L’incredibile storia
della suora alfiere.
Nel XVII secolo divenne
famosa Catalina de Erauso, una giovane basca che decise di vestirsi da uomo e
andarsene in America, dove visse peripezie degne di un romanzo.
Eroina con
cappa e spada.
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1585
La minore di sei figli di un militare
viene battezzata nella parrocchia di San Vicente a San Sebastian, il 10
febbraio.
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1603
Vestita da uomo, si fa chiamare
Francisco de Loyola e si arruola in una nave dell’Armata con cui arriva nella
Nuova Spagna.
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1606
Prende il nome di Alonso Diaz ed entra
al servizio del fratello Miguel. Combatte contro i mapuche in Cile.
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1620
Dopo diversi omicidi, confessa la sua
identità per salvarsi dalla forca e viene richiusa in un convento.
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1650
Muore nell’anonimato in Messico dopo
aver ricevuto dal papa la dispensa per firmare e vestirsi come un uomo.
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Novizia
trasformatosi in militare, assassina confessa di aver ucciso almeno dieci
uomini, attaccabrighe, ludopatica, vergine, omosessuale e travestita da uomo,
Catalina de Erause è senza dubbio un personaggio romanzesco.
Conosciamo molte
notizie della sua vita grazie ad un’autobiografia che era forse destinata,
sotto forma di memoria, al re Filippo IV di Spagna, e che era stata da lei
dettata assieme alla richiesta di un vitalizio. Pieno di circostanze vere ma
costellato di situazioni e coincidenze forzate quanto incredibili, quel suo
racconto divenne famoso. Se ne fecero almeno due edizioni,e, nel 1626, il
drammaturgo Juan Pérez de Montalban, discepolo prediletto di Lope de Vega,
scrisse e rappresentò a corte “La suora alfiere”, opera teatrale che consacrò
definitivamente il personaggio alla fama. Contraddittoria perfino circa la sua
data di nascita, nelle memorie assicurava di essere venuta al mondo a San
Sebastian, nel 1585. Il suo certificato di battesimo della parrocchia di San
Vencente, nella stessa città, indica invece il 10 febbraio del 1592. Figlia del
capitano Miguel de Erauso, Catalina era la più piccola di sei fratelli. A
quattro anni entrò nel convento domenicano di San Sebastian el Antiguo assieme
a due sue sorelle. Dato che non si adattava ed era ribelle, venne trasferita
nel convento di San Bartolomé, dalle regole e dalla clausura più rigide.
Oppressa e vessata da una delle religiose, Catalina fuggì dal monastero a 15
anni, prima di prendere i voti.
L’aspetto coraggioso di un
soldato.
In una lettera del 1626, lo
scrittore Pedro della Valle descrive Catalina de Erauso, allora
tretaquattrenne: “Alta e forte di
taglia, dall’apparenza piuttosto mascolina, non ha più seno di una bambina…
Di viso non è molto brutta, ma alquanto sciupata dagli anni. Veste da uomo
alla spagnola; porta la spada con disinvoltura… ha l’aspetto coraggioso di un
soldato che di un galante cortigiano”. Un ritratto opera di Juan van der
Hamen, la ritrae con collare, collarina in ferro e giustacuore, mostra una
donna con i capelli corti, lo sguardo severo, l’aria sera e un po’ assente.
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Nei panni di un uomo. La sua fuga durò
diversi giorni, e Catalina vagò “senza aver mangiato niente più dell’erba che
incontrava su suo cammino” finché raggiunse Vitoria. Nell’odierna capitale dei
Paesi Baschi la giovane iniziò a lavorare in casa di un medico, lontano
parente, che non la riconobbe sotto gli abiti maschili: Catalina aveva infatti
deciso di vivere e vestirsi come un uomo (molto probabilmente conscia del fatto
che come donna non le sarebbe stato possibile muoversi liberamente). Tre mesi
dopo scappò dalla casa con il denaro che aveva rubato al parente e si stabilì a
Valladolid, dove divenne il paggio del segretario del re Juan Idiaquez, e si
fece chiamare Francisco de Loyola. Nelle sue memorie racconta che lì incontrò
il padre, il quale non la riconobbe. Catalina fuggì a Bilbao, dove prese a
sassate alcuni ragazzi che dove prese a sassate alcuni ragazzi che la
deridevano e ne ferì uno in modo talmente grave da essere imprigionata per un
mese. Poi andò a Estella, nella Navarra, dove entrò al servizio di un signore
in qualità di paggio. Due anni dopo tornò a San Sebastian, dove un giorno
assistette alla messa accanto alla madre, che “non mi riconobbe”, assicura
nelle memorie. Alla ricerca di nuove esperienze, Catalina si arruolò nella
flotta in partenza per l’America. L’anno seguente, mentre i galeoni tornavano
in Spagna carici di oro e di argento americani, Catalina rubò cinquecento pesos
dalla cabina del capitano e si nascose nel porto di Nombre de Dios, in Panama,
finché le navi si furono allontanate. Sempre con il nome di Francisco si
trasferì in Perù, dove lavorò come aiutante di un mercante spagnolo servendolo
con lealtà e zelo, ragion per cui in breve tempo passò ad amministrare uno dei
suoi magazzini nella città di Sana. Tuttavia, l’indole spaccona la portò a
essere coinvolta in una rissa, che si concluse con un cavaliere morte, un altro
ferito e lei in manette. Il padrone la tirò fuori dal carcere, deciso a
sposarla con la sua amante, ma Catalina si rifiutò, e allora lui la spedì a
seguire i suoi affari a Trujillo. Un paio di mesi più tardi, il cavaliere che
Cataliana aveva ferito a Sana andò a cercarla con due compari. Una nuova zuffa
che culminò con un uomo trafitto dallo stocco della basca: Catalina fu
costretta a chiedere asilo in una chiesa.
Per allontanarla
dall’imputazione di omicidio e dai numerosi debiti di gioco, il campo la mandò
a Lima affinché lavorasse nella bottega di un suo amico. A quanto riferisce lei
stessa, lì ebbe dei rapporti con la cognata del superiore, che la licenziò.
Senza soldi e lavoro, si presentò in uno degli uffici di arruolamento che
reclutavano soldati per combattere gli indios mapuche nel sud del Cile. Decisa
a “partire e vedere il mondo”, assieme a migliaia di soldati sbarcò a Concepion
sotto l’identità di Alonso Diaz Ramirez de Guzman. E lì si verificò un’altra di quelle
straordinarie coincidenze per cui sembra che le memoria di Catalina possano
essere state parzialmente alterate da uno o più autori con l’intenzione di aggiungere
tinte romanzesche al racconto originale. solo così possiamo credere che il
soldato Alonso si ritrovò al cospetto del fratello Miguel, allora segretario
del governatore del Cile. Senza confessargli il legame familiare e senza essere
mai scoperta, ne divenne una buona amica ed entrò a far parte del seguito
personale di Miguel , “mangiando alla sua tavola per quasi tre anni”. Quando,
però, Miguel venne a sapere che Alonso corteggiava una sua amante, la mandò al
forte di Paicabì, un duro centro correttivo sul fronte araucano.
La decisione papale.
ù
papa Urbano VIII
Catalina de Erauso narra il suo
incontro con il papa Urbano VIII: “Gli raccontai in breve la mia vita e le
mie avventure, il mio sesso e la mia verginità… e con cordialità mi diede il
permesso per continuare la mia vita in abiti maschili. Io mi impegnai a
divenire onesta e a guardami dal recare danno al prossimo”.
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Promossa ad alfiere. Catalina rimase quattro
anni a combattere senza tregua contro i mapuche. Il soldato Diaz dimostrò
grande coraggio nelle sue gesta, soprattutto quando riuscì a riprendere il
vessillo del battaglione caduto nelle mani degli indigeni. Il fratello Miguel
chiese quindi che venisse promossa a capitano. Tuttavia, a quanto sappiamo da
lei stessa, divenne solo alfiere perché aveva impiccare un capo mapuche,
Quispiguacha, invece di consegnarlo vivo perché venisse sottoposto a un
interrogatorio. Una sera del 1609, mentre era a Concepcion in attesa di poter
tornare a Lima, in una delle molte risse dovute alla sua passione per le carte
ferì con la spada un'altra ufficiale e uccise la guardia che era accorsa ad
arrestarla. Come in precedenza, chiese asilo in un convento, quello di San
Francisco, dove rimase per più di sei mesi sotto il controllo delle truppe del
governatore. Appena la vigilanza si allentò, decise di allontanarsi per fare da
padrino d’armi. In una notte così scura “che non vedevamo le mani”, si
batterono non solo i duellanti, ma anche i padrini. E qui compare un’altra
incredibile circostanza, e cioè che il padrino contro cui Catalina si batté e
che uccise era il fratello. Come se non bastasse, questi venne inumato nel
convento di San Francisco, lo stesso in cui Catalina tornò a nascondersi per
altri otto mesi prima di scappare a Tucaman assieme a due esuli, in un
durissimo viaggio che li costrinse a mangiare uno dei cavalli. A Tucuman
Catalina corteggiò e promise di sposare due donne, dalle quali si diede alla
fuga prima che venisse svelato il suo genere. Per capire il personaggio e la
sua storia bisogna anche tenere conto del fatto che l’identificazione tra il sesso
biologico e un unico modello di femminilità non era così chiara nel XVII secolo
come sarà in epoche successive.
monumento a Catalina a Orizaba, Messico
Condanna a morte. La donna raggiunse il
villaggio di Potosì a cavallo. In quella località visse un paio di anni per poi
arruolarsi in una compagnia militare di retta alla regione dei chunchos, dove
affrontò gli indigeni con grande valore. L’alfiere racconta di uno scontro con
questi – più di diecimila secondo lei – in cui “ci battemmo con tale coraggio e
facemmo una tale strage che dal campo scorreva il sangue come un fiume, e li
inseguimmo uccidendoli fin oltre il Rio Dorado”. Dopo aver ammassato quanto più
oro poteva, lasciò le truppe e si stabilì a La Plata (oggi Sucre, in Bolivia)
in qualità di amministratrice di una ricca vedova. Di nuovo coinvolta in un
losco affare, venne accusata di aver sfregiato il volto di una donna con una
lama da chirurgo per vendicare la sua signore, pure lei colpita al volto con
una scarpa durante un accesso battibecco tra le due.
Ancora in fuga, si mise
a commerciare grano a Cochabanba e Potosì. Attaccabrighe e lupodatica, uccise
due uomini in altrettante risse, e per il secondo delitto venne condannata a
morte. Quando aveva già il cappio al collo, riuscì a salvarsi la vita: due dei
testimoni – condannati a loro volta – ritrattarono e assicurarono che “indotti
e pagati, avevano giurato il falso” contro di lei. Quindi Catalina vagò senza
meta per poi tornare a Cuzco, dove in un’altra zuffa mise mano alla spada.
Venne colpita gravemente, ma ferì a morte l’avversario. Grazie all’aiuto di
alcuni amici biscaglini, decise perciò “di cambiare aria”. Ricercata in tutto
il Perù, venne alla fine riconosciuta e fermata a Huamanga (l’attuale
Ayacucho), non senza aver prima ucciso una delle guardie che la volevano
arrestare e averne ferite altre due.
Fu allora, davanti a
una morte certa, che l’alfiera Diaz chiese di poter parlare con in vescovo
Agustin de Carbajal, a cui raccontò la propria vota e svelò l’inganno delle
vesti. “La verità è questa: sono una donna”. Il vescovo mandò due donne a
verificare l’affermazione e, quando loro
ebbero confermato il sesso dell’alfiere, Carbajal decise commosso che avrebbe
scontato la pena nel convento delle clarisse di Huamanga. La straordinaria
storia di Catalina divenne di pubblico dominio ed episodi eclatanti della sua
biografica circolarono in tutto il vicereame.
Ricevuta dal papa. Ormai una celebrità,
Catalina fu chiamata dall’arcivescovo di Lima e dal viceré, che erano ansiosi
di conoscerla. Rimase nel convento delle Comendadoras di San Bernardo per due
anni, finché venne a sapere che diversamente da quanto lei sosteneva, non aveva
mai preso i voti, perché a San Sebastian era stata solo una novizia. Pentita,
perdonata ed esclaustrata, tornò in Spagna nel 1624 come uomo, con il nome di
Antonio de Erauso. Durante il viaggio iniziò a scrivere o a dettare i testi che
oggi conosciamo come sue memorie. Dopo essere stata ricevuta dal re Filippo IV
andò in Italia, dove ebbe un colloquio con il papa Urbano VIII, che le concesse
la dispensa di vestirsi e firmarsi come un uomo.
Da quel momento la sua
leggenda crebbe ulteriormente, ma lei scomparve dalla vita pubblica. A quanto
pare, tornò nella Nuova Spagna e, con una mandria di muli, si mise a
trasportare passeggeri e merci dal porto di Veracruz a Città del Messico. Morì
nel 1650 nella località di Cuitlaxtla.
Articolo in gran parte
di José Maria Gonzalez Ochoa pubblicato su Storica National Geographic del mese
di novembre 2018 – altri testi e foto da Wikipedia.
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