lunedì 31 agosto 2020

La guerra dei contadini.

 

La guerra dei contadini.

Agli inizi del ‘500, i braccianti tedeschi ne ebbero abbastanza di sfruttamento e soprusi.

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Nel giugno 1524, Helena von Rappolisten, contessa di Lupien, aveva fini i gusci di lumaca, li usava per ricamare, avvolgendovi i gomitoli per i suoi raffinati tessuti. Ordinò così a più di mille contadini delle sue terre, situate a Stuhlingen, nel Sud ovest della Germania, di raccoglierli abbandonando i propri campi. In altri tempi, i braccianti avrebbero obbedito. Quella volta però, le cose andarono diversamente: i contadini incrociarono le braccia. Quel gesto di ribellione diede vita a una delle più grandi rivolte di massa che l’Europa abbia conosciuto prima della Rivoluzione francese. Il capriccio della contessa fu infatti la scintilla da cui divamparono le fiamme, alimentate da ragioni economiche, sociali e religiose. All’alba del XVI secolo, se le grandi città tedesche fiorivano sotto l’impulso di commerci, le campagne versavano in grave crisi. Favoriti dalla debolezza del potere imperiale, principi e grandi prelati facevano il bello e il cattivo tempo. La piccola nobiltà era stata intanto scalzata da un nuovo ceto sociale di borghesi e banchieri cittadini, mentre i contadini subivano un inasprimento del vecchio regime feudale, tra gravosi tributi e prestazioni di lavoro obbligatori (corvée) da offrire ai grandi signori. A scuotere le loro coscienze giunse poi la riforma luterana, che con la sua feroce critica della corruzione e dei privilegi della Chiesa ammantò la protesta di un forte fervore religioso. “Negli Anni ’20 del Cinquecento, i sostenitori di Martin Lutero convinsero molti chierici e religiose a ripensare le proprie convinzioni religiose e a riformare le proprie comunità, le agitazioni dei contadini furono in scoraggiate proprio da questo nuovo clima religioso”, scrive lo storico John Merriman nel volume History of Modern Europe.

 

Franz von Sickingen

Voglie di riforme. Prima di quel fatidico 1524, le avvisaglie del malcontento non erano mancate: i contadini si erano riuniti nella cosiddetta “lega dello scarpone”, ma ogni loro tentativo di rivolta era stato soffocato. Nel 1522, anche i cavalieri si scaglieranno con i rivoltosi e sotto la guida di Franz von Sickengen si scagliarono contro Treviri, sede del potente arcivescovo Riccardo di Greiffenklau, venendo peraltro sconfitti l’anno seguente da una coalizione di principi. La nuova ribellione stava a ogni modo per assumere proporzioni gigantesche. Capitanati da un ex mercenario di nome Hans Muller, quell’estate i rivoltosi partirono da Stuhlingen dirigendosi a Waldshut, dove gli abitanti passarono in massa dalla loro parte. “I contadini chiedevano soprattutto il ritorno di alcuni diritti usurpati dai signori (caccia, pesca e pascolo nelle proprietà comuni) nonché l’abolizione della servitù della gleba, ritenuta contraria alla volontà di Dio”, scrive lo storico. Tra febbraio e marzo 1525, a Memmingen (Svevia), oltre 50 rappresentanti dei contadini della regione misero nero su bianco le loro rimostranze in 12 articoli, presentati dinanzi alla Lega Sveva (l’alleanza dei grandi nobili della regione). Infarcito di riferimenti biblici, il documento minava le fondamento dell’ordine sociale, reclamando, tra l’altro, il diritto delle comunità di eleggere i propri parroci, la riduzione delle decime, la regolamentazione delle corvée, l’abolizione della tassa di successione e la restituzione alla collettività dei terreni comuni di cui i signori si erano appropriati. In poco, i 12 articoli divennero una sorta di “manifesto” comune, diffuso ovunque grazie alla neonata stampa a caratteri nobili.

 

Thomas Müntzer

Comunisti ante litteram? Alle bande di braccianti dei villaggi si unirono migliaia di artigiani di città, ma anche minatori, predicatori, membri del basso clero ed esponenti della piccola nobiltà guerriera, che tentarono di dare un inquadramento militare alla ribellione. Uno di questi fu il cavaliere Florian Geyer, fondatore del celebre ‘battaglione nero’, la cui fama si diffuse presto in tutto il Paese. I ribelli assaltarono castelli e monasteri in molte regioni: oltre Svevia, Franconia, Alsazia e Assia, le sollevazioni coinvolsero il nord, fino alla Sassonia e alla Turingia, e il sud fino al Tirolo. Proprio in Turingia, un teologo di nome Thomas Muntzer aveva iniziato a tuonare ovunque contro lo strapotere dei principi, predicando riforme sociali imperniate sui valori evangelici e comunitaristici. “Muntzer aveva legato la riforma religiosa a una rivoluzione sociale, criticando con uguali forza Lutero e la Chiesa di Roma, che secondo lui si erano piegati ai potenti”, afferma Merriman. Sintetizzato nel motto omnia sunt communia (tutto in comune), tale “comunismo religioso” prese vita nella primavera del 1525. Durò poco. Le idee di Muntzer preoccupavano i principi, ma nel girono di qualche mese la situazione si ribaltò. Lo stesso Lutero, che nell’aprile 1525 aveva reso noto un documento in cui auspicava una mediazione tra le parti, in seguito esortò i nobili a schiacciare senza pietà i rivoltosi. Colpito dalle violenze perpetrate dai ribelli a Weinsberg, dove avevano massacrato brutalmente i nobili della città, nel maggio dello stesso anno il padre della Riforma arrivò a pubblicare un testo intitolato ‘Contro le banda dei contadini saccheggiatori e assassini’, nel quale si esprimeva, senza mezzi termini: “Chiunque può … ammazzare, strozzare, infliggere … e, facendolo, pensare che non c’è niente di più velenoso, pericoloso e diabolico di un ribelle”. Parole durissime, vissute dai rivoltosi come un tradimento e dai principi come un via libera alla repressione indiscriminata.

 

Le Jacqueries.

soppressione di una rivolta popolare 

La rivolta dei contadini tedeschi non fu la prima sollevazione del genere degna di nota: in epoca medievale, le campagne furono scosse spesso da violenti tumulti contro i feudatari. Una delle ribellioni più celebri fu la cosiddetta ‘jacquerie’ (da Jacques soprannome sprezzante che gli aristocratici davano ai contadini) e scoppiò in Francia nel 1358, nel pieno della Guerra dei Cent’anni. Oppressi dalle tasse per finanziare il conflitto, i contadini francesi assaltarono i castelli dei feudatari dell’Oise (regione situata a nord del Paese) e le proteste si diffusero poi nei territori circostanti. I disordini durarono però poco: dopo appena dodici giorni, i nobili avevano già soffocato la rivolta nel sangue massacrando oltre 5000 ribelli.

IN INGHILTERRA. Ragioni simili furono alla base della Jacquerie (espressione presto usata per indicare ogni ribellione contadina) che nel 1381 infiammò le campagne intorno a Londra, dove si protestò tra l’altro contro la recente riforma agraria e dove i rivoltosi arrivarono a rapire e a uccidere l’arcivescovo di Canterbury. Simon Sudbury. Non ebbero però un destino diverso dai loro omologhi francesi.


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Contadini ribelli circondano un cavaliere


La sconfitta. Nonostante gli sforzi di Muntzer e di altri leader, i contadini non riuscirono a compattare il movimento, mentre i signori, cattolici e protestanti, unirono le forze arruolando schiere di mercenari. Tra aprile e maggio gli insorti furono sconfitti a Leipheim dagli eserciti della Lega Sveva guidati dallo spietato Georg von Waldburg, che spensero uno dopo l’altro i focolai di rivolta sia in Svevia sia in Franconia. In Assia e Turingia ci pensarono invece il langravio Filippo d’Assia e il duca Giorgio di Sassonia: il 14 maggio le loro armate schiacciarono 8000 contadini nella piana di Frankenhausen, spegnendo le ultime speranze dei rivoltosi. Sopravvissuto alla battaglia, Muntzer fu imprigionato, torturato e decapitato, mentre Geyer cadde vittima di un agguato tesogli dal cognato nei pressi di Wurzburg, nella sua Franconia. L’ultimo baluardo di resistenza fu il Tirolo, dove l’rodine fu ristabilito nel 1526. Le ritorsioni dei principi furono brutali: tra stragi di civili, villaggi dati alle fiamme e pesanti sanzioni alle città ribelli. più di 100mila contadini persero la vita, e coloro che sopravvissero non videro migliorare la propria condizione. Nell’immaginario collettivo, però, l’immane massacro lasciò un ricordo indelebile; tanto che, trecento anni dopo, uno dei padri del comunismo, Friedrich Engels, lo considerò “il più grande tentativo rivoluzionario mai azzardato dal popolo tedesco”.

 

Articolo di Massimo Manzo pubblicato su Focus Storia n. 150 – altri testi e immagini da Wikipedia  

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