Assiri alle origini del capitalismo.
Quattromila anni fa,
nella Mezzaluna fertile nacque il commercio come lo conosciamo oggi, con dazi,
contratti e qualche speculazione.
Come
si diceva business is business nella lingua degli antichi Assiri? Il
capitalismo non è appannaggio dei banchieri europeo e delle multinazionali
americane, ma è stato inventato quasi 4mila anni fa in Medio Oriente. Profitto,
rotte commerciali, fondaci, investimenti, lettere di credito, società di
mercanti, camere di commercio, contratti imprenditoriali e anche una
proto-moneta con cui accumulare capitale: tutto questo compare in modo chiaro
all’inizio del II millennio a.C., tra l’Assiria e l’Anatolia, nei territori che
oggi si estendono tra l’Iraq settentrionale e la Turchia centro-orientale. E i
protagonisti di questa realtà economica così avanzata sono gli Assiri, che
forse siamo abituati a immaginare più nelle vesti di feroci guerrieri, ma che
all’inizio della loro storia assomigliavano più che altro a mercanti veneziani
del Basso Medioevo.
Come una ragnatela. Grazie all’eccezionale
documentazione fornita da 23mila tavolette d’argilla iscritte ritrovate nel
sito di Kulteple (l’antica Kanesh, in Cappadocia), conosciamo bene la rete
commerciale assira. Il suo centro era la capitale Assur, ma si estendeva fin
nel cuore dell’Anatolia, ramificandosi da Kanesh ad altri insediamenti
della regione, allora divisa in piccoli
regni locali. Le tavolette coprono soprattutto i periodi 1970-1830 a.C. e
1800-1740 a.C., che corrispondono all’epoca paleo assira e sembrano aver
rappresentato il momento più prospero per questo tipo di commercio.
L’apparato commerciale
descritto a Kanesh rappresentava un ingranaggio di un sistema che con altre reti
collegate raggiungeva Babilonia a sud e l’altopiano iranico e l’Asia Centrale a
oriente. Il meccanismo era rodato: i mercanti assiri si procuravano stagno a
est e tessuti di qualità a Babilonia (oltre a tessuti meno pregiati prodotti in
Assiria), e li trasportavano in Anatolia per rivenderli attraverso le loro basi
o colonie commerciali, dette karum. “Invece
di vendere tutto lo stagno e i prodotti tessi nei grandi centri per ottenere
subito e direttamente l’oro e l’argento da spedire nella capitale, di frequente
si procuravano, in cambio delle loro merci, altri beni, soprattutto rame e
lana”, spiega Luca Peyronel, docente di Archeologia e Storia dell’arte del
Vicino Oriente antico all’Università di Milano, “Questi diventavano protagonisti di una ulteriore rete commerciale
interne all’Asia Minore che li riconvertiva in oro e argento: il meccanismo
serviva evidentemente a ottenere un margine di guadagno ancora maggiore”.
Altri profitti. Da Kanesh, che non era l’unico karum
in Anatolia, si diramava un traffico che passava da stazioni commerciali
minori, chiamate mabartum. Alla fine i metalli preziosi raccolti con tutta
l’operazione venivano riportati ad Assur ed erano reinvestiti per continuare il
ciclo commerciale. L’intero meccanismo si reggeva sul guadagno procurato dalla
differenza dei prezzi delle merci nelle varie destinazioni: il rame veniva
acquistato e rivenduto in Anatolia, e non prendeva ma il rotta per l’Assiria,
ma era solo uno strumento per ottenere più argento. Nono stante i grossi rischi
e i costi elevati di tutta l’impresa, in caso di successo i profitti erano alti
e alcuni commercianti arrivavano a triplicare i loro investimenti. Da notare
che in questo schema rientra anche l’invenzione della lettera di credito,
antenata degli assegni e delle cambiali, dalla maggior parte degli storici
considerata un’innovazione medievale. La vendita dei prodotti poteva infatti
avvenire mediante scambio dilazionato nel tempo, come ampiamente attestato
dalle noti di debito, che corrispondevano a somme di denaro.
Quadro parziale. “La
scoperta degli archivi privati delle famiglie dei mercanti assiri ha modificato
l’idea di una Mesopotamia nella quale le grandi istituzioni pubbliche, il
tempio e il palazzo, regolavano gli scambi, accentrando risorse e
redistribuendo servizi, e dove il mercante era soprattutto un funzionario. Ciò
che invece si legge nei testi assiri di Kanesh è un’intensa attività di ricche
famiglie di mercanti e finanzieri che vendevano prodotti per ottenere un
profitto, prestavano argento e reinvestivano il capitale in nuove imprese
commerciali.
Siamo
di fronte ad un’economia di mercato arcaico: il sistema si regge sulla
differenza di valore tra i beni scambiati nelle due regioni sul ruolo di hub
commerciale di Assur”, sottolinea Peyronel. Un ruolo che fu
il risultato di una lenta evoluzione. “Questo
sistema si presenta già maturo, assolutamente strutturato e perfettamente
funzionante, per cui possiamo pensare che qualche forma di iniziativa privata
fosse sorta già in precedenza. D’altro canto per l’epoca paleo assira non
abbiamo documentazione pubblica dal karum (che sappiamo aver avuto un archivio)
né dalle istituzioni di Assur, e quindi la visione dell’intero quadro è
parziale. Certo è che gli operati commerciali di Kanesh restano comunque
soggetti indipendenti dalle autorità istituzionali”, precisa Peyronel.
Azienda familiare. Non più, dunque, come
nel millennio precedente, un commercio gestito dalle istituzioni per approvvigionarsi
di beni, ma realtà private che sui loro business volevano lucrare. Le imprese
erano su base familiare: spesso il capo famiglia stava nella capitale Assur,
mentre il figlio maggiore risiedeva a Kanesh e i fratelli minori si
distribuivano in altri centri interessanti. Anche le donne partecipavano nell’impresa,
con le matrone che dirigevano stabilimenti di tessitura. Per portare le merci
da Assur a Kanesh lungo mille chilometri di percorso si organizzavano carovane
di asini che impiegavano circa 50 giorni, attraversando grandi fiumi e valichi
di montagna. Ciascun asino trasportava fino a 90 kg di carico, vale a dire 3
sacchi di minerali (due borse laterali e una sul dorso) o una trentina di
rotoli di stoffa anche se ogni mercante tre o quattro asini e difficilmente più
di una decina, normalmente essi si associavano tra loro andando a costruire
carovane composte anche da ben 300 asini. Si è calcolato che questo commercio
dovesse procurare ad Assur almeno una tonnellata d’argento all’anno. I convogli
– che partivano lungo tratte intermedie dove pagavano i pedaggi di transito per
assicurarsi protezione. Giunti infine a Kanesh, vi trovavano una struttura ben
accogliente e ben organizzata. Il karum era una sorta di colonia commerciale,
dove i mercanti assiri godevano di extraterritorialità nei confronti delle
autorità locali, e beneficiano di autonomia e di un particolare regime fiscale
che assicurava al sovrano una tassa del 5% sui tessili e del 3% sullo stagno, nonché
una prelazione sul 10% delle mercanzie. Il karum era governato da un’istituzione
assira, il bet karim, che funzionava un po’ come ambasciata e un po’ come
camera di commercio, riscuoteva una tassa di 1/60 del carico, ospitava i
magazzini per lo stoccaggio delle merci e garantiva i pacifici e proficui
rapporti con le autorità locali e tra gli stessi mercanti, regolando i
contenziosi commerciali, che quindi seguivano il diritto assiro e non la
giustizia locale.
Il peso dell’argento. Ad avere un ruolo centrale nel
sistema economico assiro era l’argento: il suo accumulo era l’obiettivo
primario, cosa che dimostra che il commercio paleo assiro non era finalizzato
al procacciamento di beni non disponibili in Assiria, ma principalmente al
profitto. L’argento veniva usato come mezzo di pagamento (spese, tasse,
debiti, interessi); ciò che restava (il capitale) poteva essere reinvestito
per nuove spedizioni commerciali o indirettamente per emettere un prestito a
un commerciante, ma anche per acquisire beni da tesaurizzare. QUASI UNA MONETA. L’argento non
era quindi una merce da acquisire né si limitava a essere un’astratta misura
equivalente utilizzata per valutare i beni oggetto di baratto. Era usato e spostato
fisicamente, e quindi assumeva in tutto e per tutto il valore di una specie
di forma premonetaria basata sul peso e non ancora sul valore nominale. |
Nelle case dei mercanti. A Kanesh i mercanti assiri
risedevano fisicamente nel karum che, al contrario di quanto si credeva fino
a poco tempo fa (quando lo si immaginava isolato e recintato), era un luogo
relativamente aperto, dove abitavano anche famiglie locali. Le case erano raggruppate
in isolati, misuravano 50-70 metri quadrati e avevano uno spazio centrale
diviso in tre ambienti: i magazzini (che conservavano anche gli archivi), un
ufficio e l’abitazione. Alcune avevano un piano superiore. ALLA RICERCA. Il bet karim, la
sede dell’istituzione assira centrale all’interno del karum, non è stato
ancora trovato, mentre gli edifici pubblici anatolici di Kanesh (il palazzo e
i templi) si trovavano sull’acropoli, distinta dalla città bassa dove risiedevano
i mercanti. Lettere commerciali dall'Assyria al karum Kanesh sul commercio di metalli preziosi. 1850–1700 aC. Walters Museum |
Legge del mercato. I grandi mercanti
detenevano il capitale, avvalendosi per l’organizzazione del business di
agenti, appaltatori, trasportatori. Diversi attori svolgevano ruoli precisi, e
ogni fase era regolata da contratti: tra il mercante e lo spedizioniere, tra lo
spedizioniere e il trasportatore, tra più mercanti che si associavano in una
impresa comune, tra finanziatore e debitore. Lettere inviate da Assur a Kanesh,
e viceversa, tra i rappresentanti della ‘ditta’ servivano a controllare che il
trasportatore fosse ben accolto ma anche che tutto il carico giungesse a destinazione.
Scrive l’antico mercante Enlil-Bani: ”Dì
ai miei rappresentanti ad Assur: il mio inviato vi porta 30 mine di argento con
l’aggiunta delle tasse. Qui nell’ufficio dei mercanti sono stato registrato
come garante. Fate in modo che compri stoffe per metà dell’argento, e stagno
per l’altra metà, in modo vantaggioso secondo il suo giudizio. Poi sigillate la
merce e affidatela al mio inviato. Voi siete miei fratelli: io qui ho posto la
mia mano sull’argento; lì alla porta della città voi ponete la vostra mano
sulla merce, e l’inviato la porti qui da me”. In queste missive si trovano
rendiconti sui prezzi delle mercanzie, sull’incidenza delle spese di
imballaggio e di trasporto, ma anche della tassazione. Negli scambi epistolari
tra i mercanti compaiono raccomandazioni su come ci si deve comportare per
massimizzare il profitto, se vendere solo per contanti oppure a credito,
se comprare a qualunque prezzo oppure
solo a certe condizioni, se evitare certe merci o certe destinazioni e puntare
su altre. Vere valutazioni di mercato, insomma, non diverse da quelle che si
fanno oggi con i fornitori o persino con i broker.
In prestito. Tra i documenti gli archeologi
hanno trovato molti libri contabili, ma anche contratti d’acquisto, con tanto
di clausola di recesso. Quella degli Assiri era una vera mentalità finanziaria:
a dimostrarlo anche tavolette dove sono registrati profitti derivati dalla
semplice gestione del capitale, con interessi mensili che venivano calcolati e
con incroci di posizioni debitrici e creditizie. Molti testi infatti
documentano l’attività creditizia con prestiti di oro, argento e rame con gli
involucri sigillati dai contraenti e dai testimoni: i formulari permettono di
distinguere tra prestiti semplici, prestiti a interesse e prestiti a interesse
di mora, che sembrano essere stati i più numerosi. E non solo.
Ci sono contratti per
la costituzione di associazioni tra mercanti, come quelli di costituzione di
società (contratti-naruqqum, che prendevano il nome dalla borsa di pelle in cui
veniva fisicamente depositato l’oro), con l’elenco degli investitori e il
capitale in oro affidato al mercante, e la definizione delle quote di profitto
e di eventuali perdite che spettavano ai vari soci, ai finanziatori, agli agenti.
E infine ci sono i verbali giudiziari del bet karim per risolvere i contrasti d’affari
che inevitabilmente sorgevano. Come sempre accadde in ogni società ‘capitalista’,
anche se di 4mila anni fa.
Articolo di Aldo Bacci pubblicato su Focus Storia n.151 altri testi e immagini da wikipedia
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