L’epoca delle
congiure.
Nel ‘500, per
risolvere problemi e rivalità politiche si ricorreva spesso alla cospirazione.
Intrighi
di corte, cospirazioni e omicidi: oltre che dai fervori artistici e culturali,
il Rinascimento italiano fu segnato da una lunghissima serie di sordide trame,
spesso sfociate in cruenti fatti di sangue. Sia che a morire fossero le vittime
designate, oppure i congiurati, contro cui, in caso di fallimento, puntualmente
si abbatteva la vendetta. Nel Quattrocento finirono per esempio ammazzati,
nell’ambito di complotti nobiliare, i duchi di Milano Giovanni Maria Visconti
(1412) e Galeazzo Maria Sforza (1476), mentre a Firenze nel 1478, Lorenzo de’
Medici riuscirà a sopravvivere (a differenza del fratello Giuliano) alla congiura
ordita dalla famiglia de’ Pazzi. Oltre a queste cospirazioni, diventate
celebri, ve ne furono molte altre, a volte meno note. Un modo di regolare i
conti del potere, con relativa scia di sangue, che proseguì per tutto il
Cinquecento, continuando a coinvolgere, nei molteplici Stati e Staterelli della
Penisola, le più illustre famiglie del tempo, dai Borgia ai d’Este e dai
Gonzaga ai Farnesi. Eccone alcuni.
1500 le nozze rosse dei Baglioni. Fu un orribile
di sangue che sconvolse Perugia. Uno sfarzoso matrimonio, due settimane di
festa e, una strage: le nozze divennero “rosse” come il sangue che vu versato.
I Baglioni appartenevano a una nobile famiglia che le XV secolo affermò il
proprio potere su Perugia, con il condottiero Braccio I. Morto Braccio (1479),
il governo della città passò ai suoi fratelli, Rodolfo e Guido, e poi al figlio
di questi, Astorre, che il 28 giugno 1500 sposò la nobile Lavinia Orsini
Colonna. Una bella festa che coinvolse con i suoi banchetti e danze, tutta
l’aristocrazia della città. Ma a guastare la festa ci pensarono alcuni membri
della famiglia Baglioni, Grifonetto Baglioni, discendente diretto di Braccio I (che
era il nonno), e suo zio Carlo, detto Barciglia. I due, ostili ad Astorre e a
suo padre Guido volevano usurparne il potere. i congiurati agirono nottetempo
e, tra il 14 e il 15 luglio, trucidarono nelle rispettive abitazioni gli sposi,
il padre di Astorre e altri loro
consanguinei. Gettarono poi i corpi martoriati in strada e al mattino si
proclamarono signori di Perugia. Chi la
fa l’aspetti. Il loro potere durò però poche ore. Giampaolo Baglioni, il
cugino di Astorre, scampato alla strage, radunato un piccolo esercito, tornò in
città e ne prese le redini. I congiurati fuggirono, tutti tranne Grifonetto che
prima di essere passato a fil di lama, chiese perdono. E sua madre, Atalanta,
per ricordare la tragica fine del figlio, commissionò a Raffaello la cosiddetta
Pala Baglioni (1507), una deposizione del Cristo, oggi conservata al Museo
Borghese di Roma.
1502 La congiura della Magione e la vendetta di Senigallia. Il
capitano di ventura Vitelozzo Vitelli, che aiutò Giampaolo Baglioni a rientrare
a Perugia dopo la congiura di Grifanetto, fu a sua volta protagonista, nel
1502, di una storica cospirazione ai danni di Cesare Borgia. Cardinale e uomo
d’arme, quest’ultimo, detto “il Valentino” (duca di Valentinois, in Francia),
fu tra i personaggi più potenti d’epoca, al cui servizio vi era anche
Vitelozzo. Dopo aver preso il controllo di parte dell’Italia Centrale, Borgia
mise gli occhi anche su Bologna, ma i condottiero che lo sostenevano iniziarono
a temere che le sue smanie di conquista potessero condurre a una disfatto. Per
fermarlo alcuni crearono una
cospirazione, nota come “congiura della Magione” dal nome della località (poco
distante da Perugia) in cui fu ordita. Tra i congiurati, oltre Vitellozzo,
figurarono condottieri noti, come Oliverotto da Fermo, appoggiati dai nobili di
altre città, favorevoli all’eventuale scomparsa del Borgia.
Il
magnifico inganno. Tuttavia il complotto non andò a buon
fine perché Cesare ne fu informato e, con un’astuta mossa, decise di fare
circolare la voce che sapeva tutto, che era pronto a perdonare i ribelli e che
avrebbe addirittura offerto loro paghe più alte. Così in molti decisero di
desistere dall’oscuro piano, forse più intimoriti che lusingati. Si diceva
infatti che, in aiuto al Valentino, stessero arrivando le truppe di Luigi XII
di Francia (di cui il Borgia era luogotenente). La congiura naufragò ancora
prima di cominciare, ma il Valentino si vendicò senza pietà. Invitò Vitellozzo,
Oliverotto e altri congiurati a Senigallia, fingendo di averli perdonati. Poi
tra il 31 dicembre e il 18 gennaio del 1503 li fece uccidere tutti: nella
strage di Senigallia, i primi a essere strangolati furono Vitellozzo e
Oliverotto.
Vitellozzo Vitelli, qui ritratto da Luca Signorelli, fu uno degli ideatori della Congiura.
1506 Fratelli coltelli alla corte estense. Il
1505 si aprì con la morte del duca di Ferrara Ercole d’Este, avvenuta il 25
gennaio, il cui posto fu preso da Alfonso I. Il nuovo duca scelse quale suo
consigliere di fiducia uno dei suoi fratelli, il cardinale Ippolito, con grande
scorno degli altri due, Ferrante e Giulio, con i quali invece i rapporti
divennero sempre più tesi. Soprattutto dopo che Ippoliti sequestrò e fece
rinchiudere un musicista al servizio di Giulio. L’uomo fu liberato proprio da
Giulio, con l’aiuto di Ferrante. E il cardinale se ne lamento con Alfonso.
Rivali
in amore. Non fu però l’unico episodio. Tra Giulio e Ippolito
scoppiarono nuove tensioni a causa di una donna. Entrambi iniziarono a corteggiare
Angela Borgia, cugina di Lucrezia Borgia (moglie di Alonso) e tra i due
pretendenti Angela scelse Giulio. Ippolito, pieno di rabbia, lo fece aggredire
e sfregiare in volto. Ma la faida non era ancora finita: Giulio se la prese con
Alfonso perché non era intervenuto dopo l’episodio per punire Ippolito, e per
vendicarsi, organizzò una congiura contro di lui, con l’aiuto di Ferrante che
ambiva a diventare duca. Il piano, messo a punto nella primavera del 1506 e a
cui aderirono molti nobili, prevedeva che Alfonso e Ippolito fossero aggrediti
di notte in strada e venissero uccisi con pugnali avvelenati. Tuttavia per una
serie di errori andò tutto in fumo: il duca scoprì la congiura e mandò a
giudizio i suoi fratelli e tre dei cospiratori. Questi ultimi furono condannati
alla pena capitale, mentre Giulio e Ferrante furono rinchiusi in una torre nel
castello di Ferrara. Il primo ne uscì nel 1559, ormai ultraottantenne, mentre
il secondo morì nella torre nel 1540.
Alfonso I d'Este
1547 Il giovane Fieschi contro l’anziano Doria. Nel
1547 anche la Liguria divenne teatro di una sanguinosa congiura nobiliare,
ordita da Giovanni Luigi Fieschi, detto, Gianluigi, contro il principe e
ammiraglio Andrea Doria, uomo forte della Repubblica di Genova (celebri le sue
imprese contro i pirati barbareschi), e gli uomini a lui vicini. Quelle dei
Fieschi e dei Doria erano due delle più illustri famiglie genovesi, l’una
guelfa e l’altra ghibellina (Andrea aveva costruita la propria fortuna grazie
agli ottimi rapporti con l’imperatore Carlo V). alla rivalità politico si sommò
l’invidia del ventiquattrenne Gianluigi per la posizione di potere dell’anziano
Doria (ottantunenne),
Morte per annegamento. Il
2 gennaio 1547, raggiunto il porto con un manipolo di congiurati, Fieschi la
flotta dei Doria. Nello scontro l’amato nipote di Doria, Giannettino, fu
colpito a morte, ma anche Fieschi morì: cadde in mare e annegò a causa della
pesante armatura. I congiurati si diedero quindi alla fuga, mentre Doria si
rifugiava incolume nel vicino castello di Masone e uno dei fratelli di
Gianluigi, Gerolamo, cercava disperatamente, invano, di sollevare la
popolazione. Calmatesi le acque, l’ammiraglio tornò in città, fece recuperare
il corpo di Fieschi e lo lasciò nel porto a decomporsi per due mesi, prima di
rigettarlo in mare. Gerolamo e gli altri si asserragliarono nel castello di
Montoggio, che fu poi assediato, espugnato e completamente distrutto dagli
uomini di Doria. I pochi Fieschi sopravvissuti furono costretti ad abbandonare la
Repubblica di Genova. E di loro fu cancellata ogni traccia.
Giovanni Luigi Fieschi
1547 I piacentini contro il bastardo del papa. A
sostenere la congiura dei Fieschi del 1547 contro Andrea Doria, fu tra gli
altri, Pier Luigi Farnese, il quale, per ironia della sorte, morì in quello
stesso anno a causa di un complotto, in quel di Piacenza. Figlio di Paolo III
era stato nominato gonfaloniere della chiesa e duca di Castro, nel 1545, aveva
preso le redini del neonato ducato di Piacenza e Parma. Tuttavia per il suo
carattere inquieto – in battaglia era noto per l’audacia e la brutalità – era
malvisto dalla nobiltà emiliana e fu soprannominato con disprezzo il “bastardo
del papa”. La sua figura era troppo autoritaria e ingombrante, e i nobili
piacentini decisero così di sbarazzarsene alla maniera rinascimentale, con una
congiura. Per l’operazione ebbero l’appoggio di Ferrante Gonzaga, governatore
di Milano, vicino all’imperatore Carlo V.
Finito
nel fossato. La parte operativa del complotto fu coordinata dalle famiglie
piacentine Pallavicino, Landi, Anguissola e Confalonieri. Il pomeriggio del 10
settembre 1547 i congiurati, con in prima fila il conte Giovanni Anguissola, si
recarono nel fortilizio dove alloggiava il duca (la cittadella viscontea) e lo
uccisero a pugnalate. Il suo corpo, dopo essere stato esposto in pubblico,
venne gettato nel fossato sottostante (sarà poi ricomposto e sepolto). Il
giorno dopo, mentre Ferrante entrava in città con le truppe imperiali, Paolo
III si affrettò a rinominare nuovo duca Ottavio Farnese, uno dei figli di Pier
Luigi, ma non riuscì a far punire i congiurati.
Articolo a cura di
Matteo Liberti pubblicato su Focus Storia n. 144 – altri testi e immagini da
Wikipedia.
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