Cronaca di un
conclave.
Se c’è un’elezione del
papa che merita di essere ricordata, per le pesanti conseguenze storiche in
tutta
Europa, è quella di
115 anni fa, alla morte di Leone XIII. In quel conclave si scontrarono
drammaticamente gli interessi delle potenze europee, Italia compresa.
All’inizio
del Novecento, i tragici bagliori della Grande guerra sono ancora lontani.
L’Europa vive la sua Belle époque, ma le tensioni e le rivalità fra le grandi
potenze continentali sono fortissime, benché per il momento si mantengano sotto
traccia. Nello scacchiere internazionale, Germania, Austria e Italia hanno
firmato un patto politico e militare, nel 1882: la Triplice Alleanza.
Parallelamente, Francia e Russia, nell’ultimo decennio del XIX secolo, si sono
riavvicinate, stringendo un accordo strategico ed economico, in funzione
antitedesca. Parigi si accosta anche a Londra, dopo oltre un secolo di baruffe
in Africa, culminate con l’incidente di Fashoda, nel 1898, Francia e Regno
Unito firmano l’entente cordiale, un patto che diventerà poi un’alleanza estesa
anche alla Russia: la Triplice Intesa, manifestamente in opposizione alla
Triplice Alleanza.
Nel conclave nasce l’astro di
Merry del Val.
A rendere il
conclave del 1903 ancor più problematico è la scomparsa improvvisa di
monsignor Alessandro Volpini. Nominato qualche mese prima Segretario del
Sacro Collegio e, quindi, del futuro conclave, ma muore per infarto – non
ancora 60enne – il 9 luglio 1902, 11 giorni prima della scomparsa di Leone
XIII. È una perdita grave, perché a lui sarebbe spettata l’organizzazione
delle procedure per l’elezione del nuovo papa. Un compito delicatissimo,
perché a lui sarebbe spettata l’organizzazione delle procedure per l’elezione
del nuovo papa. Un compito delicatissimo, perché all’inizio del Novecento le
norme che disciplinano il conclave non sono ancora definite in modo
dettagliato e rigido. Inoltre, il Vaticano non è ancora una Città-Stato, ma è
costituito da una serie di palazzi facilmente infiltrabili dalle potenze
straniere, a cominciare dall’Italia. Il 21 luglio, il giorno dopo la morte
del papa, i cardinali presenti a Roma nominano al posto di Volpini lo
spagnolo Rafael Merry del Val. Il suo nome viene preferito a quello di due
altri ecclesiastici di peso: Giacomo Dalla Chiesa, che diventerà papa come
Benedetto XV nel 1914, e Pietro Gasparri, che terrà poi la Segreteria di
stato per 15 anni. Merry del Val è un diplomatico è un diplomatico brillante
ma più giovane e meno titolato degli altri due. Ed è un avversario della
politica di Rampolla del Tindaro. In questa nomina, c’è già il segnale delle
difficoltà di Rampolla a farsi eleggere papa. Per Merry del Val, invece,
l’organizzazione del conclave del 1903 sarà il trampolino di lancio. Pio X,
avendo apprezzato il suo lavoro nel drammatico conclave che lo elegge, lo
nomina suo Segretario personale, e poco dopo, cardiale e Segretario di Stato.
una carica che Merry del Val deterrà fino alla morte di papa Sarto, alla
vigilia della Prima guerra mondiale.
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papa Leone XIII
SCONTRI POLITICI NELL’ELEZIONE DEL VICARIO DI CRISTO. Mentre,
dunque, l’Europa sta costruendo questo doppio fronte di triplici alleanze, il
20 luglio del 1903. Muore papa Leone XIII, che governava la Chiesa da 25 anni.
La scomparsa del pontefice dell’enciclica Rerum novarum non è solo un lutto per
la cattolicità, ma è anche un traumatico avvenimento politico, che entra nel
grande gioco delle potenze continentali. Nel conclave che verrà convocato per
eleggere il successore si scaricherà, infatti, una buona parte delle tensioni e
di quegli antagonismo politici che si stanno delineando in Europa. In
particolare, emergerà lo scontro sempre più aspro tra l’Impero asburgico e la
Francia, da secoli concorrenti per il dominio continentale – la Guerra dei
Trent’anni nel XVII secolo ne è il simbolo oltre che un precedente ancora
impresso nella memoria – e ora si è quasi giunti al duello finale. Il conclave,
aperto il 1° agosto del 1903, è un avvenimento seguito con grande attenzione
dalle cancellerie e dai giornali dell’epoca, che vi dedicano ampio spazio. Può
essere definito il primo evento mediatico nella storia della Chiesa. Gli
interessi in gioco sono altissimi. Vienna e Parigi vogliono orientarne la
scelta. Desiderano un papa amico o, perlomeno, non ostile.
Durante il pontificato
del romano Luigi Pecci, la Santa sede ha tenuto un atteggiamento filo francese.
Vaticano e Italia sono ai ferri corti per l’ancora irrisolta questione romana:
il papa considera un’usurpazione la conquista sabauda di Roma, avvenuta nel
1870. L’Italia, per il pontefice, è un nemico. E così, nemici diventano anche i
suoi alleati della Triplice: l’Impero asburgico (un trono tradizionalmente
cattolico) e la Germania dove, invece, Bismark, negli anni Settanta
dell’Ottocento, aveva condotto una dura politica repressiva anti-cattolica, il
Kulturkampf. Per uscire dall’isolamento internazionale e trovare sponde politiche
a sostegno della propria rivendicazione contro l’Italia, la Santa sede si
avvicina alla Francia. Sebbene la Terza repubblica sia radicale e
anticlericale, Leone XIII – che si pronuncia in diverse occasioni per convincere
i riluttanti cattolici d’Oltralpe – crede che la scelta filo francese sia una
necessità in funzione anti italiana.
Ispiratore e
realizzatore di questa politica estera è il cardinale Mariano Rampolla del
Tindaro, Segretario di stato dal 1887.
Nato in un’aristocratica
famiglia siciliana del 1843, Rampolla entra nell’Accademia dei nobili
ecclesiastici – la fucina della diplomazia vaticana – e si distingue nella
Curia romana. Luigi XIII, nel 1882, lo nomina Nunzio apostolico in Spagna, per
poi richiamarlo, 5 anni più tardi, accanto a sé, come “primo ministro”. La
collaborazione con papa Pecci durerà per 16 anni, fino alla morte del
pontefice.
Ora, nel conclave
dell’agosto 1903, è proprio lui la figura di spicco del Sacro collegio, colui
che è in prima fila per la successione a Leone XIII, della cui linea politica
si profila come la naturale continuazione. Naturalmente, Rampolla ha il
sostegno della Francia, ma è visto come fumo negli occhi dagli Asburgo. Una
contrapposizione politica che si ritrova pari all’interno del Sacro collegio.
La Chiesa dell’epoca è ancora figlia dell’ancien régime, ciò significa che
molti ecclesiastici sono diventati cardinali perché imposti dai governi delle
loro nazioni, in virtù di antichi privilegi o della politica giurisdizionalista
settecentesca: sono i cosiddetti “cardinali della corona”. Tutti i francesi e
gli austriaci hanno ricevuto la porpora in questo modo. E, quindi, la loro
posizione nel conclave non può non ricalcare quella dei rispettivi governi. Il
Vicario di Cristo in terra sarà o filo francese o filo austriaco.
BASTA UN VETO CARDINALIZIO PER CAMBIARE LA STORIA. In
questo primo conclave del Novecento, hanno il diritto di voto per eleggere il
nuovo pontefice 64 cardinali. A Roma, giungono in 62. Mancano l’arcivescovo di
Sidney, che non arriva in tempo, e quello di Palermo, vecchio e ammalato. In
conclave entrano dunque 38 italiani, 7 francesi, 5 imperiali (3 austriaci, 1
ungherese e 1 polacco), 5 spagnoli, 3 tedeschi, 1 portoghese, 1 irlandese, 1
belga e 1 americano. Come si può notare, la composizione del collegio
cardinalizio è fortemente eurocentrica. C’è solo un cardinale che arriva da una
altro continente, lo statunitense James Gibbons. Data questa composizione, è
impossibile che il clima spirituale, culturale e politico che si respira nel conclave non risenta di ciò che si agita nelle capitali e nelle cancellerie
europee.
Nello scrutinio
iniziale, la mattina del 1° agosto, Rampolla ottiene 24 voti. Nel voto del pomeriggio, arriva a 29. Ancora troppo pochi. Il quorum è fissato a due terzi
del collegio, cioè 42 voti. La situazione è di stallo. La mattina del 2 agosto
avviene l’evento traumatico e decisivo che cambia radicalmente lo scenario.
L’arcivescovo di
Cracovia – allora città sotto il controllo degli Asburgo – il cardinale Jau
Puzyna, a nome dell’imperatore d’Austria, pone il veto sul nome di Rampolla del
Tindaro. È un veto (definito Ius exclusivae o Ius exlusionis) eredità
dell’ancien régime. Si tratta di un diritto accordato, nel corso dei secoli,
alle antiche monarchie cattoliche europee per escludere un cardinale candidato
al soglio pontificio che non si ritiene adeguata. L’esercizio del diritto di
veto, non è dunque una novità. Dal XV secolo in poi si contano una quindicina
di interventi di questo genere. È sorprendente, però, che questa prerogativa
venga utilizzata all’alba del Novecento. Uno strumento giuridico, retaggio di
un mondo che non esiste più, viene usato come un’arma per regolare i conti
della politica internazionale del tempo.
Anche i cardinali che
partecipano al conclave sono turbati. In molti giudicano negativamente il veto
e biasimano il porporato polacco. Quando lo incontrano lo apostrofano in
latino: Puedeat te, ossia vergognati! Il cardinale Puzyna risponde
orgogliosamente_ Honor meus! Ossia ne sono orgoglioso. L’arcivescovo di
Cracovia, infatti, si è prestato a dar voce in conclave agli interessi politici
dell’Imperatore perché quegli interessi coincidono con i suoi. Puzyna fa parte
di una lobby polacca che influenza e indirizza le scelte di Francesco Giuseppe.
A convincere l’imperatore a far valere l’antico privilegio del veto è stato,
infatti, un altro polacco: il ministro degli esteri di Vienna, Agenor
Goluchowski.
Sia Puzyna che
Goluchowski – originari entrambi di Leopoli e legati allo stesso clan familiare
– sono ostili alla Russia, alleata di quella Francia che era diventata il
fulcro della politica estera di Leone XIII e del suo Segretario di stato. La
Polonia, in quel momento, non esiste più: il suo territorio è stato spartito,
alla fine del Settecento, tra Impero asburgico, Russia e Prussia. Il sogno dei
polacchi è quello di far rinascere una Polonia indipendente. In questo disegno,
ai loro occhi, il pericolo maggiore è sempre l’Orso russo. Affondare Rampola
significa colpire Parigi e San Pietroburgo. Questo è l’obiettivo dei polacchi
che lavorano per Vienna. Per questo, l’arcivescovo di Cracovia può dire,
durante il conclave: “Non sono stato strumentalizzato da Vienna, ma sono stato
io a strumentalizzarla”. Malgrado la vibrante protesta dei cardinali francesi,
la candidatura di Rampolla è quindi bruciata senza rimedio. A questo punto, i
voti dei porporati si orientano verso il nome di Melchiorre Giuseppe Sarto,
patriarca di Venezia, che viene eletto papa il 4 agosto del 1903, con il nome
di Pio X.
Mariano Rampolla del Tindaro
UN PRETE DI CAMPAGNA ALLE PRESE CON LA POLITICA. Nato
a Riese, nel trevigiano, nel 1835, ordinato sacerdote nel 1858, promosso
vescovi di Mantova e poi di Venezia. Figura genuina di pastore, lontana dalla
politica, per vocazione e per non aver mai ricoperto incarichi in curia o nella
diplomazia vaticana prima della sua elezione. È un prete di campagna giunto fin
sul soglio di Pietro proprio per la sua indifferenza ai grandi giochi della
politica contemporanea. Per questo, su di lui, dopo lo scontro durissimo tra
Parigi e Vienna, si indirizzano i voti del Sacro collegio, sebbene il patriarca
di Venezia scongiuri fino alle lacrime gli altri cardinali di non chiamarlo ad
una responsabilità così grande. Proprio questo atteggiamento, invece, persuade
ancora di più i porporati che sia la scelta giusta, perché supera conflitti e
interessi nazionali.
Secondo alcuni, la sua
elezione rappresenta la vittoria su tutta la linea degli Asburgo. È vero che
papa Sarto ha il profilo del buon parroco, senza velleità politiche, ma egli è
pur sempre originario di una regione, il Lombardo-Veneto, che, al tempo della
sua nascita, è parte integrante dell’Impero. Con Vienna è rimasto un legame
culturale e affettivo. Nel suo diario, il cardinal Ferrari, suo massimo sponsor
nell’elezione, annota che, durante il conclave, Melchiorre Giuseppe Sarto
pronuncia queste parole: “Per l’Austria garantisco io”. Dall’ipotesi di
eleggere un cardinale filo francese – Rampolla del Tindaro – si passa così alla
scelta di un porporato se non amico almeno non ostile all’Austria.
Malgrado questi aspetti
di cui si deve tener conto, Pio X si rivelerà un papa autonomo e indipendente e
lavorerà, fin da subito, per tagliare ogni legame troppo stretto con le potenze
europee. A partire dall’abolizione di quel diritto di veto che, bruciando la
candidatura di Rampolla del Tindaro, gli aveva consentito di sedere sul trono
di Pietro. Con la Costituzione del Commissum nobis, emanata il 20 gennaio 1904,
il nuovo papa cancella lo Ius exclusivae, l’antica prerogativa dei monarchi cattolici. Pio X mette fine, così,
all’ancien régime e a quel legame tra trono e altare che ne è stato uno dei
pilastri. Nessuno Stato potrà più infierire nell’elezione di un pontefice.
Inizia con Pio X il processo di modernizzazione della Chiesa, che porterà a un
sempre più stretto controllo vaticano sugli episcopati nazionali, sottratti
all’autorità degli Stati. Un percorso di autonomia che diventerà completo con
la riacquisizione, dopo i Patti Lateranensi, di un territorio sovrano dal quale
esercitare una propria politica internazionale.
Il conclave del 1903 è
uno spartiacque nella storia della Chiesa. Francia e Impero continueranno,
invece, le loro politiche di potenza, eredita dai secoli passati. Una folle
corsa che li precipiterà, insieme ai loro alleati, nel tragico baratro della
guerra.
Pio X
Articolo in gran parte
di Antonello Carvigiani, giornalista ed esperto di Storia della
Chiesa,pubblicato su BBC History del mese di novembre 2018, altri testi e foto
da wikipedia.