I giannizzeri, gli
implacabili guerrieri del sultano.
Con la nascita di
questo corpo scelto, la storia militare dell’impero ottomano subì una svolta.
Combattenti motivati, leali, perfettamente addestrati e maestri nell’uso delle
armi più disparate, la loro superiorità sui campi di battaglia rimase
incontrastata per quasi tre secoli.
“sono
davvero onorati di poter dire: “io sono uno schiavo del Grande Signore, poiché
sanno che questa è una signoria o repubblica di schiavi dove sono loro a
comandare”. Così si esprimeva un cittadino veneziano presente nella potente
Costantinopoli d’inizio XVI secolo, la metropoli sul Bosforo passata sotto
controllo turco dopo il terribile assedio del 1453 e la fine del secolare
dominio bizantino. Testimonianza preziosa perché ci permette di capire quanto
grande fosse l’influenza dei temibili giannizzeri, il corpo scelto di fanteria
dell’esercito ottomano capace per quasi trecento anni (XIV-fine del XVI secolo)
di determinare le sorti sui campi di battaglia, e non solo del più potente
impero del tempo. La loro fama non aveva confini. Rispettati e temuti, erano
considerati la più efficiente unità militare d’Europa: nessun altro esercito
poteva pensare di mettere in discussione la loro superiorità. Questi corpi
d’élite, perché in tal senso dobbiamo parlarne, che eccellevano nell’uso
dell’arco, della spada e delle armi da fuoco, erano veri maestri anche in una
tecnica che nel corso dei secoli a venire avrebbe preso sempre più piede
l’artiglieria. I loro compiti però non finivano qui. A loro spettavano i lavori
più delicati ogni qualvolta lo svolgimento di una campagna militare lo
richiedesse: costruzione di strade e ponti e operazioni di genio militare
(sistemi difensivi e opere d’assedio). Anche in mare potevano vantare un corpo specifico:
esistevano infatti temibili reparti di fanteria che ebbero grande sviluppo a
partire dal XV secolo e furono impiegati per operazioni di sbarco o
combattimento navale. I giannizzeri costituirono quindi, insieme ai temibili
sipahi (i corpi di cavalleria), l’ossatura dell’esercito ottomano e ne
garantirono la superiorità militare sui principali fronti di guerra del tempo.
Disegno di un Giannizzero realizzato da Gentile Bellini nel XV secolo.
Descrizione
generale:
attivi dal XIV al XIX secolo
nazione impero ottomano
tipo fanteria terreste e navale
ruolo arcieri, moschettieri, guardia
reale, artiglieri
dimensione da un minimo di 1000 fino a 100mila
uomini
arma
tipica spada ricurva tipo yataghan
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Schiavi della porta. Qual’era il segreto
della loro forza? Per capirlo bisogna partire proprio dal loro nome, in turco
Yeniceri, traducibile con ‘nuovi corpi militari’, in virtù di una riforma
operata intorno al 1365 dal sultano Murad I (1362-1389). Secondo lo storico
Patrick Kinross, la loro nascita come esercito permanente fu decisa per
rimpiazzare le formazioni di guerrieri tribali, i ghazi, sulla cui lealtà non
era sempre possibile fare affidamento. Pertanto si procedette inizialmente con
il creare dei reparti costituita da prigionieri o schiavi che venivano fatti
affluire nella capitale in base all’usanza di destinare al sultano (era la
stessa legge islamica a consentirlo) un quinto del bottino di guerra.
I giannizzeri erano
quindi dei Kapikullari ovvero “schiavi della Porta”, da intendere come
proprietà del sultano (l’impero ottomano è indicato spesso come “Sublime
Porta”, dal nome di una struttura architettonica che si trova nell’attuale
Instanbul). Se in principio questa prerogativa fornì le prime basi
dell’impianto militare, con le sempre maggiori necessità di truppe si
procedette, a partire dal 1380, a un ulteriore e decisamente originale sistema
di selezione chiamato devsirme, dal turco devsir “raccolta”, presso le comunità
non mussulmane (per lo più cristiane) nelle regioni balcaniche e anatoliche, di
bambini di età compresa tra i sei e i dieci anni. Per le nuove reclute iniziava
un’altra esistenza. La scelta, operata da emissari della Porta ogni quattro
anni, comportava l’invio dei giovani in specifici centri d’addestramento in un
clima di disciplina rigidissima, dove ricevevano un’educazione decisamente
spartana, finalizzata a costituire una coscienza militare e una professionalità
incentrata sul concetto di lealtà al sultano, il nuovo “padre” di fatto. Lui
stesso era un soldato iscritto alla Prima compagnia giannizzeri e pertanto uno
di loro. Venivano convertiti all’Islam ed erano tenuti al celibato per non
avere alcun tentennamento sul campo di battaglia. i dettami religiosi, che
regolavano la vita e per i quali venivano cresciuti, erano finalizzati a creare
uomini senza paura della morte, abituati a pensare che la guerra santa fosse il
modo migliore di avvicinarsi alle grazie di dio. La loro, almeno inizialmente,
era una sorta di realtà monastica, paragonabile agli ordini religiosi militari
della cristianità, che con il tempo sarebbe scemata per trasformarsi in una
vera e propria casta militare. Il risultato fu presto evidente e i giannizzeri
si trasformarono in truppe disciplinate e dotate di uno spirito di corpo
superiore a qualsiasi altra compagine del tempo. Coloro che dimostravano, dopo
accurati esami, capacità superiori alla norma diventavano iciglans (paggi) e
venivano avviati a studi superiori in scuole rinomate come Edine, Instanbul,
Galata e Bursa, sotto la supervisione di eunuchi, per intraprendere carriere da
ufficiali superiori o per compiti amministrativi. La famosissima scuola di
Enderun, all’interno del palazzo imperiale del Topkapi, era l’obiettivo più
ambito: chi vi usciva sapeva in cuor suo di poter ambire agli incarichi più
importanti, dal comando dell’esercito alla carica di Gran Visir, che presiedeva
il concilio imperiale. Nonostante la ferrea disciplina e la vita di caserma, la
lealtà dimostrata garantiva non pochi privilegi: stipendio regolare, esenzione
dalle tasse, pensione d’invalidità e prestigio sociale. Molti giannizzeri a
fine carriera infatti divennero amministratori o studiosi di fama, come il
grande architetto Sinan, che da
ufficiale del genio progettò i più importanti edifici dell’impero.
I giannizzeri
più famosi.
Giorgio
Scanderberg (1405-68)
Cresciuto tra i giannizzeri divenne il maggiore consigliere di Murad II (1404-1451),
prima di tornare in Albania e rivendicare la libertà per il suo popolo.
Riuscì a sconfiggere ripetutamente gli eserciti ottomani inviatogli contro,
tanto da diventare un faro della lotta anti turca, osannato perfino da papa
Eugenio IV.
Sokollu Pascià
(1506.79)
Si distinse nelle campagne contro l’Ungheria e Transilvania, divenendo famoso
per una frase. Quando gli fu chiesto di ritirarsi infatti rispose: “Prima che
accada i cervi voleranno e il mare si ritirerà, lasciando i pesci allo
scoperto”. Divenne Visir, servendo tre sultani, e per quattordici anni fu
reggente imperiale.
Sinan (1489-1588) Fu
educato nel corpo dei giannizzeri, divenendo responsabile del genio militare
in tutte le campagne del tempo. L’abilità dimostrata gli permise di diventare
il più grande architetto dell’impero. In mezzo secolo realizzò i più
importanti edifici, tra cui la moschea di Solimano a Instanbul.
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Giannizzeri in
battaglia e loro armamento.
Il
corpo dei giannizzeri al suo apice, dal XIV alla metà del XVII secolo, era
senz’ombra di dubbio la più efficiente unità militare dell’epoca, temuta e
rispettata per determinazione, lealtà e capacità militari. La pianificazione
nel dettaglio delle campagne belliche contribuiva al successo sui campi di
battaglia. il loro impiego risultò vitale in moltissimi scontri ai confini
dell’impero dal sud est dell’Europa alle riarse distese dell’Arabia, passando
per l’Egitto e il Nord Africa fino all’attuale Algeria, al Caucaso e alla
Persia. Prendendo in considerazione il XVII secolo, per esempio, possiamo
notare come l’armamento variasse a seconda della specializzazione (arcieri,
moschettieri e fanteria pesante), mentre l’uniforme in genere era costituita
da pantaloni di colore blu e una blusa di panno di lana, lunga fino alle
ginocchia e chiusa sul davanti con bottini metallici, che poteva essere rossa
o verde. Una cintura di pelle garantiva il supporto per l’immancabile
yataghan, la spada simbolo del corpo, un’ascia o una scimitarra kiiij. I
soldati, nella maggior parte dei casi indossavano sul capo una sorta di
cuffia bianca di lana con una lungo lembo cadente sulle spalle. Gli ufficiali
erano soliti portare un mestolo attaccato alla cinghia a indicare il grado (i
soldati semplici un cucchiaio sul copricapo), come simbolo di reverenza al
sultano da cui ricevevano il cibo. Gli ufficiali superiori invece si
contraddistinguevano per giacche corte impreziosite da pelliccia. Casa a
parte erano le truppe di fanteria pesante o le guardie personali del sultano,
che al contrario indossavano una spessa cotta di maglia fino ai piedi, un
elmo con paraguance, uno scudo quadrangolare e una lunga alabarda. Tutti
indossavano stivali rossi di pelle, solo gli ufficiali superiori e le unità
privilegiate gialli.
Fanteria
pesante XVI-XVII secolo
Questo
particolare tipo di truppe, normalmente impiegate per la guardia personale
del sovrano in battaglia o nei palazzi, era dotato di un elmo piumato con
paraguance, una cotta di maglia, che arrivava fino alle ginocchia, un grande
scudo quadrangolare finemente decorato con una costosa propaggine sul bordo
superiore. Come armi principali erano utilizzate una lunga alabarda e una
spada ricurva.
Miniatura di moschettiere giannizzero (XVII secolo) - - ill. del Libro di costumi Ralamb, XVII secolo
Giannizzero
armato di moschetto XVI-XVII secolo.
Un
moschettiere era dotato di un copricapo finemente lavorato con un lungo lembo
cadente sulle spalle, una divisa in panno di lana di colore verde e pantaloni
di panno di colore blu. L’armamento era l’immancabile moschetto. Una cinghia
di pelle in vita permetteva di alloggiare un’ascia corta, una spada ricurva
del tipo yataghan, una sacca contenente palle per il moschetto e una
fiaschetta per la polvere da sparo.
Giannizzero
arciere XVI-XVII secolo
I
reparti di arcieri, che costituivano sempre l’ossatura del corpo dei
giannizzeri, si distinguevano per l’immancabile cuffia con un lungo lembo
cadente sulle spalle, una divisa di panno in lana di colore rosso e pantaloni
di panno di colore blu.
Dotati
di un preciso arco composito, gli arcieri si servivano di un grande scudo di
legno per proteggersi e in caso di combattimento utilizzavano una spada del
tipo yataghan.
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Struttura ed effettivi. Le truppe costituite da
giannizzeri variarono molto in funzione dell’epoca, crescendo in numero per via
dei sempre maggiori impegni militari. La loro struttura base, paragonabile a un
reggimento occidente e i cui effettivi fluttuarono nel tempo da cento a
ottocento uomini (XVII secolo), era chiamata Orta, al comando era posto un
ufficiale, il Corbagi, supportato da subalterni: Odabashi, Vekrl-kharg e
Bairaqdar.
Alla metà del XVI
secolo Solimano I poteva fare affidamento su un totale di 165 Orta, che
sarebbero poi aumentate fino a 196. Se il sultano era il vero comandante
supremo delle truppe, in realtà la loro gestione era affidata all’Aga dei
giannizzeri, che potremo definire un generale assistito da un luogotenente, il
Kiahya. La gestione del corpo nel suo complesso prevedeva l’esistenza di tre
tipologie di truppe, caratterizzate da vessilli e insegne specifiche, adibite a
compiti diversi: i Cemaat, truppe di frontiera (101 Orta), i Boluk, la guardia
personale del sultano (61-62 Orta), e infine i Sekban (33-34 Orta), che
rimanevano di guarnigione a Instanbul durante le campagne militari. Ulteriori
34 Orta erano costituite da reclute impegnate in una sorta di apprendistato per
poi a ventiquattro anni decidere se diventare giannizzeri a tutti gli effetti.
Non tutti i soldati quindi risiedevano a Costantinopoli, dove abitavano in
proprie caserme (Odalar): quasi la metà operava nelle provincie. Per quanto riguarda
l’armamento, il corpo agli inizi, era costituito principalmente da abilissimi
arcieri che nelle fasi concitate del combattimento corpo a corpo impiegavano
asce corte (nacak), le famose yataghan, spade dalla lama affilata solo sul lato
concavo, oppure le kilij, le tipiche scimitarre della tradizione turca con lama
ricurva, tagliente sul lato convesso, e curvatura che si accentuava in
prossimità della punta. La loro destrezza nel maneggiarle rendeva i giannizzeri
formidabili avversari in qualsiasi teatro di guerra. In tempo di pace poi
queste truppe erano solite compiere servizi di polizia, pattugliando le città
con pugnali e mazze. Le truppe scelte invece, impiegate per compiti di guardia
ai palazzi imperiali e chiamate Zuluflù Baltacilar, erano armate con asce lunghe
e complesse alabarde. Quando poi iniziarono a comparire le prime armi da fuoco
(a partire dalla metà del XV secolo) a queste unità si affiancarono reparti
forniti di archibugi, che si distinguevano per la grande precisione di tiro.
Dal XVI secolo fu addirittura impiegato anche un potente “fucile da trincea” in
grado di sparare pallettoni di grande calibro che, in base a quanto riportato
dalle fonti, riuscivano a terrorizzare il nemico per le terribili ferite che
potevano provocare. Furono largamente impiegati anche esemplari di granate,
colubrine e i cosiddetti abusi, obici prodotti dalle armerie ottomane in grado
di sparare proiettili da 2,5 a 7,5 chilogrammi in funzioni anti-fanteria. Le
pistole invece trovarono impiego per la prima volta durante le operazioni per
la conquista di Creta tra il 1645 e il 1669.
Le caserme di
Costantinopoli.
I
soldati acquartierati nella capitale ottomana vivevano in un vasto complesso
considerato uno dei più influenti centri di Istanbul, descritto dai testimoni
del tempo come un insieme di “lunghi edifici ricoperti di piastrelle con
porte di marmo, finestre e corridoi illuminati da lampade. I portali
conducevano a cortili impreziositi da fontane”. In prossimità c’era anche una
sera di attività commerciali gestite da civili. Nel XVIII secolo erano
presenti in città quasi sessanta Orta con un impressionante numero di
effettivi, circa 40mila uomini. Il comandante supremo del corpo, l’Aga dei
giannizzeri, viveva in un palazzo così festoso e monumentale che una volta
Solimano il Magnifico sembra abbia commentato “Se potessi essere Aga solo per
quaranta giorni”. Per tradizione, il sultano stesso, dopo aver autorizzato i
pagamenti degli stipendi, visitava la caserma travestito da soldato semplice,
ricevendo la sua paga regolare a fianco dei commilitoni della Prima
divisione, la più famosa e titolata, di cui era a tutti gli effetti il primo
componente. Nel complesso ogni reparto era una comunità molto unita, una
sorta di famiglia, capace di ottenere privilegi sconosciuti ai più. Ogni
soldato per esempio poteva ricorrere a speciali cure mediche fornite da
chirurghi mussulmani o ebrei in specifici ospedali a loro riservati. Nel caso
un soldato, per le ferite riportate, fosse rimasto invalido, avrebbe potuto
usufruire di un vitalizio.
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Impiego in battaglia. L’impero ottomano
utilizzò i giannizzeri durante tutte le sue più importanti campagne militari
dal XIV al XVII secolo. Proprio nell’assedio di Costantinopoli del 1453 furono
queste truppe scelte a dare l’assalto finale alle difese bizantine, penetrando
in città e ponendo fine al millenario impero romano d’Oriente. E per ironia
della sorte pare proprio che sugli spalti cittadini si siano scontrati con ciò
che restava della terribile guardia variaga, che per secoli aveva rappresentato
il nerbo dell’esercito bizantino. Dopodiché trovarono più spazio nelle
operazioni sia a oriente sia a occidente, come nella vittoriosa guerra contro i
Mamelucchi d’Egitto o i regni cristiani dell’Europa orientale. In molti casi il
loro apporto in battaglia fu determinante come il 23 agosto del 1514, quando
nella pianura di Chaldiran a nord ovest di Tabriz (città dell’odierno Iran), il
fior fiore della cavalleria dell’esercito persiano si lanciò all’attacco delle
linee turche, sicura della vittoria. In pochi minuti le ripetute cariche di
questi indomiti guerrieri furono falciati dai pezzi d’artiglieria maneggiati
dagli abili giannizzeri. Fu una vittoria dalle conseguenze importantissime, che
garantì il controllo di vasti territori della Persia. Dal punto di vista
numerico il corpo dei giannizzeri rappresentò solo un decimo dell’intero
esercito ottomano, il quale invece era caratterizzato per lo più da truppe a
cavallo. Lo storico David Nicolle ha tentato di quantificare il loro numero
riuscendo a fornire i seguenti dati: 6mila nel 1475, 27mila nel 1528, 48mila
nel 1591 e 54mila nel 1680. I documenti relativi alla mobilitazione per due
campagne militari tra il 1620 e il 1630, rivelano invece che nelle caserme di
Istanbul erano presenti circa 30mila uomini, 20mila dei quali effettivamente
impiegati in battaglia. Una spedizione in Ungheria (1541) ricorda che i soldati
impiegati assommavano a 15612 e di questi 6350 erano giannizzeri. Nei
combattimenti in cui erano guidati dal sultano in persona ne costituivano la
guardia personale e pertanto avevano diritto a parte nel bottino. E proprio per
la fame che si vennero a guadagnare tra le file della popolazione turca, nel
1683 Mehmed IV, con un atto pieno di conseguenze, abolì il sistema della
devsirme per consentire ai rampolli delle grandi famiglie turche di accedere
alle alte cariche di comando. Gli effetti di questa decisione finirono per
stravolgere le caratteristiche iniziali del sistema di arruolamento e minarono
con il tempo l’efficienza e la determinazione dei reparti sui campi di
battaglia.
L’armamento dei giannizzeri.
La dotazione tipica.
Quando, a partire dal XIV secolo,
i reparti di giannizzeri fecero la loro prima apparizione sui campi da
battaglia, si distinsero per le loro incredibili doti di arcieri. Nonostante
le successive introduzioni delle armi da fuoco, alcuni reparti continuarono a
fare largo uso del temibile e preciso arco composito turco almeno per tutto
il XVI secolo. Negli scontri corpo a corpo invece era normale utilizzare
spade e piccole asce da combattimento.
Il moschetto. I giannizzeri
adottarono l’archibugio a miccia intorno alla prima metà del XV secolo, dopo
averne subito l’efficacia contro gli ungheresi. I primi moschetti a pietra
focaia furono i miquelet di origine spagnola, introdotti nel XVII secolo
attraverso l’Italia, più facili da pulire nel polveroso Medio Oriente. Le
armi da fuoco turche erano normalmente di calibro maggiore di quelle europee
e sparavano palle dal peso minimo di 22 grammi fino addirittura a 80 grammi.
Yataghan. Era un tipo di spada in
uso dalla metà del XVI secolo alla fine del XIX nell’impero ottomano e
divenne un vero simbolo del corpo dei giannizzeri. Aveva una lama ricurva
affilata solo sul lato concavo , con punta robusta utilizzata per le
stoccate. L’impugnatura era a una mano, non c’era guardia, ma dall’elsa,
ottenuta con due placche unite al codolo, si ricavano due valve che
consnentivano una presa migliore. Quella usata dai giannizzeri era corta e
chiamata varsak.
yataghan
Arco. L’arco turco era una
variante dell’arco composito, tipico delle popolazioni nomadi che dell’Asia
centrale, in uso presso gli eserciti ottomani e utilizzato anche dal corpo
dei giannizzeri, in special modo fino all’introduzione della polvere da sparo
(metà del XV secolo), ma anche successivamente per esempio sulle galere da
guerra.
Kilij Ottomano. Forma corta tarda del kilij (pala)
Le temibili kilij. Un’altra arma
molto utilizzata di giannizzeri era la kilij, che vanta una lunghissima
storia. Furono le popolazioni nomadi d’etnia turca dell’Asia centrale a
utilizzare per prime spade a lama ricurva già a partire dal III secolo d.C.;
erano armi con lama monofilo e controtaglio per quasi un terzo, prodotte in
acciaio con alte percentuali di carbonio. La successiva avanzata dell’Islam
tra queste gente favorì la loro diffusione anche tra i grandi potentati del
Medio e Vicino Oriente, a discapito delle spade a lama diritta che erano in
uso presso gli aravi. E in ordine cronologico furono i soldati d’origine
turca, i ghulam, che combatterono per i califfi abassidi o omayyadi, a
introdurre le prime kilij in area musulmana. Dopodiché, con l’affermazione
dei selgiuchidi in Persia e in Anatolia (XI secolo), e la loro successiva
egemonia militare, la diffusione della spada ricurva non ebbe più ostacoli.
Quando i primi crociati arrivarono in Terra Santa, e con l’intensificarsi
degli scontri militari, il binomio “scimitarra-saraceno” divenne un classico
dell’immaginario europeo.
La nascita nel XIII secolo
dell’impero ottomano, per mano di Osman I, e la successiva conquista di
Costantinopoli, dei Balcani (fino al Regno di Ungheria), della Persia, della
Siria, dell’Egitto e di parte del Nord Africa favorì ulteriormente la
diffusione di quest’ottima arma, che in genere era realizzata in acciaio da
abili armaioli di Damasco, Bursa e Derbent. Nel XVI apparve la prima spada
occidentale a lama ricurva, la szabla, nella confederazione polacco-lituana,
che sostituì le armi del tempo.
La parola sciabola, in uso in
Europa occidentale (sabre in inglese e francese, sabel in tedesco, sable in
spagnolo) deriva infatti proprio dal vocabolo polacco. Fino al XIX secolo
tutti i corpi di cavalleria occidentali l’adottarono, mantenendosi fedeli
alle dimensioni della szabla polacca: lama più lunga e appuntita e meno
curvqa rispetto alla kilij.
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Una fine ingloriosa. La gestione in tempo di
pace di queste truppe era sempre stato un problema, ma assunse proporzioni
notevoli quando incominciarono a essere richiesti a gran voce maggiori diritti.
Sono state registrate diverse sollevazioni, la prima addirittura nel 1449 per
ottenere paghe più alte. Episodi del genere su ripeterono nel tempo e con
sempre più frequenza, riuscendo talvolta in operazioni impensabili come la
destituzione di sultani: i casi più eclatanti sono quelli di Osman II nel 1622 e
Selim III nel 1808. Ma cosa ancora più grave, inettitudine e incapacità nella
catena di comando incominciarono, a partire dal XVIII secolo, a farsi strada,
mettendo in crisi la combattività di un esercito incapace di rinnovarsi. Furono
tentate diverse riforme per costruire moderne truppe di fanteria addestrate
all’Europea, ma con scarsi risultati. Gli stessi giannizzeri, gelosi delle loro
prerogative, si opposero sempre a questa pratica reagendo in maniera
incontrollata: spesso le nuove reclute venivano disarmate e massacrate. E la
goccia che fece traboccare il vaso fu l’assassinio del Gran Visir Almdar
Mustafà.
Nel 1826 il sultano Mahmud
II li sciolse e ordinò di formare nuovi reparti di fanteria, invitando i giannizzeri a fornire i
loro uomini migliori. La reazione fu furibonda, con un’ennesima sollevazione,
che in questo caso fu però soffocata nel sangue, assumendo le proporzioni di un
autentico massacro: 30mila uomini furono trucidati nell’ippodromo di
Costantinopoli. Era la fine: il corpo cessò di esistere per sempre.
Le loro più grandi imprese.
Battaglia della Piana dei Merli
1389
Conosciuta anche come battaglia di
Kosovo, fu uno scontro chiave avvenuto a nord di Pristina tra l’esercito
dell’alleanza balcanica e quello ottomano. Sebbene sia terminato con un
sostanziale pareggio, portò all’assoggettamento turca dell’area albanese.
Battaglia di Nicopolis 1396
Un’armata ottomana annienta un
poderoso esercito crociato franco-ungherese, costituito da un numero doppio
di effettivi, mandato in soccorso dei regni cristiani dell’Europa orientale
in funzione anti-islamica.
Battaglia di chaldiran 1514
L’esercito ottomano annichilisce
quello persiano, più numeroso, costituito da reparti di cavalleria, grazie
all’impiego di armi da fuoco e artiglieria, che i giannizzeri si dimostrano
abili a maneggiare.
Assedio di Rodi 1522
Dopo un terribile assedio le
truppe ottomane riescono a occupare la città di Rodi, strappandola al
controllo dei cavalieri Ospedalieri che sono costretti ad abbandonare l’isola
e rifugiarsi a Malta.
Battaglia di Mohacs 1526
Fu un’importante battaglia
terreste combattuta tra l’esercito ungherese, comandato dal re Luigi II
d’Ungheria e Boemia, e quello del sultano Solimano I, terminata con una
schiacciante vittoria ottomana. L’Ungheria meridionale passa sotto il
controllo turco che minaccia Vienna.
Assedio di Esztergom 1543
La città ungherese venne espugnata
dall’esercito ottomano di Solimano il Magnifico dopo due settimane d’assedio,
determinando il passaggio dell’Ungheria centra sotto il controllo turco fino
al 1686
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Articolo in gran parte
di Antonio Ratti pubblicato su Storie di Guerre e Guerrieri n. 2 Sprea Editore.
altri testi e immagini da wikipedia
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