La lotta per la
liberazione: Algeria, colonia ribelle.
La Guerra
d’Indipendenza algerina durò otto lunghi, terribili anni. Ma alla fine i
francesi dovettero andarsene, nonostante lo squilibrio di forze. Neppure il
generale De Gaulle riuscì a fermare la resistenza.
“I
francesi
sono arrivati d’estate e ripartiranno con la forza d’estate”. Così affermò un
giorno il poeta algerino Mohand ou-Lhocine (1837-1901), rievocando il
traumatico ingresso dei francesi ad Algeri del 5 luglio 1830, inizio della
penetrazione coloniale nel Paese. Questa affermazione diverrò celebre per la
sua valenza profetica: gli algerini ottennero infatti l’indipendenza il 3
luglio 1962. Ma per conquistare la libertà ci vollero quasi otto anni di
sanguinose lotte con le forze francesi, in quella che passerà alle cronache
come guerra d’Algeria o – più correttamente – come Guerra d’Indipendenza
algerina.
I Pieds-noirs. I francesi avevano sottomesso il
più grande Paese del mondo arabo ai tempi di Carlo X, sovrano che nel 1830
l’aveva strappata agli ottomani. L’impero coloniale d’oltralpe si era quindi
esteso ad altri Stati del Continente nero, tra cui Tunisia e Marocco,
mantenendo saldo il dominio fino al secondo dopoguerra. In Algeria abitavano al
tempo quasi 9 milioni di autoctoni (arabi e berberi mussulmani) e circa un
milioni di cosiddetti ‘francesi d’Algeria’ (coloni europei tra cui molti
ebrei), chiamati anche pieds-noirs. Nondimeno, Parigi considerava il Paese
nordamericano ‘cosa propria’, tanto che nel 1947 ne formalizzò l’unione al
territorio metropolitano francese. Subito dopo esplose però una vasta crisi di
rigetto contro la dominazione e in Algeria aumentarono i movimenti
indipendentisti, confluiti nel 1954 nel Front de Libération National (Fln),
raggruppamento affiancato da un esercito di guerriglieri: l’Armée de Libération
National (Aln).
In guerra. “A
segnare l’inizio del conflitto fu, nella notte tra il 31 ottobre e il 1°
novembre 1954, una serie di attacchi terroristici contro vari luoghi del potere
coloniale in Algeria”, spiega la storica Caterina Roggero,
autrice del volume l’Algeria e il Maghreb. La guerra di liberazione e l’unità
regionale (Mimesis). Dopo tali azioni l’Fln, segnato da divisioni interne ma
anche da carismatiche leadership come quella di Ahmed Ben Bella, coinvolse
sempre più la popolazione nella lotta antifrancese, e la tensione, già
altissima, aumentò nell’estate 1955, quando nel Nord-est del Paese i ribelli
avviarono una sommossa che fu repressa nel sangue: i morti furono migliaia.
In aiuto ai rivoltosi
si erano intanto attivati i ‘fratelli’ marocchini e tunisini, e per riprendere
in mano la situazione il governatore d’Algeria, Robert Lacoste, concesse
all’esercito poteri eccezionali. Non bastasse, nel settembre 1956 i francesi
dirottarono ad Algeri un aereo che portava da Rabat a Tunisi alcuni capi
dell’Fln, in primo luogo di Ben Bella e altri quattro leader, “L’affaire del dirottamento e l’arresto dei
leader dell’Fln, in primo luogo di Ben Bella, che era agli occhi dell’opinione
pubblica il capo della ribellione algerina, ebbero conseguenze gravissime”,
sottolinea l’esperta. Nei mesi seguenti crebbero le operazioni di guerriglia
dell’Aln (forte di quasi 50mila uomini, destinati ad aumentare) e sui
francesi d’Algeria calò un clima di
terrore, tanto che molti coloni lasciarono le loro proprietà.
Conflitto “sporco”. La Francia rispose
all’Fln con rastrellamenti violenti, un uso frequente della tortura e
un’infinità di stupri a danno delle donne algerini. Alcuni coloni iniziarono
inoltre a organizzarsi in milizie per stanare i ribelli. Tutto ciò farà presto
parlare di ‘guerra sporca’, come denuncerà tra l’altro nel 1966 il film “La
battaglia di Algeri (di Gino Pontecorvo)”, il cui titolo è legato alla
guerriglia urbana che travolse la capitale algerina tra il 1956 e il 1957. A
supervisionare la repressione fu il generale Jacques Massu, che colpì le
strutture dell’Fln con vere operazioni terroristiche. I francesi attaccarono
anche i villaggi solo sospettati di fornire rifugio ai ribelli “L’8 febbraio
1958 bombardarono per esempio un campo base dell’Aln e un villaggio tunisino
prossimo alla frontiera con l’Algeria, uccidendo 70 persone, per lo più civili,
tra cui numerosi bambini”, ricorda Ruggero. Furono inoltre erette barriere
lungo i confini con Marocco e Tunisia – da dove continuava a giungere supporto
ai ribelli – e furono concentrati milioni di algerini delle aree rurali in
“campi di raggruppamento”, sotto stretta sorveglianza, per impedirne la
collaborazione coi rivoltosi.
Venti di libertà. Nel secondo dopoguerra, in ogni
angolo del globo, le potenze coloniali europee furono messe alla prova da
forze indipendentiste, che portarono decine di Paese a dichiararsi autonomi. Il
primo caso celebre di questo processo storico, noto come decolonizzazione, fu
quello dell’India di Gandhi, liberatasi nel 1947 dal giogo britannico. Nel contenente
africano – puzzle di possedimenti belgi, francesi, inglesi, italiani,
spagnoli e portoghesi – a indicare la strada fu la Libia, che nel 1951 si
affrancò dall’amministrazione anglo-francese a cui era stata affidata dopo
essere stata italiana (durante la guerra, l’Italia aveva perso anche le
colonie nel Corno d’Africa). DECOLONIZZAZIONE. Nel 1956, mentre
l’Egitto consolidava definitivamente la propria autonomia dagli inglesi
(formalizzata già nel 1922), toccò quindi a Marocco e Tunisia, che si resero
indipendenti dalla Francia (sei anni prima dell’Algeria). Nel resto del
continente, nella cosiddetta Africa sub sahariana, il primo Paese a
festeggiare l’indipendenza fu nel 1957 il Ghana (già inglese). tra gli anni
Sessanta e Settanta seguirono tutti gli altri, a eccezione di Zimbabwe,
indipendente dal Regno Unito solo dal 1980, e Namibia, staccatasi nel 1990
dall’amministrazione di un altro Stato africano: il Sudafrica, a sua volta ex
colonia britannica. |
Il ritorno di De Gaulle. Da sempre restii a
trattare con gli insorti, i politici di Parigi iniziarono pian piano a cambiare
atteggiamento. Ma a quel punto si scatenò la rabbia dei coloni più oltranzisti,
detti ultras, che il 13 maggio 1958, appoggiati da ufficiali dell’esercito,
avviarono ad Algeri una rivolta che sfociò in un colpo di Stato, con tanto di
assalto al palazzo del governatore. “Per
tutto il mese i francesi furono sull’orlo della guerra civile: le possibilità
che l’esercito s’impadronisse del potere erano concrete, e alla fine il
presidente René Coty chiese l’intervento della sola persona individuata dalla
popolazione come possibile risoluzione della crisi, Charles de Gaulle”,
racconta la storica. La candidatura del carismatico generale eroe della
resistenza contro i nazisti e già capo del governo provvisorio della Repubblica
francese (1944-1946), fu approvata dal Parlamento il 29 maggio sotto la minaccia
dei golpisti di colpire Parigi, e già il 4 giugno De Gaulle si recò in Algeria,
dove ravvivò gli umori di tutti i francesi al grido “Vive l’Algerie française”.
A seguire fu promulgata una nuova costituzione (4 ottobre 1958) che mandò in
pensione la Quarta Repubblica francese (nata nel 1946) dlando vita alla Quinta,
quella odierna.
Il testo, oltre a un
ampliamento dei poteri presidenziali, prevedeva alcune aperture verso gli
algerini, a cui De Gaulle concesse anche nuovi diritti elettorali. Non bastò
però a le ire dell’Fln, che instaurò un governo provvisorio della Repubblica
algerina, con sede nell’esilio di Tunisi.
L’accordo. Nonostante l’efficacia delle
campagne militari, in Francia e nella comunità internazione aumentò l’opposizione
al conflitto, sia per il gran numero di soldati coinvolti (più di 400mila
uomini), sia per la sempre più diffusa consapevolezza che il colonialismo
europeo era al tramonto e che i popoli avevano diritto di scegliere il proprio
destino, come proclamava anche l’Onu. Lo stesso De Gaulle, divenuto presidente
della Repubblica, si aprì a nuove prospettive: “il 16 settembre 1959 tenne uno storico discorso – trasmesso alla radio
e alla TV – in cui, per la prima volta, fu contemplato il principio di
autodeterminazione per il popolo algerino”, rivela Roggero. Militari,
coloni e ambienti della destra francese si sentirono traditi e nel gennaio 1960
organizzarono violente proteste ad Algeri. De Gaulle si appellò però alla
lealtà dei soldati e la rivolta sfumò. Alcuni intellettuali francesi firmarono
poi un famoso documento, il Manifeste des 121, che rimarcava il diritto all’autodeterminazione
dei ribelli, ma servì a poco: i colonialisti più estremisti, confluiti nell’OAS
(Organisation de l’Armée Secrète), ripresero le azioni terroristiche, anche su
suolo francese. Nell’aprile 1961 alcuni generali ordirono quindi un nuovo
golpe, occupando vari centri logistici di Algeri.
De Gaulle intervenne in
dirette televisiva, ammettendo: “un
potere insurrezionale si è installato ad Algeri … proibisco ad ogni francese e
soprattutto a ogni soldato di eseguire qualsiasi dei lori ordini”. L’appello
funzionò e il ‘putsch dei generali’ ebbe fine.
I francesi avvelenarono poi i colloqui con i rappresentanti dell’Fln e
il 18 marzo 1962, nella cittadina francese di Evian-les-Bians, le due parti
firmarono i cosiddetti “accordi di Evian”: la guerra, dopo aver mietuto quasi
un milioni di vittime (soprattutto algerine) era finita.
Indipendenti. Gli accordi affidarono il futuro
dell’Algeria a un referendum. Il voto, svoltosi l’8 aprile in Francia e
confermato da una votazione del 1° luglio 1962 in Algeria, sancì l0indipendenza
del Paese. I pieds noirs tornarono in massa in patria e l’anno dopo Ben Bella
divenne il primo presidente della neonata Repubblica d’Algeria. La storica
dichiarazione d’indipendenza, pur riconosciuta da De Gaulle il 3 luglio, fu ufficialmente festeggiata dagli
algerini il 5, per rievocare appunto la conquista coloniale francese del 1830. La
profezia di Mohand ou-Lhocine si era avverata.
Articolo di Matteo
Liberti pubblicato su Focus Storia n. 146 – altri testi e immagini da Wikipedia
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