Rinascimento: Delitti eccellenti.
In Italia nel Rinascimento avvelenamenti e accoltellamenti erano
all’ordine del giorno.
“In Italia, sotto i Borgia, per
trent’anni hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno
prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno
avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia che cos’hanno prodotto?
Gli orologi a cucù” notava il personaggio interpretato da
Orson Welles nel film di spionaggio il terzo uomo del 1949. C’è poco da
ribattere. È innegabile che, tra la nebbiolina della velatura a calce di
Raffaello Sanzio, il candore dei marmi di Michelangelo e l’oro nei dipinti di
Sandro Botticelli, il nostro Rinascimento sia tinto anche di profonde sfumature
rosso sangue.
Delitti eccellenti. Omicidi
politici, delitti efferati motivati da gelosia, brama di potere e invidia,
letterati costretti a soccombere al veleno, amanti fatti fuori con crudeli
tranelli. Forse mai come tra il XV e il XVI secolo le morti naturali furono
tanto innaturali, nei corridoi dei palazzi delle potenti e agiate famiglie
rinascimentali. Colpa dell’ambizione, ma non solo. Bastava un’offesa, vera o
presunta, e il delitto era servito. Come nel caso di Michelangelo Merisi, alias
Caravaggio. L’artista non era un tipo pacato: risse, finestre rotte a sassate,
duelli. Turbolento e incapace di tenersi fuori dai guai, il famoso pittore
affrontò diversi processi e pesino il carcere. Ma a nulla poterono le
intercessioni dei potenti quando, nel 1606, uccise a Roma, in Campo Marzio, tal
Ranuccio Tommasoni da Terni. A scatenare la rissa fu un fallo nel gioco della
pallacorda: volarono schiaffi e poi i due, rivali di vecchia data, estrassero
le spade. Il pittore colpito rispose al fendente, ferendo a morte l’avversario.
Segnato
dall’odio fu anche il rapporto tra il cardinale Ippolito e Giulio II d’Este. I
due proprio non riuscivano ad andare d’accordo e quando si trovarono a
corteggiare la stessa donna, Angela Borgia, cugina della più nota Lucrezia,
finì male. “I sui occhi, da soli valgono più di tutta la tua persona”, pare
avesse detto la ragazza a Ippolito, parlando del rivale. Fuori di sé dalla
rabbia, il cardinale organizzò un agguato: il 3 novembre 1505, di ritorno da un
gita a Belgigardo, Giulio venne accerchiato. I servi del fratellastro avevano
l’ordine di ucciderlo e di cavargli gli occhi, ma il massimo che riuscirono a
fare fu sfregiare il poveretto e fargli perdere parzialmente la vista.
Giulio II d'Este fu imprigionato poi per la congiura contro Alfonso e Ippolito e liberato dopo 53 anni di prigione
Rivali in amore. Allora
come oggi, la gelosia scatenava i peggiori istinti. Fra i tanti, uno dei
delitti passionali più famosi del Rinascimento fu quello che vide protagonista,
nel 1590, il compositore Carlo Gesualdo, principe di Venosa. L’uomo trucidò sua
moglie Maria d’Avalos e il suo amante in camera da letto dopo essersi appostato
per coglierli in fragrante. La legge era dalla sua all’epoca vendicare col
sangue un0offesa del genere non era solo legittimo, ma addirittura
obbligatorio.
Anche
le donne, comunque, sapevano essere crudeli. Prendiamo il caso di Giovanna II
La Pazza, regina di Napoli dal 1414. Voci insistenti sostenevano che per
chiudere la bocca ai suoi giovani amanti, dopo averli usati li gettasse
attraverso una botola segreta, nella fauci di un leggendario coccodrillo,
arrivato dall’Africa e installatosi nei sotterranei del Maschio Angioino.
Leggenda o no, di certo c’è che il più famoso dei suoi favoriti, Giovanni
Caracciolo (detto Sergianni), fece una brutta fine. Dopo l6 anni di turbolenti
rapporti, quando l’uomo cominciò a mostrare dispostiche manie di grandezza,
Giovanna decise di troncare la relazione la notte del 18 agosto 1432, Sergianni
fu pugnalato a Castel Capuano da un gruppo di sicari, mentre la regina ascoltava
impassibile dalla stanza accanto gli ultimi rantoli del suo ex.
Faide e coltelli. “L’onnipresenza del pugnale e del
veleno ha segnato in maniera indelebile alcune società, come l’Italia del
Qauttrocento, la Firenze dei Medici e la Roma dei Borgia. Qui l’assassinio politico,
che nelle città Stato assunse la forma delle lotte familiari e della vendetta
privata, diventò uno degli strumenti del potere, allo stesso modo del
matrimonio, dell’eredità, della guerra e della diplomazia. I suoi istigatori,
tra il 1400 e il 1550, furono tutti membri delle aristocrazie e agirono sempre
nel nome di interessi secolari” scrive lo storico
Georges Minois, nel suo saggio il pugnale e il veleno. L’assassinio politico in
Europa (edizioni Utet ).
La
posta in gioco era alta: l’eliminazione di un rivale e il dominio sulla città.
e gli esempi non mancano. Federico da Montefeltro (1422-1482), passato alla
Storia come uno dei principali mecenati rinascimentali, non fu estraneo alla
barbara decisione, nella notte tra il 21 e il 22 luglio 1444, del fratellastro
Oddantonio, da poco più di un anno duca (poco amato) di Urbino. La mattina
successiva all’omicidio, guarda caso, Federico si presentò alle porte della
città e, dopo aver stipulato patti e concesso l’impunità agli assassini del
fratellastro, venne acclamato signore di Urbino. Spostando dalle Marche alla
Lombardia, il sangue blu continua a scorrere a flotti. Di omicidio in omicidio,
in meno di un secolo la città di Milano vide avvicendarsi al comando della
signoria (poi diventata ducato nel 1395) diversi zii, nipoti e figli. Matteo di
Visconti (1319-1355) morì come suo padre Stefano, avvelenato. Mandanti furono i
suoi fratelli Galeazzo II e Bernabò, con i quali Stefano aveva condiviso prima,
in giovinezza, il tentativo di uccidere lo zio Luchino Visconti, co-signore di
Milano, e poi, dal 1354, il dominio sulla città.
I modi di uccidere.
uno stiletto
Veleni e armi da
taglio: ecco i mezzi preferiti dall’aristocrazia per liberarsi dei propri
nemici. Tra i due, meglio il primo: seppur considerato l’arma dei vili,
garantiva quasi sempre l’anonimato. “il re dei velini e il veleno dei re” era
l’arsenico, venduto sottobanco anche dagli speziali (i farmacisti
dell’epoca). Si diceva che una sua variante letale, la cantarella, fosse il
veleno preferito dalla famiglia Borgia. L’unguento denso e appiccicoso
prodotto con l’aconito, una pianta fra le più tossiche della flora italiana,
veniva invece usato per bagnare la lama dei pugnali. Chi aveva i soldi, però,
non face mai il lavoro sporco in prima persona: piuttosto si avvaleva di un
sicario. L’arma preferita da questi assassini prezzolati era lo stiletto: la
sua lama lunga e sottile, più facile da nascondere nelle maniche larghe delle
vesti, difficilmente lasciava scampo.
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Buon sangue. Il
figlio di Galeazzo, Gian Galeazzo Visconti, scippò il posto allo zio nel 1385,
sette anni dopo la morte del proprio padre. Il colpaccio gli riuscì
imprigionando Bernabò con entrambi i suoi figli e lasciando che morisse poco
dopo per una scodella di fagioli avvelenati. I geni del primo duca di Milano
rispuntarono nel sadico Giovanni Maria Visconti: al potere dal 1402, avvelenò sua
madre, che gli faceva da reggente. Ma, secondo il sanguinoso karma
rinascimentale, fu fatto fuori a sua volta, nel 1412, da alcuni congiurati.
Eppure i Visconti assomigliano alla famiglia del Mulino Bianco, se paragonati
ai Borgia. Pare che il famoso Cesare abbia inaugurato il suo ricco curriculum
di delitti nel 1492, commissionando l’omicidio di suo fratello Giovanni,
pugnalato per strada da alcuni sicari. Lo scopo: poterlo rimpiazzare nella
carriera militare, abbandonando quella religiosa cui il padre lo aveva
destinato.
A
differenza del figlio, che amava le maniere forti, Rodrigo Borgia, alias papa
Alessandro VI, preferiva in vece il veleno “Per
sbarazzarsi di un membro del clero, crimine condannato in modo particolare, il
veleno è più discreto del pugnale, soprattutto quando l’assassino è lo stesso
papa”, nota Minois. Probabilmente avvelenati dai Borgia senior scomparvero
infatti, in meno di tre mesi il cardinale Gianbattista Orsini, morto
all’improvviso il 22 gennaio 1503 in odore di cospirazione anti-pontefice, e il
cardinale veneziano Giovanni Micheli, spirato dopo una misteriosa malattia
fulminante accompagnata da vomito. Dell’arsenico erano state vittime, alla fine
del 1504, anche due letterati: Agnolo Poliziano e Pico della Mirandola.
L’esecutore sarebbe stato Cristoforo da Casalmaggiore, segretario personale di
Pico, ma si dice che tra i mandanti ci fosse, oltre al solito papa Alessandro
VI, anche Piero de’ Medici, il primogenito di Lorenzo il Magnifico. Movente:
l’odio politico. Poliziano e Pico, infatti, erano entrambi seguaci di
Savonarola, il frate domenicano nemico dei Medici che sobillò i fiorentini, il
9 novembre del 1494, durante la cacciata dalla città dell’imbelle Piero.
Sei
anni dopo, un altro toscano si sarebbe schierato con i Borgia: Leonardo da
Vinci. Il geniale inventore fu assoldato da Cesare come architetto e ingegnere
militare: per lui mise a punto un nuovo tipo di polvere da sparo, studiò
macchine volanti e strumenti per la guerra sottomarino. Ma non sarebbe stato
meglio se avesse costruito solo orologi a cucù?
Alessandro VI
Articolo
in gran parte di Maria Leonadra Leone pubblicato su Focus Storia n. 144 altri
testi e immagini da Wikipedia
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