Gli Spartani.
Guerrieri nati.
Una società
comunitaria, rigida e militarista, diversa da tutte le altre della Grecia
antica. Un modello sociale che ha trovato emulatori anche nel Novecento.
Resti della polis di Sparta
A
cavallo
tra il XII e l’XI secolo a.C., il popolo guerriero dei Dori dilagò nella
penisola ellenica, conquistandola. Se questo è un dato certo, meno sicura è la
provenienza di queste genti, che forse erano originarie dell’area
danubiana-balcanica, quindi del Nord, o forse appartenevano a uno di quei
“popoli del mare” che dal XIII secolo a.C. irruppero nel Vicino Oriente,
spazzando via gli Ittiti e invadendo Siria, Palestina, Cipro ed Egitto.
Fatto sta che, sul
finire dell’XI secolo a.C., i Dori giunsero in Laconia, una regione del
Peloponneso meridionale. Qui, nella fertile piana del fiume Eurota, fondarono
una città diversissima da tutte le altre polis greche: Sparta che, s’impose
presto nel panorama sociale e politico dell’Ellade per la sua potenza militare,
entrando in aperta rivalità con l’altra grande città-Stato, Atene, dalla quel
tutto la differenziava.
L'espansione di Sparta dopo le guerre messeniche
ABBASSO LA DEMOCRAZIA. Atene era la patria
della democrazia, il “governo del popolo” (il démos, la maggioranza dei
cittadini), mentre a Sparta vigeva l’aristocrazia, cioè il “governo dei
migliori”: gli aristoi erano appunto la classe dominante, numericamente ridotta
e sola detentrice di ogni diritto. Ne potevano far parte soltanto gli
spartiati, ossi i maschi discendenti degli antichi conquistatori dorici, che
erano detti anche Homoioim, “i pari”, perché godevano tutti dei medesimi
diritti. Agli aristoi erano sottomesse altre due classi sociali: i perieci
(cioè “coloro che abitano intorno, uomini liberi ma non ammessi alle cariche
pubbliche) e gli iloti, ossia gli abitanti di grado più infimo della Laconia,
destinati a lavorare la terra e paragonabili ai servi della gleba di età
medievale.
Il governo della città
veniva esercitato tramite l’assemblea popolare, l’apella, alla quale
partecipavano solo gli spartiati dopo il compimento del trentesimo anno di età
(uomini più che maturi, secondo di parametri di allora). L’apella si riuniva
una volta al mese ed era affiancata dalla gherusia, il consiglio degli anziani,
composto da trenta membri; ventotto erano spartiati ultrasessantenni eletti a
vita dell’appella stessa, due erano i re di Sparta, associati da in una diarchia,
Apella, gherusia e re erano tutti sottoposti al controllo di cinque efori,
“sorveglianti”: si trattava di una magistratura introdotta per riforma, forse
da Licurgo, leggendario legislatore di Sparta; qualunque spartiata poteva
essere eletto eforo dall’assemblea, Re ed efori giuravano fedeltà e obbedienza
alle leggi, rinnovando il sacramento a ogni assemblea mensile.
La legge costitutiva
dello Stato si chiamava significativamente Grande Rhetra: in greco, il rhetra
era il patto stipulato tra la divinità e la città stessa. Secondo la tradizione
antica, infatti, si sarebbe trattato di una disposizione data al legislatore
Licurgo direttamente dall’oracolo di Delfi.
Le proprietà degli
spartiati erano esclusivamente agricole e su di esse si basava il diritto di cittadinanza.
Fino al IV sec. a.C., in città poteva circolare solo menta di ferro, cioè di
poco valore, e per uso interno.
L’organizzazione
militare non era molto diversa da quella di altre polis, ma particolarmente
potente e collaudata. Questa città ebbe infatti il costante problema di tenere
sottomessa la fertile regione confinante della Messenia, conquistata a fatica
nel corso dei secoli e d’importanza vitale per la prosperità dello Stato. i
soldati spartani erano opliti, fanti pesantemente equipaggiati che formavano
una possente e compatta macchina da guerra, proteggendosi l’un l’altro con gli
scudi. La cavalleria era limitata al servizio dei re e veniva impiegata, più
che altro, come avanguardia o per inseguire il nemico in fuga. Nei secoli V e
IV a.C., ossia durante i periodi di rivalità più accesa con Atene, Sparta
dispose anche di una flotta importante, che richiese la formazione di marinai e
l’istituzione di magistrature preposte alla sua organizzazione e comando.
Antica edizione delle Vite parallele di Plutarco
Eroine dello sport.
La partecipazione e le vittorie
degli Spartani alle Olimpiadi furono particolarmente fitte nei secoli VII e
VI a.C. Nel IV secolo a.C., anzi, furono due donne a imporsi alle Olimpiadi
nelle discipline ippiche. La prima si chiamava Cinisca e apparteneva a una
delle famiglie reali: + famosa per essere stata una gara olimpionica, la
corsa dei carri con quattro cavalli nei giochi del 396 a.C. L’altra spartana,
Eurileonida, partecipò alle gare di corsa con la biga, forse vincendone una o
comunque piazzandosi in ottima posizione.
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BELLE ED EMANCIPATE. Un’altra differenza
fondamentale tra Sparta e Atena riguardava il concetto di “famiglia”. Ad Atene,
come nella maggior parte delle polis, la famiglia era l’unità di base della
società e prendeva il nome di oikos, “dimora”, a indicare l’insieme delle
persone che vivevano sotto lo stesso tetto. Il capofamiglia esercitava un’autorità
indiscussa, totale ed esclusiva, mentre alla donna era riservato il “buon
governo della casa”, l’oikonomia (da cui deriva la parola “economia”), insieme
alla procreazione dei figli e alla loro cura. Il genere femminile godeva di
pochissimi diritti: era raro vedere una donna sola aggirarsi per strada o al
mercato di Atene, Corinto o Tebe. A Sparta, invece, il cardine della vita
sociale era rappresentato dal syssitia, le mense comune dei Lacedemoni
(sinonimo di Spartani), costretti per legge a prendere i pasti insieme, una
volta compiuti i vent’anni. Questa pratica sviluppava la socializzazione, il
senso di appartenenza e la consapevolezza della reciproca parità: ogni
cittadino doveva portare con sé il proprio cibo e versare mensilmente una quota
fissa di orzo, vino, formaggio e fichi.
Gli uomini, inoltre,
continuavano a vivere in comune tra loro anche dopo il matrimonio, secondo una
rigida organizzazione militaresca. Quanto alle donne, esse si occupavano della
cura e dell’educazione dei figli fino al compimento de sette anni d’età, quando
i maschi erano sotratti alla madre per essere allevati dalla comunità. Alle
femmine, che restavano in casa, s’impartiva una formazione altrettanto severa,
mirante a farne le perfette compagne dei leggendari guerrieri di Sparta, anche
attraverso un’accurata educazione fisica che aveva lo scopo di fortificare il
loro corpo per dare alla città figli sani e ardimentosi. Abbigliate
succintamente e forse addirittura nude, le ragazze partecipavano anche alle
gare ginniche e ai cori eseguiti durante
le grandi feste (nel resto della Grecia era considerato immorale).
Per le sue differenze
radicali nello stile di vita e nel rapporto tra gli individui e lo Stato,
Sparta aveva ammiratori in molte poli. Come lo storico Senofonte e il filosofo
Crizia, che apprezzavano il pudore (aidos) naturale delle fanciulle spartane e
il loro riserbo; al contrario, i denigratori, come il tragediografo Euripide e
il filosofo Aristotele, le definivano con disprezzo “scosciate” e “puttane”.
UNA MOGLIE IN COMUNE. A Sparta, anche lo
sposalizio si svolgeva secondo modalità che non avevano uguali in tutta la
Grecia. Il vincolo matrimoniale era controllato dagli efori, e prevedeva che i
maschi non potessero sposarsi prima dei trent’anni; anche per le femmine, a
differenza di quanto avveniva altrove, era consigliata un’età non troppo
acerba. La ragazza veniva preparata alle nozze da una madrina che la rasava e
la vestiva da uomo. I primi incontri fra gli sposi avvenivano al buio e subito
dopo l’amplesso l’uomo tornava a dormire con i suoi camerati (l’abitudine
veniva mantenuta anche in seguito allo scopo, sembra, di mantenere acceso il
desiderio tra i coniugi). Come riferiscono alcune fonti, poteva succedere ad
alcuni spartani di avere figli ancora prima di aver visto in faccia la moglie.
Un’altra usanza,
decisamente bizzarra agli occhi degli altri Greci e anche ai nostri, era la
possibilità, prevista per legge, che i mariti attempati “prestassero” la moglie
a uomini più giovani, così da poter generare figli vigorosi. In compenso, se
uno spartano non voleva sposarsi poteva chiedere in prestito la moglie a un
altro, se ne apprezzava le qualità di madre.
AMORE E MORTE.
I precettori educavano gli allievi
anche nelle relazioni amorose omosessuali, che potevano esercitarsi fra
coetanei o con adulti, ma perfino la pederastia era controllata dallo Stato.
la condotta impartita comportava sacrifici fisici, come indossare tutto
l’anno lo stesso mantello e prove, la più dura delle quali (krypteia)
constava nel rimanere nascosti per un anno di speciale addestramento, per poi
affrontare e uccidere alcuni iloti.
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ISPIRATORI DEI TOTALITARISMI. Anche la
condizione femminile era molto particolare rispetto al resto del mondo greco.
Le donne di buona famiglia erano perlopiù ricche: lo diventavano con il
matrimonio, restando titolari della dote portata in casa del marito, ma
soprattutto quando accumulavano patrimoni di varie casate prive di eredi
maschi. Le perdite di uomini nelle continue guerre avevano infatti anche questa
conseguenza, oltre a procurare una grave e progressiva carenza di combattenti.
La preoccupazione di trovare un marito adeguato alle ereditiere, possibilmente
un parente, era sentita anche ad Atena, però a Sparta l’eredità materna e
quella paterna rimanevano distinti, così come a Creta, e questo costituiva un
indubbio vantaggio per le donne. Il mondo antico parlava di Sparta “famosa da
mille anni”, ma la sua potenza fu verosimilmente tale per cinquecento anni. In quei
secoli, i Lacedemoni dominarono su quasi tutto il Peloponneso, potendosi
gloriare di un esercito valoroso quanto nessun altro. Lo dimostrarono
incontrovertibilmente nella difesa della Grecia contro l’invasione persiana,
per scongiurare la quale Leonida e i suoi 300 compagni si sacrificarono al
passo delle Termopili, nel 480 a.C.
Atene conquistò
l’egemonia sugli altri Greci solo nel corso del V secolo a.C., dopo le guerre
contro i Persiani e prima della sconfitta nella Guerra del Peloponneso, vinta
proprio da Sparta. Il declino della democratica Atene alimentò le riflessioni
di filosofi e oratori a vantaggio della costituzione spartana, ritenuta degna
di prevalere sulle altre. Ma anche per i Lacedemoni era venuto il tempo del
tramonto: Sparta fu batta da Tebe nella battaglia di Leuttra (371 a.C.), che
costò ai Lacedemoni la perdita della fertile Messenia, causandone
l’inarrestabile decadenza.
A Sparta contavano
molto la forza, la potenza e l’integrità morale, ma anche la cultura ricopriva
un ruolo importante; soprattutto in età arcaica, quando si affermarono poeti
famosi come il lirico Tirteo e il suo contemporaneo Alcmane, rimasti nella
storia della letteratura universale. Nel VI sec. a.C., anche l’artigianato
spartano s’impose nel bacino del Mediterraneo: la produzione della ceramica
raggiunse tali livelli artistici da essere ricercata in molte città, anche
fuori dalla Grecia, dove gli archeologi la trovano oggi in grande quantità. Nel
corso dei secoli, il modello spartano, benché decaduto, continuò a riscuotere
ammirazione nell’interpretazione dei posteri (a volte fantasiose e
ideologicamente deformata). Prima l’Umanesimo, poi l’Enciclopedismo, il teatro
e la pittura sette-ottocentesca, da David a Degas, s’ispirarono volentieri alle
gesta e alla leggendaria moralità e alla forza dei Lacedemoni.
In tempi più recenti,
il modello spartano esercitò una grande attrazione sulla dottrina
nazionalsocialista, che vide in esso quasi un precedente storico: così come i
Lacedemoni, venuti dal Nord, avevano rinnovato la forza morale e la potenza
ellenica, allo stesso modo il popolo tedesco doveva operare nei confronti della
decadente civiltà europea.
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