martedì 7 gennaio 2020

I giannizzeri, gli implacabili guerrieri del sultano.


I giannizzeri, gli implacabili guerrieri del sultano.
Con la nascita di questo corpo scelto, la storia militare dell’impero ottomano subì una svolta. Combattenti motivati, leali, perfettamente addestrati e maestri nell’uso delle armi più disparate, la loro superiorità sui campi di battaglia rimase incontrastata per quasi tre secoli.

“sono davvero onorati di poter dire: “io sono uno schiavo del Grande Signore, poiché sanno che questa è una signoria o repubblica di schiavi dove sono loro a comandare”. Così si esprimeva un cittadino veneziano presente nella potente Costantinopoli d’inizio XVI secolo, la metropoli sul Bosforo passata sotto controllo turco dopo il terribile assedio del 1453 e la fine del secolare dominio bizantino. Testimonianza preziosa perché ci permette di capire quanto grande fosse l’influenza dei temibili giannizzeri, il corpo scelto di fanteria dell’esercito ottomano capace per quasi trecento anni (XIV-fine del XVI secolo) di determinare le sorti sui campi di battaglia, e non solo del più potente impero del tempo. La loro fama non aveva confini. Rispettati e temuti, erano considerati la più efficiente unità militare d’Europa: nessun altro esercito poteva pensare di mettere in discussione la loro superiorità. Questi corpi d’élite, perché in tal senso dobbiamo parlarne, che eccellevano nell’uso dell’arco, della spada e delle armi da fuoco, erano veri maestri anche in una tecnica che nel corso dei secoli a venire avrebbe preso sempre più piede l’artiglieria. I loro compiti però non finivano qui. A loro spettavano i lavori più delicati ogni qualvolta lo svolgimento di una campagna militare lo richiedesse: costruzione di strade e ponti e operazioni di genio militare (sistemi difensivi e opere d’assedio). Anche in mare potevano vantare un corpo specifico: esistevano infatti temibili reparti di fanteria che ebbero grande sviluppo a partire dal XV secolo e furono impiegati per operazioni di sbarco o combattimento navale. I giannizzeri costituirono quindi, insieme ai temibili sipahi (i corpi di cavalleria), l’ossatura dell’esercito ottomano e ne garantirono la superiorità militare sui principali fronti di guerra del tempo.

Disegno di un Giannizzero realizzato da Gentile Bellini nel XV secolo.

Descrizione generale:
attivi               dal XIV al XIX secolo
nazione           impero ottomano
tipo                 fanteria terreste e navale
ruolo               arcieri, moschettieri, guardia reale, artiglieri
dimensione     da un minimo di 1000 fino a 100mila uomini
arma tipica     spada ricurva tipo yataghan

Schiavi della porta. Qual’era il segreto della loro forza? Per capirlo bisogna partire proprio dal loro nome, in turco Yeniceri, traducibile con ‘nuovi corpi militari’, in virtù di una riforma operata intorno al 1365 dal sultano Murad I (1362-1389). Secondo lo storico Patrick Kinross, la loro nascita come esercito permanente fu decisa per rimpiazzare le formazioni di guerrieri tribali, i ghazi, sulla cui lealtà non era sempre possibile fare affidamento. Pertanto si procedette inizialmente con il creare dei reparti costituita da prigionieri o schiavi che venivano fatti affluire nella capitale in base all’usanza di destinare al sultano (era la stessa legge islamica a consentirlo) un quinto del bottino di guerra.
I giannizzeri erano quindi dei Kapikullari ovvero “schiavi della Porta”, da intendere come proprietà del sultano (l’impero ottomano è indicato spesso come “Sublime Porta”, dal nome di una struttura architettonica che si trova nell’attuale Instanbul). Se in principio questa prerogativa fornì le prime basi dell’impianto militare, con le sempre maggiori necessità di truppe si procedette, a partire dal 1380, a un ulteriore e decisamente originale sistema di selezione chiamato devsirme, dal turco devsir “raccolta”, presso le comunità non mussulmane (per lo più cristiane) nelle regioni balcaniche e anatoliche, di bambini di età compresa tra i sei e i dieci anni. Per le nuove reclute iniziava un’altra esistenza. La scelta, operata da emissari della Porta ogni quattro anni, comportava l’invio dei giovani in specifici centri d’addestramento in un clima di disciplina rigidissima, dove ricevevano un’educazione decisamente spartana, finalizzata a costituire una coscienza militare e una professionalità incentrata sul concetto di lealtà al sultano, il nuovo “padre” di fatto. Lui stesso era un soldato iscritto alla Prima compagnia giannizzeri e pertanto uno di loro. Venivano convertiti all’Islam ed erano tenuti al celibato per non avere alcun tentennamento sul campo di battaglia. i dettami religiosi, che regolavano la vita e per i quali venivano cresciuti, erano finalizzati a creare uomini senza paura della morte, abituati a pensare che la guerra santa fosse il modo migliore di avvicinarsi alle grazie di dio. La loro, almeno inizialmente, era una sorta di realtà monastica, paragonabile agli ordini religiosi militari della cristianità, che con il tempo sarebbe scemata per trasformarsi in una vera e propria casta militare. Il risultato fu presto evidente e i giannizzeri si trasformarono in truppe disciplinate e dotate di uno spirito di corpo superiore a qualsiasi altra compagine del tempo. Coloro che dimostravano, dopo accurati esami, capacità superiori alla norma diventavano iciglans (paggi) e venivano avviati a studi superiori in scuole rinomate come Edine, Instanbul, Galata e Bursa, sotto la supervisione di eunuchi, per intraprendere carriere da ufficiali superiori o per compiti amministrativi. La famosissima scuola di Enderun, all’interno del palazzo imperiale del Topkapi, era l’obiettivo più ambito: chi vi usciva sapeva in cuor suo di poter ambire agli incarichi più importanti, dal comando dell’esercito alla carica di Gran Visir, che presiedeva il concilio imperiale. Nonostante la ferrea disciplina e la vita di caserma, la lealtà dimostrata garantiva non pochi privilegi: stipendio regolare, esenzione dalle tasse, pensione d’invalidità e prestigio sociale. Molti giannizzeri a fine carriera infatti divennero amministratori o studiosi di fama, come il grande architetto Sinan,  che da ufficiale del genio progettò i più importanti edifici dell’impero.

I giannizzeri più famosi.
Giorgio Scanderberg (1405-68) Cresciuto tra i giannizzeri divenne il maggiore consigliere di Murad II (1404-1451), prima di tornare in Albania e rivendicare la libertà per il suo popolo. Riuscì a sconfiggere ripetutamente gli eserciti ottomani inviatogli contro, tanto da diventare un faro della lotta anti turca, osannato perfino da papa Eugenio IV.

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Sokollu Pascià (1506.79) Si distinse nelle campagne contro l’Ungheria e Transilvania, divenendo famoso per una frase. Quando gli fu chiesto di ritirarsi infatti rispose: “Prima che accada i cervi voleranno e il mare si ritirerà, lasciando i pesci allo scoperto”. Divenne Visir, servendo tre sultani, e per quattordici anni fu reggente imperiale.



Sokollu Memhed Pascià.jpg
Sinan (1489-1588) Fu educato nel corpo dei giannizzeri, divenendo responsabile del genio militare in tutte le campagne del tempo. L’abilità dimostrata gli permise di diventare il più grande architetto dell’impero. In mezzo secolo realizzò i più importanti edifici, tra cui la moschea di Solimano a Instanbul.


Giannizzeri in battaglia e loro armamento.
Il corpo dei giannizzeri al suo apice, dal XIV alla metà del XVII secolo, era senz’ombra di dubbio la più efficiente unità militare dell’epoca, temuta e rispettata per determinazione, lealtà e capacità militari. La pianificazione nel dettaglio delle campagne belliche contribuiva al successo sui campi di battaglia. il loro impiego risultò vitale in moltissimi scontri ai confini dell’impero dal sud est dell’Europa alle riarse distese dell’Arabia, passando per l’Egitto e il Nord Africa fino all’attuale Algeria, al Caucaso e alla Persia. Prendendo in considerazione il XVII secolo, per esempio, possiamo notare come l’armamento variasse a seconda della specializzazione (arcieri, moschettieri e fanteria pesante), mentre l’uniforme in genere era costituita da pantaloni di colore blu e una blusa di panno di lana, lunga fino alle ginocchia e chiusa sul davanti con bottini metallici, che poteva essere rossa o verde. Una cintura di pelle garantiva il supporto per l’immancabile yataghan, la spada simbolo del corpo, un’ascia o una scimitarra kiiij. I soldati, nella maggior parte dei casi indossavano sul capo una sorta di cuffia bianca di lana con una lungo lembo cadente sulle spalle. Gli ufficiali erano soliti portare un mestolo attaccato alla cinghia a indicare il grado (i soldati semplici un cucchiaio sul copricapo), come simbolo di reverenza al sultano da cui ricevevano il cibo. Gli ufficiali superiori invece si contraddistinguevano per giacche corte impreziosite da pelliccia. Casa a parte erano le truppe di fanteria pesante o le guardie personali del sultano, che al contrario indossavano una spessa cotta di maglia fino ai piedi, un elmo con paraguance, uno scudo quadrangolare e una lunga alabarda. Tutti indossavano stivali rossi di pelle, solo gli ufficiali superiori e le unità privilegiate gialli.

Fanteria pesante XVI-XVII  secolo
Questo particolare tipo di truppe, normalmente impiegate per la guardia personale del sovrano in battaglia o nei palazzi, era dotato di un elmo piumato con paraguance, una cotta di maglia, che arrivava fino alle ginocchia, un grande scudo quadrangolare finemente decorato con una costosa propaggine sul bordo superiore. Come armi principali erano utilizzate una lunga alabarda e una spada ricurva.

Miniatura di moschettiere giannizzero (XVII secolo) - - ill. del Libro di costumi RalambXVII secolo
 







Giannizzero armato di moschetto XVI-XVII secolo.
Un moschettiere era dotato di un copricapo finemente lavorato con un lungo lembo cadente sulle spalle, una divisa in panno di lana di colore verde e pantaloni di panno di colore blu. L’armamento era l’immancabile moschetto. Una cinghia di pelle in vita permetteva di alloggiare un’ascia corta, una spada ricurva del tipo yataghan, una sacca contenente palle per il moschetto e una fiaschetta per la polvere da sparo.

Giannizzero arciere XVI-XVII secolo
I reparti di arcieri, che costituivano sempre l’ossatura del corpo dei giannizzeri, si distinguevano per l’immancabile cuffia con un lungo lembo cadente sulle spalle, una divisa di panno in lana di colore rosso e pantaloni di panno di colore blu.
Dotati di un preciso arco composito, gli arcieri si servivano di un grande scudo di legno per proteggersi e in caso di combattimento utilizzavano una spada del tipo yataghan.

Struttura ed effettivi. Le truppe costituite da giannizzeri variarono molto in funzione dell’epoca, crescendo in numero per via dei sempre maggiori impegni militari. La loro struttura base, paragonabile a un reggimento occidente e i cui effettivi fluttuarono nel tempo da cento a ottocento uomini (XVII secolo), era chiamata Orta, al comando era posto un ufficiale, il Corbagi, supportato da subalterni: Odabashi, Vekrl-kharg e Bairaqdar.
Alla metà del XVI secolo Solimano I poteva fare affidamento su un totale di 165 Orta, che sarebbero poi aumentate fino a 196. Se il sultano era il vero comandante supremo delle truppe, in realtà la loro gestione era affidata all’Aga dei giannizzeri, che potremo definire un generale assistito da un luogotenente, il Kiahya. La gestione del corpo nel suo complesso prevedeva l’esistenza di tre tipologie di truppe, caratterizzate da vessilli e insegne specifiche, adibite a compiti diversi: i Cemaat, truppe di frontiera (101 Orta), i Boluk, la guardia personale del sultano (61-62 Orta), e infine i Sekban (33-34 Orta), che rimanevano di guarnigione a Instanbul durante le campagne militari. Ulteriori 34 Orta erano costituite da reclute impegnate in una sorta di apprendistato per poi a ventiquattro anni decidere se diventare giannizzeri a tutti gli effetti. Non tutti i soldati quindi risiedevano a Costantinopoli, dove abitavano in proprie caserme (Odalar): quasi la metà operava nelle provincie. Per quanto riguarda l’armamento, il corpo agli inizi, era costituito principalmente da abilissimi arcieri che nelle fasi concitate del combattimento corpo a corpo impiegavano asce corte (nacak), le famose yataghan, spade dalla lama affilata solo sul lato concavo, oppure le kilij, le tipiche scimitarre della tradizione turca con lama ricurva, tagliente sul lato convesso, e curvatura che si accentuava in prossimità della punta. La loro destrezza nel maneggiarle rendeva i giannizzeri formidabili avversari in qualsiasi teatro di guerra. In tempo di pace poi queste truppe erano solite compiere servizi di polizia, pattugliando le città con pugnali e mazze. Le truppe scelte invece, impiegate per compiti di guardia ai palazzi imperiali e chiamate Zuluflù Baltacilar, erano armate con asce lunghe e complesse alabarde. Quando poi iniziarono a comparire le prime armi da fuoco (a partire dalla metà del XV secolo) a queste unità si affiancarono reparti forniti di archibugi, che si distinguevano per la grande precisione di tiro. Dal XVI secolo fu addirittura impiegato anche un potente “fucile da trincea” in grado di sparare pallettoni di grande calibro che, in base a quanto riportato dalle fonti, riuscivano a terrorizzare il nemico per le terribili ferite che potevano provocare. Furono largamente impiegati anche esemplari di granate, colubrine e i cosiddetti abusi, obici prodotti dalle armerie ottomane in grado di sparare proiettili da 2,5 a 7,5 chilogrammi in funzioni anti-fanteria. Le pistole invece trovarono impiego per la prima volta durante le operazioni per la conquista di Creta tra il 1645 e il 1669.

Le caserme di Costantinopoli.
I soldati acquartierati nella capitale ottomana vivevano in un vasto complesso considerato uno dei più influenti centri di Istanbul, descritto dai testimoni del tempo come un insieme di “lunghi edifici ricoperti di piastrelle con porte di marmo, finestre e corridoi illuminati da lampade. I portali conducevano a cortili impreziositi da fontane”. In prossimità c’era anche una sera di attività commerciali gestite da civili. Nel XVIII secolo erano presenti in città quasi sessanta Orta con un impressionante numero di effettivi, circa 40mila uomini. Il comandante supremo del corpo, l’Aga dei giannizzeri, viveva in un palazzo così festoso e monumentale che una volta Solimano il Magnifico sembra abbia commentato “Se potessi essere Aga solo per quaranta giorni”. Per tradizione, il sultano stesso, dopo aver autorizzato i pagamenti degli stipendi, visitava la caserma travestito da soldato semplice, ricevendo la sua paga regolare a fianco dei commilitoni della Prima divisione, la più famosa e titolata, di cui era a tutti gli effetti il primo componente. Nel complesso ogni reparto era una comunità molto unita, una sorta di famiglia, capace di ottenere privilegi sconosciuti ai più. Ogni soldato per esempio poteva ricorrere a speciali cure mediche fornite da chirurghi mussulmani o ebrei in specifici ospedali a loro riservati. Nel caso un soldato, per le ferite riportate, fosse rimasto invalido, avrebbe potuto usufruire di un vitalizio.

Impiego in battaglia. L’impero ottomano utilizzò i giannizzeri durante tutte le sue più importanti campagne militari dal XIV al XVII secolo. Proprio nell’assedio di Costantinopoli del 1453 furono queste truppe scelte a dare l’assalto finale alle difese bizantine, penetrando in città e ponendo fine al millenario impero romano d’Oriente. E per ironia della sorte pare proprio che sugli spalti cittadini si siano scontrati con ciò che restava della terribile guardia variaga, che per secoli aveva rappresentato il nerbo dell’esercito bizantino. Dopodiché trovarono più spazio nelle operazioni sia a oriente sia a occidente, come nella vittoriosa guerra contro i Mamelucchi d’Egitto o i regni cristiani dell’Europa orientale. In molti casi il loro apporto in battaglia fu determinante come il 23 agosto del 1514, quando nella pianura di Chaldiran a nord ovest di Tabriz (città dell’odierno Iran), il fior fiore della cavalleria dell’esercito persiano si lanciò all’attacco delle linee turche, sicura della vittoria. In pochi minuti le ripetute cariche di questi indomiti guerrieri furono falciati dai pezzi d’artiglieria maneggiati dagli abili giannizzeri. Fu una vittoria dalle conseguenze importantissime, che garantì il controllo di vasti territori della Persia. Dal punto di vista numerico il corpo dei giannizzeri rappresentò solo un decimo dell’intero esercito ottomano, il quale invece era caratterizzato per lo più da truppe a cavallo. Lo storico David Nicolle ha tentato di quantificare il loro numero riuscendo a fornire i seguenti dati: 6mila nel 1475, 27mila nel 1528, 48mila nel 1591 e 54mila nel 1680. I documenti relativi alla mobilitazione per due campagne militari tra il 1620 e il 1630, rivelano invece che nelle caserme di Istanbul erano presenti circa 30mila uomini, 20mila dei quali effettivamente impiegati in battaglia. Una spedizione in Ungheria (1541) ricorda che i soldati impiegati assommavano a 15612 e di questi 6350 erano giannizzeri. Nei combattimenti in cui erano guidati dal sultano in persona ne costituivano la guardia personale e pertanto avevano diritto a parte nel bottino. E proprio per la fame che si vennero a guadagnare tra le file della popolazione turca, nel 1683 Mehmed IV, con un atto pieno di conseguenze, abolì il sistema della devsirme per consentire ai rampolli delle grandi famiglie turche di accedere alle alte cariche di comando. Gli effetti di questa decisione finirono per stravolgere le caratteristiche iniziali del sistema di arruolamento e minarono con il tempo l’efficienza e la determinazione dei reparti sui campi di battaglia.

L’armamento dei giannizzeri.
La dotazione tipica.
Quando, a partire dal XIV secolo, i reparti di giannizzeri fecero la loro prima apparizione sui campi da battaglia, si distinsero per le loro incredibili doti di arcieri. Nonostante le successive introduzioni delle armi da fuoco, alcuni reparti continuarono a fare largo uso del temibile e preciso arco composito turco almeno per tutto il XVI secolo. Negli scontri corpo a corpo invece era normale utilizzare spade e piccole asce da combattimento.
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Archi e faretre dell'epoca di Bayezid II - Armeria del Topkapi (Istanbul)

Il moschetto. I giannizzeri adottarono l’archibugio a miccia intorno alla prima metà del XV secolo, dopo averne subito l’efficacia contro gli ungheresi. I primi moschetti a pietra focaia furono i miquelet di origine spagnola, introdotti nel XVII secolo attraverso l’Italia, più facili da pulire nel polveroso Medio Oriente. Le armi da fuoco turche erano normalmente di calibro maggiore di quelle europee e sparavano palle dal peso minimo di 22 grammi fino addirittura a 80 grammi.
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 Tüfek in mostra nell'armeria del Palazzo Topkapı (Istanbul)

Yataghan. Era un tipo di spada in uso dalla metà del XVI secolo alla fine del XIX nell’impero ottomano e divenne un vero simbolo del corpo dei giannizzeri. Aveva una lama ricurva affilata solo sul lato concavo , con punta robusta utilizzata per le stoccate. L’impugnatura era a una mano, non c’era guardia, ma dall’elsa, ottenuta con due placche unite al codolo, si ricavano due valve che consnentivano una presa migliore. Quella usata dai giannizzeri era corta e chiamata varsak.



Yatagan.jpg
yataghan 

Arco. L’arco turco era una variante dell’arco composito, tipico delle popolazioni nomadi che dell’Asia centrale, in uso presso gli eserciti ottomani e utilizzato anche dal corpo dei giannizzeri, in special modo fino all’introduzione della polvere da sparo (metà del XV secolo), ma anche successivamente per esempio sulle galere da guerra.


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Kilij Ottomano. Forma corta tarda del kilij (pala)

Le temibili kilij. Un’altra arma molto utilizzata di giannizzeri era la kilij, che vanta una lunghissima storia. Furono le popolazioni nomadi d’etnia turca dell’Asia centrale a utilizzare per prime spade a lama ricurva già a partire dal III secolo d.C.; erano armi con lama monofilo e controtaglio per quasi un terzo, prodotte in acciaio con alte percentuali di carbonio. La successiva avanzata dell’Islam tra queste gente favorì la loro diffusione anche tra i grandi potentati del Medio e Vicino Oriente, a discapito delle spade a lama diritta che erano in uso presso gli aravi. E in ordine cronologico furono i soldati d’origine turca, i ghulam, che combatterono per i califfi abassidi o omayyadi, a introdurre le prime kilij in area musulmana. Dopodiché, con l’affermazione dei selgiuchidi in Persia e in Anatolia (XI secolo), e la loro successiva egemonia militare, la diffusione della spada ricurva non ebbe più ostacoli. Quando i primi crociati arrivarono in Terra Santa, e con l’intensificarsi degli scontri militari, il binomio “scimitarra-saraceno” divenne un classico dell’immaginario europeo.
La nascita nel XIII secolo dell’impero ottomano, per mano di Osman I, e la successiva conquista di Costantinopoli, dei Balcani (fino al Regno di Ungheria), della Persia, della Siria, dell’Egitto e di parte del Nord Africa favorì ulteriormente la diffusione di quest’ottima arma, che in genere era realizzata in acciaio da abili armaioli di Damasco, Bursa e Derbent. Nel XVI apparve la prima spada occidentale a lama ricurva, la szabla, nella confederazione polacco-lituana, che sostituì le armi del tempo.
La parola sciabola, in uso in Europa occidentale (sabre in inglese e francese, sabel in tedesco, sable in spagnolo) deriva infatti proprio dal vocabolo polacco. Fino al XIX secolo tutti i corpi di cavalleria occidentali l’adottarono, mantenendosi fedeli alle dimensioni della szabla polacca: lama più lunga e appuntita e meno curvqa rispetto alla kilij. 

Una fine ingloriosa. La gestione in tempo di pace di queste truppe era sempre stato un problema, ma assunse proporzioni notevoli quando incominciarono a essere richiesti a gran voce maggiori diritti. Sono state registrate diverse sollevazioni, la prima addirittura nel 1449 per ottenere paghe più alte. Episodi del genere su ripeterono nel tempo e con sempre più frequenza, riuscendo talvolta in operazioni impensabili come la destituzione di sultani: i casi più eclatanti sono quelli di Osman II nel 1622 e Selim III nel 1808. Ma cosa ancora più grave, inettitudine e incapacità nella catena di comando incominciarono, a partire dal XVIII secolo, a farsi strada, mettendo in crisi la combattività di un esercito incapace di rinnovarsi. Furono tentate diverse riforme per costruire moderne truppe di fanteria addestrate all’Europea, ma con scarsi risultati. Gli stessi giannizzeri, gelosi delle loro prerogative, si opposero sempre a questa pratica reagendo in maniera incontrollata: spesso le nuove reclute venivano disarmate e massacrate. E la goccia che fece traboccare il vaso fu l’assassinio del Gran Visir Almdar Mustafà.
Nel 1826 il sultano Mahmud II li sciolse e ordinò di formare nuovi reparti di  fanteria, invitando i giannizzeri a fornire i loro uomini migliori. La reazione fu furibonda, con un’ennesima sollevazione, che in questo caso fu però soffocata nel sangue, assumendo le proporzioni di un autentico massacro: 30mila uomini furono trucidati nell’ippodromo di Costantinopoli. Era la fine: il corpo cessò di esistere per sempre.

Le loro più grandi imprese.

Battaglia della Piana dei Merli 1389
Conosciuta anche come battaglia di Kosovo, fu uno scontro chiave avvenuto a nord di Pristina tra l’esercito dell’alleanza balcanica e quello ottomano. Sebbene sia terminato con un sostanziale pareggio, portò all’assoggettamento turca dell’area albanese.

Battaglia di Nicopolis 1396
Un’armata ottomana annienta un poderoso esercito crociato franco-ungherese, costituito da un numero doppio di effettivi, mandato in soccorso dei regni cristiani dell’Europa orientale in funzione anti-islamica.

Battaglia di chaldiran 1514
L’esercito ottomano annichilisce quello persiano, più numeroso, costituito da reparti di cavalleria, grazie all’impiego di armi da fuoco e artiglieria, che i giannizzeri si dimostrano abili a maneggiare.

Assedio di Rodi 1522
Dopo un terribile assedio le truppe ottomane riescono a occupare la città di Rodi, strappandola al controllo dei cavalieri Ospedalieri che sono costretti ad abbandonare l’isola e rifugiarsi a Malta.

Battaglia di Mohacs 1526
Fu un’importante battaglia terreste combattuta tra l’esercito ungherese, comandato dal re Luigi II d’Ungheria e Boemia, e quello del sultano Solimano I, terminata con una schiacciante vittoria ottomana. L’Ungheria meridionale passa sotto il controllo turco che minaccia Vienna.

Assedio di Esztergom 1543
La città ungherese venne espugnata dall’esercito ottomano di Solimano il Magnifico dopo due settimane d’assedio, determinando il passaggio dell’Ungheria centra sotto il controllo turco fino al 1686

Articolo in gran parte di Antonio Ratti pubblicato su Storie di Guerre e Guerrieri n. 2 Sprea Editore.
altri testi e immagini da wikipedia

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