venerdì 12 giugno 2020

Le aviatrici di Stalin.

Le aviatrici di Stalin.

Una squadriglia aerea di sole donne – studentesse e operaie russe con il brevetto di volo – diventò nella Seconda guerra mondiale l’incubo dei tedeschi che le ribattezzarono “Le streghe della notte”.

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Evdokija Beršanskaja, comandante del 558° reggimento 


A bordo di antiquati aerei di legno e tela piombavano sugli obiettivi dal tramonto all’alba, volando radenti al suolo o lasciandosi cadere in picchiata dall’alto con il motore al minimo, quasi impercettibili: soltanto un sibilo nella notte, prodotto dal vento che sfregava sulle ali dei loro biplani, era l’annuncio di morte percepito dal nemico. Le eroine protagoniste di queste incursioni facevano parte di un reggimento tutto femminile, composta da giovanissime aviatrici russe – la più anziana aveva soltanto 23 anni – che dal 1941 e per tutta la Seconda guerra mondiale rappresentò uno dei peggiori incubi delle truppe di occupazione tedesca. Non per niente i nazisti concessero la Croce di Ferro a quei soldati che riuscirono ad abbattere una di queste giovani temerarie che, notte dopo notte, tormentavano le truppe e distruggevano ponti, e  ferrovie. E furono sempre i tedeschi a battezzarle “Nachthexen, le Streghe della Notte”, un soprannome figlio del timore e del rispetto che sapevano incutere, un nome di battaglia che piacque alle aviatrici così tanto da farlo proprio. In questo modo le descrisse un capitano tedesco – Johannes Steinhoff – al quale si deve la primogenitura del nomignolo “streghe” – in un rapporto del 1942: “I piloti sovietici che ci danno più problemi sono donne. Donne. Non temono nulla, vengono con il buio a tormentarci con i loro obsoleti biplani e non ci fanno chiudere occhio per molte notti”. Ufficialmente, queste combattenti erano inquadrate nel 558° Reggimento per i bombardamenti notturni dell’aviazione sovietica, posto sotto la guida del comandante Yevdokiya Bershankaya: non c’erano solo piloti, ma anche navigatori, meccanici, motoriste, addette alle mitragliatrici e radio-operatrici, tutte giovani patriote corse a contribuire allo sforzo bellico per respingere l’invasione tedesca del 22 giugno 1941, che segnò l’inizio dell’Operazione Barbarossa. Dopo tre settimane, i soldati del Reich avevano già percorsi 700 chilometri all’interno del Paese sbaragliando ogni resistenza. Ad ottobre erano soli a 60 km. da Mosca e la Russia sembrava sul punto di capitolare.

 

Il Polikarpov PO-2, l’aereo da granturco.

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Un CSS-13, versione polacca su licenza del Po-2, in volo al Góraszka Air Picnic 200

Nato dall’esigenza del governo sovietico di avere in dotazione un aereo da addestramento che sostituisse quello precedente risalente alla Prima guerra mondiale, il Polikarpov (dal nome dell’ingegnere Nikolaj Nikolaevic Polikarpov che lo progettò) entrò in produzione nel 1930. All’originale versione destinata all’addestramento dei futuri piloti, vennero affiancate delle varianti civili del biplano, adattate per il trasporto di passeggeri e l’utilizzo come elisoccorso, oltre a una versione idrovolante e una agricola per irrorare i campo in insetticidi. L’Aerflot lo utilizzò per i collegamenti civili di corto raggio e lo stesso fecero altri Paesi del blocco comunista. L’invasione nazista della Russia impose il bimotore nato per tutt’altri scopi di adattarsi all’impiego bellico: due bombe con meccanismo di sgancio furono collocate sotto le ali inferiori e il Polikarpov divenne l’aereo delle “Streghe della notte”. Finito il conflitto, il vecchio biplano ebbe una nuova primavera durante la Guerra di Corea, diventando lo strumento in mano ai piloti delle forze del Nord per incessanti azioni di disturbo contro gli americani. Le “streghe” avevano fatto scuola.

Un Po-2 catturato dalle truppe della Wehrmacht dopo un atterraggio d'emergenza, Ucraina, 21 giugno 1941.


 

CARATTERISTICHE TECNICHE:

progettista Nikolaj Nikolaevic Polikarpov

entrata in servizio 1930

peso: 740 kg vuoto, carico massimo 1250 kg.

lunghezza: 8,17 m

apertura alare: 11,4 m

altezza: 2.25 m

velocità massima 140/150 km/h

autonomia di volo 530 km

armamento: mitragliatrice ShKas calibro 7,62 mm, in dotazione dal 1944, due bombe da 250 kg collocate sotto le ali inferiori, dotate di un meccanismo di sgancio.

motore: Shvetsov M-11 radiale a 5 cilindri, raffreddato ad aria, prodotto in Unione Sovietica tra il 1923 ed il 1952.

 

Una icona da emulare. A partire dagli anni Trenta in Russia si era diffusa la passione per il volo e in tanti avevano approfittato per affollare gli aeroclub e prendere il brevetto da pilota. Tra questi c’erano molte ragazze, nella maggior pare dei casi studentesse universitarie, che a guerra iniziata decisero di rispondere al richiamo della patria e seguire l’esempio delle loro coetanee, che in massa si erano già arruolate in fanteria. A migliaia scrissero a Marina Raskova, icona russa del volo femminile, protagonista di alcune epiche trasvolate e membro del Soviet Supremo, perché usasse la sua influenza al fine di smuovere il muro di maschilismo che albergava nell’Armata Rossa e ottenere la costituzione di squadriglie aeree femminili.

La Raskova non si arrese di fronte ai primi niet, e pretese di incontrare Stalin, a sua volta poco propenso a sacrificare una generazione di ragazze, seppure in un frangente tanto tragico. Ma persino il dittatore dovette capitolare quando la Raskova gli prospettò la possibilità che molte giovani, di fronte all’ennesimo rifiuto, avrebbero fatto da sé, rubando un aereo per arrivare al fronte. Consapevole che nazisti avevano abbattuto molti bombardieri russi e che l’aviazione sovietica era semidistrutta, Stalin diede alla fine il suo assenso e la Raskova poté selezionare mille donne tra piloti, meccanici e personale logistico. Per la prima volta nella storia dell’aviazione furono formati tre reggimenti aerei con un’abbondante presenza femminile: il 586° (caccia bombardieri) comandato da Tamara Kazarinova, ufficiale dell’aereonautica militare decorata con l’Ordine di Lenin, il 587° (bombardieri in picchiata) agli ordini della stessa Marina Raskova e il 588° (bombardamenti notturni) guidato da Yevdokiya Bershankaya. Quest’ultimo, l’unico interamente formato da donne – dal comandate all’ultimo meccanico di aereo – grazie alle straordinarie prestazioni delle sue aviatrici ottenne i risultati più rilevanti ed ebbe il maggior numero di piloti decora, superando addirittura i migliori squadroni maschili.

 

Contro ogni pregiudizio. Ma gli esordi per le ragazze non furono facili. Il nemico alle porte della capitale e la patria in ginocchio imposero un taglio drastico ai tempi di addestramento, ridotti a soli 6 mesi e condotti a ritmi forsennati di 14 ore al giorno tra teoria (10 materie) e pratica militare; un tour de force non certo agevolato dall’irrisione dei colleghi maschi a cui erano sottoposte le allieve. Il primo ordine intimato alle ragazze della squadriglia fu quello di tagliarsi i capelli “come maschi”, facendoli ricadere davanti solo “fino a metà orecchio”. Le trecce potevano essere conservate unicamente dietro un’autorizzazione speciale di Marina Raskova. La durezza dell’addestramento, il timore di non farcela e il peso della responsabilità non scoraggiarono le future “streghe”: ci fu qualche lacrima, ma alla fine vinse il formidabile spirito di corpo che andò cementandosi in quei mesi. Un’arma in più che in prima linea sarebbe risultata decisiva.

 

Inizia la leggenda. Il battesimo del fuoco del 558° si svolse in Ucraina l’8 giugno del 1942. L’obiettivo affidato alle “streghe” era un Comando generale della Wehrmacht nella città di Donec’k, nel Donbas. Quella notte c’era nebbia fitta e l’aereo ricognitore continuava ad alzarsi in volo per poi tornare alla base. Le ragazze aspettarono per ore nelle carlinghe in attesa del via libera: nessuna voleva rientrare negli allotti. Finalmente la nebbia si diradò e gli aerei poterono decollare e raggiungere il comando nazista: uno dopo l’altro sganciarono il loro carico di bombe, poi tornarono alla base per il rifornimento e ripresero il volo per un’altra missione. Continuarono così fino alle prime luci dell’alba, che insieme alle tenebre cominciarono a diradare anche lo scetticismo dei colleghi maschi. L’epopea delle “streghe” era cominciata.

Patriottismo, ardimento, tenacia e un pizzico di rivalsa di genere: soltanto così si spiega come un manipolo di ragazze poterono trasformare un “aereo per granturco” in una macchina da guerra. Alle “streghe”, infatti, toccò in dotazione il Polikarpov Po-2, un obsoleto biplano fabbricato nel 1927 generalmente utilizzato per la fumigazione dei campi o per il trasporto della posta. Era un aereo costruito in legno e tela, quasi un giocattolo, privo di tecnologia di bordo, con una leva per alzarsi e un’altra per abbassarsi altrettanto bruscamente. A bordo trovavano posto solo trovavano posto solo due indicatori, per rilevare uno la velocità e l’altro la quota di volo. Soprattutto, il vecchio biplano non era dotato di nessun strumento per il volo di notte, guarda caso proprio il momento in cui le giovani aviatrici dovevano entrare in azione. Il 558° Reggimento era composto da 60 equipaggi di due donne ciascuno, 60 piloti e 60 navigatrici o ufficiali di rotta: dal 1941 al 1945, dal Donetsk in Ucraina fino a Berlino furono protagonisti, sempre in prima linea, di oltre 23mila missioni e sganciarono sul nemico 3mila tonnellate di bombe. I velivoli partivano al tramonto con le due aviatrici costrette in posti angusti: davanti la pilotessa, dietro la navigatrice. Le carlinghe erano aperte e le streghe dovevano sopportare l’altitudine, il vento e il rigore delle notti russe senza altro mezzo per proteggersi dal freddo se non dagli insufficienti giubbotti foderati di pelliccia. Durante il volo le braccia e le gambe si intirizzivano e perdevano sensibilità, eppure era necessario tenere i sensi all’erta perché, in assenza di strumentazioni adeguate, l’unica guida attraverso le tenebre era la cartina, la bussola e il calcolo manuale della deriva dei venti. Spesso anche il lancio delle bombe necessitava dell’intervento umano, nell’eventualità nemmeno troppo remota che il meccanismo di lancio, adattato alla bisogna per ragioni belliche, si inceppasse. Inoltre, gli ufficiali di rotta tenevano gli ordigni più piccoli sulle proprie ginocchia e li lanciavano con le mani dallo sportello dell’aereo.

 

Marina Raskova, la madre delle squadriglie femminili.

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Giovane, bella e appassionata di musica e canto, Marina Michajlovna Malinina sognava un futuro da musicista – si vedeva già cantante di lirica – ma non aveva fatto i conti con il demone del volo, una passione bruciante che ne fece un’eroina dei cieli e una patriota della Seconda guerra mondiale. Eppure al pilotaggio ci arrivò per caso, complici le difficoltà economiche della famiglia dopo la morte prematura del padre. Marina studiò chimica e si impiegò dapprima in una fabbrica di vernici, quindi a 19 anni venne assunta come tecnico di laboratorio all’Accademia dell’aviazione militare sovietica. Intanto si era sposata con un ingegnere e aveva assunto il cognome Rakova con il quale divenne famosa. Nel 1934 aveva già conseguito il diploma da navigatore e un anno dopo quello da pilota a soli 23 anni. Fu l’inizio della carriera che si rivelò strepitosa, carica di record ed onorificenze. Insieme a Valentina Grizodubova, ai comandi di un biposto, nel 1937 stabilì il record mondiale femminile  di volo senza scalo (1445 km); record ritoccato due volte l’anno successivo fino a portarlo a 2241 km. Sempre nel 1938 al comando di un Sukhoi ANT-37bis chiamato Rodina (Madrepatria) volò senza scalo da Mosca alla costa del Pacifico. Diventata Eroe dell’Unione Sovietica  ed entrata nel Soviet Supremo, fu a lei che si rivolsero le migliaia di giovani che all’indomani dell’invasione nazista del 1941, intendevano servire la patria in una squadriglia al femminile. Fu sempre Marina a convincere Stalin della bontà dell’impresa e a farsi carico di selezionare 1000 giovani poi raccolte nel 122° Gruppo Aereo. Dopo un rapido apprendistato, condotto a ritmi forzati, le giovani aviere furono suddivise in tre Reggimenti: il 586° Caccia bombardieri, il 587° Bombardieri in picchiata e il 588° Bombardamenti notturni, le future “streghe della notte”. La Raskova riservò per sé il comando del 587°, quello che combatteva sui bimotori Petljakov PE-2. Ed era al comando di uno di questi velivoli quando trovò la morte a soli 30 anni durante una tempesta di neve, mentre si stava recando a dare man forte alle squadre aeree di Stalingrado. Ala pioniera del volo e alla patriota Marina, madre dei battaglioni femminili che contribuirono a liberare la Russia dai nazisti, vennero riservati funerali di stato. le sue ceneri furono tumulate nel muro del Cremlino.

 

Un biplano obsoleto. A onta della sua disarmante arretratezza – o forse proprio grazie a questa e alla semplicità della sua costruzione – il Polikarpov offriva però alcune prestazione che aerei più evoluti non potuto offrire, opportunità che le “streghe” seppero sfruttare fino in fondo. Grazie alla sua leggerezza e alle doppie ali, il biplano poteva infatti planare lungamente anche al minimo dei giri, caratteristica che permise alle aviatrici del 588° di conquistarsi la sua fama, diventando praticamente invisibili ai radar e silenziose fino al lancio degli ordini. Una volta sganciate le bombe sull’obiettivo, l’aviatrice alzava i giri del motore, riprendeva quota e cercava di fuggire nella nebbia per tornare alla base. Anche la relativa lentezza del Polikarpov – al massimo 150 km all’ora – se da un lato rappresentava un elemento di vulnerabilità, dall’altra si rivelò un vantaggio: i più potenti ed evoluti Messerscmitt Bf 100 dell’aviazione tedesca superavano agevolmente i 600 km orari, ma avevano una velocità minima di sostentamento in volo che non poteva scendere sotto i 150, il che precludeva loro la possibilità di mettersi in scia alle “streghe” e prendere meglio la mira. Se inseguite, le aviatrici russe cabravano e capovolgevano l’aereo puntando decise verso il terreno, dove proseguivano a volo radente nascondendosi tra gli alberi, laddove i caccia tedeschi non potevano seguirle.

Ma anche sfruttando fino in fondo quel poco che l’aereo poteva offrire, le incursioni del 588° rimanevano comunque ad altissimo rischio. Nell’avvicinamento all’obiettivo, come nella fuga, restava infatti da superare il micidiale fuoco di sbarramento dei Flak (FlugabwehrKanone) della contraerea tedesca e i potenti riflettori che incessantemente scrutavano il cielo accecando le aviatrici. Per non appesantirsi, gli equipaggi portavano soltanto due bombe a missione e una volta sganciate, ed elusa la contraerea, tornavano velocemente alla base per prepararsi ad una nuova incursione. Supportavano molte missioni consecutive: gli intervalli tra le partenze erano di 5-8 minuti e ogni equipaggio era impegnato, in estate, dai 6 agli 8 voli a notte; dai 10 ai 12 d’inverno. Per tenere ritmi così forsennati, spesso provate dal freddo e vinte dal sonno, pilotessa e navigatrice si accordavano per dormire in turno in volo, una all’andata e l’altra al ritorno.

 

Non avevano nemmeno il paracadute. Una storia di eroismo a cui diede un decisivo contributo il comandante del 588° Reggimento. Yevdokiya Bershanskaya, una delle poche pilotesse militari dell’aeronautica sovietica allo scoppio delle guerra. A lei si deve lo sviluppo delle tattiche di bombardamento adottate dalle “streghe” della notti russe, in particolare l’adozione di uno spericolato assetto d’attacco azzardato ma efficace. Le “streghe” attaccavano in squadriglie di tre aerei, di cui uno era a volo radente mentre gli altri due si posizionavano più in alto e attiravano l’attenzione della contraerea sganciando dei razzi illuminanti appesi a un paracadute. In questo modo i tedeschi concentravano il fuoco sui due Polikarpov inquadrati dalla luce delle fotoelettriche, mentre l’aereo a volo radente rimaneva libero di sganciare le sue bombe. I rischi per i primi due equipaggi erano ovviamente elevatissimi. La carlinga in legno e le ali di tela, oltre all’assenza di barriere di protezione contro il tiro nemico, rendeva il Polikarpov estremamente fragile e incapace di rispondere agli attacchi se non con la fuga. Soltanto nel 1944 venne installa a bordo una mitragliatrice: prima di quella data le aviatrici erano armate soltanto della pistola d’ordinanza. Colpito dal tiro nemico il biplano prendeva facilmente fuoco. Se ad andare in fiamme era un’ala, la pilotessa tentava di spegnere l’incendio effettuando una scivolata, cioè facendo abbassare di quota il velivolo sperando così che la velocità facesse spegnere il fuoco a bordo. Altrimenti non restava che fare un atterraggio di emergenza, confidando nella maneggevolezza del Polikarpov e nella sua adattabilità anche a terrene sconnessi. Una volta a terra, le “streghe” si toglievano velocemente la divisa e tornavano a essere le operaie o le studentesse che erano state, confondendosi con la popolazione civile così da non essere individuate dai nazisti.

 

Il giusto tributo. Se a prendere fuoco era invece la carlinga, il destino per le aviatrici era praticamente segnato. La notte del 25 agosto del 1942 l’equipaggio formato dalla pilotessa Tana Makarova e dalla sua navigatrice Vera Belik morì arso vivo nei cieli dopo aver attaccato in solitaria dei carri armati tedeschi. prima di arruolarsi, la Makarova lavorava come pasticcera in una fabbrica vicino a Mosca. Aviatrice esperta, con 628 missioni alle spalle, riuscì a eludere la contraerea tedesca, ma non i colpi di un caccia che si mise sulle tracce del biplano. Le due streghe morirono bruciate nell’aereo abbattuto ma il loro sacrificio servì a convincere il 588° a inserire fra la dotazione di volo anche il paracadute, fino ad allora non utilizzato perché si preferiva risparmiare sul peso. Tania e Vera non furono le sole streghe a morire sul fronte. Condivise lo stesso destino atroce una donna su tre del reggimento: il 588° risultò l’unità più decorata dell’intera aviazione sovietica durante la Seconda guerra mondiale. Alla fine del conflitto, ciascuna delle donne pilota che era rimasta in vita aveva portato a termine almeno mille missioni, 24 di loro si erano appuntate la Stella d’oro che toccava agli eroi dell’Unione Sovietica, 31 erano cadute in prima linea.

Terminata la guerra i comandi militari concessero alle aviatrici superstiti di alzarsi in volo e attraversare tutta la Russia per scendere nella Berlino occupata, sorvolando la porta di Brandeburgo. Atterrarono fra gli applausi dell’Armata Rossa. Estremo tributo a quelle donne vincitrici di due guerre: una ai nazisti e l’altra al pregiudizio maschile. Con le “streghe” non c’era però Marina Raskova, loro mentore e comandante, caduta nel 1943 con il suo aereo sul Volga durante una bufera di neve, mentre raggiungeva il fronte a Stalingrado.

 

Articolo di Mario Galloni, pubblicato su Storie di guerre e guerrieri n. 23 Sprea editori – altri testi e immagini da Wikipedia.


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