mercoledì 15 gennaio 2020

Cavour l’uomo che inventò l’Italia.

Cavour l’uomo che inventò l’Italia.
Senza l’intelligenza politica e il gusto per l’azzardo di uno straordinario animale politico come lui, l’unità del nostro paese sarebbe rimasta una chimera. Ma Cavour trasmise all’Italia anche i suoi difetti.

Camillo Benso Cavour di Ciseri.jpg
Antonio Ciseri, ritratto di Camillo Benso di Cavour, olio su tela, ~1859

Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia
ministro degli affari esteri
Durata mandato23 marzo 1861 –
6 giugno 1861
MonarcaVittorio Emanuele II
Predecessorecarica istituita
SuccessoreBettino Ricasoli

Presidente del consiglio dei ministri del Regno di Sardegna
Durata mandato4 novembre 1852 –
19 luglio 1859
MonarcaVittorio Emanuele II
PredecessoreMassimo d'Azeglio
SuccessoreAlfonso Ferrero La Marmora

Durata mandato21 gennaio 1860 –
23 marzo 1861
PredecessoreAlfonso Ferrero La Marmora
SuccessoreRegno d'Italia

Ministro dell'agricoltura e commercio del Regno di Sardegna
Durata mandato11 ottobre 1850 –
11 maggio 1852
MonarcaVittorio Emanuele II
Capo del governoMassimo D'Azeglio
PredecessorePietro De Rossi Di Santarosa

Ministro delle finanze del Regno di Sardegna
Durata mandato19 aprile 1851 –
11 maggio 1852
MonarcaVittorio Emanuele II
Capo del governoMassimo D'Azeglio
PredecessoreGiovanni Nigra
SuccessoreLuigi Cibrario

Sindaco di Grinzane Cavour
Durata mandatoFebbraio 1832 –
Maggio 1849

Dati generali
Suffisso onorificoConte di Cavour
Partito politicoDestra storica (1849)[1]
ProfessionePoliticoimprenditore
FirmaFirma di Camillo Benso di Cavour
Il nome di Camillo Benzo, conte di Cavour, è indissolubilmente legato a quella breve ma esaltante stagione storica che conosciamo come Risorgimento e che vide il piccolo Regno di Sardegna guadagnare un posto di rilievo nello scacchiere internazionale. E, soprattutto, diventare il centro degli eventi che sarebbero culminati con la proclamazione del Regno d’Italia. Se Giuseppe Garibaldi è il simbolo romantico e idealista di quell’epoca, Cavour ne fu il motore politico e diplomatico. La rocambolesca avventura dell’unificazione divenne realtà grazie alla sua intelligenza fuori del comune, ma anche in virtù della sua capacità di cogliere al volo ogni occasione favorevole.

Il Gros Camille. Nato il 10 agosto 1810 a Torino, Camillo era il secondogenito del marchese Michele di Cavour, appartenente a un’antica e nobile famiglia della città, e della ginevrina Adele de Sellon. La città ai tempi era uno dei capoluoghi dell’Impero Francese, e i Cavour erano amici del governatore Camillo Borghese e di sua moglie Paolina Bonaparte, la sorella di Napoleone. La cultura francese avrebbe giocato un ruolo importante nella vita del futuro politico, che proprio oltralpe trovava parte delle sue radici. Prova ne siano la sua difficoltà a esprimersi in un corretto italiano (che non sarebbe migliorata neanche dopo l’unità italiana) e il fatto che egli guardò sempre alla Francia come spalla su cui appoggiare le manovre politiche sabaude. L’infanzia torinese del Gros Camille, come veniva chiamato affettuosamente in casa, trascorse spensierata, rivolta al gioco e soprattutto al cibo (pare che potesse pranzare anche sei volte al giorno). Come secondogenito, alla morte dei genitore il titolo di marchese e i beni di famiglia sarebbero andati a suo fratello maggiore Gustavo, lasciando a lui la scelta tra i voti religiosi o la vita militare. Decise per la seconda. Nell’attesa di vestire l’uniforme nonostante l’indisciplina e le difficoltà che mostrava in italiano, alla fine il giovane Cavour si diplomò con il massimo dei voti, soprattutto grazie al suo eccezionale talento matematico. Risalgono a quegli anni i primi contatti diretti con la famiglia Savoia, che intanto, dopo la definitiva caduta di Napoleone, era tornata al potere. Nel 1826, Cavour era pronto a iniziare la carriera militare, che però si rivelò poco adatta alla sua indole inquieta: come ufficiale del Genio, spesso si trovava a soggiornare in zone isolate e prive di ogni stimolo intellettuale. Per questo, quando nel 1830 venne trasferito nella ricca ed effervescente Genova, per lui fu come rinascere. Cominciò a frequentare i salotti dell’alta società, acquistò il gusto per il gioco di azzardo (che negli anni sarebbe diventato qualcosa di più di un innocente passatempo) e infine cominciò la sua relazione con Anna Schiaffino, moglie del marchese Stefano Giustiniani.

Donne, gioco e politica. La frequentazione del salotto della sua amante, popolato da intellettuali di chiara inclinazione antimonarchica, giocò probabilmente in ruolo decisivo della maturazione delle idee politiche di Cavour, il quale quello stesso anno si proclamò repubblicano. Una presa di posizione che Camillo pagò con il trasferimento nell’isolata fortezza valdostana di Bard. Incapace di riprendere la monotona vita militare, nel 1831 Camillo si fece congedare e si trasferì a Grinzane, in provincia di Cuneo, dove il padre aveva acquistato una grande tenuta. Oltre a occuparsi della gestione degli affari di famiglia, Cavour divenne il sindaco di quel piccolo paese di circa 350 anime. In quegli anni, compì anche alcuni viaggi all’estero, soprattutto a Londra e Parigi che gli permisero di sviluppare e approfondire la sua visione politica, stemperando le sue idee rivoluzionarie in un liberalismo moderato. Intanto, però, coltivava la passione per le donne, la bella vita e per il gioco: un azzardo in borsa lo portò sull’orlo del baratro, e solo l’intervento del padre lo salvò dalla bancarotta. Oltre al denaro, il genitore gli offrì un consiglio: “hai trent’anni, lascia ai mediocri le passioni di sartoria… Hai una forza di volontà politica. Abbi anche una forza morale”. Quelle parole dovettero sortire qualche effetto, perché Camillo si mise seriamente al lavoro nella tenuta di famiglia e gestì i propri soldi in modo intelligente, contribuendo alla fondazione della Banca di Genova e di quella di Torino, e diventò molto ricco. La politica, però, stava per bussare alla sua porta. Fin dal suo primo giorno, il 1848 si annunciò come un anno decisivo per la nostra penisola a Milano, il 1° gennaio iniziò il boicottaggio del tabacco, monopolio del governo austriaco, mentre il 12 gennaio i soldati del re Ferdinando venivano temporaneamente scacciati da Palermo e a Napoli. Il popolo scendeva in piazza. Quelle notizie raggiunsero Cavour a Torino, dove aveva fondato il quotidiano “Il Risorgimento”, e quando re Carlo Alberto formalmente promulgò lo Statuto Albertino, egli venne prima chiamato a collaborare alla stesura della legge elettorale, e quindi eletto deputato egli stesso.


 La battaglia di Pastrengo. Nel 1848 Cavour sostenne la guerra contro l'Austria come soluzione al pericolo rivoluzionario che minacciava il Piemonte.

Giuseppe contro Camillo: scontro tra i padri del Risorgimento.
I rapporti personali tra Cavour e Garibaldi furono a dir poco complicati: i due potevano condividere l’obiettivo finale, ma certamente non i tempi e i modi con i quali conseguirlo. Camillo cercò sempre di sfruttare la popolarità dell’Eroe dei Due Mondi a fini politici, ma al tempo stesso vedeva nel suo affilato rivoluzionario un pericolo per la causa sabauda. Garibaldi, d’altra parte, mal tollerava l’approccio prudente e calcolatore del ministro. I due sio trovarono in disaccordo molte volte, ma il vero scontro frontale, quello destinato a passare alla storia, si verificò il 18 febbraio 1861, in Parlamento. Garibaldi si lanciò in una durissima invettiva contro il governo guidato dal suo avversario, il quale non aveva ratificato le nonime a ufficiale che lui stesso aveva assegnato ai propri uomini. Giunse ad accusare Cavour di tradimento, per avere ceduto Nizza e la Savoia alla Francia. Alla fine vi furono delle scuse, anche se poco convinte, ma l’episodio spinse osservatori stranieri, come il diplomatico inglese Hudson, a ipotizzare che la prese del primo ministro sul suo govenro si stesse indebolendo.

La strada verso il potere. Intanto, le cose precipitavano. A marzo c’erano state le fatidiche Cinque Giornate, cui i milanesi avevano affrontato e cacciato gli austriaci. Subito Carlo Alberto accettò le richieste di aiuto della città lombarda e ordinò alle sue truppe di penetrare nel territorio del Regno Lombardo-Veneto, dando inizio alla Prima guerra d’indipendenza. Dopo le prime vittorie, però, il vento cambiò e una serie di sconfitte decretò il fallimento di quel primo tentativo piemontese. Carlo Alberto abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele, il quale sciolse il parlamento e indisse nuove elezioni attraverso il celebre “Proclama di Moncalieri”. Cavour faceva parte della maggioranza moderata vincitrice, ed ebbe occasione di mettersi bene in luce: nel 1850 divenne ministro dell’Agricoltura e del Commercio, dimostrandosi subito un politico abile e pragmatico, successivamente il presidente del Consiglio Massimo d’Azeglio gli affidò il ministero della Marina e quindi, nel 1851, quello fondamentale delle Finanze. I successi di Cavour stavano a dimostrare che egli poteva aspirare anche alla poltrona più importante, quella di presidente del Consiglio. Ancora una volta, fu la sua attitudine pragmatica, unita, in questo caso all’indole da giocatore d’azzardo, a ispirargli la mossa vincente: il dialogo con il centro sinistra di Ratrazzi. Lo scontro con d’Azeglio e con molti esponenti del suo stesso partito fu aspro e violento (Cavour era celebre per i suoi scatti d’ira), ma alla fine Camillo riuscì nel suo intento e per sei anni, fino al 1857, il cosiddetto “connubio” tra i due schieramenti resistette alle difficoltà. Alla fine, il 4 novembre 1852, arrivò il riconoscimento tanto atteso: Camillo Benso, conte di Cavour, diventava per la prima volta presidente del Consiglio dei ministri del regno.

 Cavour a 31 anni, nel 1841.[21]

Meglio di Bismarck.
Il talento politico di Cavour non brillò solo in Italia, ma anche nel firmamento europeo: egli godette di un credito crescente, fino a essere considerato l’incarnazione del perfetto statista liberale. Di lui, il politico inglese John Bright disse, dopo averlo incontrato: “Più che un sottile politico italiano, sembra un intelligente gentiluomo di campagna inglese”; di certo considerava questo come un grande complimento.
Fu però soprattutto la Germania a mostrare reverenza nei confronti di Cavour, come testimoniato dalla fortuna che riscosse il saggio del 1869 di Heinrich von Tretischke a lui dedicato e che lo addita come massimo rappresentante della Realpolitk. Questa dottrina politica, incentrata sul pragmatismo e il conseguimento degli interessi nazionali, di lì a poco sarebbe stata applicata in modo ancora più sistematico e spregiudicato dal cancelliere Otto von Bismarck, il quale dovette in ogni caso accettare il confronto con Cavour, non sempre uscendone vincitore. “Nessun uomo politico del suo secolo è riuscito a fare così tanto con così poco”, affermò lo storico Densi Mack Smith. Per non parlare del giudizio, secco e deciso, del grande filosofo francese Henri Bergson: “Cavour è di gran lunga superiore a Bismarck”.


L'Italia al tempo in cui Cavour ebbe il suo primo incarico governativo, nel 1850.

Un gioco pericoloso. Sempre più potente e temuto in patria, Cavour dimostrò appieno la propria grandezza soprattutto in politica estera, in particolare con il coinvolgimento del Regno di Sardegna nella Guerra di Crimea. Nel gennaio del 1855, con uno dei suoi tipici “azzardi calcolati”, Camillo dichiarò guerra alla Russia, ponendosi al fianco di Francia e Inghilterra. Grazie alla vittoria nella battaglia della Cernaia, il Piemonte poté partecipare al congresso di pace di Parigi, che cominciò il 25 febbraio 1856, alla fine del  quale Cavour riuscì a ottenere che la “questione italiana” venisse dibattuta dalle grandi potenze. Era l’inizio di una evoluzione politica che di lì a poco avrebbe portato la Francia di Napoleone III a progettare un intervento in Italia in ottica antiaustriaca e a instaurare un rapporto privilegiato con Cavour. Esso venne suggellato dall’incontro dei due a Plombiére, il 20 luglio 1858, durante il quale furono discussi i possibili futuri assetti politici della penisola. Gli accordi avrebbero dovuto rimanere segreti, ma Cavour fece in modo che diventassero di dominio pubblico, obbligando Napoleone a non rimangiarsi la parola data. Essi prevedevano che, in caso di guerra contro l’Austria, la Francia si sarebbe schierata a fianco del Regno di Sardegna. Adesso si trattava di fare scoppiare la guerra con Vienna. L’occasione si verificò il 29 aprile 1859, quando ormai nemmeno Cavour ci credeva più. Il merito va a un errore dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe, che chiese formalmente il disarmo dell’esercito piemontese: con tale pretesa, l’Austria aveva attentato all’autonomia e alla dignità del Regno, che aveva perciò il diritto di rifiutare le condizioni del nemico. Francesco Giuseppe fu costretto ad attaccare, dando inizio alla Seconda guerra d’Indipendenza, durante la quale Cavour dovette operare con tutta l’abilità di cui era capace. Da una parte doveva domare l’impeto di Garibaldi, dall’altra contrastare l’atteggiamento di Vittorio Emanuele, incline ad accettare una soluzione di compromesso. Vi furono momenti di confronto drammatico con il sovrano, che culminarono con le dimissioni di Cavour da capo del Governo in seguito all’armistizio di Villafranca, l’11 luglio 1859. Camillo venne però richiamato nel gennaio del 1860 per portare a termine un compito che, a quel punto, era evidente a tutti: l’unificazione del territorio italiano sotto l’egida della monarchia sabauda. Prima, però, c’era da far digerire al Governo e all’intera penisola la cessione alla Francia di Nizza e della stessa Savoia che aveva dato il nome alla dinastia regnante: era il prezzo pattuito a Pombiéres per ottenere l’appoggio francese. Alla fine, attraverso due plebisciti di dubbia regolarità, il passaggio dei territori venne ratificato e l’alleanza con Napoleone III confermata. Cavour seppe approfittare della fortunatissima spedizione dei Mille nel Sud, trasformandola in un trionfo sabaudo.

Un giudizio poco lusinghiero.
Come tutte le grandi personalità politiche Cavour era destinato ad attirare su di sé antipatie viscerali, anche a livello personale. La sua pinguedine in età matura era diventata obesità e il periodo trascorso nella fattoria di Leri non aveva certo contribuito ad affinarne i modi. A fornirci una descrizione spietata dei difetti del conte di Cavour è uno dei suoi acerrimi nemici politici, il democratico Angelo Brofferio, il quale così lo descrive in occasione delle sue prime apparizioni nella Camera dei deputati “Nuocevogli il volume della persona, il volgare aspetto, il gesto ignobile, la voce ingrata. Di lettere, non aveva traccia, alle arti profano, d’ogni filosofia digiuno, raggio di poesia non gli balenava nell’anima, istruzione pochissima. La parola gli usciva di bocca gallicamente smozzicata, tanti erano i suoi solecismo che metterli d’accordo col dizionario della lingua italiana sarebbe a tutti apparsa impossibile impresa”. Un giudizio impietoso, che in ogni caso non impedì a Cavour di riscuotere un grande successo tra le dame dell’alta società piemontese che se lo contendevano.


La fine improvvisa. Dopo una lunga gestazione, il Regno d’Italia nacque ufficialmente il 17 marzo 1861, e  Vittorio Emanuele divenne re di un Paese nuovo, che ambiva addirittura a diventare una grande potenza europea. Come se la Storia avesse deciso che la sua missione era terminata, il conte di Cavour lasciò definitivamente la scena politica il 29 maggio, di ritorno da una delle frequenti visite alla sua amante Bianca Bonzani, accusò un malore improvviso. Oggi gli studiosi ipotizzano che avesse contratto la malaria, ma i medici che lo ebbero in cura non riconobbero il morbo e ricorsero invece ai salassi, un rimedio allora considerato alla stregua di panacea per tutti i mali. Purtroppo, sottoposto a quelle cure, la situazione non fece che peggiorare, e Cavour trascorse i suoi ultimi giorni di vita alternando brevi attimi di lucidità a prolungati deliri. Spirò la mattina del 6 giugno 1861. Secondo alcuni, le sue ultime parole sarebbero state dedicate a un nuovo progetto politico: “Libera Chiesa in libero Stato”. Altri, invece preferiscono credere che abbia mormorato un liberatorio “L’Italia è fatto, tutto è salvo”.

Articolo in gran parte di Luigi Lo Forti pubblicato su Conoscere la storia n. 49. Altri testi e immagini da Wikipedia

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