domenica 19 gennaio 2020

Rinascimento: Delitti eccellenti.


Rinascimento: Delitti eccellenti.
In Italia nel Rinascimento avvelenamenti e accoltellamenti erano all’ordine del giorno.

“In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù” notava il personaggio interpretato da Orson Welles nel film di spionaggio il terzo uomo del 1949. C’è poco da ribattere. È innegabile che, tra la nebbiolina della velatura a calce di Raffaello Sanzio, il candore dei marmi di Michelangelo e l’oro nei dipinti di Sandro Botticelli, il nostro Rinascimento sia tinto anche di profonde sfumature rosso sangue.

Delitti eccellenti. Omicidi politici, delitti efferati motivati da gelosia, brama di potere e invidia, letterati costretti a soccombere al veleno, amanti fatti fuori con crudeli tranelli. Forse mai come tra il XV e il XVI secolo le morti naturali furono tanto innaturali, nei corridoi dei palazzi delle potenti e agiate famiglie rinascimentali. Colpa dell’ambizione, ma non solo. Bastava un’offesa, vera o presunta, e il delitto era servito. Come nel caso di Michelangelo Merisi, alias Caravaggio. L’artista non era un tipo pacato: risse, finestre rotte a sassate, duelli. Turbolento e incapace di tenersi fuori dai guai, il famoso pittore affrontò diversi processi e pesino il carcere. Ma a nulla poterono le intercessioni dei potenti quando, nel 1606, uccise a Roma, in Campo Marzio, tal Ranuccio Tommasoni da Terni. A scatenare la rissa fu un fallo nel gioco della pallacorda: volarono schiaffi e poi i due, rivali di vecchia data, estrassero le spade. Il pittore colpito rispose al fendente, ferendo a morte l’avversario.
Segnato dall’odio fu anche il rapporto tra il cardinale Ippolito e Giulio II d’Este. I due proprio non riuscivano ad andare d’accordo e quando si trovarono a corteggiare la stessa donna, Angela Borgia, cugina della più nota Lucrezia, finì male. “I sui occhi, da soli valgono più di tutta la tua persona”, pare avesse detto la ragazza a Ippolito, parlando del rivale. Fuori di sé dalla rabbia, il cardinale organizzò un agguato: il 3 novembre 1505, di ritorno da un gita a Belgigardo, Giulio venne accerchiato. I servi del fratellastro avevano l’ordine di ucciderlo e di cavargli gli occhi, ma il massimo che riuscirono a fare fu sfregiare il poveretto e fargli perdere parzialmente la vista.

Giulio d'Este.jpg
Giulio II d'Este fu imprigionato poi per la congiura contro Alfonso e Ippolito e liberato dopo 53 anni di prigione

Rivali in amore. Allora come oggi, la gelosia scatenava i peggiori istinti. Fra i tanti, uno dei delitti passionali più famosi del Rinascimento fu quello che vide protagonista, nel 1590, il compositore Carlo Gesualdo, principe di Venosa. L’uomo trucidò sua moglie Maria d’Avalos e il suo amante in camera da letto dopo essersi appostato per coglierli in fragrante. La legge era dalla sua all’epoca vendicare col sangue un0offesa del genere non era solo legittimo, ma addirittura obbligatorio.
Anche le donne, comunque, sapevano essere crudeli. Prendiamo il caso di Giovanna II La Pazza, regina di Napoli dal 1414. Voci insistenti sostenevano che per chiudere la bocca ai suoi giovani amanti, dopo averli usati li gettasse attraverso una botola segreta, nella fauci di un leggendario coccodrillo, arrivato dall’Africa e installatosi nei sotterranei del Maschio Angioino. Leggenda o no, di certo c’è che il più famoso dei suoi favoriti, Giovanni Caracciolo (detto Sergianni), fece una brutta fine. Dopo l6 anni di turbolenti rapporti, quando l’uomo cominciò a mostrare dispostiche manie di grandezza, Giovanna decise di troncare la relazione la notte del 18 agosto 1432, Sergianni fu pugnalato a Castel Capuano da un gruppo di sicari, mentre la regina ascoltava impassibile dalla stanza accanto gli ultimi rantoli del suo ex.



Faide e coltelli. “L’onnipresenza del pugnale e del veleno ha segnato in maniera indelebile alcune società, come l’Italia del Qauttrocento, la Firenze dei Medici e la Roma dei Borgia. Qui l’assassinio politico, che nelle città Stato assunse la forma delle lotte familiari e della vendetta privata, diventò uno degli strumenti del potere, allo stesso modo del matrimonio, dell’eredità, della guerra e della diplomazia. I suoi istigatori, tra il 1400 e il 1550, furono tutti membri delle aristocrazie e agirono sempre nel nome di interessi secolari” scrive lo storico Georges Minois, nel suo saggio il pugnale e il veleno. L’assassinio politico in Europa (edizioni Utet ).
La posta in gioco era alta: l’eliminazione di un rivale e il dominio sulla città. e gli esempi non mancano. Federico da Montefeltro (1422-1482), passato alla Storia come uno dei principali mecenati rinascimentali, non fu estraneo alla barbara decisione, nella notte tra il 21 e il 22 luglio 1444, del fratellastro Oddantonio, da poco più di un anno duca (poco amato) di Urbino. La mattina successiva all’omicidio, guarda caso, Federico si presentò alle porte della città e, dopo aver stipulato patti e concesso l’impunità agli assassini del fratellastro, venne acclamato signore di Urbino. Spostando dalle Marche alla Lombardia, il sangue blu continua a scorrere a flotti. Di omicidio in omicidio, in meno di un secolo la città di Milano vide avvicendarsi al comando della signoria (poi diventata ducato nel 1395) diversi zii, nipoti e figli. Matteo di Visconti (1319-1355) morì come suo padre Stefano, avvelenato. Mandanti furono i suoi fratelli Galeazzo II e Bernabò, con i quali Stefano aveva condiviso prima, in giovinezza, il tentativo di uccidere lo zio Luchino Visconti, co-signore di Milano, e poi, dal 1354, il dominio sulla città.

I modi di uccidere.
Gunners stiletto 01.jpg
uno stiletto
Veleni e armi da taglio: ecco i mezzi preferiti dall’aristocrazia per liberarsi dei propri nemici. Tra i due, meglio il primo: seppur considerato l’arma dei vili, garantiva quasi sempre l’anonimato. “il re dei velini e il veleno dei re” era l’arsenico, venduto sottobanco anche dagli speziali (i farmacisti dell’epoca). Si diceva che una sua variante letale, la cantarella, fosse il veleno preferito dalla famiglia Borgia. L’unguento denso e appiccicoso prodotto con l’aconito, una pianta fra le più tossiche della flora italiana, veniva invece usato per bagnare la lama dei pugnali. Chi aveva i soldi, però, non face mai il lavoro sporco in prima persona: piuttosto si avvaleva di un sicario. L’arma preferita da questi assassini prezzolati era lo stiletto: la sua lama lunga e sottile, più facile da nascondere nelle maniche larghe delle vesti, difficilmente lasciava scampo.

Buon sangue. Il figlio di Galeazzo, Gian Galeazzo Visconti, scippò il posto allo zio nel 1385, sette anni dopo la morte del proprio padre. Il colpaccio gli riuscì imprigionando Bernabò con entrambi i suoi figli e lasciando che morisse poco dopo per una scodella di fagioli avvelenati. I geni del primo duca di Milano rispuntarono nel sadico Giovanni Maria Visconti: al potere dal 1402, avvelenò sua madre, che gli faceva da reggente. Ma, secondo il sanguinoso karma rinascimentale, fu fatto fuori a sua volta, nel 1412, da alcuni congiurati. Eppure i Visconti assomigliano alla famiglia del Mulino Bianco, se paragonati ai Borgia. Pare che il famoso Cesare abbia inaugurato il suo ricco curriculum di delitti nel 1492, commissionando l’omicidio di suo fratello Giovanni, pugnalato per strada da alcuni sicari. Lo scopo: poterlo rimpiazzare nella carriera militare, abbandonando quella religiosa cui il padre lo aveva destinato.
A differenza del figlio, che amava le maniere forti, Rodrigo Borgia, alias papa Alessandro VI, preferiva in vece il veleno “Per sbarazzarsi di un membro del clero, crimine condannato in modo particolare, il veleno è più discreto del pugnale, soprattutto quando l’assassino è lo stesso papa”, nota Minois. Probabilmente avvelenati dai Borgia senior scomparvero infatti, in meno di tre mesi il cardinale Gianbattista Orsini, morto all’improvviso il 22 gennaio 1503 in odore di cospirazione anti-pontefice, e il cardinale veneziano Giovanni Micheli, spirato dopo una misteriosa malattia fulminante accompagnata da vomito. Dell’arsenico erano state vittime, alla fine del 1504, anche due letterati: Agnolo Poliziano e Pico della Mirandola. L’esecutore sarebbe stato Cristoforo da Casalmaggiore, segretario personale di Pico, ma si dice che tra i mandanti ci fosse, oltre al solito papa Alessandro VI, anche Piero de’ Medici, il primogenito di Lorenzo il Magnifico. Movente: l’odio politico. Poliziano e Pico, infatti, erano entrambi seguaci di Savonarola, il frate domenicano nemico dei Medici che sobillò i fiorentini, il 9 novembre del 1494, durante la cacciata dalla città dell’imbelle Piero.
Sei anni dopo, un altro toscano si sarebbe schierato con i Borgia: Leonardo da Vinci. Il geniale inventore fu assoldato da Cesare come architetto e ingegnere militare: per lui mise a punto un nuovo tipo di polvere da sparo, studiò macchine volanti e strumenti per la guerra sottomarino. Ma non sarebbe stato meglio se avesse costruito solo orologi a cucù?

Alessandro VI
Alessandro VI 

Articolo in gran parte di Maria Leonadra Leone pubblicato su Focus Storia n. 144 altri testi e immagini da Wikipedia

Nessun commento:

Posta un commento

I vichinghi, gli eroi delle sagre.

  I   vichinghi gli eroi delle saghe. I popoli nordici vantano un tripudio di saghe che narrano le avventure di eroi reali o di fantasia. ...