggiore il 31 gennaio 1943 e venne fatto prigioniero dai sovietici.
Paulus si dimostrò un abile e preparato ufficiale, idoneo al lavoro di pianificazione e di organizzazione e capace di progettare e dirigere ampie manovre offensive con truppe corazzate; tuttavia la sua condotta rigidamente aderente agli ordini superiori e alcune sue decisioni e incertezze durante la battaglia di Stalingrado, che travolse il suo comando e le sue truppe, lo hanno esposto a numerose critiche e rimangono oggetto di valutazioni ampiamente contrastanti da parte di storici e specialisti.
Il 31 gennaio 1943 i sovietici entrarono nel quartier generale di Paulus, che trovarono sdraiato nella sua branda, in completo abbandono. Attorno a lui, montagne di rifiuti e di escrementi umani rendevano l’aria irrespirabile: non era lo stesso scenario da  saga nibelungica che Hitler aveva immaginato, se non per la tragica entità delle perdite.
Gli storici stimano che solo a Stalingrado siano morti tra i 500mila e il milione di sovietici e 150mila tedeschi, mentre 110mila uomini furono i prigionieri, dei quali solo 5000 tornarono in Germania. In complesso, però, il fallimento dell’operazione Blu era costato alle forze dell’Asse una cifra stimata vicino agli 800 mila uomini, fra cui anche 114250 italiani., con 84830 tra morti e dispersi. Da parte sovietica, le perdite complessive superarono 1,1 milioni di uomini.  


BOMBARDAMENTI A TAPPETO. Alla fine di luglio, il Gruppo di Armate del Sud iniziò la sua avanzata verso Stalingrado, incontrando una feroce resistenza sovietica. Il 23 agosto, la 6a Armata, comandata dal generale Friedrich Paulus, varcò il Don, giungendo quel giorno stesso alla periferia di Stalingrado, con la 4a Armata Panzer sul fianco destro di fronte alle soglie meridionali della città.
Nonostante non fosse tra i principali obiettivi iniziali dell’operazione Blu, Stalingrado assunse gradualmente una sempre maggiore importanza psicologica per entrambe le parti: per i tedeschi divenne l’occasione per spezzare la spina dorsale dell’Armata Rossa, infliggendole un’umiliante sconfitta; per i sovietici la città si trasformò nel simbolo supremo della loro volontà di resistere alla
Germania nazista, e la 62a Armata e il suo comandate Vasily Chuikov ne sarebbero stati gli interpreti principali. Il 23 agosto la città subì un disastroso bombardamento a tappeto: 1600 sortite di bombardieri, praticamente senza alcuna opposizione scaricarono 1000 tonnellate di bombe, riducendo la città in un insieme di rovine dalle quali si levava una colonna di fumo alta 3500 metri. Nei 5 giorni successivi le sortite seguirono con altri sistematici bombardamenti, effettuati quartiere per quartiere.
L’assalto di terra iniziò il 14 settembre 1942 con l’attacco del 51° Corpo d’Armata al centro della città. La battaglia si sviluppò gradualmente, con la 6a e la 4a  Armata costantemente risucchiate nell’incubo del combattimento urbano, cercando di respingere nel Volga la 62a Armata di Chuikov. La dottrina tedesca del Blitzkrieg prevedeva il coordinamento di corazzati, artiglieria, fanteria e aerei per sopraffare il nemico. Ma Chuikov costrinse la Wehrmacht ad abbandonare questo consolidato ed efficacissimo schema delle operazioni: spinse i propri uomini anche a meno di 50 metri dalle linee tedesche, avvicinando i nemici a distanza di bomba a mano. Questa tattica dell’abbraccio impediva alla Lutwaffe e all’artiglieria pesante di contribuire direttamente ai combattimento per il rischio di colpire i propri commilitoni. L’arma aerea tedesca iniziò così a interdire le retrovie sovietiche, colpendo tutto ciò che si avvicinava da est, polverizzando intere divisioni, individuate indifese in campo aperto.
Le enormi quantità di macerie e di edifici in rovina ostacolavano movimenti di massa: ogni edificio rimasto in piedi diventava una fortezza da conquistare o da difendere piano per piano, stanza per stanza; ogni cumulo di macerie un fazzoletto di Russia da contendere all’ultimo sangue. La battaglia fu un brutale corpo a corpo tra plotoni, compagnie e al massimo battaglioni, senza alcun possibile coordinamento. A metà ottobre, nonostante questi handicap, due grandi offensive tedesche avevano messo spalle al Volga quanto rimasto della 62a Armata, ma nuclei resistevano ancora caparbiamente nel resto della città.
Soldati sovietici in movimento tra le rovine di Stalingrado


GLI ULTIMI GIORNI D’ANGOSCIA. Il 14 ottobre Paulus sferrò il suo terzo assalto, consapevole che l’inverno si stava avvicinando e con esso anche un contrattacco sovietico. La 6a Armata concentrò tre divisioni di fanteria, due divisioni Panzer e quattro battaglioni di genieri d’assalto specializzati in demolizioni su un fronte di appena 5 km, con un massiccio supporto aereo che bombardava le retrovie per impedire l’afflusso di rinforzi. L’attacco colpì la 62a Armata come un marchio pneumatico, schiacciandola in un’esigua striscia a 200 metri dalla riva del Volga. In dieci giorni di combattimenti, i tedeschi presero la fabbrica di trattori Dzerzhinsky e avanzarono verso Sud contro le Fabbriche Barricate Rosse e Ottobre Rosso. Il 23 ottobre, le truppe tedesche della 79a Divisione di Fanteria avevano raggiunto l’angolo nord-occidentale dell’Ottobre Rosso e stavano tentando di assaltare la fabbrica contro la feroce opposizione della 39a divisione Guardie. I tedeschi, con l’aiuto di corazzati e artiglierie semoventi, cercavano di inchiodare i difensori, di superarli e distruggerli, ma invano: ogni conquista era solo temporanea e lo stesso metro di terra cambiava di mano anche decina di volte al giorno.
Le settimane scorrevano inesorabili. Il 19 novembre, i sovietici lanciarono la temuta controffensiva: in appena cinque giorni due grandi attacchi a nord e a sud di Stalingrado si riunirono accerchiando completamente la città e la 6a Armata. Un anello di acciaio che nemmeno un contrattacco condotto da Erich von Manstein, forse il migliore generale tedesco, riuscì a spezzare. Per Hitler, l’immane tragedia che si stava consumando tra le macerie di Stalingrado rinnovava il fascino sinistro di una saga germanica e ordinò un vero e proprio sacrificio umano: la resistenza fino all’ultimo uomo. Il 31 gennaio 1943 Paulus fu nominato maresciallo del Reich, un implicito invito al suicidio perché nessun maresciallo era mai caduto vivo in mani nemiche. Quello stesso giorno però Paulus disattese la volontà del Fuhrer e si arrese ai sovietici. La battaglia di Stalingrado non era ancora finita, perché nuclei isolati resistettero disperatamente fino ai primi di marzo e nemmeno la guerra, ma ormai la sconfitta tedesca era diventa inevitabile.


Articolo in gran parte di Nicola Zotti pubblicato su Conoscere la storia n. 48. Altri testi e immagini da Wikipedia.  

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