giovedì 17 settembre 2020

La Schola Salerni! Dove nacque la scienza medica.

 

La Schola Salerni!

Dove nacque la scienza medica.



Tra l’XI e il XIII secolo la Scuola Salernitana rappresentò l’istituzione medica più avanzata d’Europa, antesignana delle moderne università. La fama dei suoi dottori era tale da richiamare nella città campana malati e studenti da tutta la Cristianità. La sua storia desta meraviglia ancora oggi.

 

La scuola medica in una miniatura del Canone di Avicen



«Quattro sono le città che eccellono sulle altre: Parigi nelle scienze, Salerno nella medicina, Bologna nel giure ed Orleans nelle arti attoriali»

(Tommaso d'Aquino nel De virtutibus et vitiis)

Nella storia della "Scuola Medica" si possono distinguere tre periodi:


Quante volte ci siamo sentiti ripetere suggerimento del tipo “dopo pranzo riposa, dopo cena passeggia”, oppure “la prima digestione avviene in bocca”, o ancora perché il sonno sia ti sia lieve, la tua cena sia breve”. Saggi consigli, il cui fine è suggerire uno stile di vita attento a evitare inutili complicazioni, senza dover ricorrere a farmaci o a cure mediche. Perle di saggezza popolare si potrebbe pensare, si tratta invece di traduzioni di locuzioni latine, facilmente rintracciabili nel “Regimen Sanitatis Salernitanum”, ovvero la Regola Sanitaria Salernitana, un compendio in versi redatto molto probabilmente tra il XII e il XIII secolo, ma alcuni sostengono addirittura intorno alla metà dell’XI secolo, ma alcuni sostengono addirittura intono alla metà dell’XI: un testo che raggiunse un’incredibile popolarità e fu tenuto in grande considerazione come base per l’insegnamento e la divulgazione medica fino al XIX secolo. Un primato invidiabile: tradotto quasi in tutte le lingue europee, oggi se ne contano una quarantina di versioni. Ed è solo uno dei grandi lasciti dalla Scuola Medica Salernitana, quella che viene considerata unanimemente la prima e più importante istituzione medica europea, antesignana delle moderne università.

 

Mulieres Salernitane.


Trotula, la più famosa delle mulieres di Salerno, da un manoscritto del XII-XIII secolo

Lo statuto della Scuola Medica Salernitana non precludeva alle donne la professione medica. Il caso di Trotula de Ruggero, divenuta celebre per il suo impegno nello studio di discipline come la ginecologia e l’ostetricia, non è quello quindi un caso limitato. Altre figure riuscirono a ritagliarsi grande notorietà. Rebecca Guarna, Abella Salernitana, Mercuriade e Costanza Calenda. Nell’”Historia Mercuriade Ecclesiastica” di Orderico Vitale veniamo a sapere che anche la seconda moglie di Roberto il Guiscardo, Sichelgaita di Salerno, ebbe modo di formarsi nell’ambiente della Scuola campana. Il ruolo di queste donne non era limitato allo studio o all’insegnamento della materia medica, ma anche alla produzione di opere teoriche, alcune delle quali sono arrivate sino a noi.

Oltre al famoso “De passionibus mulierum ante in et post partum”, a Trotula sono attribuiti altri due trattati: “De ornatu mulierum” e “Pratica secundum Trotam”. Altrettanto conosciuti sono 2 testi di Abella Salernitana: “De atrabile” e “De natura seminis humani”. Nel primo l’argomento è la bile nera, nel secondo la natura del seme umano. Questa prolifica attività femminile è senza dubbio un altro esempio del grande influsso che ebbe la scuola nel panorama dell’Europa medievale.

  





Sintesi tra Oriente e Occidente. Una fama davvero meritata come dimostrano le parole di Tommaso d’Aquino: “Sono … 4 le città preminenti, Parigi nelle scienze, Bologna nelle leggi, Orleans nelle arti attoriali e Salerno nelle medicine”. Era la metà del XIII secolo e in Europa nessun’altra istituzione poteva anche lontanamente sperare di eguagliare tale primato. E tutto questo grazie ad un approccio più articolato della materia che, basandosi su una mirabile sintesi della tradizione greco-latina e le più avanzate conoscenze arabe ed ebraiche, permise di introdurre nuove metodologie e regole di profilassi. Rispetto alla medicina altomedioevale, legata a una visione imperniata sulla fede (la malattia era intesa come una sorta di punizione divina a cui ci si poteva opporre se non con la preghiera), fu dato sempre più peso alla conoscenza e all’esperienza diretta, aprendo in tal modo la strada a un più attuale metodo empirico, sia come rimedio che come prevenzione.

Come nacque questa celebre Scuola e perché proprio a Salerno? Se il periodo di massimo splendore si colloca all’incirca tra l’XI e il XIII secolo, dopodiché si registra una lenta ma inesorabile decadenza, sulle origine e sulla fase formativa (X-XI) le notizie sono scarse. Ci viene però in aiuto la tradizione: in alcune testimonianze più tarde si racconta infatti che un giorno un pellegrino di origine greca di nome Pontus, giunto a Salerno, avesse trovato rifugio per passare la notte sotto gli archi dell’acquedotto dell’Arce. Scoppiato un violento nubifragio, fu presto raggiunto da altri viandanti, l’arabo Abdela e l’ebreo Helinus, e in particolare il laitno Salernis, che nel frattempo si era procurato una seria ferita. Mentre Salernus si medicava, gli altri lo osservavano incuriositi dal modo in cui tratta la sia piaga e dopo un breve conciliabolo i 4 scoprirono di essere tutti medici. Fu così che decisero di unire le loro scienze e far sì che fossero messe al servizio del prossimo. Che cosa ci sia di vero in questa leggenda non è dato sapere, di certo però già nel IX secolo la città, particolarmente apprezzata per la salubrità del suo clima, era nota per l’abilità dei suoi medici. “Erano privi di cultura letteraria, ma forniti di grande esperienza e di un talento innato”, ha scritto l’accademica Cecilia Trocchi. Non stupisce quindi che il vescovo Adalberone di Laon (947-1030), noto per i suoi componimenti poetici in latino, abbi voluto a tutti i costi – era il 984 – farsi curare nella città campana. Così cine altri eminenti personaggi di quell’epoca.

La nascita, e il successivo sviluppo della Scuola Medica Salernitana, sono spiegabili solo tenendo conto di due fattori: la posizione strategica della città al centro del Mediterraneo con il suo porto trafficatissimo, e la capacità di recepire e la capacità di recepire e metabolizzare gli svariati influssi culturali provenienti dal mondo arabo e greco-bizantino. Nel suo porto giunsero figure illustri come il grande medico Costantino l’Africano (1020-1087) che per diversi anni vi risiederò, traducendo dall’aravo alcuni dei testi medici più importanti come il “Tegni o Microtegni” e il “Megategni” di Galeno, il “Viaticum” di al-Jazzar, gli “Aphorisma” e i “Prognostica” di Ippocrate, il “Liber febrium”, il “liber urinarium”, e il “Liber divisionum”, di Isaac Israeli  (il Vecchio), così come il “Liber experimentorium” di Rhaze: il massimo della scienza dell’epoca. A Salerno arriveranno con largo anticipo anche le opere di uomini di scienza come Avicenna e Averroè. Sarà proprio questo vivace clima culturale e far sì che tratta di medicina antica o straniera trovino diffusione in un ambiente in cui erano presenti dottori di grandi talento.

 

L'acquedotto medioevale di Salerno

Un faro di scienza nel Mediterraneo. Ma anche gli ordini religiosi in città (i monasteri di Salerno e la vicina abbazia di Cava) contribuirono a diffondere quella conoscenza in materia medica che nei secoli dell’Alto Medioevo era rimasta celata tra le mura dei conventi. Lo dimostra il grande contributo di 3 figure dell’ordine benedettino attive in città nell’XI secolo: l’abate di Montecassino Desiderio (futuro papa Vittore III), il vescovo Alfano e papa Gregorio VII. Ed è proprio tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo, come le cronache del tempo sottolineano,che la Schola Salerni comincerà ad attrarre sempre più insistentemente malati da tutta Europa, consapevoli che le nuove conoscenze di quella scuola erano quelle che davano loro le maggiori probabilità di guarigione. Nel frattempo, arrivano a Salerno un gran numero di allievi, desiderosi di apprendere i segreti di quella scuola, unica del suo tempo, in cui cultura scientifica e lavoro pratico andavano di pari passo. Ecco perché in poco tempo la sia fama crebbe sempre più, senza una possibile concorrenza. Non stupisce perciò che nel 1231 l’illuminato Federico II, emanando la Costituzione di Melfi, abbia stabilito che la pratica medica potesse essere esercitata solo ed esclusivamente da dottori in possesso di diploma rilasciato dalla Schola.

Ma dov’era esattamente la scuola, dove si tenevano le lezioni? Secondo lo storico Riccardo Avallone le sedi cambiarono nel tempo: il primo nucleo pare fosse ubicato nel castello di Arechi o nelle strutture ad esso adiacenti. Altrettanti probabili sedi furono le cappelle di Santa Caterina, in prossimità del Duomo (oggi sale i San Tommaso)ì e San Lazzaro). Quando poi gli ambienti di Santa Caterina divennero inagibili, la sede principale si sarebbe spostata nel palazzo dell’antica pretura, localizzato in via Trotula de Ruggiero. L’ultima collocazione in ordine temporale sarebbe stata invece l’ex seminario arcivescovile.

Sul piano dell’ordinamento, in base ai documenti disponibili, per gli allievi era previsto un curriculum studio rum suddiviso in 3 anni di logica, 5 di materie mediche (con lezioni di anatomia e chirurgia) e almeno uno di apprendistato presso un medico già avviato. Ogni 5 anni, inoltre, era stabilito che si effettuasse un’autopsia. Alle materie mediche o affini si aggiungevano anche corsi di teologia, legge e filosofia. Assoluta novità per il tempo è che ai corsi erano ammesse anche le donne, sia come studentesse che in qualità di insegnanti. Sul piano delle materie di insegnamento si faceva una netta distinzione tra teoria e pratica: nel primo caso si fornivano tutte le informazioni necessarie alla comprensione della struttura del corpo umano e il suo funzionamento; nel secondo le regole di profilassi e i modi per operare. Se il fondamento teorico si basava sui principi enunciati nei vari trattati di Ippocrate e Galeno (in campo filosofico predominava Aristotele), sul piano pratico si sperimentarono nuove tecniche come la chirurgia, ch presto assurgerà al grado di scienza, grazie a una figura come Ruggiero di Fugaldo. A lui dobbiamo il primo trattato sulla materia, presto diffusosi in tutto il continente. A compimento del loro ciclo di studi, gli studenti erano sottoposti a un rigoroso esame per poter ottenere il privilegio dottorale che sarebbe servito per esercitare la professione medica o l’insegnamento. Ciò avveniva nell’Almo Collegio, un corpo accademico indipendente dalla scuola, organizzato come una struttura professionale che agiva anche per tutelare gli interessi della professione e porre freno a quelli che venivano definiti i “medicastri” senza abilitazione. Secondo i documenti il conferimento delle lauree aveva luogo nella Chiesa di San Pietro a Corte o nella Cappella di Santa Caterina. Il giuramento era il momento culminante del lungo iter di studi: il medico si impegnava, dinanzi a Dio, a mettere la sua conoscenza al servizio dei bisognosi senza chiedere nulla in cambio, mantenendo uno stile di vita onesto. Dopodiché l’autenticità dei privilegi dottorali, che valevano ovunque il laureato decidesse di operare, veniva attestata dalla firma di un notaio.

Guarigioni leggendarie.

La fama della Scuola Medica di Salerno è testimoniata da alcune leggende arrivate sino a noi. Una delle più affascinanti, rappresentata persino su una miniatura che fa bella mostra sul frontespizio di una copia del Canone di Avicenna, narra la storia del cavaliere Roberto di Normandia colpito da una freccia avvelenata durante una crociata in Terra Santa. Visto che le sue condizioni peggioravano continuamente, nel corso del viaggio che avrebbe dovuto riportarlo in Inghilterra, il suo seguito decise di fare una sosta a Salerno per avere il parere dei medici locali. Il responso fu drastico: si sarebbe salvato solo se qualcuno fosse stato disposto suggere il veleno dalla ferita, avvertendo però che sarebbe morto al suo posto. Il cavaliere non volle che nessuno si avvicinasse, preferendo lasciarsi morire, pur di lasciar morire un altro al suo posto. Durante la notte, però, la moglie Sibilla, senza svegliarlo, si coricò al suo fianco e succhiò il veleno dalla ferita. Roberto ebbe salva la vita, ma per Sibilla non ci fu nulla da fare. Una leggenda ancora più nota – decantata addirittura in un famoso poema del XII secolo attribuito a Hartmann von Aue – riguarda il barone di Svia Enrico, famoso per ricchezza e prestigio. La sua esistenza fu però funestata dai terribili sintomi della lebbra che, in poco tempo, incominciarono a devastare il suo corpo. Enrico non si rassegnò a una così terribile sorte e volle a tutti i costi che i medici di Montpellier lo visitassero. Nessuno fu però in grado di trovare una terapia. Solo dopo aver incontrato un medico che aveva studiato a Salerno, venne a sapere che una soluzione in realtà c’era, per quanto drastica: solo immergendosi nel sangue di una vergine in età di matrimonio, avrebbe potuto mettere fine alle sue sofferenze. Resosi conto di quanto crudele fosse un simile rimedio, Enrico si rassegnò al suo destino: donò tutte le sue ricchezze e si ritirò in un casa di campagna isolata. Ma proprio in quella proprietà conobbe una fanciulla di nome Elsie, figlia del contadino che l’amministrava, che non ebbe terrore della sua condizione e si innamorò di lui. Dopo essere venuta a sapere che esisteva una soluzione per guarirlo, la giovane convinse Enrico a intraprendere un lungo viaggio fino a Salerno per mettere in pratica il proposito. I medici tentarono in tutti i modi di farla desistere, ma senza successo: era determinata a donare la vita per il suo amato. Ma quando Elsie fu adagiata sul tavolo operatorio, Enrico intervenne all’ultimo secondo, pensando alla mostruosità dell’azione. Si oppose all’estremo sacrificio, rassegnandosi a un’esistenza da lebbroso. Il suo altruismo fu però ricompensato. Sulla via del ritorno infatti accadde il miracolo: una guarigione improvvisa e inattesa. Fu così che i due giovani poterono sposarsi e trascorrere il resto della vita insieme.

 

Medicus et clericus. Nel corso del tempo, il corpo insegnanti andò incontro a una significativa trasformazione: l’originario medicus, colui che educava basandosi sulle conoscenze derivanti dalla pratica nell’attività di tutti i giorni, fu presto sostituito dal medicus et clericus che all’esperienza aggiungeva anche la conoscenza della materia medica. Una figura chiave in tal senso, con cui una unanimemente si fa iniziare il periodo aureo della Scuola Medica, è il chierico italiano Garioponto, grande conoscitore dei testi di Ippocrate e Galeno, che operò e insegnò principalmente in malattie urinarie, calcoli della vescica e dei reni. Negli stessi anni fu attiva anche Trotula de Ruggiero, un medico donna che raggiunse gli onori approfondendo discipline come la ginecologia e l’ostetricia. A lei è attribuita la pubblicazione di un trattato fondamentale di un trattato fondamentale come il “De passionibus mulierum ante in et post partum”.

Una delle nozioni in esso contenute fu ad esempio la tecnica di saturazione chirurgica delle lesioni perineali. L’apporto di queste figure nella crescita della scuola, in particolare nel secolo successivo, è di fondamentale importanza. Altri comunque seguirono le loro orme: il Maestro Salerno ad esempio, autore di due opere fondamentali “Tabulae Salernitanae” e “Compendium”, che trattavano di terapie generali e di preparazione dei farmaci, e anche Matteo Plateario (il Giovane), discendente di una famiglia di illustri cultori dell’arte medica, che affrontò il tema delle piante e della sofisticazione dei prodotti medicinali. Alcuni di loro ebbero modo di prestare servizio anche nel corso di operazioni militari: basti ricordare Filippo Fundacario e Bartolomeo de Vallona che furono al servizio del duca di Calabria, Roberto d’Angiò, durante la spedizione in Sicilia del 1299.

La reputazione di questi uomini di medicina superò ben presto i confini italiani, arrivando a toccare ogni angolo d’Europa, tanto da dar vita a numerose leggende sulle loro capacità di curare malattie inguaribili.

 

Articolo di Antonio Ratti, giornalista e ricercatore storico, pubblicato su BBC History n. 97 – altri testi e immagini da Wikipedia.

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