martedì 28 luglio 2020

La battaglia di Belleau (1918)

La battaglia di Belleau (1918), la prima battaglia dei Marines in Europa.

Quei cani venuti dall’inferno.

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Marines statunitensi nel bosco di Belleau (1918).

Quando durante la grande guerra i francesi alle corde per l’attacco tedesco nei pressi di Reims consigliarono agli americani di ritirarsi. Il capitano Lloyd Williams rispose: “Diavolo, siamo appena arrivati”. Cominciava così la battaglia che avrebbe dato il via al mito del soldato a stelle e strisce statunitense.

 

In quella inutile strage che fu la Grande Guerra, la battaglia dei boschi di Belleau, nel Nord-Est della Francia, appare poca cosa se paragonata ai grandi scontri campali che si trascinarono per mesi sui vari fronti e che costarono centinaia di migliaia di morti. Eppure, anche Belleau Wood ha un post nella storia, per diverse ragioni. Innanzitutto, fu la prima battaglia in cui il corpo di spedizioni americano subì pesanti perdite: i marines registrarono il maggior numero di vittime della loro storia, fino alla Seconda guerra mondiale. Con il loro sacrificio, d’altro canto, gli stessi marines diedero prova della loro volontà e capacità di combattere, mettendo a tacere quanti potevano aver dubitato di loro. Entrati in guerra solo nel 1917, quasi tre anni dopo il suo inizio, gli americani dimostrono con i fatti di voler dare fino in fondo il proprio contributo alle operazioni sul fronte occidentale. Il desiderio di non sfigura nella ‘prova di fuoco’ fu più forte anche della prudenza e della logica, e li convinse ad eseguire ordini discutibili, che comportavano un costo elevato di vite umane per risultati irrisori.

Fu proprio ciò che accadde nel giugno del 1918 nel bosco di Belleau, a Ovest di Reims. L’offensiva di primavera sferrata dai tedeschi aveva colto di sorpresa le potenze dell’Intesa, strappando loro un’ampia fascia di territorio in direzione di Parigi dopo anni di stasi del fronte, impantanato nella logorante guerra di trincea. Ogni cittadina, ogni villaccio ceduto all’esercito tedesco, per la Francia e i suoi alleati era un ulteriore passo verso la capitolazione. Per contro, riconquistare il terreno perduto significava vanificare l’offensiva della Germania e, con ogni probabilità, rovesciare a proprio favore una volta per tutte le sorti del conflitto. Le truppe dell’American Expedionary Force (AEF) si erano distinte nella riconquista di Cantigny e di Chateau-Thierry. Dopo aver ripreso il controllo di quest’ultima città sul fiume Marna, in quella che oggi è un’amena regione di boscosi fondovalle e dolci colline trapunte di vigneti, ma che allora segnava la linea del fronte, la Seconda e la Terza Divisione dell’esercito statunitense si mossero in direzione Nord-Ovest, alla volta di Belleau. Fu qui che si trovarono la strada sbarrata da un bosco gremito di postazioni tedesche ben mimetizzate.

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Ritratto del generale John Joseph Pershing

L’American Expeditionart Frances (AEF)

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Ufficiali dell'AEF nel 1918

I marines che combatterono strenuamente al bosco di Belleau erano gli unici inquadrati nella Forza di spedizione americana (AEF) creata quasi da zero nel momento in cui, nell’aprile del 1917, gli USA dichiararono guera all’impero tedesco. Inizialmente 100mila, alla fine della guerra i militari americani salirono a 3 milioni; ma soprattutto l’esercito aveva conosciuto una rapida evoluzione, che l’aveva trasformato in uno dei migliori del mondo. Concorsero a questo risultato il progressivo ammodernamento dei mezzi, in particolare meccanizzati e corazzati, e l’esperienza acquisita sul campo dai comandanti, che seppero far tesoro dei precedenti errori e rimediare alle lacune tattiche. Il corpo di spedizione arrivò in Francia nel giugno 1917 e prese parte ai combattimenti per la prima volta in ottobre, presso Nancy. Mentre nella prima fase del loro impiego sul fronte occidentale le divisioni americane supportarono le difese di inglesi e francesi, in seguito appoggiarono gli attacchi di questi alle trincee tedesche e, dal maggio 1918, combatterono in piena autonomia, cogliendo il primo successo a Cantigny. In luglio furono le truppe francesi a supportare quelle americane. Il culmine di questa escalation dell’AEF si ebbe in settembre, quando il comandante in capo, generale John Pershing, un veterano delle guerre statunitensi nelle Filippine e in Messico, si trovò a guidare oltre 500mila tra americani e francesi nella più grande operazione offensiva fino allora mai intrapresa dalle forze armate degli Stati Uniti: la battaglia del saliente di Saint-Mihiel, seguita dall’offensiva agli ordini di Pershing furono oltre il doppio. Le due battaglie permisero alle forze dell’Intesa di riconquistare quasi 500 km quadrati di territorio francese spingendo la Germania alla resa. La fine delle ostilità colse i soldati d’oltreoceano schierati sulla linea del fiume Mosa. In totale, le perdite americane nella Grande Guerra, durante la quale furono schierati anche in Italia e in Russia, ammontarono a circa 120 mila caduti e il doppio di feriti.

 

Trappola fra gli alberi. Così descrisse le difese tedesche il colonnello Frederick Wise del 5° Reggimento marines, la cui quarta brigata era aggregata alla seconda Divisione: “In quel groviglio di boschi che copriva un poggio lungo un miglio e mezzo e largo un miglio, che saliva bruscamente dai campi che lo circondavano, spuntavano enormi massi tagliati da canaloni e burroni, e con un sottobosco così fitto che gli uomini vi avrebbero potuto passare a pochi metri di distanza, senza farsi vedere l’uno dall’altro. in quel groviglio c’erano mitragliatrici mimetizzate dietro cumuli di boscaglia, macigni e buche a prova di granata sotto i massi. Cecchini erano appostati sul terreno e sulle cime degli alberi. Veterani tedeschi combattevano strenuamente”. Si trattava di uomini della decima e della 237a Divisione dell’esercito del Kaiser Guglielmo II, a cui si aggiunsero nel corso delle battaglia unità delle divisioni 28, 87 e 197.

Nelle testimonianze dei sopravvissuti, la zona si trasformò, la zona si trasformò in un inferno, con i tedeschi che sparavano con ogni arma a disposizione: cannoni, mitragliatrici, fucili. Lungo la linea dei combattimenti, a ogni esplosione si levavano mucchi di terra, pezzi di roccia, schegge di alberi. Ma, come annotò Wise, “il peggio doveva ancora venire. Avevano i mortai di trincea nel Bosco di Belleau, e al momento giusto hanno iniziato a tirare contro di noi. Quei siluri aerei, lunghi più di un metro e pieni zeppi di TNT, volavano in aria e cadevano sul crinale dov’eravamo appostati, che letteralmente tremava ogni volta che uno di essi esplodeva”.

Invano i francesi avevano tentato di strappare al nemico quella massa buia di tronchi, cespugli e rami contorti e armi da guerra che sembrava riempire l’orizzonte. Il 1° giungo toccò agli americani provarci, sotto lo sguardo vigile delle “salsicce tedesche”, i palloni da osservazione che dall’alto non perdevano una loro mossa. Il compito che si presentò alla Seconda Divisione comandata dal generale James Harbord apparve subito proibitivo: per raggiungere il bosco bisognava avanzare su un campo di grano, completamente esposto al fuoco delle mitragliatrici e dell’artiglieria tedesca. Praticamente, un suicidio collettivo. I marines del 5° e del 6° Reggimento che rilevarono i soldati francesi in prima linea si sentirono dire che era inutile combattere e che avrebbero fatto meglio a ritirarsi. Il capitano Lloyd William, del 2° Battaglione, replicò risentito: “Ritirarci? Diavolo siamo appena arrivati!”. Williams non sopravviverà alla battaglia. inderogabili ragioni strategiche non lasciavano alternative. Parigi era distante appena 80 km e il contrattacco dell’Intesa, posto sotto comando del XXI Corpo dell’Armata francese doveva continuare. Eppure, a detta di molti storici, l’assalto a quello che gli americani chiamano “Belleau Wood” fu una mossa insensata. I massacri in cui si erano risolti attacchi simili contro zone densamente boscose sulla Somme e nel saliente di Ypres non avevano insegnato nulla. Lo storico e romanziera Thomas Fleming è arrivato a sostenere che i comandanti americani avrebbero dovuto rifiutarsi di eseguire gli ordini impartiti dai francesi. Le critiche non risparmiarono neppure il generale Harbord, un favorito del comandante in capo dell’American Expediotionary Forces (AEF), John Persing, per non aver considerato l’opportunità di concentrare il fuoco dell’artiglieria così da ripulire il bosco prima dell’attacco via terra.

 

L’insensato ordine di attacco.

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Per la descrizione della battaglia di Belleau Wood disponiamo di un resoconto di prima mano: è opera di Frederick Wise, che appena promosso colonnello si trovò a comandare il 2° battaglione del 5° Reggimento marines. La sua cronaca, quasi in diretta dal fronte, è assai ricca di notizie e di partecipazione emotiva. “Vidi il maggiore John A. Hughes, al comando del 1° Battaglione del 6° marines, che aveva compiuto l’ultimo attacco all’estremità meridionale del Bois de Bellau e lo teneva ancora. Il maggiore Hughes confermò la mia idea che era quasi impossibile prendere quella posizione con un attacco frontale. Dopo aver parlato con lui sono tornato sul crinale, contento di poter colpire il nemico da dietro invece di dover fare un attacco frontale. Venne la notte. Nel buio si presentò una staffetta. Disse: ‘un messaggio signore’. Guardai il mio orologio da polso. Mezzanotte. Ancora quattro ore prima dell’attacco. Spiegai il messaggio che mi aveva consegnato, accucciato e puntai la luce della torcia elettrica sul foglio. Lessi quelle righe dattiloscritte. Non potevo credere ai miei occhi. Al mio battaglione fu ordinato di attaccare il Bois de Belleau DAL BORDO MERIDIONALE alle ore 4:00 di quella mattina, dopo un bombardamento. Era firmato ‘Harbord’. Ero sorpreso. Tutti i miei piani erano saltati in aria. Sapevo che quel pezzo di carta che tenevo in mano significava l’inutile morte della maggior parte del mio battaglione. “I piani sono stati cambiati” ho dovuto dire ai miei subordinati. Rimasi là sotto alcuni alberi vicini a un fosso, sul bordo meridionale del Bois de Belleau, e nella luce crescente osservai il mio battaglione prendere posizione. All’improvviso cominciò il bombardamento, alcune centinaia di metri davanti alle nostre lineee. Fra le esplosioni potevamo sentire le mitragliatrici tedesche nei boschi rianimarsi. Non potevano ancora vederci, ma sapevano dalle bombe che stava per arrivare l’attacco. Il fuoco dei cannoni cessò e i nostri strisciarono avanti. I fischi dei comandanti dei plotoni suonarono su e giù lungo la linea. Il battaglione si alzò in piedi. Infilata la baionetta, il fucile pronto a far fuoco, gli uomini iniziarono la loro lenta avanzata. Rimasi lì a guardarli andare avanti. I tedeschi  ora potevano vederci. Qua e là alcuni uomini cadevano. Ma l’avanzata proseguiva. I tedeschi non avrebbero potuto avere bersagli migliori neppure se avessero ordinato loro l’attacco. La raffica continuava a crepitare. A circa 250 metri da essa il battaglione andava avanti, uomini che cadevano. Avanzavano metro dopo metro. Pochi minuti dopo, li vidi sparire nel bosco. Quel bosco sembrava aver inghiottito la raffica senza sforzo. Adesso aveva inghiottito il battaglione”.

 

 

“Volete vivere per sempre?”. Entrati in linea, i marines della Seconda Divisione USA si appostarono a Nord del villaggio di Lucy-le- Bocage; il 5° Reggimento si chinerà a Ovest, il 6° a Est. La maggior parte dei settori non disponeva di mitragliatrici. Alla fattoria Les Mares, i cecchini del 5° cominciarono a prendere di mira i tedeschi, che il 4 giugno decisero di attaccarli. I marines del 2° Battaglione che presidiavano la fattoria accusarono il mancato coordinamento con il 1° Battaglione, alla loro destra, che rimase fermo sulle sue posizioni, vicino a Champillon. I tedeschi però, non riuscirono ad approfittarne e furono respinti, grazie al sopraggiungere della brigata di artiglieria della divisione e dei battaglioni con le mitragliatrici. Come premio, i soldati americani rimasero a stomaco vuoto, dal momento che le cucine da campo erano rimaste per stada. L’indomani il comando francese ordinò di prendere il bosco di Belleau, sostenendo che il nemico ne teneva solo un angolo. In realtà, come già detto, l’esercito tedesco l’aveva interamente occupato e trasformato in un munito bastione. Senza che fosse stata effettuata alcuna ricognizione per confermare la posizione del nemico, alle 5 del mattino il 1° Battaglione del 5° Reggimento attaccò a Ovest del bosco, conquistando la Collina 142, strategicamente indispensabile per sferrare un assalto alla zona coperta dagli alberi. Nonostante fosse stato preparato in poco tempo, l’attacco ebbe successo. Cominciò con l’impiego di due sole compagnie e l’arrivo tempestivo di altre due evitò il peggio: un contrattacco tedesco venne respinto. Dodici ore più tardo, i marines attaccarono i boschi da Ovest e da Sud, con l’obiettivo di conquistare il villaggio di Bouresches, sul margine orientale dagli alberi. I soldati che avanzavano attraverso i campi furono falciati dalle mitragliatrici. Per esortare i suoi uomini, il sergente artigliere Dan Daly gridò loro: “Venite figli di puttana, volete vivere per sempre?” Come dire: prima o poi dobbiamo tutti morire, tanto vale per una giusta causa. La manovra, su cui pesarono ancora difetti di coordinamento nelle file americane, sortì il modesto effetto di conquistare un piccolo angolo del bosco nel margine meridionale a un alto prezzo: un battaglione ne uscì decimato. Bouresches fu infine preso da due compagnie del 2° Battaglione del 6° Reggimento. Rifornirle risultò però impossibile, dal momento che ogni tentativo si esponeva al fuoco dell’artiglieria tedesca. In quelle drammatiche circostante, il coraggio dei marines riuscì a supplire alla mancanza di collegamenti. Ci furono anche episodi eroici. Il sottotenente del servizio medico dei marines Weedon Osborne ricevette la medaglia d’onore dopo essersi sacrificato per salvare il capitano Duncan, al comando della compagnia che aprì la strada per la conquista del villaggio. Nella stessa giornata, gli sforzi di occupare la stazione appena fuori Bouresches si infransero contro le difese tedesche. La data del 6 giugno 1918 segnò così ul giorno più nero della storia dei marines, che persero 1087 uomini fra caduti e feriti.

 

Feroci corpo a corpo. Dopo un nuovo attacco andato a vuoto, gli americani ricorsero all’artiglieria pesante. Per evitare di essere colpite, le unità che erano avanzate più in profondità dovettero ripiegare al margine del bosco. Il successivo assalto, l’11 giugno, permise di conquistare i due terzi del bosco di Bellaau, ma ancora con pesanti perdite. Un comandate di battaglione, il citato colonnello Wise, interpretò male le mappe e sbagliò la sua posizione. Dopo qualche giorno – in cui un altro ufficiale medico, il sottotenente Orlando Petty, ricevette la medaglia d’onore – il comandante della divisione chiese il cambio dei suoi uomini ormai sfiniti.

Il 13 giugno i tedeschi presero l’iniziativa, sostenuti dall’artiglieria di 3 divisioni, e per poco non riconquistarono Boureschese. I soldati inviata di rinforzo furono fatti bersaglio di bombe a gas. Il sergente artigliere Fred Stockam si guadagnò la nomina per la medaglia d’onore per aver soccorso un marine ferito, dandogli la propria maschera antigas. Stockam morirà pochi giorni dopo per gli effetti del gas. Esaurito il contrattacco tedesco, la fanteria riuscì a raggiungere i marines isolati nei boschi e a Bouresches. Il 18 del mese, truppe tedesche del 7° Reggimento fanteria della Terza Divisione ripresero ad attaccare le postazioni nemiche. Gli attacchi fallirono uno dopo l’altro e gli ufficiali dell’esercito contestarono apertamente le tattiche che erano stato loro ordinato di seguire. Il copione non cambiò neppure dopo che il comando del settore fu assunto dai francesi, con ulteriori perdite del 7° fanteria, investito da scariche di artiglieria e mitragliatrici. I marines si ripresentarono al fronte il 22. L’ordine impartito dai francesi era sempre lo stesso: conquistare il bosco di Bellau, a ogni costo. Per evacuare i feriti dopo un assalto che aveva portato a minime conquiste territoriali, furono necessarie 200 ambulanze. La battaglia fu infine risolta con l’impiego massiccio dell’artiglieria francese. Se l’ultimo pezzo di quel maledetto bosco non si poteva prendere, tanto valeva distruggerlo, albero dopo albero. Fu quello che fecero i cannoni dell’Intesa, martellando per 14 ore filate a partire dalle 3:00 del mattino del 25 giugno. Rimasti senza protezioni, i rimanenti avamposti tedeschi furono annientati uno a uno dai marines e dai mitraglieri dell’esercito. Dal luogo degli scontri provenivano i feriti americani, che si trascinavano sul terreno, e gruppi di decine di marines, in genere feriti anche loro.

Il giorno seguente, dopo aver respinto alcuni contrattacchi nelle prime ore del mattino, il maggiore Maurice Shearer poté finalmente trasmettere il laconico rapporto: “Boschi ora interamente – Corpo dei marines degli Stati Uniti”. In totale, le vittime americane nella battaglia furono 1800 a cu si aggiunsero 8mila feriti; dei tedeschi, si sa che ne furono presi prigionieri 1600. Dopo Chateau-Thierry, l’offensiva imperiale aveva subito un’altra battuta d’arresto che contribuì a fermarne lo slancio. Poche settimane dopo, l’Intesa avviò l’offensiva dei cento giorni, destinata a concludersi con la resa della Germania. per il generale Pershing “la battaglia di Belleau Wood fu il più importante scontro che le truppe americane abbiano mai avuto in terre straniere”. Il comandante delle forze statunitensi si chiese anche “perché i marines riescono dove i miei falliscono? Hanno lo stesso equipaggiamento e lo stesso addestramento”, innescando una rivalità tra esercito e marines destinata a durare a lungo. In effetti, i marines si distinsero come combattenti superiori alla media. Pur di avere ragione del nemico, erano arrivati a combattere corpo a corpo, con le baionette e perfino a mani nude. I francesi ribattezzarono in loro onore Belleau “bosco della brigata dei marines” e festeggiarono insieme il 4 luglio. Anche i tedeschi riconobbero il valore dell’avversario, a modo loro: da allora chiamarono i marines “Teufel hunden” cani del diavolo.

 

Articolo di Andrea Accorsi pubblicato su Storie di guerre e guerrieri n. 23 – altri testi e immagini da Wikipedia.


sabato 18 luglio 2020

Cleopatra una vita in lotta per il potere.

Cleopatra una vita in lotta per il potere.

Alla fine del periodo tolemaico le sorelle Cleopatra e Arsinoe si contesero il trono egizio. Grazie all’appoggio di Roma prevalse la prima che fece assassinare la rivale nel tempio di Efeso.

 Rilievo egizio raffigurante Cleopatra, a sinistra, e Cesarione (Tempio di HathorDendera).

Cleopatra è universalmente conosciuta come “la regina d’Egitto”. Ma ottenere quel titolo si rivelò un’impresa complessa, che la costrinse a spargere il sangue dei suoi familiari. La vita di Cleopatra fu una lotta costante e spietata per il potere, e sua sorella Arsinoe fu da sempre la sua peggiore nemica. Il faraone Tolomeo XII morì nel 53 a.C. lasciando quattro figli; le due sorelle e due maschi, furono chiamati come il padre, Tolomeo XIII e XIV. Tutti e quattro i discendenti crebbero insieme nel palazzo reale di Alessandria, dove furono scrupolosamente educati alla cultura greca, senza che tra loro si sviluppasse però alcun legame affettivo. Fin da piccoli si guardavano con reciproco sospetto, vedendo nei fratelli dei rivali nella lotta per il potere e perfino dei potenziali assassini. I quasi trecento anni di storia della dinastia telemaica gli avevano insegnato che il nemico più pericoloso era quello con cui si condivideva la casa. A confermarlo c’era quanto accaduto a un’altra sorella di Cleopatra, Berenice, giustiziata dal padre nel 51 a.C. per aver tentato di usurpare il trono d’Egitto. Alla corte tolemaica vigeva la legge della giungla e solo il più forte sarebbe riuscito a sopravvivere. Tolomeo aveva designato suoi eredi Cleopatra e il maggiore dei maschi. I due avrebbero dovuto regnare insieme come fratelli e sposi. Quando salirono al trono, Cleopatra VII aveva 18 anni e Tolomeo XIII solo dieci, ragion per cui la reggenza fu affidata al suo tutore, un eunuco di nome Potino, e al generale Achilla, capo dell’esercito. Tra Cleopatra e Tolomeo iniziarono ben presto i dissidi e vari vicissitudini costrinsero la regina ad abbandonare il Paese. Uno dei due troni rimase quindi vacante e Arsinoe pensò di poter occupare. Ma l’ambiziosa Cleopatra non si diede per vinta e dall’esilio riuscì a mettere insieme un esercito per provare a riconquistare il potere. Quando ormai l’inizio della guerra sembrava imminente, arrivò in Egitto una figura che avrebbe cambiato per sempre il destino suo e dei suoi fratelli: Giulio Cesare. Era il 48 a.C.

 


 Territori del regno d'Egitto a seguito delle donazioni di Alessandria e territori controllati da Marco Antonio. La legenda della mappa è la seguente:

     territori egizi pre-37 a.C.

     territori egizi dal 37 a.C.

     territori egizi dal 34 a.C.

     territori egizi acquisiti solo formalmente

     territori di Marco Antonio

 regni clienti di Marco Antonio

 

Cronaca di un odio regale.

 

47 a.C. Con l’aiuto di Giulio Cesare, Cleopatra sconfigge il fratello Tolomeo XIII.

46 a.C. Dopo la disfatta contro Cleopatra, Arsinoe viene portata a Roma ed esibita nel trionfo di Cesare.

44 a.C. Cleopatra fa assassinare Tolomeo XIV e designa come reggente suo figlio Cesarone.

41 a.C. Esiliata a Efeso, Arsinoe viene uccisa nel tempio di Artemide per ordine di Cleopatra.

 

Entra in scena l’imperatore. Cesare era arrivato in Egitto per dare la caccia a Pompeo, ma dopo la morte del rivale decise di prolungare la permanenza per riportare l’ordine nel Paese. Infatti, prima di morire Tolomeo XII aveva incaricato i consoli romani di farsi garanti del rispetto delle sue ultime volontà. Cesare avviò quindi una mediazione tra i due fratelli e riuscì a ottenere che Tolomeo XIII e Cleopatra si riconciliassero e tornassero a governare insieme. Tale soluzione fu un duro colpo per le aspirazioni di Arsinoe, che aveva appoggiato il fratello nella speranza che questi la nominasse regina. Cleopatra aveva messo a segno un punto, ma la partita era appena agli inizi. Arsinoe, infatti aveva perso l’Egitto, ma non era rimasta proprio a mani vuote. Nel tentativo di ingraziarsi i suoi ospiti, Cesare aveva restituito all’Egitto il controllo di Cipro, che i romani avevano annesso nel 58 a.C. Arsinoe e il fratello Tolomeo XIV furono nominati sovrani dell’isola, anche se si trattava di una carica puramente onorifica e i due rimasero ad Alessandria privi di qualunque potere effettivo. Ma Arsinoe aveva almeno ottenuto l’agognato titolo di regina. Questo successo non fece che accrescere le sue aspirazioni. Ormai non era più disposta ad accontentarsi: il vero obiettivo era il trono d’Egitto, in cui si concentravano il potere assoluto e il controllo delle immense ricchezze del Paese. Dal canto suo, Cleopatra non era disposta a lasciare che si ripetesse un episodio come quello della sua espulsione dal regno. Per questa ragione strinse un’alleanza politica – che ben presto divenne anche una relazione amorosa – con Giulio Cesare, che dopo la morte di Pompeo era diventato il nuovo uomo forte di Roma. Il loro rapporto dovette preoccupare non poco Arsinoe, che vedeva la sorella ricevere l’appoggio del potente esercito romano e il suo obiettivo allontanarsi sempre di più. Non restava altro che ritirarsi un secondo piano in attesa di qualche mutamento del panorama politico.

 

L’Egitto dei Tolomei.

Il territorio controllato dalla monarchia tolemaica si mantenne più o meno stabile dagli inizi della dinastia, registrando qualche piccola perdita nel corso dei secoli. Durante il regno di Cleopatra, Marco Antonio cedette all’Egitto Creta, Cipro e le città della Fenicia.

 

                                                         Tolomeo XII

Berenice IV                  Cleopatra VII           Arsinoe IV        Tolomeo XIII     Tolomeo XIV

                             Da Giulio Cesare         Da Marco Antonio

                 Tolomeo XV Cesarione     Alessandro Helios    Cleopatra Selene  Tolomeo Filadelfo

 

L’incendio di Alessandria.

Quando Cesare incendiò la flotta egizia, il fuoco si propagò ad alcuni edifici del porto – i magazzini del grano e le banchine. Cesare fu spesso accusato di essere anche il responsabile della distruzione della celebre biblioteca cittadina. Ma secondo la testimonianza di autori come Cassio Dione, a bruciare furono soo i volumi che si trovavano nei magazzini e non tutta la struttura con il suo contenuto.

Interno dell'antica Biblioteca di Alessandria secondo un'incisione ottocentesca di fantasia.

Arsinoe, trionfo di guerra.

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"Salvataggio di Arsinoe" (Tintoretto, 1555-1556, Gemäldegalerie Alte MeisterDresda)

Nel trionfo per celebrare la vit toria di Cesare in Egitto furono esibiti effigi e dipinti che illustravano i principali avvenimenti bellici. La stessa Arsinoe fu costretta a sfilare tra i prigionieri. I romani applaudirono le ricostruzioni delle morti di Achilla e Potino, ma si sdegnarono alla vista della nobile egizia incatenata e umiliata. Cesare decise così di liberarla al termine della processione. Dopo essere stata liberata da Giulio Cesare nel 46 a.C., Arsinoe sapeva che tornare in Egitto avrebbe significato una morte sicura per mano di Cleopatra. La scelta cadde su Efeso, nell’attuale Turchia, dove chiese asilo presso il tempio della dea Artemide. Qui condusse una vita tranquilla, priva dei lussi della corte egizia, ma senza mai dimenticare le sue origini regali, né probabilmente, le sue aspirazioni al trono. Il tempio originale di Artemide era considera una delle sette meraviglie del mondo antico, ma fu distrutto da un certo Erostrato, che lo diede alle fiamme nella speranza di passare alla storia. Secondo Plutarco, l’incendio avvenne nello stesso giorno della nascita di Alessandro Magno, il 20 o 21 luglio del 356 a.C. In seguito, gli efesini ricostruirono il tempio, ma quando Arsinoe vi si rifugiò era ormai lontana l’epoca in cui era stato uno dei santuari più famosi del Mediterraneo. 

Modellino del tempio secondo le più recenti ipotesi ricostruttive. Si noti la statua della dea al centro del grande edificio, posta in uno spazio vuoto: l'Artemision infatti doveva presentarsi come una sorta di cortile circondato da un immenso portico, il cui aspetto esterno tuttavia rievocava l'immagine canonica del tempio a capanna.

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Mappa dell'antica città di Alessandria

La guerra di Alessandria. La situazione non tardò a cambiare. La presenza di Cesare non era vista di buon grado dai sudditi egizi, che lo consideravano alla stregua di un invasore. Infastiditi dal sostegno che questi forniva a Cleopatra, i consiglieri di Tolomeo XIII decisero di approfittare del crescente malcontento popolare, Achilla organizzò le truppe egizie, le condusse ad Alessandria e si sollevò contro il console romano. Cesare aveva a disposizione solo due legioni, per un totale di quattromila soldati, mentre il potente esercito egizio poteva contare su 20mila effettivi e l’appoggio del popolo. Di fronte a questa enorme sproporzione di uomini, Cesare inviò innanzitutto una richiesta urgente di rinforzi a Roma. Quando poi ad Alessandria iniziarono gli scontri, trattenne con sé all’interno del palazzo reale i quattro fratelli, per evitare che si mettessero alla testa dell’esercito e legittimassero così l’insurrezione. Nelle settimane successive i romani furono impegnati nei preparativi bellici e dovettero fra fronte alle ripetute schermaglie che si susseguivano per le strade di Alessandria. Arsinoe capì che era arrivato il suo momento. Approfittando del fatto che tutti gli sguardi erano puntati su Tolomeo XIII, visto che Cleopatra aveva ormai dimostrato ampiamente la sua fedeltà a Cesare, Arsinoe fuggì dal palazzo insieme al suo ministro, l’eunuco Ganimede, si unì ai ribelli. l’esercito l’accolse a braccia aperte e la proclamò regina d’Egitto. Grazie alla sua pazienza e alla sua abilità aveva finalmente ottenuto il tanto agognato potere.

Per impossessarsi del trono non le restava che eliminare Cleopatra. Ma prima era necessario sconfiggere chi la proteggeva, ovvero Cesare e le regioni romane. La strada si rivelò più ardua del previsto. Il primo ostacolo che Arsinoe dovette affrontare fu Achilla, con cui si ritrovava in costante disaccordo. La regina di Cipro decise di risolvere il problema nel classico stile di famiglia: fece uccidere il generale e affidò il comando delle truppe al fedele Ganimede.

 

Cesare e Cleopatra durante il soggiorno alessandrino, da un dipinto di Jean-Léon Gérôme.

Da regina a schiava. Ganimede ottenne qualche piccolo successo iniziale, riuscendo a tagliare i rifornimenti d’acqua potabile ai romani, ma ben presto emersero i suoi limiti strategici che costarono all’esercito una serie di sconfitte. Il suo modo tirannico di esercitare il potere provocò un forte malcontento tra i ribelli, che supplicarono Cesare di liberare Tolomeo, promettendo in cambio di consegnarli Arsione e Ganimede. Il console romano acconsentì sperando che il giovane re avrebbe pacificato i suoi sudditi, ma la situazione non migliorò.

Nei mesi seguenti proseguirono gli scontri per terra e per mare, senza che nessuna delle due parti si avvicinasse alla vittoria definitiva. La prospettiva cambiò radicalmente quando giunsero in Egitto i rinforzi attesi da Cesare guidati dal re Mitridate I di Pergamo. Il console fece uscire le truppe romane da Alessandria per andare incontro agli alleati, mentre Tolomeo XIII, dal canto suo, cercò di impedirglielo. Alla fine Cesare e Mitridate riuscirono a ricongiungersi e lanciarono un attacco contro l’accampamento del sovrano egizio. Di fronte alla devastante offensiva romana, il re e i suoi uomini cercarono di fuggire lungo il Nilo su delle imbarcazioni, molte delle quali però si rovesciarono a causa del numero eccessivo di soldati a bordo. Il giovane faraone morì annegato, e con lui si inabissarono le speranze e le aspirazioni di Arsinoe, che fu fatta prigioniera. Cesare rientrò vittorioso ad Alessandria dove affidò il trono a Cleopatra e all’altro fratello, Tolomeo XIV. Ma nella pratica fu la regina ad accaparrarsi tutto il potere. Il console lasciò l’Egitto portando con sé Arsinoe per evitare una nuova ribellione contro la sorella, e la fece sfilare come prigioniera nel trionfo celebratosi a Roma nel 46 a.C. La vista della giovane sovrana egizia in catene commosse profondamente i romani, che non nascosero la propria indignazione nel vederla esibita come una schiava di guerra.

In risposta a queste proteste, Cesare decise di liberarla. Arsinoe si rifugiò a Efeso, sperando che la lontananza la proteggesse dalla sorella. Con la morte di Cesare nel 44 a.C., Cleopatra aveva perso il suo grande protettore e gli egizi tornarono a temere di ritrovarsi sottomessi ai romani. Per scoraggiare questa eventualità e rafforzare il suo ruolo, Cleopatra doveva rinnovare il suo legame con Roma. L’occasione si presentò nel 41 a.C., quando Marco Antonio la convocò per un incontro a Tarso. In quel momento iniziò non solo una delle vicende amorose più celebri della storia, ma anche una solida alleanza politica molto proficua per entrambe le parti. La posizione strategica e le ricchezze dell’Egitto potevano permettere ad Antonio di aiutare il suo progetto di organizzazione dell’Oriente, mentre Cleopatra puntava a conservare l’autonomia del Paese e ampliare i territori sotto il suo controllo.

 

Testa di Tolomeo XII Aulete, padre di Tolomeo XIII (Museo del LouvreParigi)

La vendetta va servita fredda. Nel corso delle trattative, Cleopatra chiese la testa di Arsinoe. Dopo tanti anni non l’aveva ancora perdonata. E ben sapeva che, finché la sorella fosse rimasta invita, non avrebbe potuto dormire sonni tranquilli. Marco Antonio si affrettò a soddisfare le richieste della sua nuova alleata e amante. I suoi emissari andarono a caccia di Arsinoe e la trovarono a Efeso, la città dell’Asia Minore dove si era rifugiata dopo essere stata liberata da Cesare. Conduceva una vita tranquilla, come supplice nel tempio di Artemide, ma non aveva rinunciato alla sua dignità regale, e il sacerdote del luogo continuava a riservarle il trattamento dedicato ai sovrani. Sebbene avesse accettato la vittoria della sorella, Arsinoe sperava ancora che l’instabilità della situazione politica egizia le offrisse un’ultima opportunità di recuperare quel ruolo che riteneva spettarle.

Ma le sue illusioni svanirono di colpo quando vide arrivare gli uomini di Marco Antonio incaricati di portare a termine la vendetta di Cleopatra. I mercenari non mostrarono la stessa pietà che i romani avevano provato guardandola sfilare in catene. Non esitarono neppure di fronte alla sacralità di un luogo come il tempio di Artemide. Strapparono Arsinoe ai protettori della dea e la uccisero a sangue freddo. Dall’altra parte del Mediterraneo, Cleopatra brindò a questo crimine brutale mentre assaporava i piaceri della vita tra le braccia del suo potente amato. Con la morte di Arsinoe, non le restavano più fratelli vivi. Finalmente poteva godersi il trono in tutta tranquillità.

 

Articolo di Vanessa Puydas Rupérez centro studi del Vicno oriente e la tarda antichità dell’università di Murcia pubblicato su Storica National Geographic del mese di febbraio 2019 – altri testi e immagini da Wikipedia.


giovedì 9 luglio 2020

Luigi XIV splendido guerrafondaio.

 

Luigi XIV splendido guerrafondaio.

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Ritratto di re Luigi XIV di Francia di Hyacinthe Rigaud1702. Oggi questo dipinto è conservato nel Museo del Louvre a Parigi
Re di Francia e di Navarra
Stemma

 

Il Re Sole ha lasciato un segno nella Storia non solo per lo splendore della sua corte, per la cultura e il mecenatismo che lo hanno contraddistinto, ma anche perché fu lui a rendere grande la Francia, grazie soprattutto all’esercito, potente e efficiente, che vinse mille battaglie e allargò i confini del regno.

 

Ormai anziano, malato e giunto alla fine dei suoi giorni, per il re Sole, Luigi XIV, fu tempo di bilanci. Ripercorrendo i 54 anni di regno, dei quali ben 34 lo avevano visto combattere per realizzare le proprie ambizioni, constatò con amara sincerità di “aver amato troppo la guerra”. Più delle scintillanti feste nei suoi sontuosi palazzi, più delle sue innumerevoli amanti, più dell’ebbrezza del potere assoluto, Luigi XIV infatti amò la guerra e con quelle parole pronunciate sul letto di morte volle riassumere il suo regno e la sua più duratura eredità nella Storia. Scrisse Voltaire: “che egli bramasse appassionatamente la gloria, più che le conquiste stesse (le guerre di Luigi XIV). Luigi di Borbone fu incoronato re quando aveva appena 4 anni, ma ascese al potere assoluto solo nel 1661, dopo la morte del cardinale Giulio Raimondo Mazzarino, al quale sua madre, Anna d’Austria, aveva affidato il governo effetti del Paese.

Con 18 milioni di abitanti, la Francia era allora di gran lunga la nazione più popolata d’Europa – l’Austria degli Asburgo ne contata 8, la Spagna e Inghilterra 6 – ma “il disordine vi regnava sovrano”, annotò Luigi nelle sue Memorie. Un Paese grande e prospero, all’avanguardia nello sviluppo agricolo e ben avviato in quello commerciale e industriale, ma privo di peso politico e ancora feudale nella sua struttura più intima, con un potere frammentato nelle mani di una classe nobiliare senza altre ambizione che quella di conservare i propri privilegi.

 

Territori del regno di Francia e conquiste di Luigi XIV dal 1643 al 1715

Cominciò dall’esercito. Per diventare il Re Sole, Luigi dovette dare un obiettivo a quella nobiltà cinica e demotivata, e ci riuscì imponendo ad essa per prima, ma anche a tutto il popolo, il dovere  di mettersi al servizio della corona e di realizzare i suoi sogni di un Francia più grande e potente. Fu lui l’inventore del concetto, caro a tutti i francesi, di grandeur.

Era la premessa di una lunga stagione di guerre. Gli obiettivi territoriali di Luigi XIV erano ambiziosi: l’estensione della Francia su quelli che egli considerava i suoi confini naturali, dal Reno, a Est, fino ai Pirenei, a Sud. In particolare, le sue mire sul versante orientale riguardano territori di lingua francese – l’Artois, la Lorena, la Franca Contea – ma anche provincie storicamente estranee alla Storia del Paese, come le Fiandre spagnole e l’Alsazia. Mise così in gioco l’equilibrio tra i poteri delle nazioni europee, e tutte le grandi potenze continentali si coalizzarono per contrastare quello che era esplicitamente un progetto egemonico.

Ma prima di combattere i nemici esterni, Luigi dovette fare i conti con quelli interni. L’esercito che avrebbe dovuto realizzare i suoi ambiziosi disegni, infatti, era nelle peggiori condizioni possibili. Solo 70mila uomini, oltretutto indisciplinati, scarsamente addestrati, sottoposti a una gerarchia corrotta e inefficiente. I gradi non si guadagnavano con il valore ma si acquistavano.

Come era accaduto per la sua ascesa al potere, resa possibile dalla morte del cardinale Mazzarino, anche in questo caso fu la morte di un anziano notabile a spianargli la strada. Il duca di Epernon, Bernard de Nogaret de la Valette, rivestiva infatti il ruolo di Colonnello Generale della Fanteria, un incarico chiave nell’amministrazione francese dell’epoca, perché da lui dipendeva tutta la gestione delle Forze Armate francesi, il cui poter, affermò Luigi nelle sue Memorie, “era infinito, superiore a quello stesso re”. Tra le varie prerogative del Colonnello Generale, la più importante era l’assegnazione delle commissioni da ufficiale: un sistema, allora in uso in tutta Europa, mediante il quale l’incarico di colonnello comandante di un reggimento era un vero e proprio investimento economico riservato ai nobili più facoltosi. Questi comperavano il titolo dal Colonnello Generale, divenendone a tutti gli effetti il proprietario, e poi lucravano sulle spese del suo mantenimento, che erano a carico delle casse reali. Un mercato estremamente lucroso: in questo modo il Colonnello Generale poteva esercitare un’enorme influenza sulla nobiltà, non solo assegnando gli incarichi ai propri amici, ma soprattutto chiudendo un occhio, o entrambi, sulle loro malversazioni. Morto de La Valette, Luigi prese nelle sue mani anche questo potere, abolì l’incarico di Colonnello Generale e avviò una profonda opera di ristrutturazione delle Forze Armate, affidando questo compito a un uomo che può essere considerato – al parti dello stesso re – uno dei più grandi riformatori militari di tutti i tempi: François Michel le Tellier, marchese di Louvois. Competente e risoluto, appoggiato senza riserve dal re, trasformò in pochi anni un’armata fatiscente in un’efficiente macchina da guerra.

Il grado di colonnello, con l’annessa proprietà del reggimento, rimase oggetto di compravendita dei nobili, ma il comando effettivo dei reggimenti fu loro sottratto e trasferito a militari di professione con gradi creati ad hoc: tenente colonnello, comandante del reggimento, mentre i maggiori comandavano i battaglioni. Questa riforma fu completata nel 1667, quando Luigi creò che a questo incarico potessero accedere anche i tenenti colonnelli, definendo in questo modo una via interna all’esercito di avanzamento per merito agli ufficiali più dotati, indipendentemente dalla loro nobiltà o ricchezza, e contemporaneamente conferendo al suo esercito una solida ossatura professionale.


 

Mappa dell'Europa dopo il trattato di Utrecht.

Le principali battaglie del Re Sole.

In trent’anni di guerre, non tutte con esito favorevole alla Francia, il Re Sole allargò notevolmente i confini del suo regno, anche se a costo di insanabili crisi economiche, annettendosi l’Alsazia, Metz, Toul, il Rossiglione, l’Artois, le Fiandre francesi, Cambrai, la Contea di Borgogna, la regio della Saar, l’Hainaut e la Bassa Alsazia. Ecco in dettaglio 4 delle sue principali battaglie.

 

GUERRA OLANDESE (1672-1678)

Battaglia di Seneffe

Località: Belgio

Data: 11 agosto 1674

Comandante francese: principe Luigi II di Borbone-condé.

Comandante avversario: principe Guglielmo III d’Orange.

Avversari: Stati tedeschi, Spagna, Olanda.

Forze in campo: 44000 francesi contro 65000 alleati.

Perdite: 8000 francesi, 20000 alleati.

Esito: vittoria francese.

GUERRA OLANDESE (1672-1678)

Battaglia di Entzheim

Località: Alsazia, Francia

Data: 4 ottobre 1674

Comandante francese: visconte di Turenne.

Comandante avversario: principe Alexander von Bournonville.

Avversario: impero asburgico.

Forze in campo: 22000 francesi contro 38000 imperiali.  

Perdite: 3500 francesi, 4000 imperiali

Esito: vittoria francese.

GUERRA DELLA GRANDE ALLEANZA (1688-1697)

Piano di battaglia - 4 ottobre 1693: si nota chiaramente la disposizione, prima e durante lo scontro, delle due armate (a sinistra i francesi, a destra gli alleati) nella piana compresa tra Piossasco, Volvera ed Orbassano

Località: Marsaglia, presso Torino

Data: 4 ottobre 1693.

Comandante francese: maresciallo Nicolas Catinat.

Comandante avversario: duca Vittorio Amedeo II

Avversari: Spagna e Savoia

Forze in campo: 35000 francesi contro 30000 spagnoli e savoiardi.

Perdite: 1800 francesi, 10000 alleati.

Esito: vittoria francese.

GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA (1702-1713)

Bataille Malplaquet.jpg

La battaglia di Malplaquet, dipinto del XVIII secolo.

Battaglia di Malplaquet

Località: Francia

Data: 11 settembre 1709

Comandanti francesi: duca de Villars e duca de Bouffiers.

Avversario: Grande Alleanza

Forze in campo: 100-120mila alleato contro 90mila francesi

Perdite: 25000 alleati, 12000 francesi.

Esito: vittoria alleata.

La Fronda.


Prima di Luigi XIV fu il cardinale Mazzarino a reggereIl cardinale Giulio Mazarino le sorti della Francia. La sua politica, però, scatenò la rivolta del Parlamento e della nobiltà, conosciuta come “La Fronda”, per le fionde con le quali i parigini tempestarono di sassi le finestre del cardinale. Luigi e sua madre furono costretti alla fuga e il giovane re ne fu profondamente segnato dagli avvenimenti, nei quali era coinvolto anche il cugino, principe di Condé, che venne perdonato divenendo uno dei suoi generali di maggiore successo (1648-1652). Sconfitta la Fronda Luigi si avvicinò gradatamente al potere effettivo, che raggiunse però solo alla morte di Mazzarino (1661).

 

Per i feriti gravi c’era l’Hotel des Invalides. Con questa lungimirante riforma, la Francia di Luigi XIV promosse una generazione di comandanti militari di altissimo livello. Se quella partorita dalla Rivoluzione, oltre un secolo dopo – Napoleone e i suoi Marescialli – gode sicuramente di maggiore fama, non si deve dimenticare che essa per ben due volte subì l’onta di vedere violata Parigi dagli eserciti nemici, mentre i generali del Re Sole riuscirono sempre a evitarlo. I loro nomi sono poco conosciuti, ma personalità come Turenne, Condé, Vauban, Catinat, meritano un posto d’onore nell’empireo dei più grandi comandanti militari.

Henri de la Tour d’Auvergne, visconte di Turenne (1611-1675) fu il più vincente tra tutti i marescialli di Francia del XVII secolo, un maestro della guerra di manovra. Il principe Luigi II di Borbone, detto Le Grand Condé, fu un genio militare precocissimo a soli 22 anni vinse forze superiori spagnole nella Battaglia di Rocroi. Sébastien Le Preste de Vauban (1633-1707) rivoluzionò con le sue idee le tecniche d’assedio e l’ingegneria militare, perfezionando il sistema della traccia da bastionata italiana (un nuovo tipo di fortificazione da contrapporre ai progressi dell’artiglieria). Nicolas Catinat (1637-1712), di nascita borghese, iniziò la carriera militare nelle guardie di Luigi XIV salendo per i suoi meriti fino al grado più alto, Maresciallo di Francia. Costituendo un corpo ufficiali con responsabilità e compiti ben definiti, si stabiliva una catena di comando e una gerarchia chiare e indiscutibili: era il rango militare e non il prestigio sociale o i vincoli personali a determinare chi doveva comandare e chi obbedire, e questo divenne il principio operativo futuro di tutti gli eserciti. Le forme della guerra sono cambiate molte volte da allora, ma le istituzioni militari ancora oggi impiegano gli stessi titoli, adottano le stesse categorie e instaurano le stesse relazioni stabilite per i reggimenti francesi del XVII secolo. Con la riforma di Luigi XIV, quella dell’ufficiale diventò una professione, la più nobile delle professioni. Il principio base del suo esercito, e lo sarebbe diventato per tutti gli eserciti, fu: ordine, disciplina, abnegazione.

Il controllo di Louvois e dello stesso re sul grado di efficienza raggiunto dai suoi reggimenti era continuo e capillare. Luigi dedicava quotidianamente ore e ore ad assistere alle esercitazioni e alle manovre sul campo delle proprie truppe, e il suo esempio spingeva anche i nobili proprietari dei reggimenti a emularlo per guadagnarsene la benevolenza. “Più battaglie sono vinte dal buon ordine e dal contegno delle truppe che dai colpi di spada e di moschetto e questa abitudine a marciare bene e a tenere l’ordine può essere ottenuta solo con l’addestramento”, scrisse il Re Sole nelle sue Memorie, aggiungendo: “Il buon ordine ci fa sembrare sicuri, ed è sufficiente a farci apparire coraggiosi, perché molto spesso i nostri nemici non aspettano che ci avviciniamo abbastanza da costringerci a dimostrare di esserlo veramente”. Agli occhi di Luigi XIV il combattimento era innanzitutto uno scontro di volontà dal quale sarebbe uscita vincitrice la schiera con il più alto spirito di sacrificio: una convinzione che si radicò in tutti gli eserciti europei e che ha rappresentato un dogma inconfutabile fino alle stragi sui campi di battaglia della Grande Guerra, dove si immolarono senza esitazioni milioni di uomini. Il soldato del re Sole non aveva più tempo per oziare: ogni momento della sua giornata era dedicato a una precisa attività, in una routine che si sarebbe ripetuta giorno dopo giorno, anno dopo anno, fino alla morte o al suo onorevole congedo. L’esercito divenne una famiglia, con un padre severo ma giusto e riconoscente: la disciplina veniva fatta rispettare anche a costo di crudeli pene corporali, ma per i meritevoli c’erano premi e avanzamenti di carriera, e chi era stato gravemente ferito aveva diritto alle cure che l’Hotel des Invalides, a Parigi, riservava ai reduce dei campi di battaglia, come stabilito dall’editto reale del 1670, che recitava: “Per coloro i quali hanno rischiato la loro vita e profuso il loro sangue per la difesa della monarchia, affinché passino il resto dei loro giorni in tranquillità”.

 

Jean-Baptiste Colbert.

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Ritratto di Jean-Baptiste Colbert di Philippe de Champaigne1655

Jean-Baptiste Colbert fu controllore generale delle finanze di Francia dal 1665 fino alla morte, avvenuta nel 1683. Fu un eccellente e infaticabile amministratore: a lui Luigi XIV dovette il risanamento economico del suo regno e il reperimento delle immense risorse necessarie per i suoi progetti miliari. L’influenza di Colbert si estese a ogni settore di attività che avesse anche il pur minimo risvolto economico: dagli incentivi all’industria e al commercio, fino all’attenzione per lo sviluppo culturale, tecnologico e scientifico. Ma nemmeno Colbert, il suo genio e la sua dedizione, furono sufficienti a trovare le risorse necessarie per pagare i costi delle guerre di Luigi IV, per cui alla morte del re le condizioni economiche della Francia erano tutt’altro che floride. Colbert fu ben più di un ministro delle finanze: si deve a lui la dottrina economica nota come Colbertismo o mercantismo.

 

 

Armate, non carovane in divisa. Grazie all’addestramento ossessivo, le truppe agivano meccanicamente ed obbedivano senza la minima esitazione ai propri ufficiali. Questi ultimi però dovevano essere pronti a condurli in battaglia offrendo loro l’esempio di massimo coraggio e sprezzo del pericolo: la mortalità tra gli ufficiali francesi raggiunse livelli molto più alti che negli altri eserciti europei, ma le truppe francesi si guadagnarono la fama di un coraggio ineguagliabile. Nessun dettaglio venne trascurato per raggiungere l’obiettivo. Prima della riforma di Luigi XIV, gli eserciti durante le campagne militari avevano un numeroso seguito di non combattenti: le mogli e i figli dei soldati, prostitute, mercanti e chiunque altro trovasse conveniente unirsi alle armate. In nome dell’efficienza e della moralità, le armate francesi abolirono questo uso, eccettuato un ristretto numero di vivandiere e ambulanti per servire le truppe, e una ventina di mogli di buona reputazione dei soldati in qualità di sarte, lavandaie e infermiere, ruoli comunque indispensabili. Se si confronto le rappresentazioni artistiche degli eserciti della prima metà del Seicento con quelle dell’epoca del Re Sole, la differenza salta all’occhio: a dipinti che ritraggono soldati oziosi e carovane e accampamenti ammassati alla rinfusa, si sostituiscono rappresentazioni di uomini intenti ad addestrarsi perfettamente inquadrati, focolari e tende allineati con un ordine che avrebbe fatto invidia alle pur disciplinate Legioni romane. I reggimenti divennero così comunità esclusivamente maschili, che isolavano i loro appartenenti dal contesto sociale per concentrare tutte le loro attenzioni e il loro tempo all’unità di cui facevano parte, cementando il legame tra commilitoni, la fedeltà al reggimento e al re.

Vennero introdotte a questo scopo uniformità di reclutamento, equipaggiamento, vestiario e organizzazione, uguaglianza nel trattamento economico e disciplinare, una parità di condizioni che rafforzava ancor di più il senso di appartenenza ed è alla base del reggimento moderno, con la sua storia, la sua tradizione e il suo spirito di corpo. Le uniformi grigie delle fanterie francesi distinguevano un reggimento dall’altro grazie ad un preciso schema di colori, il reclutamento territoriale rafforzava la lealtà reciproca tra soldati e “paesani” e diede impulso al culto della tradizione e allo spirito di corpo. La Francia di Luigi XIV si era quindi dotata della più moderna macchina da guerra dell’epoca, grazie anche alla sua numerosa popolazione in pochi anni, nel 1667, le truppe di Luigi raggiunsero le 125mila unità, per il primo atto della campagne di conquista previste da Luigi XIV, ossia la Guerra di devoluzione contro l’alleanza tra Olanda, Spagna, Inghilterra e Svezia. Nel corso degli anni l’intera Europa si coalizzò contro la Francia, e questa rispose mobilitando e armando mediamente 300mila uomini fino ad un massimo di 450mila, una cifra straordinaria mai più raggiunta fino alle guerre napoleoniche. Questo sforzo gigantesco non solo fu alla lunga troppo gravoso per l’economia e la società francese, ma non fu nemmeno sufficiente a vincere contro le forze coalizzate dell’Europa intera. Il tramonto del Re Sole proiettò malinconiche ombre sulle sue ambizioni deluse, e semmai delineò il profilarsi all’orizzonte di quel “diluvio” che dopo di lui avrebbe sommerso l’antico regime, proprio a causa di quel suo irriducibile e incontenibile amore per la guerra.

 

Articolo di Nicola Zotti, Storico ed esperto di storia militare, pubblicato su BBC History n. 97 – altri testi e articoli da Wikipedia.


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