Saturnalia il natale romano.
Una settimana di gioia
e godimento, tra cibo e divertimenti, chiudeva il calendario romano e
prometteva prosperità per l’arrivo dell’anno nuovo, in una frenesia quasi
carnascialesca.
Saturnus con il capo coperto dal mantello invernale mentre impugna la falce. Dipinto di epoca romana (I secolo d.C.), conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli. La presenza della falce[1] ricorda che gli uomini debbono al dio Saturnus la conoscenza dell'arte dell'agricoltura[2]; da tener presente, quindi, che la connessione con l'agricoltura di Saturnus è di esclusivo ambito culturale, poiché le potenze agricole sono infatti relative solo al numen di Tellus e a quello di Cerere[3].
Orge,
banchetti, gozzoviglie. Schiavi che si comportavano come padroni e viceversa.
Un re fasullo eletto per durare pochi giorni. Doni e scambi di burle. Sfrenato
gioco d’azzardo (proibito negli altri periodi dell’anno). Era ciò che accadeva
durante i Saturnalia, le feste in onore del dio Saturno, celebrate a Roma tra
il 17 e il 23 dicembre. Si trattava di celebrazioni arcaiche, che prendevano
origine da antichi riti di rigenerazione legati al ciclo del Sole, in
particolare alla sua ‘morte’ e ‘rinascita’, quando, nel periodo del solstizio
d’inverno, l’astro della luce sembrava interrompere la sua corsa (la parola
latina solstitium è composta da sol, ‘Sole’, e sistere, ‘fermarsi’) per morire
dietro l’orizzonte. In realtà, la corsa del Sole riprende quasi subito e si
assiste alla rinascita del mondo (non a caso, negli stessi giorni, il
cristianesimo festeggia la nascita di Gesù). Questo evento viene celebrato
richiamandosi al mito di Saturn, antico dio italico e sovrano del Lazio:
durante il suo regno si viveva nella cosiddetta “età dell’oro”, un’epoca di
ricchezza e opulenza in cui la terra regalava doni in abbondanza (ecco perché
si celebravano le festività con banchetti opulenti e sfarzosi) e non esistevano
classi sociali né suddivisione fra liberi e schiavi.
La pacchia finì quando
il dio scomparve improvvisamente. Per continuare a ricordarlo, i primi abitanti
di Roma, eressero in suo onore un tempio sul Campidoglio. Al suo interno si
trovava una statua della divinità, incatenata affinché non abbandonasse più la
città e le garantisse prosperità. Solo durante il periodo dei Saturnali la
statua veniva “liberata”, per far sì che la divinità girasse per l’Urbe
restituendole forza vitale. Saturno, infatti, era anche il dio delle messi
(veniva rappresentato con un falcetto in mano), che aveva insegnato all’uomo le
tecniche agricole e portato la civiltà, la “luce”; per questo, durante la
festività si accendevano ceri in suo onore.
a destra dell'immagine i resti del tempio di Saturnus (Saturno) a Roma, rappresentati dalle otto colonne in granito che si innalzano su un basamento in travertino. Il tempio di Saturnus era collocato ai piedi del Campidoglio, accolto nella parte occidentale del Foro romano dove aveva sostituito l'antichissimo altare a Hercules[4]. Tale tempio era secondo in antichità solo a quello innalzato a Iupiter (Giove) sul Campidoglio. La dedica del tempio a Saturnus la si deve al console Tito Larcio nel 498 a. C., il tempio venne poi restaurato dal console Lucio Munazio Planco nel 42 a. C., mentre l'attuale portico è frutto di un restauro compiuto nel IV secolo a seguito di un incendio. A Lucio Munazio Planco si deve anche l'erezione di un monumento in travertino, il cui ingresso però era sul lato opposto, diviso all'interno in più celle, allo scopo di raccogliere l'erario dello stato (aerarium Saturni, cfr. Varrone, De lingua latina, V, 183)[5], nonché le insegne delle legioni in tempo di pace[6]. La parte interna del tempio ospitava la statua del dio la quale era legata con bende (compedes) di lana, questi lacci si scioglievano nei giorni dei Saturnali.
Sacrifici umani al dio. In epoca storica, i Saturnali
venivano celebrati pacificamente, ma non è escluso che in età arcaica richiedessero
riti cruenti. Secondo Macrobio (390-430 d.C.), autore dell’opera Saturnalia,
i primi abitanti del Lazio avrebbero consacrato l’altare di Saturno con una
vittima umana. La tradizione d’immolare vittime sacrificali sopravvisse in
zone periferiche. Pare che i legionari di stanza a Durostum (Bulgaria) ogni
anno, durante i Saturnali, eleggessero un re, che per il periodo dei
festeggiamenti aveva totale libertà di comportamento, salvo poi doversi
immolare alla fine delle celebrazioni. |
Giocatori di dadi su una tabula lusoria. Affresco romano dall'Osteria della Via di Mercurio a Pompei (VI 10, 1.19, stanza b)
Il tempo che rinasce. I Saturnali erano un
periodo di rigenerazione, che poteva avere luogo solo se si poneva fine a un
ciclo (anche attraverso l’annullamento delle regole e delle norme vigenti) e si
tornava al “caos” iniziale, da cui tutto poteva rinascere e rinnovarsi, per poi
tornare a prosperare. Ecco perché, abolendo le leggi, gli schiavi prendevano il
posto dei loro padroni, facendosi servire e dando ordini burleschi (come accade
a Carnevale), e tra loro veniva eletto un “re”, o “padrone” della casa. Al fine
di auspicare la prosperità, che sarebbe tornata con la nuova stagione, ci si
facevano regalia vicenda, le cosiddette strenae, parola di origine sabina che
significa “doni di buon augurio”. Come scrive il grande studioso romeno Mircea
Eliade (1907-1986) nel Trattato di storia delle religioni, i Saturnali indicano
“il desiderio di abolire il tempo profano già trascorso e di instaurare un
tempo nuovo. In altri termini, le feste periodiche che chiudono un ciclo
temporaneo e ne aprono uno nuovo, intraprendono una rigenerazione del tempo”.
Anche il fatto che
durante i Saturnali fosse pubblicamente consentito il gioco d’azzardo aveva
forse, in età arcaica, un significato rituale. In molti miti antichi (per
esempio quelli norreni) una forma du gioco che unisse il tiro dei dai e un
tavoliere con pedine simboleggiava la palingenesi, ossia la rigenerazione del
cosmo in seguito a una catastrofe.
Articolo di Edwar Foster pubblicato su Civiltà Roma n. 3 – altri testi e immagini da Wikipedia
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