La leggenda del Barone
nero.
Quattordici tank,
dieci veicoli corazzati e quattro per il trasporto truppe distrutti n poco più
di un quarto d’ora da un solo carro armato. È l’eclatante impresa di Michael
Wittmann, il più celebre comandante di panzer del secondo conflitto mondiale.
Verso
le 12,30 del 13 giugno 1944 fu ben presto evidente che l’Operazione Perch,
pianificata con cura dal generale inglese Bernard Montgomery, stava fallendo. E
con essa il progetto dell’Alto comando alleato di eliminare la resistenza
tedesca a sud di Caen, dopo il clamoroso successo dello sbarco in Normandia,
avvenuto poco più di una settimana prima. L’esperta 22a Brigata corazzata
britannica, i famosi “Desert Rats” (i Topi del Deserto), reduce dei successi in
Nordafrica, appoggiata dal 1° Battaglione Fucilieri della “Rifle Brigade”,
aveva fallito il compito assegnatole: occupare il villaggio strategico di
Villerss-Bocage, alle spalle del nemico, per potergli tagliare ogni via di fuga
e chiuderlo in una trappola mortale. Monty, com’era chiamato con rispetto
Montgomery dai suoi uomini, fu immediatamente informato che le sue unità non
solo erano state ricacciate indietro, ma avevano subito pesanti perdite: almeno
trenta carri armati, decine di veicoli corrazzati e oltre duecento caduti. Un
bagno di sangue che complicava maledettamente le cose sul campo. Come abbia
reagito, a mano a mano che le notizie prendevano forma, è difficile a dirsi, ma
possiamo immaginare lo sconcerto quando fu chiaro che il principale
responsabile di quest’inaspettata débacle era un solo carro tedesco. Un
temibile panzerkampfwagen VI Tiger della 2a Compagnia del Schwere
SS-Panzer-Abteilung 101, comandato dal tenente Michel Wittmann, veterano del
Fronte orientale e con un incredibile stato di servizio alle spalle. Eppure ciò
che era riuscito a fare a Villers-Bocage ridimensionava ogni impresa
precedente. Per i suoi uomini, gli ufficiali dello stato maggiore e Hitler in
persona, Wittmann sarebbe diventato una vera leggenda, tanto da ricevere il
soprannome da Barone Nero, in omaggio alla sua indiscussa abilità sul campo di
battaglia.
Prima di lui solo un
altro uomo era stato in grado d’infiammare l’immaginazione popolare a tal punto
quel Manfred von Richthofen, l’asso degli assi della Prima guerra mondiale, che
in virtù dell’originale colorazione del suo triplano si era tramutato nel
leggendario Barone Rosso. Nel caso di Wittmann il nero era un chiaro
riferimento alla divisa delle temibili Waffen SS, l’ala combattente del
famigerato corpo delle Schutz-staffeln (SS) di Himmler. Ma, a prescindere dall’adesione
all’ideologia nazista, egli è stato uno dei più abili e risoluti comandanti di
panzer della Seconda guerra mondiale: l’eco delle sue imprese ha travalicato gli
stessi confini tedeschi, meritandosi anche il rispetto delle truppe avversarie.
Gli
assi dei panzer. Può
sembrare singolare che nella classifica dei maggiori carristi tedeschi del
Secondo conflitto mondiale Wittmann figuri solo al quinto posto con la bellezza
di 138 carri nemici distrutti. A quanto pare nella graduatoria altri quattro
comandanti hanno fatto meglio di lui: Kurt Knispel con 168, Martin Schroif
161, Otto Carlos 150 e Johannes Bolter 139. Va
sottolineato che questa classifica, come per l’aviazione, tiene in conto le
vittorie accertate e tralascia quelle solo rivendicate, ma non provate.
Perché in tal caso la lista sarebbe ancora più nutrita. È una graduatoria
pura e semplice, che non prende in considerazione fattori come la tipologia
dei carri armati messi fuori combattimento o in quale teatro sia stato
registrato il successo. Nel
caso di Wittmann va puntualizzato infatti che si aggiudicò le sue vittorie
proprio nelle fasi conclusive della guerra, quando l’esercito tedesco era
ormai in grossa difficoltà. In molti altri casi invece furono ottenute
all’inizio del conflitto contro formazioni corazzate meno agguerrite o in
forte inferiorità numerica e tecnologica come durante la Campagna contro la
Francia, l’invasione della Polonia e l’inizio dell’Operazione Barbarossa in
Unione Sovietica. nel 1944 il quadro era completamente mutato e gli avversari
non erano solo superiori in numero, ma disponevano di carri avanzati ed
equipaggi ben addestrati e preparati. In tal senso le straordinarie affermazioni
di Wittmann assumono maggiore rilevanza. A prescindere comunque da questa
doverosa precisazione, il valore dei carristi tedeschi nel Secondo conflitto
mondiale è oggi universalmente riconosciuto anche tra le file degli eserciti
nemici. Per preparazione, addestramento e doti tattiche si dimostrarono di
regola superiori agli avversari, sapendo spesso ovviare a problemi progettuali
e strutturali dei loro mezzi, non sempre all’altezza della situazione. Un
mito, quello della superiorità tecnologica nazista in fatto di carri armati,
che va ampiamente sfatato. |
Il battesimo del fuoco. A dispetto del titolo
affibbiatoli, e a differenza di von Richthofen, che poteva vantare origini
nobili, il futuro SS-Obreersturmfuhrer aveva dovuto fare la gavetta per poter
emergere come ufficiale delle truppe corazzate. Secondi i documenti disponibili
aderì fin dal 1937 al corpo delle Waffen SS, entrando a far parte della
divisione corazzata Leibstandarte Adolf Hitler, e dimostrando fin da subito
notevoli doti tattiche e una prestanza fisica fuori dal comune. L’abilità messa
in luce ala comando di un reparto di autoblindo da ricognizione, nelle fasi
iniziali del conflitto, gli aprì le porte di uno dei primi reparti dotati di
Sturmgeschutz III, cannoni d’assalto derivati dallo scafo dei Panzer III e
dotati di cannone Stuk L/24 da 75 millimetri, impiegati sul fronte russo
all’indomani dell’inizio dell’Operazione Barbarossa (giugno 1941). E il
battesimo del fuoco non sarebbe potuto essere più incisivo. Secondo i rapporti
stilati dai suoi superiori, durante una delle prime missioni rimase isolato dal
resto del reparto nel bel mezzo dell’avanzata di una colonna corazzata nemica,
cosa che non sembra averlo messo in
particolare difficoltà, perché senza che venisse individuato riuscì a occultare
il suo StuG III quanto bastava per tendere un’imboscata. Dopodiché, con calma
glaciale, diede ordine al suo cannoniere di aprire il fuoco, prima di riuscire
a sganciarsi e a rientrare tra le linee tedesche. Tre carri nemici non fecero
ritorno alla base. Fu solo l’inizio di una serie brillante di azioni in cui
Wittmann dimostrò lucidità e determinazione, ma anche coraggio ai limiti del
suicidio. E infatti nel corso dei furiosi combattimenti che precedettero la
conquisto del nodo strategico di Rostov, rimase ferito seriamente almeno due
volte. il suo valore non passò inosservato e fu premiato con l’ammissione alla
scuola ufficiali SS-Junkerschule di Bad Tolz, dalla quale sarebbe uscito un
sottotenente dell’esercito regolare. Dopodiché fu riassegnato al fronte
orientale, prima su carri Panzer III dell’SS Panzer-Regiment I e
successivamente, come capo plotone, nei ranghi della Leibdstanderte, che in
quel periodo era stata equipaggiata con mezzi più moderni ed efficaci, i
potenti e temibili PanzerVI Tiger. Carri di ultima generazione che, per quanto
soffrissero di non pochi problemi progettuali (in particolare i primi modelli)
erano comunque dotati di un potente cannone da 88 millimetri in grado di
perforare la corazza di qualsiasi mezzo avversario. Proprio in questo frangente
Wittmann fu destinato al Schwere SS-/Panzer Abteilung 101, reparto in cui si
distinse fin da subito come il più abile e letale comandante. Come leader di
un’unità da ricognizione, costituita da quattro Tiger, prese parte alla
battaglia di Kursk (luglio 1943), il più grande scontro di carri della storia,
riuscendo a mettere fuori combattimento almeno trenta T-34 (il carro più
avanzato a disposizione dell’Armata Rossa) e altrettanti cannoni anticarro
sovietici. E tutto questo nel giro di soli cinque giorni di scontri. Risultati
eccezionali, se si pensa che in quella fase della guerra l’Armata Rossa era già
riuscita a prendere il sopravvento, il corso del conflitto mutato e per tutto
il resto del 1943 la Wehrmacht fu costretta a continue e dispendiose ritirate.
Eppure all’inizio del 1944, nonostante le difficoltà sempre crescenti, Wittmann
riuscì ad ottenere risultati sbalorditivi: il 9 gennaio celebrò la
sessantaseiesima vittoria, il 13 l’ottantottesima e il 29 giunse alla sbalorditiva
quota di centodiciassette carri nemici distrutti.
I
retroscena della sua morte. A
chi attribuire la distruzione del Tiger del Barone Nero? Può sembrare
incredibile ma sull’argomento sono stati spesi fiumi d’inchiostro. Per alcuni
fu centrato da uno Sherman della 33a Brigata corazzata britannica, per altri
invece da un razzo lanciato da un velivolo. La controversia si è protratta
fino al 2000, quando la pubblicazione di un articolo, A Fine Night for Tanks,
ha fatto chiarezza una volta per tutte, o almeno così si spera. Secondo
l’autore, Brian Reid, quel fatidico 8 agosto del 1944, Wittmann si sarebbe
salvato da una prima imboscata (in cui caddero gli atre tre carri del suo
reparto), che gli fu tesa dai tanks della 33a Brigata, perché si trovava
troppo lontano dal punto di fuoco (oltre mille metri). Infatti, per
l’efficacia del cannone dello Sherman sulla corazzatura dei Tiger era
praticamente nulla sopra gli 800 metri. Anche la tesi di un razzo sparato da
un velivoli è stata ampiamente contestata, perché le immagini scattate subito
dopo lo scontro non sono compatibili con il tipo di danno inferto. Se quel
tipo d’arma, la cui potenza era paragonabile a un proiettile d’artiglieria
navale, avesse centrato il bersaglio, avrebbe dovuto causare una distruzione
ben maggiore. Inoltre, le foto dimostrano che il colpo non arrivò dall’alto.
L’ipotesi di Reid invece è un’altra: fu un carro canadese, comandato dal
maggiore Sydney Walters, della 2a Brigata corazzata del The Sherbrooke
Fusilier Regiment, nascosto dietro il muro di un castello, a colpirlo da poco
più di 150 metri: una distanza minima che spiega come la corazzatura sia
stata perforata con facilità, facendo esplodere il locale deposito di
munizioni e condannando l’intero equipaggio. |
Il miracolo di Villers-Bocage. Nell’aprile 1944
voci di un sempre più imminente sbarco alleato in Normandia costrinsero l’Alto comando
tedesco a dirottare una parte delle sue forze a ridosso del Vallo atlantico,
nella speranza di ributtare in mare il nemico. Tra queste figurava anche la 2a
Compagnia del Schwere SS Panzer Abteilung 101, che fu assegnata al 1° SS Panzer
Corps in qualità di unità di supporto, senza esser comunque inglobata. E a
Wittmann fu affidato il comando del secondo battaglione con il grado di
tenente. Quando il 6 giugno prese il via l’Operazione Overlord, cogliendo
totalmente impreparate le difese tedesche, fu subito chiaro che, con gli
Alleati ormai padroni della costa e in fase di dispiegamento nell’entroterra,
la sproporzione di forze in campo sarebbe stata incolmabile. Eppure il 7 giugno
Wittmann ricevette l’ordine di spostare il suo battaglione da Beauvais, dov’era
distaccato a sud di Caen in Normandia per cercare di dare man forte alle deboli
forze tedesche in zona. In cinque giorni, minacciato continuamente dall’aviazione
nemica, riuscì a coprire i centosessantacinque chilometri che lo separavano dal
fronte. E proprio nella tarda serata del 12 giugno arrivò in prossimità del
villaggio di Villers-Bocage, ricevendo disposizioni di presidiare la colina 213
a poca distanza dall’abitato compito che avrebbe dovuto svolgere con i dodici
Tiger a sua disposizione. Questo solo in teoria, perché la realtà era ben
diversa, visto che metà dei suoi carri era stata danneggiata o soffriva di
gravi problemi meccanici. Il mattino seguente, con l’inizio dell’Operazione
Perch, e dopo un pesante bombardamento navale alleato che costrinse Wittmann a
riposizionarsi almeno tre volte, la situazione sembrava disperata e senza via d’uscita.
Quando poi, poco prima delle nove, le avanguardie della 7a Divisione corazzata
britannica entrarono nel villaggio francese con l’intenzione di occupare il
ponte che avrebbe tagliato la ritirata di tutte le forse avversarie più a nord,
l’ufficiale tedesco, colto di sorpresa, capì di avere un’unica soluzione. Come avrebbe
ricordato più tardi “Non ebbi il tempo di assemblare la mia compagnia e dovetti
agire velocemente, perché dovetti supporre che il nemico mi aveva già sotto
tiro … partii con il carro e diedi ordine agli altri di non ritirarsi, ma di
tenere la posizione a tutti i costi”. Il messaggio era chiaro: ogni carro
avrebbe dovuto attaccare singolarmente, cercando di portare scompiglio tra le
fila avversarie. È stato possibile ricostruire queste drammatiche fasi con una
certa precisione, anche se alcuni dettagli, forniti dai vari storici che si
sono interessati al caso, non combaciano perfettamente. Comunque sia, intorno
alle 9.00 Wittmann uscì dal suo nascondiglio, ingaggiando con i carri leggeri
della retroguardia nemica e distruggendoli uno dopo l’altro. all’entrata del
Paese fu la volta di vari veicoli da trasporto
parcheggiati lungo la strada principale, dopodiché, nella parte est dell’abitato,
si scagliò contro numerosi carri leggeri e medi, cogliendoli di sorpresa. La maggior
parte fu distrutta, chi invece riuscì a salvarsi cercò scampo nella campagna
circostante. Nella confusione che si venne a creare il Tiger tedesco continuò a
martellare le unità nemiche, mettendo fuori uso tutto ciò che si muoveva o gli
si parava di fronte: caddero uno dopo l’altro postazioni anticarro, veicoli
corazzati e centri di osservazioni, tutto mentre i restanti carri tedeschi si
muovevano a loro piacimento tra le forze britanniche, incapaci di abbozzare la benché
minima difesa. Solo quando le munizioni cominciarono a scarseggiare Witmann
diede l’ordine di sganciamento, ma un improvviso colpo sparato da un cannone
anticarro ben occultato costrinse il carro temporaneamente fuori uso. Perciò l’intero
equipaggio, illeso, fu costretto a rientrare a piedi tra le linee amiche, dove
poté riunirsi con ciò che restava delle esigue forze che aveva sferrato l’assalto.
30 gennaio 1944: Wittmann a Berlino con Adolf Hitler
La leggenda. A conti fatti per gli Alleati il
bilancio fu un vero disastro, in meno di un quarto d’ora l’Operazione Perch
poteva dirsi fallita, le perdite furono elevatissime e gran parte di queste
erano imputabili proprio a Wittmann. Per la propaganda tedesca gli avvenimenti
di Villlers-Bocage ebbero un tale risalto da trasformare il Barone Nero in una
celebrità. Tanto che la stampa tedesca finì con l’attribuirgli la quasi
totalità delle vittorie di quel giorno: ben ventisette dei trenta carri
distrutti. Solo in seguito il numero sarebbe stato ridimensionato: tredici tank
(cinque Cromwell, cinque Sherman e tre Stuart), dieci veicoli corazzati e
quattro mezzi da trasporto. Un exploit clamoroso che galvanizzò Hitler in
persona: il 25 giugno infatti l’ufficiale tedesco ricevette dalle sue mani la
Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia e Spade, la massima onorificenza a cui
un comandate di carri potesse aspirare. Ancora una volta era riuscito a
stupire, dimostrando un incredibile coraggio, determinazione e un intuito fuori
dal comune. Villers-Bocage sarebbe stata però la sua ultima impresa, anche se
la più sensazionale.
Forse aveva chiesto
troppo alla buona sorte, perché dopo alcune settimane trovò la morte in uno
scontro a fuoco in un modo del tutto normale. L’8 agosto, nei pressi del
villaggio di Gaumesnil in Francia, mentre avanzava con il resto della sua unità
per cercare d’intercettare le forze
britanniche impegnate nell’Operazione Totalise, il suo Tiger matricola
007 si trovò nel bel mezzo di un’imboscata e fu raggiunto da un proiettile
nella parte posteriore, che fece esplodere il deposito munizioni e scagliò la
torretta a decine di metri di distanza. Un unico colpo ma letale. L’intero
equipaggio morì sul colpo, senza probabilmente rendersi neppure conto di cosa
fosse successo realmente, e questa volta per il Barone Nero non ci fu scampo.
Articolo di Michael
Wittmann pubblicato su Storie di guerre e guerrieri n. 6 – altri testi e
immagini da Wikipedia
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