Gli
elmi dei soldati romani: a testa ben protetta.
Gli
elmi erano probabilmente la parte di armatura più importante per la
sopravvivenza dei guerrieri. i Romani realizzarono i loro ispirandosi alle
tecniche costruttive dei propri nemici, ottenendo una produzione che seguiva
vere tecniche industriali.
l’elmo
è un elemento difensivo caratteristico di ogni guerriero fin dalle epoche più
remote, ed è spesso presente per corredi funerari delle sepolture. Gli elmi
italici più antichi, che equipaggiarono certamente anche i primi guerrieri
romani, risalgono alla tarda età del Bronzo ed alla prima età del Ferro
(IX-VIII secolo a.C), e furono prodotti dalle culture villanoviane ed etrusche.
Erano fabbricati in bronzo, con forma prevalentemente semisferica, e avevano lo
scopo di proteggere soprattutto la parte superiore della testa, mentre erano
del tutto assenti protezioni delle guance e della nuca. Riservato certamente ai
guerrieri etruschi più nobili e facoltosi era il cosiddetto elmo crestato,
realizzato assemblando due semicalotte di bronzo, sormontate da una
caratteristiche e imponente cresta triangolare. Con il tempo e con il
raffinarsi della tecnica, il profilo, dapprima rozzo e primitivo, tese
progressivamente a conformarsi alla testa del guerriero. Tra l’VIII e il V
secolo a.C., si diffusero nell’Italia Centrale (prodotto dalle raffinate
officine etrusche) gli elmi a falda (come quello borchiato emerso a Roma dagli
scavi sull’Esquilino) e l’elmo tipo Negau, dalla caratteristica forma a campana
allungata.
Dall’antichità alla repubblica. Attorno al VI
secolo a.C., in seguito al confronto militare con le città etrusche e le
evolute città italiche della Magna Grecia, i Romani adottarono una serie di
modelli di elmo già in uso in Grecia nell’epoca classica e adatti allo
schieramento oplitico. Il più noto è l’elmo corinzio, che avvolgeva interamente
la testa fino al collo, lasciando scoperto solo occhi, naso e bocca; veniva
tenuto alzato sopra la fronte fino al momento dello scontro. Questo mezzo fu
raffigurato sulle monete anche nei secoli successivi. Furono impiegati in
seguito anche elmi chiamati apulo-corinzio, italo-calcidico, pilos italico e
attico-sannitoco, che si differenziavano dal corinzio per le aperture aurali
(all’altezza delle orecchie) o il maggior spazio aperto per il viso, con
paragnatidi (protezioni per le guance) mobili e di dimensioni più contenute:
tali caratteristiche, oltre ad aumentare la comodità, consentivano al
combattete di sentire e vedere meglio, un’esigenza crescente per un tipo di
combattimento che, negli eserciti romani tra il V e il IV secolo a.C., iniziava
a discostarsi da quello oplitoco, a falange.
A partire dal IV secolo
a.C., i Romani si confrontarono con i popoli gallici che occupavano l’Italia
del Nord, e iniziarono a usare elmi molto simili a quelli dei nuovi nemici. Il tipo
più noto, prodotto in bronzo dalle officine etrusche, questo elmo fu impiegato
dalle legioni a partire dal periodo delle Guerre puniche (III secolo) fino al I
secolo d.C., divenendo di fatto l’elmo più comune durante quasi tutto il
periodo della Repubblica e nei primi anni dell’Impero. Fabbricato in bronzo e
con una caratteristica forma conica a ‘berretto di fantino’, il Montefortino
era dotato alla sommità di un pomello (apex); all’interno, secondo Polibio, veniva
inserito un cimiero composto di tre piume di colore rosso o nero, alte 45 cm,
con lo scopo di far apparire il soldato più alto e impressionare il nemico.
Tra quelli ritrovati,
gli esemplari di fattura migliore risalgono al IV e al III secolo a.C., mentre
quelli di epoca successiva, probabilmente a causa della necessità di soddisfare
una domanda in continua crescita, risultano più semplici e di qualità
decisamente inferiore. Le paragnatidi, realizzate in bronzo spesso,
presentavano un profilo che si conformava alla linea degli occhi e della bocca,
mentre, nella parte inferiore, gancetti di bronzo permettevano di allacciare un
cordoncino sotto il mento. La fine delle Guerre puniche portò al confronto con
le monarchie ellenistiche che si affacciavano sul Mediterraneo orientale. Gli eserciti
romani ebbero modo di misurarsi con gli eredi di Alessandro Magno, che all’epoca
riscuotevano ancora molto credito, anche in termini di equipaggiamento
militare. I Romani, da sempre influenzati e suggestionati da oggetti e simboli
che si richiamavano alla tradizione macedone e greca in generale, fecero largo
uso anche di elmi ellenistici.
Dagli opliti ai legionari. Le differenze tipologiche tra elmi
ellenistici e romani si devono soprattutto alle diverse tecniche di
combattimento: la formazione oplitica del mondo greco e quella assai più
duttile e articolata della legione. I termini impiegati dalle fonti
letterarie latine per indicare l’elmo sono due: galea e cassis. Il primo
viene usato in senso generico per l’elmo della truppa, mentre il secondo
cassis sembra riferirsi a modelli di maggior pregio. Il cimiero (crista o
conus) è l’ornamento che sormonta l’elmo, usato con lo scopo di far apparire
la figura del guerriero più alta e imponente e per terrorizzare il nemico. Viene
largamente impiegata sia nel mondo greco e latino e può essere costituito penne,
piume, pennacchi criniere, figure ornamentali o anche pelli di animale. La
paragnatide (buccula) è la parte dell’elmo che protegge le guance fino alla
mandibola. Può essere resa mobile tramite un collegamento a cerniera che
consente di rialzarla ai lati del capo. L’imbottitura interna compare sin
dall’antichità, non solo per aumentare la protezione dai colpi, ma anche per rendere più confortevole
l’impiego prolungato dell’elmo. Ammiano la chiama cento, ed era una specie di
sottocasco costituito da pezzi di stoffa cuciti insieme. I legacci, o
sottogola (vincula o habenae) sono i cordini
in cuoio che servono per mantenere l’elmo ben saldo sulla testa. |
Cimieri come segnali. Le creste e le penne erano un
elemento peculiare degli elmi italici e romani, ed erano ritenute un
attributo caratteristico del dio Marte. Nate con l’intenzione di
impressionare il nemico, simulando una maggior altezza dei combattenti, ma
ritenute anche elemento ornamentale e spesso di personalizzazione dell’armamento,
vennero utilizzate per diversi secoli da tutti i guerrieri romani, dalle
epoche più arcaiche fino alla fine dell’impero. Il piumaggio era molto
diffuso tra la truppa, e non era riservato soltanto ai comandanti e ai
personaggi di maggior rilievo. Di fronte ai Sanniti, che pure ne facevano
largo uso, il console Papirio Cursore ricordò ai suoi legionari che le creste
“non producono ferite”. Spesso gli elmi erano dotati alla
sommità di un pomello (apex), o un dispositivo più o meno complesso per
assicurare il cimiero. È quasi certo che creste e piume (insignia) venissero indossate
solo in battaglia, poiché Cesare scrive che i suoi legionari, attaccati
improvvisamente dai Nervii, non fecero in tempo ad applicarle. La caratteristica
cresta traversale tipica del centurione, che serviva per poter essere localizzato
in qualsiasi momento dai propri uomini durante la battaglia, compare su
alcuni bassorilievi solamente in epoca imperiale, ed era composta da piume o
da crine di cavallo. |
Una ricostruzione moderna di un elmo gallico imperiale di tipo H, indossato da un centurione romano del I secolo. Si notino le "sopracciglia" scolpite nella parte superiore dell'elmo e la fascia circolare in ottone, oltre ad una protezione superiore tipica degli elmi imperiali gallici
Il periodo del principato. In età augustea, nuove
esigenze e opportunità orientarono l’esercito romano verso la scelta di
soluzioni più adeguate ai tempi e alle necessità. I caratteristici elmi in
ferro appartenuti alle fiere tribù galliche sconfitte da Cesare furono
rapidamente adottati dai soldati romani, in linea con la secolare tradizione
che suggeriva di acquisire quanto di meglio appartenesse al nemico. Ma occorreva
anche fronteggiare minacce nuove: larghi e robusti paranuca, ampie paragnatidi,
rinforzi frontali e nervature sulla calotta diventarono elementi di protezione
strutturale indispensabili per affrontare mischie serrate con nemici vigorosi e
agguerriti come i Celti e i Germani, che in battaglia prediligevano una scherma
basata di colpi violenti e fendenti portati dall’alto verso il basso.
Non scomparvero mai,
tuttavia, elementi importanti della tradizione armiera greco-italica, come il
profilo generale dell’elmo, con la conservazione di linee estetiche classiche
di gusto ellenistico, o alcune peculiarità ornamentali e caratteristiche, quali
le creste. Gli elmi più prestigiosi, indossati di solito dagli ufficiali di
rango più elevato, continuarono a subire per secoli l’influenza e il fascino
evocativo degli elmi di età ellenistica.
La ricerca archeologica
degli ultimi cinquant’anni ha potuto offrire un contributo decisivo allo studio
e all’analisi dell’armamento romano nel periodo dell’alto Impero, anche grazie
alla ricchezza di reperti dovuta al diffuso benessere di quell’epoca. Fra il I
e il III secolo d.C.,, l’esercito romano, padrone del Mediterraneo e di gran
parte dell’Europa continentale, dimostrò una sorprendente omogeneità nella
politica degli armamenti, lasciando poco spazio all’improvvisazione. Dall’epoca
augustea fino al principato di Costantino, nell’arco di circa quattrocento
anni, le più diffuse tipologie di elmi da combattimento furono quattro:
Haguenau, Weisenau, Weiler/Niederbieberm tutte piuttosto simili.
Una tipologia
particolare, riservata quasi esclusivamente alla cavalleria, è costituita dai
cosiddetti elmi a maschera. Particolarmente costosi, in quanto frutto di lavoro
di abili artigiani, sono con ogni probabilità gli stessi elmi, descritti da
Arriano in occasione delle spettacolari esibizioni della cavalleria romana,
dette hippica gymnasia. Questi modelli, che ricoprivano completamente il volto
del cavaliere, riproducevano le fattezze di personaggi eroici, come Alessandro,
oppure mitici, cp,e o guerrieri greci che combatterono contro le Amazzoni. Sia pure
magnifici, non dovevano però essere molto pratici da usare in combattimento.
Il tardo impero. Fino alla crisi
economica e militare del III secolo d.C., la produzione degli elmi si basava su
una rete capillare di strutture artigiane private, spesso convenzionate con l’amministrazione
militare. L’aumento e la crescente pericolosità delle invasioni barbariche indusse
però l’impero a formare eserciti mobili, utilizzando truppe prelevate nelle
varie basi legionarie, e a centralizzare la produzione degli armamenti. Inoltre,
al fine di limitare il rischio di lasciare nelle mani di usurpatori un’attività
fondamentale per la conservazione del potere e di esclusiva pertinenza dello
Stato, la produzione e la vendita di armi ai privati furono proibite della
legge. Si deve a Diocleziano (244-313) la creazione di una vera strutta di
industrie statali (fabricae), centralizzata sotto il profilo logistico e
amministrativo, e distribuita sul territorio dell’Impero in funzione delle
esigenze strategiche.
A partire dalla seconda
metà del III secolo, si diffuse così una tipologia decisamente nuovi modelli: i
cosiddetti elmi compositi crestati, caratterizzati da una notevole semplicità e
rapidità di costruzione e di montaggio. La calotta del tipo più diffuso di
elmo, chiamato Intercisa, era composta da due pezzi, uniti in senso
longitudinale per mezzo di una rivetta tura su un profilo rialzato. Pagati alla
calotta non direttamente o per mezzo di cerniere metalliche, bensì tramite
supporti flessibili di cuoio o di tessuto. Lo stile e le modalità costruttive
di questo modello lasciano supporre una forte influenza degli elmi utilizzati
dai Persiani, che costituirono per secoli il grande nemico della frontiera
sudorientale dell’Impero Romano. L’improvvisa e larga diffusione di un elmo così
diverso dai precedenti fu dovuta soprattutto alla facilità e rapidità di
produzione da parte delle fabricae di Stato, in un momento di grave instabilità
politica e d’inadeguatezza produttiva da parte delle officine private. Questi elmi
garantivano una protezione senza dubbio inferiore rispetto ai tipi con calotta
in pezzo unico, ma rispondevano in modo soddisfacente a una serie di requisiti
minimi imposti dal committente unico statale.
Un modello composto
leggermente diverso era quello risalente alla metà del IV secolo e
caratterizzato da un caratteristico paranaso a ‘I’ applicato sul bordo frontale
della calotta. L’esemplare più prezioso, certamente riservato a un cavaliere o
a un personaggio prestigioso, è denominato Berkasovo. La sua calotta argentata
e incastonata di pietre preziose è composta da quattro segmenti uniti da una
crociera; il paranuca è assicurato alla calotta da una serie di cingue e di
fibbie, mentre le paragnatidi, anch’esse decorate con pietre preziose, sono
collegate alla calotta in modo analogo a quello degli elmi di tipo Intercisa. Un
modello che comparve per la prima volta attorno al IV secolo, e si diffuse ampiamente
tra il V e il VI secolo, era il cosiddetto Spangenhel (elmo a segmenti);
costruito da una serie di segmenti metallici variamente disposti, venne
indossato dalla cavalleria romana di Galerio agli inizi del IV secolo. Gli ultimi
elmi portati dai Romani furono di tipo germanico (Baldenheim) e il loro impiego
si prolungò dal V secolo a tutto l’alto Medioevo. Erano costituiti da quattro o
sei segmenti metallici realizzati in ferro o in bronzo di varia forma,
assicurati, mediante rivetti, a una banda metallica che serrava la parte
inferiore della calotta.
Articolo di Giuseppe
Cascarino pubblicato su Civiltà Romana n. 2 – altri testi e immagini da
Wikipedia.
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