martedì 3 novembre 2020

La Roma del giubileo. La città santa nel primo giubileo.

  La Roma del giubileo. La città santa nel primo giubileo.

Nel 1300 pellegrino da tutta Europa accorsero a Roma per approfittare dell’indulgenza plenaria concessa dal  pontefice Bonifacio VIII.

 

Bonifacio VIII indice il giubileo del 1300

Stupefacente doveva apparire Roma a un pellegrino del nord Europa che la raggiungesse arrivando dalla via Flaminia o dalla via Francigena in occasione del primo giubileo della storia, indetto dal papa Bonifacio VIII nel 1300. La vista dai colli romani si apriva su un fiume di viaggiatori che, incolonnati, convergevano verso una città gigantesca circondata da un’alta cerchia di mura, piantata al centro di una campagna arida e di pascoli secchi. Dentro spiccavano alberi e foreste frammentate da palazzi e monumenti ricoperti di vegetazioni, con un affascinante skyline di centinaia di torri costruite fra il XII e il XIII secolo dalle famiglie più ricche. I pellegrini e le pellegrine (almeno un terzo erano donne) erano chiamati “romei” e per la maggior parte viaggiavano a piedi, i più ricchi a cavallo e le famiglie su carri carichi di bagagli. Entravano in città dalla porta Pinciana in un turbinio di genti e lingue diverse, come descrivono i cronisti e come testimoniato dalle monete straniere lasciate in offerta nei luoghi sacri. Già attraversando il Pincio si rendevano conto che Roma, benché desolata e decaduta, era ancora così imponente da mettere soggezione. I giardini dell’età classica si erano trasformati in pascoli e vigne di proprietà di poche famiglie che avevano costruito le proprie residenze usando come fondamenta gli edifici romani, com’era in uso da secoli. Un esempio: il mausoleo di Augusto trasformato in forte di difesa nel XII secolo dalla famiglia Colonna.


 

Roma nel Medioevo

I giubilei a Roma.

 

1300

Bonifacio VIII indice il primo anno santo. I pellegrini devono vistare varie basiliche nel corso di 15 o 30 giorni. Si stabilisce la celebrazione dei giubilei ogni cento anno.

1350

Nel 1434 Clemente VII convoca il secondo anno santo. La bolla viene resa pubblica sola nel 1349, e indice il giubileo per l’anno 1350. La cadenza diventa di 50 anni.

1389

Urbano VI proclama il terzo giubileo per il 1390, dieci anni prima del previsto. Viene stabilita una nuova cadenza di 33 anni, l’età in cui morì Cristo.

1423

Martino V, la cui elezione al soglio pontificio nel 1417 pose fine allo Scisma d’occidente, riporta il papato a Roma e convoca il primo giubileo della Chiesa riunita.

 

Porta San Paolo nel XVIII secolo. Da qui nel 550 Totila entrò in Roma occupando la città.

Da San Pietro agli alberghi. Era sufficiente seguire la fiumana per arrivare a San Pietro e, forse, ci si sarebbe potuti imbattere in Dante che in un passo dell’Inferno avrebbe impresso un particolare di quei giorni. Nel descrivere la processione di due schiere di peccatore la paragonava alla moltitudine che durante il giubileo percorreva il ponte di Castel Sant’Angelo, e che aveva costretto le autorità a stabilire un doppio senso di marcia per evitare gli imbottigliamenti. Davanti ai pellegrini si stagliava appunto castel Sant’Angelo che da diversi secoli appariva come un gigantesco dongione fortificato; in origine era il mausoleo dell’imperatore Adriano, ora invece apparteneva alla famiglia degli Orsini. Infine, ecco la basilica di San Pietro, pressoché la stessa di quasi mille anni prima, costruita dall’imperatore Costantino, e che verrà smantellata per fare posto a quella attuale, consacrata nel 1626. Era una basilica di età classica, a cinque navate, con un ampio quadriportico sulla facciata. I pellegrini si mettevano in fila per ammirarne le reliquie, in particolare la Veronica, il telo che, secondo la tradizione, portava impresso il volto di Gesù dopo che una donna glielo aveva asciugato, sanguinante, mentre saliva al Calvario (della Sindone conservata a Torino si comincerà a parlare solo qualche decennio dopo). Arrivare a Roma significava trovarsi faccia a faccia con il Redentore. Ad aspettare fuori erano radunati gli albergatori, che cercavano di accalappiare i pellegrini. Infatti, finita la visita sacra, occorreva trovare presto un riparo per la notte perché le tenebre nascondevano pericoli e briganti. Alberghi, rifugi e anche B&B del tempo erano sorti dovunque, “i romani tutti si erano fatti albergatori” scrisse Matteo Villani per il successivo giubileo del 1350. Ci sono giunti molti nomi di alberghi che fornivano vitto e alloggio in grandi camerate: nella zona di campo dei Fiori c’era solo l’imbarazzo della scelta: la locanda della Campana o della Corona, l’osteria del Cavallo o del Leone, e tante altre. Molte dovevano essere gestite da donne le quali, nelle classi più agiate ma anche nelle famiglie più modeste di mercanti, sapevano leggere e fare di conto, qualità indispensabili per portare avanti gli affari della famiglia quando gli uomini si assentavano per lavoro o guerra. I pellegrini più poveri dovevano accontentarsi invece di letti improvvisati nelle povere e sudice case dei privati, in un viavai turbinoso sfruttato da approfittatori, di cui Buccio di Ranallo dirà: “Se mostravano angeli, er poi erano cani”.

Al mattino i pellegrini potevano cominciare, rinfrancati, la visita di quella Roma straordinaria di cui avevano sentito tanto parlare. Usciti dalla locanda si veniva travolti dagli odori e dai rumori della città: versi di animali, crepitii di carri, scalpiccio di cavalli, rintocchi di campane, urla dei mercanti che rivaleggiavano con quelle dei banditori del comune. I maiali, spazzini onnivori delle città medievali, erano dappertutto.

Era facile perdersi: le dritte e levigate strade della Roma classica, senza manutenzione da secoli, erano diventate vicoli e sentieri dalle pietre sconnesse e la vegetazione cresceva indisturbata nell’abbandono. Le rovine classiche erano spesso inglobate nelle costruzioni medievali: lo stadio di Domiziano era già in piazza Navona, il teatro di Pompeo era la base per case abusive, il teatro di Marcello era diventato una fortezza.

A est, attorno a Santa Maria Maggiore, si era formato un piccolo agglomerato urbano circondato da vigne e orti che arrivavano fino alle mura settentrionali, scavalcando le rovine delle terme di Diocleziano e il vecchio castro militare, abbandonato da secoli. A ovest, invece, a Trastevere gli artigiani si erano riuniti per confraternite da cui poi si erano riuniti per confraternite da cui poi le vie prenderanno il nome odierno, come via dei Vascellari per i vasellai.

Andando verso su il brusio cresceva fino a diventare un frastuono di voci, urla e colpi di utensili: venivano dal mercato del Portico di Ottavia, uno spaccato della vita quotidiana e dei mestieri della Roma del 1300. Qui i pellegrini potevano rifornirsi di ogni cosa: c’erano i ferrari, lavoratori del ferro battuto, i calzolai, i sellai, i tornitori, i macellai ma anche i fabbricanti di oggetti di uso quotidiano come bottiglie, pettini e bauli. E poi i giubbonari e i farsettai che vendevano vestiti già confezionati e, ovviamente, ai lati delle strade anche i mercanti di reliquie. I souvenir sacri andavano dalle immagini sante ai memorabilia, come l’olio che bruciava sull’altare di Pietro, o pezzi di ossa trafugate dalle tombe dei santi. Per ultimi, i cambiavalute, attirati da tanti forestieri bisognosi di moneta locale. Attorno ai mercati non mancava il chiasso dei bambini, i figli dei mercanti, dei compratori o piccoli vagabondi che cercavano di rubare un pezzo di pane. Giovacano legando le zampette di un passerotto da tenere al guinzaglio oppure con giocattoli familiari anche ai giorni nostri, come fischietti a forma d’uccello, tegami e brocche in miniatura, minuscoli salvadanai, soldatini di cavalieri. E poi c’era la guerra con spade di legno, il nascondino o anche il gioco della palla servendosi di una mazza, una specie di hockey sull’erba.

Dietro al Campidoglio, i pellegrini attraversavano un bosco che nascondeva il cuore della Roma classica: i Fori e il colle del Palatino, la residenza degli imperatori, ma in uno stato di completo abbandono, usati da anni come cava per prelevare il materiale di costruzione e le decorazioni per le ville dei nobili. Nel XIV secolo questi luoghi erano conosciuti come Campo Vaccino, ossia luogo per il pascolo delle vacche, oppure come Calcarium, dove si trovavano i materiali per fare la calce, vale a dire il marmo macinato in polvere. Passeggiando per le stesse strade qualche decennio dopo, Petrarca notava che quella città “così grande sembrava deserta per le vestità”

Il giubileo, un anno per il perdono dei peccati.

La sera del primo gennaio 1300 una folla immensa invase la basilica di San Pietro dopo che era girata la voce che una ‘perdonanza’ straordinaria sarebbe tata concessa prima della mezzanotte. Il moto popolare crebbe nelle convinzione che l’indulgenza sarebbe durata per tutti i giorni di quel primo anno del secolo, provocando così l’affluenze record anche nelle settimane successive. Bonifacio VIII assecondò gli eventi e il 22 febbraio del 1300 promulgò l’apertura del primo anno santo, il primo giubileo, tra l’altro retrotadando l’inizio al 24 dicembre 1299: concedeva l’indulgenza plenaria a tutti i romani che avessero visitato la basilica di San Pietro o di San Paolo per trenta giorni – o ai pellegrini per quindi giorni. La notizia dilagò nel mondo cristiano in poche settimane.  

Chiese, basiliche, reliquie : l’itinerario di un pellegrino a Roma.

Il reliquiario delle catene

Nel 1300 papa Bonifacio VIII proclamò il primo giubileo e offrì l’indulgenza plenaria a tutti coloro che si recavano in pellegrinaggio a Roma e visitavano almeno la basilica di San Pietro e quella di San Paolo Fuori le Mura. Questo provocò un massiccio afflusso di pellegrini desiderosi di ottenere la remissione dei peccati. Molte delle oltre 900 chiese di Roma, custodiscono al loro interno preziose reliquie, che i pellegrini andavano a venerare. Dopo aver pregato davanti alla tomba di san Pietro nell’omonima basilica, ci si recava a San Paolo Fuori le Mura per rendere omaggio alla catena che legò l’apostolo Paolo durante il suo domicilio coatto a Roma. Ma il devoto poteva trovare molti altri cimeli di santi e martiri in vari edifici religiosi della città. In San Giovanni in Laterano, ad esempio, si trovano ancor oggi alcuni degli oggetti più preziosi come i reliquiari con le teste dei santi Pietro e Paolo, i resti della scala santa, l’ombelico santo e un pezzo di legno del tavolo dell’ultima cena. A Santa Maria Maggiore ci sono le reliquie della sacra culla e della mangiatoia. A San Silvestro in Vincoli si possono venerare le catene di san Pietro e a Santa Maria in Cosmedin si conserva un  reliquiario con il cranio di san Valentino. Alcune di queste chiese sono veri e propri gioielli artistici, come quelle di Santa Maria e Santa Cecilia in Trastevere, le cui absidi sono decorate con splendidi mosaici d’ispirazione bizantina del XII e XIII secolo. Tutto ciò ha contribuito nei secoli a consolidare l’immagine di Roma come Nuova Gerusalemme e principale centro di pellegrinaggio della cristianità dopo la perdita della Terra Santa.

Chiese e fabbriche.


Modello di Roma, raffigurante in primo piano il teatro di Marcello e in secondo piano il teatro di Balbo con a fianco la Crypta Balbi



Questa ricostruzione è un ingrandimento di una parte specifica dei castrum aureum, il complesso fortificato sorto nel Medioevo sulle rovine dell’antico teatro di Balbo e del suo criptoportico. Si può vedere la via che separava il teatro vero e proprio dallo spazio porticato quadrangolare. Qui fu costruita la chiesa di Santa Maria Dominae Rosae forse fondata da una signora di nome Rosa, della quale non si hanno ulteriori informazioni. Successivamente la chiesa andò in rovina e fu ricostruita nel XVI secolo con il nome di Santa Caterina dei Funari, in riferimento ai fabbricanti di funi che nel Medioevo si concentravano nella zona. La chiesa aveva un campanile e un convento annesso. L’area ospitava anche delle calcare, ovvero forni da calce, che erano ancora alimentati con materiali da costruzione dell’antica Roma, dato che la calce si ottiene dall’antica Roma, dato che la calce si ottiene dalla cottura a temperatura elevata della pietra calcarea. Oggi la Crypta Balbi (parte del Museo nazionale romano) permette di ammirare l’evoluzione di questo complesso nel corso dei secoli.

Da teatro a castello.


Planimetria del Campo Marzio meridionale

Mille anni dopo la fine dell’epoca classica, Roma aveva radicalmente modificato il suo aspetto, ma le vestigia del suo passato glorioso erano ancora ben visibili. Per esempio una zona corrispondeva a un’area dell’antico Campo Marzio, dove un tempo sorgeva il teatro di Balbo. Nel corso dei secoli, sulle tribune erano sorte delle abitazioni private. Dietro la scena era una complesso quadrangolare che in precedenza accoglieva il criptoportico dove il pubblico si riuniva nelle pause tra gli spettacoli. Dal IX secolo il teatro e il portico furono trasformati in una fortezza. Il castrum aureum che  ospitava le residenze di importanti famiglie, un convento e una chiesa. Sorge anche il Tempio delle Ninfe, circondato da un portico e poi passa la via delle Botteghe Oscure, che prende il nome dai negozi e dai laboratori scarsamente illuminati che sorgevano sotto gli archi del teatro di Balbo.

Le migliori guide turistiche dell’epoca.

Come scegliere, cosa visitare e dove avventurarsi in città dipendeva dal tipo di Mirabilia Urbis che si aveva con sé. Erano simili a guide turistiche e contenevano la lista dei luoghi sacri e dei monumenti della Roma classica, possibilmente in chiave cristiana, ma anche le informazioni sulle strade, i mercati dove comprare delle pellicce, vasellami, dove fermarsi per le soste e le migliori osterie. Davano anche la lista delle numerose reliquie di Roma: esempi notevoli erano i legni della mangiatoia che aveva accolto la nascita di Cristo e le catene di Pietro usate durante la sua prigionia romana, ma erano anche le spine della corona, il legno della croce del buon ladrone, l’iscrizione posta sopra la testa di Gesù, il dito di san Tommaso e tante altre.

 

Torri e luoghi sacri. La Roma classica lasciava spazio a quella medievale dietro il mercato di Traiano dove svettava la torre delle Milizie, un esempio dell’incastellamento cominciato nel X secolo Bonifacio VIII comprò la torre, alta circa 50 metri e rivestita di laterizi, dalla famiglia Annibaldi l’anno seguente, nel 1303. Come molte altre torri anche questa stava perdendo la connotazione militare a favore di quella simbolica di centro di potere attorno alla quale si disponevano gli edifici abitati dai membri della famiglia. Queste aree si allargarono fino ad inglobare piazzette e vie. I pellegrini seguivano in direzione dell’Aventino e del Celio per raggiungere il Laterano, la residenza ufficiale del papa, dove erano conservati dei reperti eccezionali: le teste di Pietro e Paolo, la tavola su cui Gesù aveva consumato l’ultima cena e la scala santa che aveva salito per comparire dinanzi a Ponzio Pilato, trasportata intera da Gerusalemme.

Quella del 1300 era una Roma al confine fra due epoche, che attraversava un momento di crescita economica anche aiutata dal crescente turismo, che la stava trascinando fuori da un periodo difficile di guerre interne. Nonostante fosse una città abitata ininterrottamente da duemila anni, l’agglomerato urbano poteva contare ancora su una popolazione molto meno numerosa di quella di Firenze e Bologna. Era ricca di monumenti in rovina sulle cui fondamenta sorgevano chiese, borghi pericolanti e roccheforti di famiglie nobili in continua guerra fra di loro. Un terreno perfetto per la Roma dei papi che la porteranno presto nel Rinascimento facendole ritrovare prestigio, popolazione e centralità nell’Europa che si stava disegnando.

Articolo di Giorgio Pirazzini storico pubblicato su Storica National Geographic del mese di febbraio 2019 – altri testi e immagini da Wikipedia 


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