Alessandro da
conquistatore a despota.
Nel 331 a.C.
Alessandro Magno sconfisse a Gaugamela il sovrano persiano Dario III e gli
succedette alla guida del maggior impero dell’epoca. Da allora iniziò ad
adottare costumi orientali e a comportarsi sempre più come un autocrate,
alienandosi le simpatie dei macedoni e provocando crescenti tensioni.
Nel
330 a.C., nel territorio dell’attuale Afghanistan, si verificò uno degli
episodi più oscuri del regno di Alessandro: la condanna a morte del comandante
macedone Filota e l’assassinio di suo padre Parmenione, in seguito a una
presunta congiur
a contro la vita del grande conquistatore. È una storia
terribile, con molti punti oscuri, che vide Alessandro e alcuni dei suoi uomini
di fiducia reagire in modo viscerale e con una crudeltà sproporzionata. Ma il “caso
Filota” non fu che il primo di una serie di conflitti che avrebbero esacerbato
le tensioni tra Alessandro e il corpo di soldati macedoni e greci con il quali
nel 334 a.C aveva attaccato il possente impero persiano.
Undici anni di guerra.
Alessandro durante la battaglia di Isso (Casa del Fauno, dal 1843 al Museo archeologico nazionale di Napoli)
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334 a.C.
Alessandro
Magno invade l’impero persiano, che alla fine viene sconfitte in tre epiche
battaglie campali: Granico (334 a.C.), Isso (333 a.C.) e Gaugamela (331
a.C.=.
Impero di Alessandro Magno. È riportato il tragitto compiuto dal conquistatore e le principali battaglie.
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330 a.C.
Alessandro
giustizia in Drangiana il capo della cavalleria macedone Filota, accusato di
una congiura contro di lui, e ne fa assassinare il padre, il generale
Parmenione, sospetto di complicità con il figlio.
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328 a.C.
Nel corso di
un banchetto a Samarcanda Alessandro uccide con un giavellotto Clito il Nero,
che oltre ad avere difeso Parmenione gli aveva rimproverato il dispotismo e
l’adozione di costumi orientale.
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327 a.C.
Vengono
giustiziati sette paggi con l’accusa di aver complottato per uccidere Alessandro,
che aveva offeso uno di loro. Lo storico Callistene, considerato un
istigatore della congiura, è incarcerato e forse ucciso.
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323 a.C.
Alessandro
muore a Babilonia in seguito a una malattia sconosciuta. Cinque anni più
tardi inizia a circolare la voce che sia stato avvelenato.
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IL NUOVO SOVRANO DI PERSIA. I primi tre anni della
campagna di Alessandro contro il re persiano Dario III si erano concluse con
una serie di clamorosi trionfi un Asia Minore e Mesopotamia: sul fiume Granico,
a Isso e infine a Gaugamela. Dopo quest’ultimo successo Alessandro aveva
conquistato Babilonia, Susa e altre capitali dove nel corso dei secoli l’impero
achemenide aveva accumulato enormi tesori. In Egitto il conquistare macedone
era stato accolto come un liberatore, aveva fondato la più celebre delle città
che portano il suo nome ed era persino stato proclamato figlio del Zeus Amon
dai sacerdoti del prestigioso tempio nell’oasi di Siwa.
Se fino ad allora
Alessandro era stato solo il re dei macedoni, dopo la morte di Dario III ascese
anche al trono persiano. Con le sue conquiste e le sue imprese memorabili
avrebbe cambiato a tal punto il volto del mondo conosciuto da meritare
l’appellativo di “Magno”. Tuttavia, quando si rese conto che nessuno avrebbe
potuto mettere in discussione il suo impero, Alessandro si lasciò tentare dal
lusso e dalla magnificenza dei sovrani asiatici.
D’altro canto il
condottiero non aveva intrapreso quell’epica spedizione di migliaia di
chilometri da solo. Ad accompagnarlo erano stati i suoi amici d’infanzia, come Tolomeo,
Cratero, Clito il Nero e soprattutto il fedele Efestione, di cui sempre si
disse che era il suo amante. Ma a
rendere veramente possibile il trionfo del giovane re furono alcuni esperti
generali macedoni che avevano già servito lealmente alla corte del padre di
Alessandro, Filippo II.
Uno di loro, il
veterano Parmenione, era un nobile che aveva stretti rapporti con la corte e i
militari, in quanto diretto sottoposto del re nel comando dell’esercito.
Parmenione aveva 65 anni e vari figli tutti con ruoli importanti. Ma il più in
vista era Filota, che svolgeva il prestigioso incarico di comandante in capo
degli Eteri, il corpo di cavalleria formato dai membri dell’aristocrazia
macedone.
La grande svolta di Babilonia.
Dopo aver sconfitto Dario a Gaugamela,
Alessandro fu ricevuto a Babilonia con tutti gli onori dal governatore locale
Mazeo. Qui la sua politica prese una nuova direzione; il sovrano fece della
città la sede del governo in Asia e permise a Mazeo di conservare la carica
di satrapo. Quella nomina era necessaria per rafforzare il suo potere, ma
andava a beneficiare una nobiltà barbara sconfitta (Mazeo aveva combattuto a
Gaugamela nell’esercito persiano). Questo fatto non fu visto di buon occhio
dai macedoni della vecchia guardia, capeggiati da Parmenione e Filota. Da
quel momento Alessandro iniziò a creare una nutrita corte parallela di
strarapi ed eunuchi, e introdusse nell’etichetta di corte alcuni rituali di
origine asiatica che finirono per allontanargli i suoi stessi uomini.
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Bagoa, l’amante persiano del
conquistatore.
Nel 330 a.C. il giovanissimo eunuco
Bagoa conobbe Alessandro a Zadracarta, in Ircania (nel nord dell’attuale
Iran). Era stato inviato dal gran visir Nabarzane, che aveva preso parte
all’assassinio del re persiano Dario III, suo signore. In quanto successore
dei sovrani achemenidi, Alessandro era intenzionato a vendicare Dario, ma il
gran visir Nabarzane riuscì a ottenere il perdono proprio grazie
all’intercessione di Bagoa. Il conquistatore macedone fu sedotto dall’inebriante
bellezza del giovane eunuco, che divenne il suo amante (come già lo era stato
di Dario). Si racconta che una volta Alessandro, entusiasmato da una danza di
Bagoa, lo abbracciò e lo baciò davanti a tutti, tra gli applausi e le grida
delle truppe. L’indiscutibile influenza esercitata sul sovrano valse a Bagoa
l’odio dei nobili macedoni, che disprezzavano l’atteggiamento effeminato di
Alessandro. La figura di Bagoa ha ispirato un libro famoso: il ragazzo
persiano di Mary Renualt pubblicato nel 1922.
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L’OBIETTIVO: FILOTA. Filota era un uomo
coraggioso e capace di grande generosità verso i suoi amici; ma era anche
considerato arrogante e conduceva uno stile di vita che suscitava invidie e
sospetti. Inoltre, già in Egitto aveva manifestato la sua contrarietà alle
tendenze autocratiche di Alessandro, quando questi si era recato all’oracolo di
Siwa per farsi dichiarare figlio di una divinità.
Da quel momento Cratero
iniziò a farlo spiare alla ricerca di qualche prova che permettesse di
accusarlo di tradimento nei confronti del re macedone. La testimonianza più
importante che riuscì a raccogliere fu quella di tradimento nei confronti del
re macedone. La testimonianza più importante che riuscì a raccogliere fu quella
della cortigiana Antigone, secondo la quale Filota sosteneva che le vittorie di
Alessandro erano merito suo e di suo padre Parmenione, e trattava il re come un
ragazzino. Inizialmente il sovrano macedone non diede troppo peso a queste
accuse, in virtù della fiducia che riponeva in Filota e del prestigio di cui
Parmenione godeva tra i macedoni. La situazione degenerò qualche tempo dopo,
quando Alessandro si era ormai impossessato di tutta la Persia e nell’opinione
dei macedoni aveva ceduto al lusso e alla magnificenza dei sovrano d’Oriente.
Nel 330 a.C., mentre
l’esercito svernava a Frada (odierna Farah, nell’Afghanistan occidentale),
Alessandro ricevette la denuncia di un complotto in cui era coinvolto Limno,
uno degli Eteri. La cospirazione venne alla luce per caso, quando questi cercò
di convincere il suo amante Nicomaco a unirsi ai congiurati. Il giovane si
spaventò e rivelò i particolari del piano a suo fratello Cebalino. Fu a quel punto che Filota fu coinvolto, perché
Cebalino lo informò dalla trama in due occasioni, ma il comandante non ritenne
opportuno prendere provvedimenti né a riferire la cosa ad Alessandro. Alla fine
Cebalino si recò personalmente dal sovrano per denunciare Limno, che secondo
Quinto Curzio Rufo si suicidò prima di essere arrestato. Il suo cadavere fu
esposto pubblicamente mentre venivano resi noti i motivi del suo gesto. A quel
punto Alessandro convocò Filota, chiedendogli perché non l’avesse informato
della congiura e insinuando che potesse esserne la mente. Ovviamente Filta
respinse ogni accusa e dichiarò di non aver avvisato nessuno perché non aveva
dato credito alle parole di Cebalino, convinto che fossero il frutto di una
lite tra amanti. Così lo riporta Quinto Curzio Rufo, che mette in bocca a
Filota queste parole: “Io, infelice, ho
creduto di aver ascoltato un alterco tra un’amante e un effeminato, e ho
ritenuto sospetta la testimonianza, perché non me l’aveva riferita lui
(Nicomaco) in persona, bensì aveva spinto suo fratello a farlo”. Dato che
gli autori della denuncia insistevano con le accuse, Alessandro decise di
convocare l’assemblea dei macedoni. Cratero ribadì pubblicamente che Filota non
si era limitato a occultare la congiura, ma ne era il promotore. Tra i mormorii
di indignazione nessuno dubitò più della colpevolezza del comandante. In
seguito intervenne Efestione, che sostenne la necessità di sottoporre a tortura
il reo prima di giustiziarlo, per fare chiarezza una volta per tutte
sull’intera vicenda. Efestione, Cratero e altri militari (tra cui Ceno, che
aveva sposato la sorella dello stesso Filota) si accanirono sul sospetto tutta
la notte, fino a che questi non poté sopportare oltre il dolore delle ferite
inferte al suo corpo, “Cratero, dimmi: cos’altro vuoi che confessi?”, lo
supplicò Filota, prima di fornirgli i nomi dei presunti complici. Il giorno
successivo il figlio di Parmenione e gli altri sospetti furono lapidati secondo
le usanze macedoni.
Non ci furono ulteriori
processi, ma nelle file dell’esercito si susseguirono le purghe e le
degradazioni per mettere in chiaro che non sarebbe stata tollerata nessuna
forma di slealtà. Ci furono anche delle promozioni, come quella di Efestione,
che da quel momento condivise con Clito il Nero il comando supremo della
cavalleria macedone, in precedenza sotto il controllo esclusivo di Filota.
Clito era un uomo di fiducia del re – gli aveva salvato la vita nella battaglia
del Granico – ed era in buoni rapporti con la vecchia guardia che aveva servito
sotto Filippo; dal canto suo, Efestione fu ricompensato per la sua fedeltà
ottenendo il primo incarico militare di un certo rilievo. Da quella posizione
poteva anche tenere sott’occhio Clito, che si era dimostrato contrario come
Filota alle aspirazioni autocratiche del sovrano.
Rilievo di un presunto sarcofago di Alessandro (Musei archeologici di Istanbul).
Efestione il compagno fedele.
Amico d’infanzia di Alessandro,
Efestione faceva parte del ristretto gruppo che aveva assistito alle lezioni
del filosofo Aristotele in compagnia di Alessandro (forse anche di natura
sessuale), al punto che questi lo considerava pubblicamente il suo alter ego,
e a volte i sudditi persiani confondevano l’uno con l’altro. Dopo la condanna
a morte di Filota, Efestione ascese al ruolo di comandante della cavalleria.
Alcuni anni più tardi Alessandro lo nominò gran visir in Asia incaricandolo
delle questioni tecniche (rifornimenti e comunicazioni). Quando nel 324 a.C.
Efestione morì improvvisamente a Ecbatana, il sovrano macedone organizzò in
suo onore un magnifico funerale.
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La lapidazione di Filota.
Quando Filota fu accusato di
tradimento, Alessandro ordinò che fosse condotto davanti all’assemblea
generale dell’esercito. I membri di quest’organismo invidiavano le ricchezze
e la posizione di Filota, che in alcune occasioni li aveva anche disprezzati e
insultati pubblicamente. Non sorprende quindi che al termine dell’assemblea “le guardie iniziarono a gridare che
volevano fare a pezzi il traditore con le loro mani”, secondo quanto
riportato da Quinto Curzio Rufo nelle Storie di Alessandro Magno. Quindi Filota
fu torturato dai compagni del re macedone perché confessasse. Curzio Rufo
riferisce “finche Filota aveva negato
il delitto, torturarlo era parsa una crudeltà, dopo la sua confessione non
suscitò neppure la compassione degli amici”. Una volta che ebbe
dichiarato la sua colpevolezza, fu condotto davanti all’assemblea insieme ad
altri accusati, poi tutti “vennero
lapidati a un segnale convenuto secondo il costume macedone”.
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L’alcotellamento di Parmenione.
Alessandro doveva chiudere i conti
anche con Parmenione, prima che questi venisse a sapere del destino del
figlio. Il sovrano inviò a Ecbatana una lettera con l’ordine di ucciderlo,
del cui trasporto Polidamente. Dato che questi era una amico del generale,
Alessandro tenne in ostaggio i suoi fratelli e le famiglie dei due arabi che
dovevano accompagnarlo. Il gruppo partì in direzione di Ecbatana in sella a
dei veloci cammelli e percorse oltre mille chilometri in undici giorni.
Giunto a destinazione Polidamante consegnò gli ordini del re agli ufficiali
di Parmenione – Cleandro, Sitalce e Menida -, quindi andò con loro a cercare
l’amico, che era nel giardino della sua abitazione e lo accolse con gioia. A
quel punto gli ufficiali diedero al generale una falsa lettera del figlio
Filota e lo pugnalarono a morte mentre era intento a leggere. Successivamente
invaiarono la sua testa ad Alessandro.
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La morte di Filota e Parmenione.
Dopo la condanna a morte di Filta in
quanto presunto organizzatore di una congiura, Alessandro doveva sbarazzarsi
immediatamente del padre di questi Parmenione, che custodiva nella remota
Ecbatana l’immenso tesoro sottratto ai sovrani persiani. Parmenione era anche
l’ultimo maschio della famiglia, dato che i due fratelli di Filota erano morti
durante la campagna: Ettore era annegato nel Nilo, mentre Nicanore era
deceduto in seguito a una malattia.
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L’ASSASSINIO DI PARMENIONE. Per Alessandro la
congiura rappresentava un’ottima scusa per liberarsi di Parmenione, con cui
aveva delle divergenze politiche sempre più insanabili. Parmenione godeva da
sempre di grande influenza a corte e nell’esercito, ma aveva anche un
temperamento cauto, frutto di lunghi anni di servizio che contrastava con la
genialità frenetica e lungimirante di Alessandro. Queste circostanze avevano
generato frequenti scontri tra i due in merito a questioni tattiche e
strategiche. Parmenione era anche totalmente all’oscuro di quanto avvenuto a
suo figli Filota, dato che era rimasto a Ecbatana per svolgere con le truppe
straniere. E così, se l’esecuzione di Filota era stata ammantata di una
parvenza di legalità. La fine di Parmenione non fu altro che un omicidio a
tradimento dettato da ragioni di pura convenienza politica.
Deciso una volta per
tutte a ribadire la sua autorità personale, Alessandro inviò un manipoli di
uomini a Ecbatana con l’ordine di eliminare Parmenione e soffocare qualsiasi
tentativo di ribellione delle sue truppe. Successivamente il sovrano incaricò
Clito di andare ad assumere il comando di quei distaccamenti e riportagli il
più rapidamente possibile, per proseguire la campagna in Battriana e Sogidana.
Prima di riprendere l’avanzata, alla fine del 330 a.C., Alessandro decise di
cambiare nome alla città di Frada, ribattezzandola Proftasia (in greco “anticipiazione”),
perché lì aveva anticipato la congiura
di Filota.
La congiura dei paggi.
Due anni e mezzo dopo le morti di
Filota e Parmenione avvenute nel 330 a.C., fu sventata la cosiddetta
“congiura dei paggi”. Questa cospirazione dei servitori del sovrano fu
provocata probabilmente dall’umiliazione inflitta da Alessandro a uno dei
suoi giovani servitori, frustato per aver commesso un errore durante una
battuta di caccia. Il ragazzo cercò dei complici per uccidere Alessandro, ma
la trama fu portata alla luce da una denuncia. Lo storico Callistene, che era
parente di Aristotele ed era la persona responsabile dell’educazione dei
paggi, venne accusato di essere tra gli organizzatori della congiura.
Callistenie aveva spesso preso
posizione contro le tendenze dispotiche di Alessandro e l’imposizione della
proskynesis, il gesto che i persiani tributavano al sovrano (i nobili
chinavano il capo verso il re inviandogli un bacio con le mani a giumella,
mentre il popolo si inginocchiava fino a toccare il suolo con la testa). I
paggi furono uccisi, di Callistene si ignora invece se fu giustiziato oppure
morì in prigione.
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IL PREZZO DEL POTERE. La folgorante campagna
svoltasi tra il 334 e il 331 a.C., e culminata con la conquista di Babilonia,
Susa e Persepoli aveva convinto Alessandro di essere imbattibile. Il
conquistatore è stato descritto da alcuni storici come una sorta di
re-filosofo, che mirava a promuovere l’ellenizzazione dell’Asia attraverso la
fondazione di nuove colonie. Senza il controllo di Parmenione e degli altri
esponenti della vecchia guardia, la condotta del sovrano iniziò a somigliare
sempre più a quella degli autocrati orientali che aveva rovesciato. Anche i
banchetti, che in Grecia erano lo specchio di una civiltà raffinata (nonché
teatro di conversazioni politiche e filosofiche), presso la corte alessandrina
degeneravano spesso in risse e discussioni offensive, in cui l’eccessivo
consumo di vino faceva prevalere la passione sulla ragione. Fu proprio nel
corso di un convivio tenutosi a Samarcanda nel 328 a.C. che Alessandro, in
preda all’ebbrezza, uccise Clito il Nero trapassandolo con una spada, perché
questi gli rimproverava senza riserve il suo atteggiamento e le recenti
politiche orientalizzanti. Si racconta, però, che all’indomani, resosi conto dell’accaduto,
Alessandro si pentì e pianse l’amico assassinato.
A partire da quel
momento il minimo sospetto di opposizione interna o esterna provocò ondate di
repressioni e massacri indiscriminati. All’inizio del 327 a.C. fu sventato un
altro complotto per uccidere il sovrano macedone, che vide coinvolti diversi
servitori del re e forse anche il cronista ufficiale di corte Callistene,
parente di Aristotele (che era stato il maestro di Alessandro). Callistene si
era in precedenza rifiutato di salutare Alessandro con la proskynesis, un gesto
di riverenza di tradizione persiana che i greci e i macedoni consideravano non
solo umiliante per un uomo libero, ma anche fuori luogo, in quanto equivaleva a
riconoscere ai sovrani una natura divina. Anche in questo caso il re non esitò
a spargere il sangue dei suoi uomini. Alessandro fu un immenso condottiero, ma
aveva quell’incapacità di sopportare il dissenso tipica di chi accumula su di
sé un potere eccessivo. E il potere del signore dell’Asia era ormai pressoché
totale.
Articolo in gran parte
di Juan Pablo Sanchez, storico pubblicato su Storica National Geographic del
mese di dicembre 2018 altri testi e immagini da Wikipedia.
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