sabato 22 giugno 2019

Alessandro da conquistatore a despota.


Alessandro da conquistatore a despota.
Nel 331 a.C. Alessandro Magno sconfisse a Gaugamela il sovrano persiano Dario III e gli succedette alla guida del maggior impero dell’epoca. Da allora iniziò ad adottare costumi orientali e a comportarsi sempre più come un autocrate, alienandosi le simpatie dei macedoni e provocando crescenti tensioni.

Nel 330 a.C., nel territorio dell’attuale Afghanistan, si verificò uno degli episodi più oscuri del regno di Alessandro: la condanna a morte del comandante macedone Filota e l’assassinio di suo padre Parmenione, in seguito a una presunta congiur
a contro la vita del grande conquistatore. È una storia terribile, con molti punti oscuri, che vide Alessandro e alcuni dei suoi uomini di fiducia reagire in modo viscerale e con una crudeltà sproporzionata. Ma il “caso Filota” non fu che il primo di una serie di conflitti che avrebbero esacerbato le tensioni tra Alessandro e il corpo di soldati macedoni e greci con il quali nel 334 a.C aveva attaccato il possente impero persiano.

Undici anni di guerra.
Alexander and Bucephalus - Battle of Issus mosaic - Museo Archeologico Nazionale - Naples BW.jpg
334 a.C.
Alessandro Magno invade l’impero persiano, che alla fine viene sconfitte in tre epiche battaglie campali: Granico (334 a.C.), Isso (333 a.C.) e Gaugamela (331 a.C.=.
Impero di Alessandro Magno. È riportato il tragitto compiuto dal conquistatore e le principali battaglie.
330 a.C.
Alessandro giustizia in Drangiana il capo della cavalleria macedone Filota, accusato di una congiura contro di lui, e ne fa assassinare il padre, il generale Parmenione, sospetto di complicità con il figlio.
328 a.C.
Nel corso di un banchetto a Samarcanda Alessandro uccide con un giavellotto Clito il Nero, che oltre ad avere difeso Parmenione gli aveva rimproverato il dispotismo e l’adozione di costumi orientale.
327 a.C.
Vengono giustiziati sette paggi con l’accusa di aver complottato per uccidere Alessandro, che aveva offeso uno di loro. Lo storico Callistene, considerato un istigatore della congiura, è incarcerato e forse ucciso.
323 a.C.
Alessandro muore a Babilonia in seguito a una malattia sconosciuta. Cinque anni più tardi inizia a circolare la voce che sia stato avvelenato.

IL NUOVO SOVRANO DI PERSIA. I primi tre anni della campagna di Alessandro contro il re persiano Dario III si erano concluse con una serie di clamorosi trionfi un Asia Minore e Mesopotamia: sul fiume Granico, a Isso e infine a Gaugamela. Dopo quest’ultimo successo Alessandro aveva conquistato Babilonia, Susa e altre capitali dove nel corso dei secoli l’impero achemenide aveva accumulato enormi tesori. In Egitto il conquistare macedone era stato accolto come un liberatore, aveva fondato la più celebre delle città che portano il suo nome ed era persino stato proclamato figlio del Zeus Amon dai sacerdoti del prestigioso tempio nell’oasi di Siwa.
Se fino ad allora Alessandro era stato solo il re dei macedoni, dopo la morte di Dario III ascese anche al trono persiano. Con le sue conquiste e le sue imprese memorabili avrebbe cambiato a tal punto il volto del mondo conosciuto da meritare l’appellativo di “Magno”. Tuttavia, quando si rese conto che nessuno avrebbe potuto mettere in discussione il suo impero, Alessandro si lasciò tentare dal lusso e dalla magnificenza dei sovrani asiatici.
D’altro canto il condottiero non aveva intrapreso quell’epica spedizione di migliaia di chilometri da solo. Ad accompagnarlo erano stati i suoi amici d’infanzia, come Tolomeo, Cratero, Clito il Nero e soprattutto il fedele Efestione, di cui sempre si disse che era il suo amante.  Ma a rendere veramente possibile il trionfo del giovane re furono alcuni esperti generali macedoni che avevano già servito lealmente alla corte del padre di Alessandro, Filippo II.
Uno di loro, il veterano Parmenione, era un nobile che aveva stretti rapporti con la corte e i militari, in quanto diretto sottoposto del re nel comando dell’esercito. Parmenione aveva 65 anni e vari figli tutti con ruoli importanti. Ma il più in vista era Filota, che svolgeva il prestigioso incarico di comandante in capo degli Eteri, il corpo di cavalleria formato dai membri dell’aristocrazia macedone.

La grande svolta di Babilonia.
Riproduzione (probabilmente ottocentesca) dei Giardini pensili di Babilonia.
Dopo aver sconfitto Dario a Gaugamela, Alessandro fu ricevuto a Babilonia con tutti gli onori dal governatore locale Mazeo. Qui la sua politica prese una nuova direzione; il sovrano fece della città la sede del governo in Asia e permise a Mazeo di conservare la carica di satrapo. Quella nomina era necessaria per rafforzare il suo potere, ma andava a beneficiare una nobiltà barbara sconfitta (Mazeo aveva combattuto a Gaugamela nell’esercito persiano). Questo fatto non fu visto di buon occhio dai macedoni della vecchia guardia, capeggiati da Parmenione e Filota. Da quel momento Alessandro iniziò a creare una nutrita corte parallela di strarapi ed eunuchi, e introdusse nell’etichetta di corte alcuni rituali di origine asiatica che finirono per allontanargli i suoi stessi uomini.
Bagoa, l’amante persiano del conquistatore.
Nel 330 a.C. il giovanissimo eunuco Bagoa conobbe Alessandro a Zadracarta, in Ircania (nel nord dell’attuale Iran). Era stato inviato dal gran visir Nabarzane, che aveva preso parte all’assassinio del re persiano Dario III, suo signore. In quanto successore dei sovrani achemenidi, Alessandro era intenzionato a vendicare Dario, ma il gran visir Nabarzane riuscì a ottenere il perdono proprio grazie all’intercessione di Bagoa. Il conquistatore macedone fu sedotto dall’inebriante bellezza del giovane eunuco, che divenne il suo amante (come già lo era stato di Dario). Si racconta che una volta Alessandro, entusiasmato da una danza di Bagoa, lo abbracciò e lo baciò davanti a tutti, tra gli applausi e le grida delle truppe. L’indiscutibile influenza esercitata sul sovrano valse a Bagoa l’odio dei nobili macedoni, che disprezzavano l’atteggiamento effeminato di Alessandro. La figura di Bagoa ha ispirato un libro famoso: il ragazzo persiano di Mary Renualt pubblicato nel 1922.

L’OBIETTIVO: FILOTA. Filota era un uomo coraggioso e capace di grande generosità verso i suoi amici; ma era anche considerato arrogante e conduceva uno stile di vita che suscitava invidie e sospetti. Inoltre, già in Egitto aveva manifestato la sua contrarietà alle tendenze autocratiche di Alessandro, quando questi si era recato all’oracolo di Siwa per farsi dichiarare figlio di una divinità.
Da quel momento Cratero iniziò a farlo spiare alla ricerca di qualche prova che permettesse di accusarlo di tradimento nei confronti del re macedone. La testimonianza più importante che riuscì a raccogliere fu quella di tradimento nei confronti del re macedone. La testimonianza più importante che riuscì a raccogliere fu quella della cortigiana Antigone, secondo la quale Filota sosteneva che le vittorie di Alessandro erano merito suo e di suo padre Parmenione, e trattava il re come un ragazzino. Inizialmente il sovrano macedone non diede troppo peso a queste accuse, in virtù della fiducia che riponeva in Filota e del prestigio di cui Parmenione godeva tra i macedoni. La situazione degenerò qualche tempo dopo, quando Alessandro si era ormai impossessato di tutta la Persia e nell’opinione dei macedoni aveva ceduto al lusso e alla magnificenza dei sovrano d’Oriente.
Nel 330 a.C., mentre l’esercito svernava a Frada (odierna Farah, nell’Afghanistan occidentale), Alessandro ricevette la denuncia di un complotto in cui era coinvolto Limno, uno degli Eteri. La cospirazione venne alla luce per caso, quando questi cercò di convincere il suo amante Nicomaco a unirsi ai congiurati. Il giovane si spaventò e rivelò i particolari del piano a suo fratello Cebalino. Fu a  quel punto che Filota fu coinvolto, perché Cebalino lo informò dalla trama in due occasioni, ma il comandante non ritenne opportuno prendere provvedimenti né a riferire la cosa ad Alessandro. Alla fine Cebalino si recò personalmente dal sovrano per denunciare Limno, che secondo Quinto Curzio Rufo si suicidò prima di essere arrestato. Il suo cadavere fu esposto pubblicamente mentre venivano resi noti i motivi del suo gesto. A quel punto Alessandro convocò Filota, chiedendogli perché non l’avesse informato della congiura e insinuando che potesse esserne la mente. Ovviamente Filta respinse ogni accusa e dichiarò di non aver avvisato nessuno perché non aveva dato credito alle parole di Cebalino, convinto che fossero il frutto di una lite tra amanti. Così lo riporta Quinto Curzio Rufo, che mette in bocca a Filota queste parole: “Io, infelice, ho creduto di aver ascoltato un alterco tra un’amante e un effeminato, e ho ritenuto sospetta la testimonianza, perché non me l’aveva riferita lui (Nicomaco) in persona, bensì aveva spinto suo fratello a farlo”. Dato che gli autori della denuncia insistevano con le accuse, Alessandro decise di convocare l’assemblea dei macedoni. Cratero ribadì pubblicamente che Filota non si era limitato a occultare la congiura, ma ne era il promotore. Tra i mormorii di indignazione nessuno dubitò più della colpevolezza del comandante. In seguito intervenne Efestione, che sostenne la necessità di sottoporre a tortura il reo prima di giustiziarlo, per fare chiarezza una volta per tutte sull’intera vicenda. Efestione, Cratero e altri militari (tra cui Ceno, che aveva sposato la sorella dello stesso Filota) si accanirono sul sospetto tutta la notte, fino a che questi non poté sopportare oltre il dolore delle ferite inferte al suo corpo, “Cratero, dimmi: cos’altro vuoi che confessi?”, lo supplicò Filota, prima di fornirgli i nomi dei presunti complici. Il giorno successivo il figlio di Parmenione e gli altri sospetti furono lapidati secondo le usanze macedoni.
Non ci furono ulteriori processi, ma nelle file dell’esercito si susseguirono le purghe e le degradazioni per mettere in chiaro che non sarebbe stata tollerata nessuna forma di slealtà. Ci furono anche delle promozioni, come quella di Efestione, che da quel momento condivise con Clito il Nero il comando supremo della cavalleria macedone, in precedenza sotto il controllo esclusivo di Filota. Clito era un uomo di fiducia del re – gli aveva salvato la vita nella battaglia del Granico – ed era in buoni rapporti con la vecchia guardia che aveva servito sotto Filippo; dal canto suo, Efestione fu ricompensato per la sua fedeltà ottenendo il primo incarico militare di un certo rilievo. Da quella posizione poteva anche tenere sott’occhio Clito, che si era dimostrato contrario come Filota alle aspirazioni autocratiche del sovrano.

Rilievo di un presunto sarcofago di Alessandro (Musei archeologici di Istanbul).

Efestione il compagno fedele.
Amico d’infanzia di Alessandro, Efestione faceva parte del ristretto gruppo che aveva assistito alle lezioni del filosofo Aristotele in compagnia di Alessandro (forse anche di natura sessuale), al punto che questi lo considerava pubblicamente il suo alter ego, e a volte i sudditi persiani confondevano l’uno con l’altro. Dopo la condanna a morte di Filota, Efestione ascese al ruolo di comandante della cavalleria. Alcuni anni più tardi Alessandro lo nominò gran visir in Asia incaricandolo delle questioni tecniche (rifornimenti e comunicazioni). Quando nel 324 a.C. Efestione morì improvvisamente a Ecbatana, il sovrano macedone organizzò in suo onore un magnifico funerale. 
La lapidazione di Filota.
Quando Filota fu accusato di tradimento, Alessandro ordinò che fosse condotto davanti all’assemblea generale dell’esercito. I membri di quest’organismo invidiavano le ricchezze e la posizione di Filota, che in alcune occasioni li aveva anche disprezzati e insultati pubblicamente. Non sorprende quindi che al termine dell’assemblea “le guardie iniziarono a gridare che volevano fare a pezzi il traditore con le loro mani”, secondo quanto riportato da Quinto Curzio Rufo nelle Storie di Alessandro Magno. Quindi Filota fu torturato dai compagni del re macedone perché confessasse. Curzio Rufo riferisce “finche Filota aveva negato il delitto, torturarlo era parsa una crudeltà, dopo la sua confessione non suscitò neppure la compassione degli amici”. Una volta che ebbe dichiarato la sua colpevolezza, fu condotto davanti all’assemblea insieme ad altri accusati, poi tutti “vennero lapidati a un segnale convenuto secondo il costume macedone”.
L’alcotellamento di Parmenione.
Alessandro doveva chiudere i conti anche con Parmenione, prima che questi venisse a sapere del destino del figlio. Il sovrano inviò a Ecbatana una lettera con l’ordine di ucciderlo, del cui trasporto Polidamente. Dato che questi era una amico del generale, Alessandro tenne in ostaggio i suoi fratelli e le famiglie dei due arabi che dovevano accompagnarlo. Il gruppo partì in direzione di Ecbatana in sella a dei veloci cammelli e percorse oltre mille chilometri in undici giorni. Giunto a destinazione Polidamante consegnò gli ordini del re agli ufficiali di Parmenione – Cleandro, Sitalce e Menida -, quindi andò con loro a cercare l’amico, che era nel giardino della sua abitazione e lo accolse con gioia. A quel punto gli ufficiali diedero al generale una falsa lettera del figlio Filota e lo pugnalarono a morte mentre era intento a leggere. Successivamente invaiarono la sua testa ad Alessandro. 
La morte di Filota e Parmenione.
Dopo la condanna a morte di Filta in quanto presunto organizzatore di una congiura, Alessandro doveva sbarazzarsi immediatamente del padre di questi Parmenione, che custodiva nella remota Ecbatana l’immenso tesoro sottratto ai sovrani persiani. Parmenione era anche l’ultimo maschio della famiglia, dato che i due fratelli di Filota erano morti durante la campagna: Ettore era annegato nel Nilo, mentre Nicanore era deceduto in seguito a una malattia. 


L’ASSASSINIO DI PARMENIONE. Per Alessandro la congiura rappresentava un’ottima scusa per liberarsi di Parmenione, con cui aveva delle divergenze politiche sempre più insanabili. Parmenione godeva da sempre di grande influenza a corte e nell’esercito, ma aveva anche un temperamento cauto, frutto di lunghi anni di servizio che contrastava con la genialità frenetica e lungimirante di Alessandro. Queste circostanze avevano generato frequenti scontri tra i due in merito a questioni tattiche e strategiche. Parmenione era anche totalmente all’oscuro di quanto avvenuto a suo figli Filota, dato che era rimasto a Ecbatana per svolgere con le truppe straniere. E così, se l’esecuzione di Filota era stata ammantata di una parvenza di legalità. La fine di Parmenione non fu altro che un omicidio a tradimento dettato da ragioni di pura convenienza politica.
Deciso una volta per tutte a ribadire la sua autorità personale, Alessandro inviò un manipoli di uomini a Ecbatana con l’ordine di eliminare Parmenione e soffocare qualsiasi tentativo di ribellione delle sue truppe. Successivamente il sovrano incaricò Clito di andare ad assumere il comando di quei distaccamenti e riportagli il più rapidamente possibile, per proseguire la campagna in Battriana e Sogidana. Prima di riprendere l’avanzata, alla fine del 330 a.C., Alessandro decise di cambiare nome alla città di Frada, ribattezzandola Proftasia (in greco “anticipiazione”), perché  lì aveva anticipato la congiura di Filota.

La congiura dei paggi.
Due anni e mezzo dopo le morti di Filota e Parmenione avvenute nel 330 a.C., fu sventata la cosiddetta “congiura dei paggi”. Questa cospirazione dei servitori del sovrano fu provocata probabilmente dall’umiliazione inflitta da Alessandro a uno dei suoi giovani servitori, frustato per aver commesso un errore durante una battuta di caccia. Il ragazzo cercò dei complici per uccidere Alessandro, ma la trama fu portata alla luce da una denuncia. Lo storico Callistene, che era parente di Aristotele ed era la persona responsabile dell’educazione dei paggi, venne accusato di essere tra gli organizzatori della congiura.
Callistenie aveva spesso preso posizione contro le tendenze dispotiche di Alessandro e l’imposizione della proskynesis, il gesto che i persiani tributavano al sovrano (i nobili chinavano il capo verso il re inviandogli un bacio con le mani a giumella, mentre il popolo si inginocchiava fino a toccare il suolo con la testa). I paggi furono uccisi, di Callistene si ignora invece se fu giustiziato oppure morì in prigione.

IL PREZZO DEL POTERE. La folgorante campagna svoltasi tra il 334 e il 331 a.C., e culminata con la conquista di Babilonia, Susa e Persepoli aveva convinto Alessandro di essere imbattibile. Il conquistatore è stato descritto da alcuni storici come una sorta di re-filosofo, che mirava a promuovere l’ellenizzazione dell’Asia attraverso la fondazione di nuove colonie. Senza il controllo di Parmenione e degli altri esponenti della vecchia guardia, la condotta del sovrano iniziò a somigliare sempre più a quella degli autocrati orientali che aveva rovesciato. Anche i banchetti, che in Grecia erano lo specchio di una civiltà raffinata (nonché teatro di conversazioni politiche e filosofiche), presso la corte alessandrina degeneravano spesso in risse e discussioni offensive, in cui l’eccessivo consumo di vino faceva prevalere la passione sulla ragione. Fu proprio nel corso di un convivio tenutosi a Samarcanda nel 328 a.C. che Alessandro, in preda all’ebbrezza, uccise Clito il Nero trapassandolo con una spada, perché questi gli rimproverava senza riserve il suo atteggiamento e le recenti politiche orientalizzanti. Si racconta, però, che all’indomani, resosi conto dell’accaduto, Alessandro si pentì e pianse l’amico assassinato.
A partire da quel momento il minimo sospetto di opposizione interna o esterna provocò ondate di repressioni e massacri indiscriminati. All’inizio del 327 a.C. fu sventato un altro complotto per uccidere il sovrano macedone, che vide coinvolti diversi servitori del re e forse anche il cronista ufficiale di corte Callistene, parente di Aristotele (che era stato il maestro di Alessandro). Callistene si era in precedenza rifiutato di salutare Alessandro con la proskynesis, un gesto di riverenza di tradizione persiana che i greci e i macedoni consideravano non solo umiliante per un uomo libero, ma anche fuori luogo, in quanto equivaleva a riconoscere ai sovrani una natura divina. Anche in questo caso il re non esitò a spargere il sangue dei suoi uomini. Alessandro fu un immenso condottiero, ma aveva quell’incapacità di sopportare il dissenso tipica di chi accumula su di sé un potere eccessivo. E il potere del signore dell’Asia era ormai pressoché totale.

Articolo in gran parte di Juan Pablo Sanchez, storico pubblicato su Storica National Geographic del mese di dicembre 2018 altri testi e immagini da Wikipedia. 

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