Lo squadrone Folgore e
l’operazione Herring.
Mentre l’esercito
italiano usciva a pezzi dalla seconda guerra mondiale, gli uomini di questa
unità militare , dopo l’armistizio con gli Alleati, operarono a fianco delle
truppe britanniche e si fecero onore durante una pericolosa missione dietro le linee nazifasciste. Ecco la loro
storia.
Operazione Herring
Operazione Herring parte della seconda guerra mondiale | |||
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Imbarco dei paracadutisti a Rosignano su un C-47 | |||
Data | 20 aprile 1945 | ||
Luogo | Pianura padana, Italia | ||
Esito | Vittoria tattica italiana | ||
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Comandanti | |||
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L'operazione Herring (in italiano: Aringa[1]) fu un'operazione di infiltrazione e sabotaggio effettuata dalla notte del 20 aprile al 23 aprile 1945 dalle forze alleate e cobelligeranti nell'Italia settentrionale, a sud del fiume Po, allora nel territorio della Repubblica Sociale Italiana.
L'operazione Herring è ricordata come l'unico aviolancio di guerra effettuato in Italia nella storia dei paracadutisti italiani[2].
L’8
settembre 1943 il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio alle ore 19.42 annuncia
alla popolazione italiana l’entrata in vigore dell’armistizio, firmato alcuni
giorni prima con gli anglo-americani. Il proclama giunge improvviso non solo
per la popolazione, ma anche per i militari che si trovano in quel momento a
combattere su numerosi fronti, dall’Africa alla Russia alla Grecia e persino su
suolo italiano. È un dramma senza precedenti, nel quale ogni soldato si trova costretto
a prendere una decisione che, senza preparazione e conoscenze adeguate, è
dettata spesso dal caso e dalla forza della disperazione. Da che parte stare?
Rimanere al fianco dei tedeschi oppure schierarsi con gli Anglo-americani? La
Divisione Paracadutisti Nembo è divisa su due fronti: il 185° Reggimento in
Calabria, pronto a contrastare l’avanzata alleata, e il resto della Divisione
dislocato in Sardegna. Le prime forme di resistenza alle truppe nazifasciste,
in quei giorni confusi, sono esclusivamente compiute dai militari, soldati che
rimangono al loro posto obbedendo agli ordini del governo legittimato dalla
presenza del re. In seno alla Divisione Nembo, le scelte dei paracadutisti sono
diverse. Alcuni cercano di tornare a casa. Buona parte del III Battaglione del
capitano Edoardo Sala, che in quel momento è a Soveria Mannelli in provincia di
Catanzaro, decide di proseguire la guerra al fianco dell’alleato tedesco, “per
l’onore dell’Italia”e, in Sardegna, opta per la stessa scelta anche il maggiore
Mario Rizzatti, mettendo il XII Battaglione al seguito della 90a
Panzergrenadier division tedesca. I due diventeranno i più celebri comandanti
paracadutisti della Repubblica Sociale Italiana. Guardando a queste scelte, si
potrebbe attribuire ai paracadutisti uno spirito mosso da fanatismo politico di
stampo fascista, ma sarebbe un giudizio affrettato. Quelli che si arruolarono
nella Repubblica di Salò furono solo una parte. Il resto operò da
cobelligerante, prima nel Corpo Italiano di Liberazione e successivamente nel
Gruppo di Combattimento Folgore, guidato dal generale Giorgio Morigi.
Paracadutisti della Centuria Nembo salgono sull'autocarro diretto all'aeroporto di Rosignano
LA TERZA VIA. Diversa fu invece la posizione
assunta dal capitano Carlo Francesco Gay. Classe 1914, Gay ufficiale piemontese
di ferrea fede monarchica che proviene dalla Cavalleria, trovandosi in
disaccordo con il proprio comandante, il parigrado Edoardo Sala, imbocca una
strada molto personale, che solo dopo si dimostrerà essere “intermedia”.
Dapprima cerca di raggiungere un comando italiano, presso il deposito o presso
lo Stato Maggiore. Trovandosi però nell’impossibilità di spingersi fino a Roma
e non ricevendo alcun ordine superiore, decide di lasciare liberi i suoi
uomini. Chi vuole lo può seguire, gli altri possono valutare di tornare a casa.
Messi di fronte a queste opzioni, alcuni militari tentano la fortuna rimanendo
con Gay, mentre la maggior parte rientra al deposito badogliano della Nembo. È
da questo momento che si apre la “strada intermedia”. Quelli che decidono di
rimanere con Gay sono soldati, ben addestrati e ben armati e, volendo restare
tali, si offrono ai canadesi. Non sono né partigiani né più badogliani. Con Gay
a Castelfranco in Miscano (provincia di Benevento) il 12 settembre 1943 ci sono
solo otto paracadutisti. Pian piano il primo nucleo s’ingrandisce e arriva alla
dimensione di un battaglione. Ai primi nove si aggiungono, alla spicciolata,
altri militari, arrivando a diciannove uomini che vanno a costituire il 1°
Reparto Speciale Autonomo, poi ribattezzato Squadrone F, dove F sta per
Folgore, chiamato dagli inglesi F Recce Squadrone.
Paracadutisti in volo verso la zona di lancio dell'operazione Herring
FARSI ONORE. Dall’ottobre al dicembre del 1943 i
parà di Gay, divisi in gruppi di soli tre uomini, eseguono operazioni di
pattugliamento oltre le linee tedesche, ognuna della durata di alcune giornate,
nella linea che va da Campobasso a Ortona. Il gruppo del capitano Gay ottiene
la fiducia degli inglesi, tanto che il comandante del XIII Corps, il generale
Sidney Kirkman, acconsente alla formazione di uno squadrone di autoblindo. Gay
incontra invece grosse resistenze da parte del Regio Esercito Italiano, che
ritiene prematura l’istituzione di un gruppo autonomo e per giunta alle dipendenze
di un esercito straniero. A fine conflitto, Kirkman confermerà che gli uomini
dello Squadrone F furono trattati “con una certa diffidenza e persino con
ostilità latente da parte dello Stato Maggiore Italiano”. Il generale ammira i
paracadutisti, e di Gay dirà: “Era un
comandante capace e determinato che ha avuto la piena fiducia dei suoi uomini.
Per un italiano era insolitamente riservato
e privo di quei tratti eccitabili, tipici dei caratteri latini (…).
Grazie alle particolari caratteristiche dei suoi uomini e dei compiti a esso
affidati, lo Squadrone F ebbe un ruolo ben superiore a quelle che erano le sue
effettive proporzioni”.
Gli inglesi intuiscono
subito le potenzialità di questo gruppo – tanto da prenderlo in forza con un
coordinamento gerarchico che dipende dal comando di corpo d’armata, distaccando
le pattuglie che all’esigenza potevano essere aggregate ai battaglioni – e
spingono per l’istituzione di un reparto. Gay riceve l’autorizzazione per
recarsi al deposito del 185° Nembo nei pressi di Santa Maria di Leuca per
cercare di arruolare altri uomini.
Nonostante le proteste
del comandante ad interim del 185° Nembo, il maggiore Angelo Massimino, un
centinaio di parà si uniscono al capitano Gay. Il 15 gennaio 1944 nasca il 1°
Squadrone da Ricognizione Folgore. Costituito da 137 uomini, lo squadrone è
composto da paracadutisti del 185° Nembo in buona parte provenienti dall’XI
Battiglione Nembo. Nel momento di massimo organico i paracadutisti arrivano a
superare di poco le trecento unità.
Prigionieri nazisti catturati dai paracadutisti italiani dell'operazione Herring (Mirandola, aprile 1945)
LE PRIME MISSIONI. In quel periodo gli
Alleati hanno superato il fiume Sangro e lo Squadrone, dopo aver frequentato un
ciclo di addestramento a Campobasso, si trasferisce a Casoli, in provincia di
Chieti. Un plotone si trova da qualche giorno sul fronte della V armata, nella
zona di Caserta, per svolgere servizio di pattuglia oltre le linee. È comandato
dal tenente Eldo Capanna, uno dei primi volontari di Gay, che cadrà prigioniero
e sarà orribilmente torturato nel settembre del 1944. Sulla Maiella il fronte
ristagna. I tedeschi, aiutati dalle continue nevicate, riescono a mantenere
saldo il controllo. I comandi inglesi vogliono sferrare un attacco mirato a
spezzare il fronte che si estende da Roccaraso a Cassino e che ha come punto
strategico Pizzoferrato. Il compito di liberare tale paese è affidato al
maggiore inglese Lionel Wigram, un tale paese è affidato al maggiore inglese
Lionel Wigram, un noto istruttore di tattica militare. Al capitano Gay viene
ordinato di mettersi a sua disposizione. La battaglia di Pizzoferrato del 2 e 3
febbraio 1944 è il primo importante combattimento dello Squadrone F e durante
questo scontro i parà si trovano a operare al fianco di un altro gruppo
autonomo, la Brigata della Maiella. Tra le nevi dell’Abruzzo vengono effettuate
numerose operazioni di pattugliamento, soprattutto a Gamberale, dove il 6
febbraio restano sul terreno soprattutto a Gamberale, dove il 6 febbraio
restano sul terreno sette caduti e rimase ferito anche Gay. Il ciclo operativo
si conclude il 25 marzo 1944. A questo punto lo Squadrone al completo è
destinato a un periodo di riposo a Sesto Campano. I paracadutisti pensano di
avere alcune giornate di svago e invece scoprono di dover rimanere lì per un
mese perché devono frequentare un corso d’istruzione. I militi ricevono la
stessa formazione riservata ai SAS britannici (Special Air Service): sabotaggio
delle immediate retrovie, colpi di mano, pattuglie a scopo informativo nello
schieramento nemico, lezioni teoriche e pratiche sugli esplosivi e sui metodi
di demolizioni di opere di interesse militari, lotta corpo a corpo e tecniche
di sopravvivenza. I paracadutisti sono per loro natura un reparto di élite, una
forza speciale. Una delle caratteristiche che li distingue è la tendenza
accentuata all’individualismo: ogni militare deve saper operare da solo e
questa caratteristiche da sempre fondamentale si rivela indispensabile e
coerente al nuovo modo di combattere. Questo individualismo feroce e autonomo è
alla base della formaione impartita durante il corso d’istruzione.
Riesumazione nell'estate 1945 dei quattordici caduti dell'Operazione Herring
Il museo della seconda guerra
mondiale del fiume Po.
Il Museo della Seconda guerra
mondiale del fiume Po a Felonica, nel mantovano, è un piccolo scrigno per chi
s’interessa allo Squadrone. Moderno centro che custodisce la memoria dei
fatti bellici, che si sono susseguiti sul territorio lungo il fiume Po
durante il Secondo conflitto mondiale, il museo raccoglie filmati,
fotografie, documenti e cimeli del periodo che va dalle prime incursioni
aeree del 1944 sino al passaggio del fronte nell’aprile del 1945. L’area a
ridosso della Linea Gotica ha, infatti, rivestito un importante ruolo nelle
vicende della Seconda Guerra mondiale, e il paese di Felonica si trovava in
posizione centrale rispetto agli attraversamenti del fiume Po. Nel museo sono
raccolti inoltre documenti e materiali dell’Operazione Herring ed è esposta
un’uniforme originale, completa dell’armamento e dotata di kit bag, il sacco
che i paracadutisti inglesi legavano alla gamba durante i lanci. È possibile
vedere inoltre documentazione cartacea e un raro video girato dagli Alleati.
Il filmato mostra alcune fasi dell’Operazione Herring, tra cui il momento in
cui alcuni paracadutisti raggruppano dei prigionieri tedeschi. per chi voglia
trascorrere una giornata sulle tracce dello Squadrone F tra le provincie di
Ferrara e Mantova, va ricordati che a pochi chilometri dal Museo di Felonica
si raggiunge l’Ara Monumentale di Dragoncello a Poggio Rusco (MN) dove sono
riportati nel marmo i nomi dei parà che presero parte all’Operazione Herring.
Nelle vicinanze dell’area sorge la Chiesa della Madonna dei Paracadutisti.
Sempre all’interno del territorio comunale di Poggio Rusco, nella calma della
pianura padana, ci si trova di fronte alla cascina di Ca’ Bruciata,
sanguinoso epicentro degli scontri della Centuria Nembo, dove perirono tutti
e 14 i paracadutisti italiani coinvolti, assieme a 16 soldati tedeschi e due
civili.
I caduti nell'operazione
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UNA RESISTENZA INASPETTATA. Gli Alleati erano
convinti che una volta sbarcati sulla Penisola tutto sarebbe stato semplice,
senza tenere conto delle caratteristiche del territorio e della forza e
determinazione dei soldati tedeschi. Solo di fronte alla linea Gustav si
scontrano con la durezza della realtà.
In Abruzzo la
morfologia del terreno aveva favorito il fedelmaresciallo Albert Kesselring,
comandante in capo dello scacchiere Sud, nell’ideazione della guerra del
centimetro, la “Zentimeter Krieg”. È una guerra lenta, di logoramento che non
conta nessuna battaglia importante, ma tanti e continui scontri a piccoli
gruppi. L’idea di Kesselring era stata proprio quella di rallentare il più
possibile le truppe alleate. La necessità di modificare il tipo di formazione e
di combattimento è evidente al maggiore Lionel Wigram, che per mettere in
pratica la sua teoria stava formando la Brigata della Maiella, chiamata in suo
onore anche Wigforce. Il maggiore era convinto che i tedeschi avessero
macchiato in modo decisivo il successo alleato in Sicilia, riuscendo a
ritirarsi con forze quasi intatte. Era così diventato facile per i nazisti
tenere in scacco una valle o una collina con pochi uomini. Ma gli inglesi a
loro volta avevano imparato la lezione ricevuta in Malesia contro i giapponesi,
dove le loro posizioni erano simili a quelle dei tedeschi in Sicilia: in
Malesia i giapponesi attaccavano, infatti, con l’impiego di mitragliatori, e
s’infilavano nelle linee inglesi durante la notte. Alla spicciolata erano in
grado di istituire blocchi stradali, di colpire i posti di osservazione, di
distruggere le linee di comunicazione, tanto da costringere i tedeschi a
combattere una serie di battaglie di retroguardia, ovunque. L’ideale è che ogni
battaglione disponga di alcune pattuglie, che operino in gruppi piccoli anche
di soli tre uomini ben armati, tutti volontari disposti a lavorare in completo
isolamento.
Per una casualità anche
il capitano Gay era convinto della necessità di dover adottare le tecniche
della guerriglia. In Croazia, nell’aprile del 1943, la Nembo aveva dovuto
contrastare la guerriglia sostenuta dai partigiani nella zona di Postumia e
Montenero d’Idria. Gay comandava lì un intero settore dove, secondo
l’intelligence italiana, aveva sede il motore dell’attività partigiana.
L’operazione anti-partigiani fu particolarmente utile a Gay per studiare e
capire a fondo le tattiche della guerriglia. L’attività principale svolta dai
paracadutisti dello Squadrone per conto del XIII Corps diventa così quella di
operare in pattuglie. Si consideri che, alla data del primo agosto 1944, lo
Squadrone aveva già al suo attivo quasi settecento azioni. Nel suo caso, fare
pattuglia significa penetrare, in piccoli gruppi di dieci uomini, entro l’area
“di nessuno” e nel dispositivo nemico. Le pattuglie possono essere di diverso
tipo: da ricognizione, cercando di individuare le posizioni avversarie; di
distruzione e sabotaggio per collocare mine nell’area nemica o per colpire siti
già individuati; atte a eseguire sabotaggi minori come la rimozione della
segnaletica stradale, distruzione degli impianti di trasmissione, rapimenti o
sottrazioni di materiali bellici. Bisogna considerare che lo Squadrone agisce
raramente in modo unitario. I plotoni e le singole pattuglie lavorano per
lunghi periodi separati, vivendo all’addiaccio o in ricoveri di fortuna. In
queste condizioni va a cadere buona parte delle convenzioni tipiche di un
ambiente militare e lo Squadrone prende le sembianze di una sorta di compagnia
di ventura dove, più del grado, contano il mestiere delle armi e il buon senso.
A coronamento
dell’attività svolta dai paracadutisti, i vertici alleati, che ne sono soddisfatti,
voglio il capitano Carlo Francesco Gay al comando dell’Operazione Herring. Tra
il 20 e il 23 aprile 1945 si materializza così quella che nella storia militare
è considerata l’ultima missione aerotrasportata del Secondo conflitto mondiale
nel Vecchio Continente: una vasta azione di sabotaggio dietro le linee nel
territorio ancora in mano alla Repubblica Sociale e ai reparti tedeschi. il
piano prevede il lancio di 226 paracadutisti così suddivisi: 117 appartenenti
allo Squadrone F e 109 del Reggimento Nembo, inquadrato nel Gruppo di Combattimento
Folgore.
Si stabilisce che i
lanci avvengano in un’area piuttosto vasta, compresa tra Ferrara, Mirandola,
Modena e il Po, alle spalle dell’esercito tedesco arroccato dietro la Linea
Gotica. Dopodiché, a terra una volta riunitesi, le squadre hanno l’ordine di
penetrare le linee nemiche e, con il supporto di partigiani, provocare il
maggior danno possibile, sabotando linee telefoniche, depositi di munizioni,
strade e ponti, più tutta una serie di obiettivi sensibili. Il raid nel suo
complesso dovrebbe durare trentasei ore, ma ben presto quella che era stata
pensata come un’operazione di guerriglia si trasforma in una serie di battaglie
senza esclusione di colpi. Molte di queste squadre, infatti, fin dalla tarda serata
del 20 aprile, sono costrette a combattere in netta inferiorità numerica,
coadiuvate solo da piccoli gruppi di partigiani. Uno degli episodi più
drammatici, accorso a una pattuglia della Centuria Nembo, si consuma nelle
campagne di Dragoncello, in provincia di Mantova. Qui un reparto di
paracadutisti, dopo aver catturato due tedeschi, viene scoperto dal nemico e
costretto a rifugiarsi in un’abitazione isolata. Ma inutilmente, anche in
questo caso vengono individuati. E nelle ore successive l’edificio è teatro di
un battaglia furibonda con un tragico finale: tutti i quattordici parà vengono
uccisi, così come due abitanti della casa, insieme a sedici tedeschi. solo dopo
tre giorni di scontri gli italiani vengono finalmente raggiunti dalle truppe
alleate che, superato il Po, riescono ad alleggerire la pressione e consento ai
parà di sganciarsi dal nemico. L’operazione nel suo complesso si conclude,
però, in modo lusinghiero. Il nemico accusa 1083 prigionieri, 44 automezzi
distrutti, 7 strade di grande traffico minate, 77 linee telefoniche interrotte,
un deposito di munizioni sabotato, la messa in sicurezza di tre ponti sul Po
che furono poi usati dalle truppe anglo-americane per attraversare il fiume. Lo
Squadrone accusa 12 perdite e 6 feriti. L’Operazione Herring era stato il loro
capolavoro e un meritato riscatto per l’esercito italiano che usciva distrutto
dalla Seconda guerra mondiale.
Articolo in gran parte
di Daniele Battistella pubblicato su Storie di Guerre e guerrieri n. 2 – altri
testi e immagini da Wikipedia
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