La spada corta dell’uomo libero.
Diffusi in Europa dall’Oriente, il seax o scramasax compare
sospeso alla cintura di molti popoli barbarici (ma non solo) durante l’età
delle migrazioni.
Alcuni scramasax merovingi | |
Impiego | |
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Utilizzatori | Vichinghi, Franchi, Angli, Sassoni, Longobardi |
Descrizione | |
Lunghezza | 7,5 cm - 75 cm |
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“Così
Sigeberto arrivò alla città di Vitry: tutto l’esercito si raccolse attorno a
lui e, alzatolo sopra a uno scudo, lo elesse re dei Franchi. Al che due
giovani, armati di grossi coltelli del tipo chiamato volgarmente scramasax,
intrisi di veleno per maleficio delle regina Fredegonda, facendo finta di voler
fare un’altra cosa lo colpirono in entrambi i fianchi. Sigeberto gridò e cadde,
e poco dopo esalo l’ultimo respiro”. Gregorio di Tours (538 ca-594), narrando
alla fine del Iv libro della sua Storia dei Franchi il clamoroso fatto di
sangue avvenuto nel 575, menziona per la prima volta l’esistenza dello
scramasax, una sorta di coltellaccio o spada corta abbondantemente attestato
nelle panoplie d’armi tra il periodo tardo antico e l’età delle migrazioni.
Nota anche con il nome
sassone scax (ossia coltello; nel composto ìl termine “scrama” dervorebbe da
“scramo”, “tagliare, colpire”), l’arma, a un solo taglio e priva di guardia,
era costituita da una lama innesta su un codolo piatto ricoperto di legno ed
osso a formare l’impugnatura. Come testimoniano i ritrovamenti archeologici e
l’iconografia, la lunghezza della lama era assai variabile: nei modelli più
antichi, databili al V e VI secolo, era stretta e compresa tra i 7-8 e i 30
centimetri, in quelli più tardi (VII secolo) più larga e lunga fino ai 70-80. I
primi (handseax) erano utilizzati per lo più come coltelli da lavoro:
servivano, cioè, a tagliare oggetti, rami e carni. I più piccoli – con lama di
7-10 cm – erano impiegati anche come utensili da tavola, i più lunghi, al pari
dei coltelli militari tardo romani a un solo filo diffusi tra il IV e il V
secolo, erano assai probabilmente usati anche come arma da corpo a corpo, sia
in battaglia che nei duelli sorti per risolvere le contese private assai
frequenti nel sistema giuridico germanico prima che le legislazioni scritte
inserissero, al fine di sanare le controversie, altre forme di accordo come la
composizione pecuniaria. I modelli più lunghi (langseax), invece, erano
certamente utilizzati per combattere in scontri ravvicinanti, sia a piedi che a
cavallo, ed erano, come vedremo tra breve, quasi sicuramente di derivazione
orientale.
In ogni caso, nelle
società barbariche pare che il possesso del seax denotasse lo status giuridico
dell’uomo libero, il solo che avesse diritto a portare le armi: per questa
ragione il seax era sospeso orizzontalmente a una cintura multipla in cuoio
accanto alla spada, sul lato sinistro, così da consentire al guerriero (in
genere destroso) di estrarre facilmente la lama, e lo seguiva nella tomba
quando cessava di vivere. La forma della fama era variabile: ne sono state
identificate sei tipologie (con larghezze diverse), la più diffusa delle quali
risulta lievemente curvata in entrambi i lati verso la punta, più o meno
aguzza. Il modello sassone, invece, risulta “tagliato” in maniera piuttosto
angolata nella parte non affilata, conferendo alla lama una tipica forma
trapezoidale, inoltre, possedeva un’impugnatura più lunga, adatta ad essere
brandita a due mani.
Le varie tipologie
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Handseax
Lunghezza:
7-20 cm circa.
Diffusione:
V-VI secolo.
Uso: utensile
per uso quotidiano.
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Seax
Lunghezza
lama: fino ai 35 cm. (alcuni modelli fino ai 50 cm)
diffusione:
VI-VIII secolo
uso: utensile
per uso quotidiano e arma
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Longseax
Lunghezza
lama: oltre i 50 e fino a 70-80 cm
Diffusione:
VII-VIII secolo
Uso: impiego
in battaglia (cavalleria e fanteria)
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Dai Franchi ai Longobardi. In Europa le prime
attestazioni del seax risalgono al V secolo e sono relative a tombe franche
(uno è lo scramasax che fa parte del celebre tesoro di Childerico, il primo re merovingio
morto nel 482 e la cui ricchissima sepoltura fu rinvenuta a Tournai, in Belgio,
nel 1655). Tale arma era però sicuramente utilizzata anche dagli Alemanni (la
necropoli di Hemmingen, in Bassa Sassonia, ha restituito vari langseax lunghi
tra i 38 e i 79 cm) e dai Longobardi (ne sono stati ritrovati numerosi nelle
necropoli italiane), ed è menzionata nelle Leggi dei Visigoti insieme a scudi,
spade, lance e frecce. Tutto ciò consente di rimettere in discussione la tesi
tradizionale che identifica nel seax l’arma “nazionale” esclusiva dei Sassoni,
così come per analogia l’ascia francisca lo sarebbe per i Franchi e la lancia,
secondo alcune vecchie interpretazioni, per i Longobardi (secondo un’etimologia
ormai superata, il nome di questi ultimi sarebbe infatti stato composto da
“lang”, lungo e “bard”, lancia: pare invece assodato che l’etnomino derivi
dalle “lunghe barbe” sfoggiate dai guerrieri longobardi, come narrato
dall’Origo gentis Langobardorum e ripreso dal loro massimo cronista, Paolo
Diacono.
Seax spezzato da Sittingbourne nel Kent
Lo scramsax longobardo e quello
bizantino.
Lo Scramsax è piuttosto diffuso
nelle sepolture che risalgono al periodo successivo l’ingresso dei Longobardi
in Italia, avvenuto nel 568. La gran parte dei ritrovamenti – si tratta
naturalmente solo delle lame con codolo in quanto l’impugnatura, così come il
fodero in cuoio, era costituita interamente di materiali deperibili – è concentrata nell’Italia settentrionali. Gli
Scramsax ritrovati nelle grandi necropoli dell’Italia centrale, Castel
Trosino e Nocera Umbra, appaiono invece possedere dimensioni (lama corta,
inferiore ai 30 cm, e più stretta) e caratteristiche (sospensione del fodero
a forma di P, che consente di attaccarlo alla cintura in due punti, di
origine orientale, nonché la decorazione delle guarnizioni metalliche a
motivi floreali e mostri marini, di matrice romana orientale) che
rimanderebbero a una loro produzione bizantina: ciò, in effetti, non deve
stupire perché una Novella, emanata da Gistiniano nel 539, normava in maniera
chiara la produzione
delle armi da taglio destinate all’uso militare, che potevano uscire solo
dalle fabbriche statali autorizzate, istituite da Diocleziano tra il III e il
IV secolo. Nonostante siano indicate nella Notitia Dignitatum (un documento
di fine IV – inizio V secolo che testimonia l’amministrazione civile e
militare del tardo impero romano), l’ubicazione di tali fabbriche non è nota
con precisione. È comunque probabile che nell’Italia bizantina officine di
questo tipo, anche di nuova creazione, fossero presenti e attive: una
potrebbe essere quella ritrovata a Roma nella cosiddetta “Crypta Balbi”, che
ha restituito resti metallici compatibili con la produzione di armi.
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Non solo sassoni. La tesi in questione si
basa sulla menzione, nelle Res Gestae Saxonicae di Widuchindo di Corvey, di coltelli che “nella nostra lingua (cioè il
sassone) sono chiamati sahs, da cui traggono il nome i Sassoni”. In realtà,
come è stato rilevato da vari studiosi tra cui Walter Pohl, quella di
Widuchindo è una testimonianza tarda – risale al X secolo – e proveniente da un
cronista la cui affidabilità è stata spesso messa in discussione. La prima
citazione del nome del nome dell’arma (scramsax) è,come anticipato, opera nel
VI secolo del franco Gregorio di Tours, seguita dalla menzione nell’anonima
Liber Historiae Francorum (circa 730) in occasione di un altro regicidio,
avvenuti a colpi di “duo bus scramasaxiis”. Sempre a proposito del collegamento
tra arma e popolo, inoltre, il ben noto Isidoro da Siviglia (560-636) nelle
Etimologie collega esplicitamente il nome dei Sassoni al latino saxum, pietra,
e non al coltello. Quanto poi alla connotazione del seax in senso etnico, lo
stesso carattere “aperto” delle genti barbariche, composte da tribù diverse,
farebbe cadere i presupposti per autorappresentarsi in tal senso: e in effetti
il seax nelle varie versioni appare diffuso non solo tra i Sassoni, ma anche,
come detto, tra le altre popolazioni barbariche come i già citati Franchi,
Alemanni, e Longobardi (e in genere nell’Europa settentrionale e orientale).
Le fonti testimoniano
inoltre la presenza di armi a un solo filo tagliente,m denominate parameria,
anche nel mondo bizantino: con molta probabilità si tratta di langseax il cui
uso, almeno come arma da cavalleria, fu introdotto su influenza delle
popolazioni orientali, in particolare Unni e Sasanidi. Entrambi questi popoli,
con cui Costantinopoli ebbe occasione di misurarsi più volte, erano noti per
essere dotati di formidabili cavalieri; stando alle fondi letterarie i primi
(in particolare Vegezio) e archeologiche i secondi, essi utilizzavano
semispathae (spade corte) di questo tipo. Dalle steppe e dall’Oriente, quindi,
per tramite di Bisanzio o degli Unni – dei quali alcune popolazioni barbariche
come gli Alamanni erano tributarie – tali armi giunsero nell’Europa
centro-orientale e poi si irradiarono nel cuore del Continente, sospese alla
cintura dei popoli in migrazione.
Articolo in gran parte
di Elena Percivaldi pubblicato su Storie di guerre e guerrieri n. 22 – altri
testi e immagini da wikipedia.
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